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Sorveglianza

«No all’ID digitale»: protesta in Gran Bretagna

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Nel fine settimana, una protesta si è svolta davanti alla sede del congresso del Partito Laburista a Liverpool, in opposizione al piano del primo ministro Keir Starmer di introdurre documenti di identità digitali obbligatori.

 

Domenica 28 settembre, i manifestanti si sono riuniti con cartelli che recitavano «No all’identificazione digitale», avvertendo che tale sistema potrebbe spianare la strada a uno stato di sorveglianza, come riportato da The Independent.

 

Le proteste sono scoppiate pochi giorni dopo che Starmer aveva annunciato che nel Regno Unito nessuno potrà lavorare senza un documento di identità digitale, chiamato «BritCard».

 

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I cittadini britannici hanno espresso una forte opposizione al programma di identificazione digitale, evidenziando la sua impopolarità tra ampi settori della popolazione. A una settimana dall’annuncio, oltre 2,6 milioni di persone hanno firmato una petizione contro l’obbligo della «BritCard» per tutti i lavoratori entro il 2029. La petizione sostiene che «nessuno dovrebbe essere costretto a registrarsi presso un sistema di identificazione controllato dallo Stato», descrivendolo come un «passo verso la sorveglianza di massa e il controllo digitale».

 

Starmer e il suo governo hanno usato il problema dell’immigrazione illegale, di cui sono almeno in parte responsabili, come pretesto per imporre l’identità digitale obbligatoria.

 

«So che i lavoratori sono preoccupati per il livello di immigrazione illegale in questo Paese», ha dichiarato il premier britannico. «Un confine sicuro e un’immigrazione controllata sono richieste ragionevoli, e questo governo sta ascoltando e soddisfacendo le loro richieste».

 

«L’identità digitale rappresenta un’enorme opportunità per il Regno Unito. Renderà più difficile lavorare illegalmente in questo Paese, rendendo i nostri confini più sicuri», ha aggiunto.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Tony Blair Institute for Global Change, ONG globalista fondata dall’ex primo ministro britannico Tony Blair, è uno dei principali promotori del progetto di identificazione digitale.

 

«Di recente, il dibattito sull’identità digitale è stato dominato dal suo potenziale di contribuire a ridurre gli afflussi di immigrazione illegale e di rispondere alle preoccupazioni pubbliche secondo cui il governo avrebbe perso il controllo dei confini della Gran Bretagna», ha affermato il Tony Blair Institute, rafforzando la narrazione che l’immigrazione illegale giustifichi l’obbligo di identità digitale.

 

L’ex attore e commentatore politico Russell Brand ha dichiarato che «l’identità digitale è tornata in Gran Bretagna, spacciata per controllo dell’immigrazione ma in realtà puzza di sorveglianza».

 

«I dati biometrici collegati alla finanza trasformano il tuo corpo in un passaporto, trasformando la libertà in un permesso», ha aggiunto.

 

L’identificazione digitale sta sendo introdotta in diversi Paesi, evidenziando uno sforzo globale per rafforzare la sorveglianza statale.

 

Come riportato da Renovatio 21, domenica, la Svizzera ha approvato l’introduzione dell’identità digitale con un margine di 1,5 punti, dopo che una proposta simile era stata respinta nel 2021.

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Immagine screenshot da Twitter

 

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Sorveglianza

Gli elettori svizzeri approvano di misura l’ID digitale. Porte aperte alla «sorveglianza totale»

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Una risicata maggioranza di elettori svizzeri ha approvato il piano governativo per introdurre un’identità digitale valida a livello nazionale. Domenica, il 50,4% degli elettori ha votato a favore della proposta, con un margine di appena 21.276 voti, secondo Swissinfo. Il risultato, sorprendentemente equilibrato, ha smentito i sondaggi pre-elettorali che prevedevano una vittoria netta del «sì».   *Swissinfo* ha commentato che «la Svizzera conservatrice ha quasi bloccato l’e-ID».   Nel 2021, gli elettori svizzeri avevano bocciato un progetto simile con il 64% dei voti, esprimendo timori sulla gestione dei dati personali da parte di privati. La nuova proposta, approvata nel 2025, affida la gestione dei dati esclusivamente al governo e include garanzie di «minimizzazione dei dati», limitando la condivisione con terzi al minimo indispensabile.   Secondo il piano, l’identità digitale svizzera funzionerà esclusivamente come documento di identificazione, senza altre funzionalità, a differenza di modelli adottati altrove.   Sebbene l’e-ID rimanga facoltativa per legge, esperienze in altri Paesi suggeriscono una possibile pressione indiretta per il suo utilizzo, con rischi come la perdita del lavoro per chi la rifiuta. Recentemente, un’insegnante austriaca, in un Paese confinante, è stata licenziata poco prima della pensione per aver rifiutato un’identità digitale.   Michael Shellenberger, giornalista e presidente del centro per politica, censura e libertà di parola presso l’Università di Austin, Texas, ha avvertito che le identità digitali si stanno diffondendo globalmente, spesso sostenute da politici legati a interessi statali. «I burocrati sanno che gli ID digitali sono impopolari e stanno cercando di imporli rapidamente, prima che il pubblico se ne renda conto», ha dichiarato.   L’avvocato tedesco e attivista per la libertà di parola Markus Haintz ha commentato su X: «È un giorno nero per la Svizzera e l’Europa».   «Una decisione disastrosa che apre la porta a una sorveglianza totale, a una moneta digitale centralizzata programmabile e a un sistema di credito sociale in stile cinese», ha ammonito.

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Bizzarria

Cesso modello Grande Reset: non ti dà la carta igienica se non paghi oppure ti infligge la pubblicità

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In una scena massimamente distopica, alcuni bagni pubblici in Cina hanno introdotto un sistema che «tiene in ostaggio» la carta igienica dietro le pubblicità. A denunciarlo sono utenti esasperati, che si sono sfogati su un thread della piattaforma Reddit anti-consumo.

 

Un video diffuso da China Insider – definito «distopico» dagli spettatori – mostra persone costrette a scansionare codici QR sui distributori di carta igienica per guardare una breve pubblicità, prima di ricevere una quantità minima di rotoli. Chi desidera ottenere altra carta o saltare l’annuncio, deve pagare 0,5 RMB, circa 5 centesimi di euro.

 

 

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Le autorità cinesi giustificano il sistema come misura per ridurre gli sprechi, puntando il dito contro chi userebbe dosi eccessive di carta gratuita. Ma sui social le critiche non si sono fatte attendere. «Ecco come appare a prima vista la distopia comunista capitalista», ha commentato un utente. «L’ironia di questa società autoritaria e al tempo stesso economicamente espansionistica è sottile, ma pericolosa». Un altro ha ironizzato: «Nel Regno Unito questo non funzionerebbe: o la macchina verrebbe distrutta in breve tempo, oppure ci sarebbero escrementi sparsi ovunque».

 

Si tratta forse di un cesso prodromico del futuro da Grande Reset davosiano, quello per cui non avrai nulla e sarai felice – cioè non possiederai nemmeno la carta igienica, e neanche il bidet – beni a cui forse potrai aspirare solo con un credito sociale soddisfacente e la sottomissione biometrica totale della tua esistenza.

 

Del resto, sappiamo quanto la Cina comunista, con la sua distopia di telecamere e sorveglianza bioelettronica totale, sia nel cuore di Klaus Schwabbo.

 

In passato, la Cina è stata accusata di utilizzare l’Intelligenza Artificiale e il riconoscimento facciale per la sorveglianza della minoranza uigura nello Xinjiang. All’epoca emerse una tecnologia possibilmente ancora più inquietante: la capacità di ricreare un volto a partire dal DNA. Tre anni fa si parlò di una mirabolante tecnologia di face recognition che rilevava la fedeltà al Partito Comunista Cinese.

 

Come riportato da Renovatio 21, il riconoscimento facciale fu usato anche per individuare chi protestava per aver perso i propri risparmi nel grande crack del gruppo Evergrande due anni fa, e pure per scovare i rifugiati nordcoreani.

 

Di fatto non è nemmeno la prima volta che la Cina sperimenta soluzioni hi-tech nei bagni pubblici. Già nel 2017, nel parco del Tempio del Cielo a Pechino, erano stati installati distributori di carta igienica dotati di tecnologia di riconoscimento facciale, suscitando dubbi e polemiche sulla privacy.

 

Da allora, tuttavia, l’Amministrazione cinese per il cyberspazio e il Ministero della pubblica sicurezza hanno vietato l’uso del riconoscimento facciale senza consenso, proibendo in modo esplicito questi dispositivi in spazi pubblici come alberghi, bagni, spogliatoi e servizi igienici.

 

Tuttavia restano in rete i video in cui persino le macchinette che distribuiscono bibite in Cina posso funzionare con riconoscimento facciale.

 

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Sorveglianza

Starmer annuncia l’obbligo di ID digitale con il pretesto di contrastare l’immigrazione illegale

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Il primo ministro britannico Keir Starmer sarebbe pronto a introdurre l’obbligo dell’identità digitale per tutti i cittadini adulti del Regno Unito, utilizzando l’immigrazione illegale come principale leva politica. Secondo il Tony Blair Institute for Global Change, il 62% dei britannici sarebbe favorevole a programmi di identità digitale, un dato che sta alimentando il dibattito pubblico e politico.   Come riportato da Renovatio 21, il controverso ex premier britannico Tony Blair (che si diceva, poteva prendere il posto di Klaus Schwab a Davos) è da anni al centro di iniziative per il controllo digitale della popolazione, dai passaporti vaccinali ai chip biometrici alla censura sui social.   Secondo quanto riportato dalla stampa britannica, entro venerdì il governo annuncerà un programma di identità digitale obbligatorio. Il Tony Blair Institute, nel suo recente rapporto «È ora dell’identità digitale: un nuovo consenso per uno Stato che funziona» (settembre 2025), sottolinea: «Un sistema di identificazione digitale moderno e ben progettato può ostacolare i fattori che determinano l’immigrazione illegale, rendendo più difficile lavorare o risiedere illegalmente nel Regno Unito».   Il rapporto, pubblicato mercoledì, utilizza la crescente frustrazione dell’opinione pubblica sull’immigrazione illegale come argomento chiave per promuovere l’adozione obbligatoria di identità digitali. Tuttavia, un’analisi del sondaggio commissionato dal Blair Institute e condotto da Yonder Consulting rivela che le domande poste non menzionano mai l’obbligatorietà del sistema.

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Il sondaggio chiede genericamente se i cittadini sosterrebbero «l’introduzione» di un sistema di identità digitale, senza specificare se questo debba essere obbligatorio. «Una ‘superapp’ di identificazione digitale dovrebbe diventare il progetto di punta del governo, un simbolo di cambiamento tangibile e dello Stato reinventato in azione», si legge nel rapporto.   Il Blair Institute sostiene che «l’identità digitale è il fondamento di un nuovo sistema che porta equità, controllo e comodità nelle interazioni quotidiane delle persone tra loro e con lo Stato». Tuttavia, i critici sottolineano che il sondaggio non affronta direttamente il tema dell’obbligatorietà, concentrandosi invece su questioni generiche come l’utilità di un’«app governativa» per servizi pubblici o la gestione delle buche stradali. Solo alla fine viene chiesto ai partecipanti se sosterrebbero un sistema di identità digitale, senza menzionare imposizioni.   «Una ricerca sull’opinione pubblica commissionata dal Tony Blair Institute, pubblicata per la prima volta in questo documento, mostra che l’ID digitale gode del sostegno della maggioranza tra il pubblico britannico, con il 62 percento a favore e solo il 19 percento contrario» scrive il rapporto. Tuttavia, il dato appare fuorviante, poiché l’obbligatorietà non è mai stata esplicitamente proposta agli intervistati.   Le preoccupazioni sull’identità digitale non si limitano al dibattito sull’immigrazione. Come ammesso blandamente in un un rapporto del World Economic Forum del 2018, «questa identità digitale determina a quali prodotti, servizi e informazioni possiamo accedere o, al contrario, cosa ci è precluso».   È ovvio, quindi, che tale sistema obbligatorio di identificazione potrebbe trasformarsi in uno strumento di controllo, limitando l’accesso a servizi, conti bancari o informazioni in base al rispetto di norme, leggi o narrazioni ufficiali.   L’immigrazione illegale sembra essere il «cavallo di Troia» per giustificare l’introduzione di un sistema di identità digitale obbligatorio, una strategia che alcuni analisti collegano al modello problema-reazione-soluzione. Creando un problema (l’immigrazione incontrollata), si genera una reazione pubblica che spinge verso la soluzione predefinita (l’identità digitale).   Da semplice strumento di comodità, l’ID digitale può trasformarsi rapidamente in uno strumento di tirannia. Questo è il destino di ogni emergenza postaci negli anni: il cambiamento climatico, le elezioni o gli obblighi sanitari sono tutti mirati a portare a restrizioni significative e controllo sempre più capillare, persino biologico, della popolazione umana.

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