Geopolitica
No alle Olimpiadi: Pyongyang ha più paura del COVID che dell’ira di Pechino
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Per il regime di Kim la lotta alla pandemia è la principale priorità. I diplomatici nordcoreani temono però ritorsioni politiche ed economiche da parte dei cinesi. Sulla decisione ha pesato anche il boicottaggio Usa, considerati dalla Corea del Nord l’unico partner negoziale per mettere fine all’isolamento internazionale.
Il regime di Kim Jong-Un ha più paura del COVID-19 che dell’ira cinese, per questo ha deciso di non partecipare alle Olimpiadi invernali di Pechino del prossimo mese. È quanto emerge da un’indagine di Daily NK.
Una fonte nordcoreana di alto livello ha rivelato alla pubblicazione legata al ministero sudcoreano per l’Unificazione che la decisione è stata molto contrastata. Kim l’avrebbe presa solo al recente plenum del Partito dei lavoratori, al potere in Corea del Nord dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Pyongyang aveva già selezionato gli atleti e lo staff da inviare ai Giochi. Dopo aver squalificato un primo momento la squadra nordcoreana per la mancata partecipazione alle Olimpiadi estive di Tokyo, il Comitato Olimpico Internazionale si era detto pronto a riammetterla alle gare.
Di fronte alla minaccia rappresentata dalla variante Omicron del coronavirus, e al fatto che gli atleti nordcoreani non sono vaccinati, il Comitato centrale ha spinto per il no alla competizione olimpica: la lotta al COVID è la priorità numero uno di Kim.
Per timore di possibili ritorsioni politiche ed economiche da parte della Cina, il ministero degli Esteri di Pyongyang avrebbe espresso invece la necessità di gareggiare o inviare almeno una delegazione ufficiale alla cerimonia d’apertura.
A causa delle sanzioni internazionali per contenere il programma nucleare e missilistico nordcoreano, il gigante cinese è l’unico vero partner di Pyongyang. Il 90% del commercio della Corea del Nord è con la Cina. Le nuove sanzioni di Washington, promesse dopo i test missilistici nordcoreani degli ultimi giorni, renderanno Pyongyang ancora più dipendente da Pechino.
Secondo la fonte interpellata da Daily NK, sulla scelta di Kim ha pesato anche il «boicottaggio diplomatico» degli Stati Uniti, che non invieranno una delegazione ufficiale ai Giochi.
Come per le Olimpiadi invernali del 2018 in Corea del Sud, Pyongyang intendeva sfruttare la kermesse pechinese per intrattenere scambi diplomatici di alto livello.
L’assenza USA, ritenuti l’unico vero partner negoziale per mettere fine all’isolamento internazionale, ha fatto venire meno tale intento.
La mancata partecipazione della Corea del Nord ai Giochi non è uno smacco solo per Pechino, ma anche per Moon Jae-in.
Il presidente sudcoreano voleva usare le Olimpiadi in Cina per far ripartire il processo di pace con Pyongyang, soprattutto per concordare una dichiarazione che formalizzi la fine della guerra del 1950-53.
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Geopolitica
Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela
Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.
L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.
«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.
Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».
Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.
Today, the Federal Bureau of Investigation, Homeland Security Investigations, and the United States Coast Guard, with support from the Department of War, executed a seizure warrant for a crude oil tanker used to transport sanctioned oil from Venezuela and Iran. For multiple… pic.twitter.com/dNr0oAGl5x
— Attorney General Pamela Bondi (@AGPamBondi) December 10, 2025
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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.
Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.
Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».
Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.
Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.
«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.
Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».
Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».
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Immagine screenshot da Twitter
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Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
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Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.
Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.
«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.
Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».
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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».
Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.
Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».
Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».
Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.
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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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