Cina
Mons. Viganò contro la soppressione di due diocesi in Cina
L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto sulla piattaforma social X un breve ma incisivo commento relativo alla chiusura di due diocesi nel territorio della Repubblica Popolare Cinese.
Secondo quanto comunicato da L’Osservatore Romano il 10 settembre, «nel desiderio di promuovere la cura pastorale del gregge del Signore e per attendere più efficacemente al suo bene spirituale, in data 8 luglio 2025, il Sommo Pontefice Leone XIV ha deciso di sopprimere, nella Cina Continentale, le Diocesi di Xuanhua e di Xiwanzi, che furono erette l’11 aprile 1946 da Papa Pio XII, e in pari tempo di erigere la nuova Diocesi di Zhangjiakou, suffraganea di Pechino, con sede episcopale nella chiesa cattedrale di Zhangjiakou».
«In questo modo, il territorio della Diocesi di Zhangjiakou è conforme a quello della Città Capoluogo di Zhangjiakou, con una superficie totale di 36.357 km² e una popolazione totale di 4.032.600 abitanti, di cui circa 85 mila cattolici, serviti da 89 sacerdoti» scrive il giornale della Santa Sede.
La reazione del già nunzio apostolico a Washington è stata durissima.
«L’eredità di Pio XII e della Chiesa Cattolica è calpestata in nome dell’eredità di Bergoglio e della chiesa conciliare-sinodale» scrive monsignore. «Un’altra pagina vergognosa della sistematica distruzione della Chiesa Cattolica da parte dei vertici della Gerarchia vaticana, per sostituirla con una entità globalista paramassonica».
L’eredità di Pio XII e della Chiesa Cattolica è calpestata in nome dell’eredità di Bergoglio e della chiesa conciliare-sinodale.
Un’altra pagina vergognosa della sistematica distruzione della Chiesa Cattolica da parte dei vertici della Gerarchia vaticana, per sostituirla con una… https://t.co/tVIgqsxMBH
— Arcivescovo Carlo Maria Viganò (@CarloMVigano) September 10, 2025
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«Un’altra capitolazione che umilia la Chiesa di Roma legittimando la chiesa scismatica patriottica (e comunista) cinese, abbandonando a se stessi i Cattolici fedeli alla Sede Apostolica e i Martiri vittime della dittatura» continua Sua Eccellenza. «Un’altra rottura con la “vecchia Chiesa” da parte della “chiesa conciliare-sinodale”».
Lo scorso maggio il prelato lombardo si era scagliato contro l’Accordo segreto sino-vaticano, che continua nonostante le violazioni patenti da parte di Pechino, che ordina in tranquillità i suoi «vescovi» patriottici senza il permesso di Roma, facendo quindi pensare ad un «asservimento della chiesa bergogliana a Pechino» e ad una terrificante «cinesizzazione del Cattolicesimo».
«Se il Papa e la Chiesa Cattolica non sono più considerati come agenti di forze ostili» dalla Cina, aveva scritto monsignore, «è perché entrambi hanno ceduto sui principi e si sono allineati alla Cina». Viganò procedeva a spiegare che potrebbe esservi dietro all’intero accordo la ricattabilità del personale ecclesiastico, a partire dal primo negoziatore, Teodoro McCarrick, figura cui Bergoglio tolse il titolo cardinalizio dopo lo scandalo immane dei traffici omosessuali imbastiti dal potente vescovo statunitense.
L’arcivescovo non mancava di ricordare che «questa vicenda coinvolge milioni di Cattolici cinesi perseguitati. La Chiesa del silenzio si confronta con il silenzio della Chiesa, con la complicità e nel tradimento di ecclesiastici cinici e corrotti ai quali interessa assecondare i progetti dell’élite globalista e della dittatura comunista di Pechino».
Come riportato da Renovatio 21, ancora quattro anni fa monsignor Viganò dichiarò che «la dittatura cinese è il paradigma di ciò che attende il mondo intero. Se non sapremo opporci». Con questa dittatura, presente e futura, il Vaticano sta cooperando, e su tutta la terra.
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Immagine di Shujianyang via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
Cina
La Casa Bianca annuncia l’incontro Trump-Xi
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Cina
La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico
La Cina ha accusato la National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti di aver condotto un «significativo» attacco informatico protrattosi per anni contro l’ente cinese incaricato di gestire l’orario nazionale ufficiale.
In un comunicato diffuso domenica sul suo account social ufficiale, il Ministero della Sicurezza dello Stato (MSS) ha dichiarato di aver acquisito «prove inconfutabili» dell’infiltrazione della NSA nel National Time Service Center. L’operazione segreta sarebbe iniziata nel marzo 2022, con l’obiettivo di sottrarre segreti di Stato e compiere atti di sabotaggio informatico.
Il centro rappresenta l’autorità ufficiale cinese per l’orario, fornendo e trasmettendo l’ora di Pechino a settori cruciali come finanza, energia, trasporti e difesa. Secondo l’MSS, un’interruzione di questa infrastruttura fondamentale avrebbe potuto provocare «instabilità diffusa» nei mercati finanziari, nella logistica e nell’approvvigionamento energetico.
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L’MSS ha riferito che la NSA avrebbe inizialmente sfruttato una vulnerabilità (exploit) nei telefoni cellulari di fabbricazione straniera utilizzati da alcuni membri del personale del centro, accedendo così a dati sensibili.
Nell’aprile 2023, l’agenzia avrebbe iniziato a utilizzare password rubate per penetrare nei sistemi informatici della struttura, un’operazione che avrebbe raggiunto il culmine tra agosto 2023 e giugno 2024.
Il ministero ha dichiarato che gli intrusi hanno impiegato 42 diversi strumenti informatici nella loro operazione segreta, utilizzando server privati virtuali con sede negli Stati Uniti, in Europa e in Asia per nascondere la loro provenienza.
L’MSS ha accusato gli Stati Uniti di «perseguire in modo aggressivo l’egemonia informatica» e di «violare ripetutamente le norme internazionali che regolano il cyberspazio».
Le agenzie di intelligence americane «hanno agito in modo sconsiderato, conducendo incessantemente attacchi informatici contro la Cina, il Sud-est asiatico, l’Europa e il Sud America», ha aggiunto il ministero.
Negli ultimi anni, Pechino e Washington si sono scambiate accuse reciproche di violazioni e operazioni di hacking segrete. Queste tensioni si inseriscono in un più ampio contesto di scontro tra le due potenze, che include anche una guerra commerciale.
All’inizio di gennaio, il Washington Post aveva riportato che, il mese precedente, hacker cinesi avrebbero preso di mira l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del dipartimento del Tesoro statunitense. All’epoca, Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, aveva definito tali accuse «infondate».
Come riportato, ad inizio anno le agenzie federali USA accusarono hacker del Dragone di aver colpito almeno 70 Paesi. Due anni fa era stata la Nuova Zelanda ad accusare hackerri di Pechino di aver penetrato il sistema informatico del Parlamento di Wellington.
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Le attività dell’hacking internazionale da parte di gruppi cinesi hanno negli ultimi anni raggiunto le cronache varie volte. A maggio 2021 si è saputo che la Cina ha spiato per anni i progetti di un jet militare USA, grazie a operazioni informatiche mirate.
Come riportato da Renovatio 21, a ottobre 2023 si è scoperto che hackers cinesi hanno rubato dati da un’azienda biotech americana, colpendo il settore della ricerca.
A febbraio 2022, allo scoppio del conflitto ucraino, Microsoft ha rilevato un malware «wiper» diretto a Kiev, con sospetti di coinvolgimento cinese.
Come riportato da Renovatio 21, a gennaio 2023 un attacco cibernetico cinese ha colpito università sudcoreane. Due anni fa vi fu inoltre un attacco cibernetico a Guam, isola del Pacifico che ospita una grande base USA. Analisti dissero che poteva essere un test per il vero obbiettivo, cioè lo scontro con Taiwan.
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Cina
La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale
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