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Mons. Strickland contro l’assedio sinodale all’interno della Chiesa. «Quando i lupi indossano paramenti…»

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Renovatio 21 pubblica questo messaggio di monsignor Giuseppe Edoardo Strickland, vescovo emerito della diocesi di Tyler, Texas, apparso su LifeSiteNews.

 

 

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

 

Ci sono momenti nella storia della Chiesa in cui le pecore devono guardare in alto, non a causa delle tempeste del mondo, ma perché i pastori stessi sono rimasti in silenzio… o peggio, si sono uniti ai lupi.

 

San Paolo una volta ammonì la Chiesa di Efeso con acuta chiarezza:

 

«So infatti che, dopo la mia partenza, entreranno tra voi de’ lupi rapaci; i quali non risparmieranno il gregge» (At 20,29).

 

E quei lupi sono arrivati. Indossano paramenti sacri. Parlano di misericordia, ma deridono la verità. Predicano l’inclusione, ma escludono la fedeltà al Deposito della Fede. Benedicono ciò che Dio ha chiamato peccato.

 

Stiamo vivendo un assedio, non dall’esterno, ma dall’interno. Questa è l’ora del tradimento, non dissimile dal giardino del Getsemani. Ma questa volta i traditori indossano mitre e portano pastorali.

 

La Croce è ancora qui. L’Eucaristia è ancora qui. Ma siamo circondati da mercenari che abbandonano le pecore – o peggio ancora, le conducono tra le spine.

 

Voglio essere chiaro. Questa crisi non è semplicemente confusione: è una rivoluzione calcolata. Una rivoluzione contro la dottrina. Contro l’ordine. Contro la natura stessa della Chiesa, istituita divinamente da Cristo.

 

E quindi oggi voglio accompagnarvi in ​​un viaggio in tre parti attraverso questa realtà.

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Parte I: I lupi dentro le mura

M. Scott Peck iniziò il suo famoso libro, «La strada meno battuta», con tre parole: «la vita è difficile». Ma anche questa semplice verità è ora rifiutata, non solo dal mondo, ma anche all’interno della Chiesa. Ci viene detto che la Croce è facoltativa. Che la santità è opprimente. Che la dottrina divide, mentre il dialogo unisce.

 

Ma Cristo non ha offerto il dialogo. Ha offerto le Sue ferite. Non ha costruito un centro comunitario: ha fondato una Chiesa come un «edifizio eretto sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendone pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2, 20).

 

E disse chiaramente: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24).

 

Dove sono ora quelle parole?

 

Invece, ascoltiamo sermoni sugli ecosistemi e sulla fratellanza umana. Ci vengono dati slogan sinodali, ma nessun invito al pentimento. Ci vengono consegnati documenti, non dottrine – consultazioni, non comandamenti.

 

Il beato Papa Pio XII ammonì:

 

«Il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato» (Radiomessaggio al Congresso Catechistico Nazionale degli Stati Uniti a Boston, 26 ottobre 1946).

 

E ora, il peccato non viene più nemmeno menzionato. È rinominato. È «accompagnato». È «pastoralmente benedetto». Ma mai denunciato.

 

Padre James Martin continua a benedire le unioni omosessuali. Il cardinale McElroy minimizza il peccato sessuale in nome dell’«inclusione radicale».

 

La Messa latina tradizionale – la Messa dei santi – viene soppressa. E lo stesso Deposito della Fede viene trattato come un pezzo da museo da rimodellare.

 

Ma come ha affermato Papa Benedetto XVI: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande» (Lettera ai Vescovi, 7 luglio 2007).

 

E papa san Pio V proclamò solennemente: «La presente Costituzione non potrà mai essere revocata o modificata, ma rimarrà per sempre valida e avrà forza di legge» (Quo Primum, 14 luglio 1570).

 

Ci crediamo? O seguiamo la «nuova via» promossa dal cosiddetto Sinodo sulla Sinodalità?

 

Il profeta Isaia vide questo giorno e gridò: «Guai a voi che dite male il bene e bene il male, che fate tenebre la luce e luce le tenebre» (Is 5,20).

 

E Papa San Pio X ammoniva: «i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma (…) si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista» (Papa San Pio X, Pascendi Dominici Gregis, 8 settembre 1907).

 

Stiamo vivendo quella profezia.

 

 

Il Sinodo sulla sinodalità è diventato una cortina fumogena per la trasformazione ecclesiale. Non rinnovamento, ma reinvenzione. Non Pentecoste, ma Babele.

 

Ci viene detto di «ascoltare il Popolo di Dio». Ma non quando queste persone si inginocchiano per la Messa in latino. Non quando invocano riverenza, penitenza o purezza. No, allora quelle voci vengono liquidate come troppo rigide, troppo tradizionali.

 

Ma la voce di Cristo continua a parlare: attraverso la Scrittura, la Sacra Tradizione e il Magistero della Chiesa correttamente tramandato.

 

«Non illudetevi: Dio non si lascia deridere» (Gal 6, 7).

 

Cari amici, si conclude così la prima tappa del nostro viaggio. Abbiamo dato un nome alle ferite.

 

Nella seconda parte, esamineremo il meccanismo della rivoluzione; la struttura sinodale stessa: il suo linguaggio, i suoi obiettivi e i suoi gravi pericoli. Dobbiamo sapere come si muove il nemico se vogliamo proteggere il gregge.

 

Eppure non dobbiamo disperare. Perché quando i lupi incombono, il Pastore rimane. Mentre i mercenari fuggono, i santi sorgono. Mentre gli altari vengono derisi, la Lampada del Santuario arde ancora perché il Tabernacolo non è vuoto.

 

Tenetevi forte.

 

«Nel mondo avrete tribolazioni; ma confidate; io ho vinto il mondo!» (Gv 16, 33).

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Parte II: L’assedio sinodale

Entriamo ora nella seconda fase di questo avviso:

 

I lupi hanno un nome. Anche le loro tattiche hanno un nome: sinodalità.

 

Non la sinodalità come la Chiesa l’ha sempre intesa – consultazione collegiale sotto l’autorità del Papa – ma una ridefinizione. Un «nuovo modo di essere Chiesa», come lo chiamano ora.

 

Ma sia chiaro: ciò che viene proposto sotto la bandiera della sinodalità non è altro che la decostruzione della Chiesa gerarchica, sacramentale e apostolica e l’ascesa di qualcosa di nuovo, indefinito e pericoloso.

 

Secondo la presentazione ufficiale del Vaticano, il Sinodo sulla sinodalità è descritto come un «processo di ascolto e discernimento». Ma ciò che ascolta sono i sentimenti, e ciò che discerne è il compromesso.

 

Invece di proclamare il Vangelo, questo Sinodo cerca di rifare il Vangelo a immagine dell’uomo decaduto.

 

I documenti preparatori del Sinodo parlano di «inclusione» e di «camminare insieme». Ma verso cosa?

 

  • Verso l’accettazione delle relazioni omosessuali
  • Verso le benedizioni per i divorziati risposati
  • Verso l’inversione del sacerdozio maschile attraverso una spinta verso il diaconato femminile
  • Verso la soppressione della Messa latina tradizionale, nell’illusione che sia una minaccia all’unità

 

Questa non è sensibilità pastorale. Questa è sovversione spirituale. Come ha ammonito il cardinale Raymond Burke: «L’idea che la dottrina della Chiesa debba conformarsi alle voci dei fedeli è un grave errore» (Intervista al cardinale Raymond Burke, The Wanderer, luglio 2023).

 

La Chiesa non è una democrazia. È una monarchia, con Cristo come Re.

 

«Un nuovo modo di essere Chiesa»: questa frase ricorre ripetutamente nei documenti del Sinodo. Ma un nuovo modo implica che il vecchio sia rotto. Questo è falso. La Chiesa fondata da Cristo non è rotta. I suoi traditori sono rotti. I suoi lupi sono ciechi.

 

Papa Leone XIII ci ha ricordato: «Niente vi può essere di più pericoloso di questi eretici, i quali, mentre percorrono il tutto (della dottrina) senza errori, con una sola parola, come con una stilla di veleno, infettano la pura e schietta fede della divina e dell’apostolica tradizione» (Papa Leone XIII, Satis Cognitum, 29 giugno 1896).

 

E i rivoluzionari sinodali di oggi incarnano perfettamente questo monito. Nel documento di lavoro del Sinodo, al paragrafo 60, si legge: «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto… pronta a lasciarsi interrogare dai discorsi del nostro tempo» (Instrumentum Laboris per il Sinodo sulla sinodalità, 2023).

 

Ma il Vangelo non è messo in discussione dal mondo. È lui che interroga il mondo.

 

 

I santi non ascoltavano i tempi, ma li incitavano a gran voce. Santa Caterina da Siena, la grande riformatrice del papato, scrisse una volta: «Proclamate la verità e non tacete per paura» (Lettera a Papa Gregorio XI, 1376).

 

E ora restiamo in silenzio, in nome del dialogo.

 

Il cammino sinodale è lastricato del linguaggio dell’inclusione, ma conduce all’esclusione: esclusione della Tradizione, del sacrificio, della verità oggettiva.

 

I suoi artefici invocano il «discernimento spirituale», ma rifiutano ogni assoluto morale insegnato da Cristo. I suoi apologeti invocano «unità», ma dividono il gregge alienando i fedeli cattolici.

 

  • Le autorità della Chiesa ci dicono:
  • Che la Chiesa deve ascoltare il popolo più che annunciare
  • Questa dottrina deve svilupparsi assorbendo la voce della cultura
  • Che la liturgia debba evolversi per adattarsi alle espressioni ecologiche e indigene
  • Questo non è cattolicesimo. È relativismo clericalizzato.

 

E gli Apostoli stessi ci danno l’antidoto: «Bisogna ubbidire a Dio più che agli uomini» (At 5,29).

 

«Gesù Cristo è il medesimo ieri e oggi, ed è anche per i secoli. Non lasciatevi trascinare da dottrine diverse e forestiere» (Eb 13, 8-9).

 

Strane dottrine provengono ora da strane labbra – in collari romani.

 

 

Mentre il Sinodo procede, calpesta ciò che ha nutrito i santi:

  • La Messa dei Secoli è etichettata come divisiva
  • L’insegnamento chiaro sul peccato sessuale è definito spietato
  • Il sacerdozio di Cristo si riduce a burocrazia
  • E il Rosario e l’Adorazione Eucaristica sono appena menzionati
  • Questo non è un rinnovamento. È una demolizione controllata.

 

Ma il Signore non si lascia beffare. Egli vede. Egli attende. E purificherà il Suo Tempio.

 

Sant’Atanasio una volta dichiarò durante l’eresia ariana: «loro hanno gli edifici, ma noi abbiamo la fede» (Sant’Atanasio, Lettera al suo gregge durante la crisi ariana).

 

E oggi, nonostante i lupi sinodali occupino le aule di Roma, la Fede rimane ovunque Cristo sia adorato, ovunque la Beata Vergine Maria sia onorata, ovunque il Catechismo sia insegnato con chiarezza e coraggio.

 

E la nostra missione rimane la stessa:

 

Stare in piedi.

 

Per parlare.

 

Per restare fedeli.

 

Perché, come scrisse San Paolo a Timoteo: «atti araldo della parola divina, insisti a tempo opportuno e anche non opportuno, confuta, sgrida, esorta, con grande pazienza e voglia d’insegnare. Poiché vi sarà un tempo che non sopporteranno la sana dottrina» (2 Tm 4,2-3).

 

Quel momento è adesso.

 

Nella terza parte, passeremo dagli avvertimenti alle armi. Armi spirituali. Illustreremo come i fedeli possano resistere a questa rivoluzione – non con l’amarezza, ma con il Santo Rosario, la riparazione eucaristica, gli atti di fedeltà e il coraggio dei santi.

 

Non siamo orfani.

 

Siamo soldati di Cristo.

 

E le porte dell’inferno non prevarranno.

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Parte III: Le armi dei fedeli

Abbiamo chiamato i lupi. Abbiamo smascherato l’assedio sinodale. Ora dobbiamo combattere – non con rabbia, non con ribellione, ma con verità, sacrificio e amore radicato in Cristo.

 

Questa è l’ora della battaglia. Non contro gli uomini, ma contro l’oscurità – dentro di noi, dentro la nostra Chiesa, dentro questa mascherata sinodale che ammanta l’eresia con le vesti della misericordia.

 

È tempo di impugnare le armi dei fedeli. Armi spirituali che i santi hanno brandito, i martiri hanno abbracciato e che la Madonna ha posto nelle nostre mani.

 

1. Il Santo Rosario

Quando la Madonna apparve a Fatima nel 1917, diede un comando chiaro: «Pregate il Rosario ogni giorno, per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra».

 

Suor Lucia di Fatima disse in seguito: «Non c’è problema, vi dico, per quanto difficile sia… che non possa essere risolto dalla preghiera del Santo Rosario».

 

Questa non è una devozione da poco. Questa è una fionda nelle mani dei nuovi Davide.

 

Mentre i lupi si radunano alle porte e i documenti sinodali si riversano come inchiostro avvelenato in tutto il mondo, noi rispondiamo con il rosario in mano, con le Ave Maria sussurrate da vecchi e giovani, in latino e in inglese, nelle case e sui campi di battaglia.

 

2. La Santa Eucaristia

Questa è l’ora della riparazione eucaristica. Dobbiamo piangere presso il tabernacolo. Dobbiamo inginocchiarci dove tanti ora camminano con noncuranza. Dobbiamo offrirgli amore dove è più ferito.

 

San Padre Pio disse: «sarebbe più facile per il mondo sopravvivere senza il sole che senza il Santo Sacrificio della Messa».

 

E tuttavia cosa ha fatto il Sinodo?

 

  • Soppressione della messa latina
  • Adorazione eucaristica emarginata
  • Sostituzione dello stupore con l’applauso

 

Dobbiamo quindi rivolgerci a Lui – frequentemente, con riverenza e con la riparazione nel cuore. Ogni Ora Santa è un colpo alla rivoluzione sinodale. Ogni sussurrato “Mio Signore e mio Dio” è uno scudo per la Chiesa.

 

«Gustate e vedete com’è soave il Signore: beato l’uomo che spera [e si rifugia] in lui» (Sal 33, 9).

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3. Digiuno e penitenza

I demoni che affrontiamo non sono solo ideologici. Sono infernali. E Nostro Signore ci ha detto chiaramente: «Cotesta specie di demoni non può essere altrimenti scacciata se non per mezzo della preghiera e del digiuno» (Mc 9,28).

 

I lupi si nutrono di lusso, di conferenze, di applausi. Digiuniamo – per la gloria di Cristo e la purificazione della Sua Chiesa.

 

Imita Ninive. Imita San Francesco. Imita la Madonna Addolorata.

 

Facciamo dei Venerdì di riparazione una norma nella nostra vita. Usiamo i Primi Sabati, frequentiamo le visite al Santissimo Sacramento e offriamo sacrifici che nessuno vede.

 

Nostro Signore vede.

 

E il Cuore Immacolato di Maria attende la nostra risposta.

 

4. Discorso chiaro

Non dobbiamo restare in silenzio. Non ora.

 

San Tommaso d’Aquino insegna: «È meglio essere gettati nel mare con una macina da mulino al collo, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli» (cfr Summa Theologiae; basato su Lc 17,2).

 

Stiamo assistendo a missioni scandalizzate da pastori in vesti sinodali: confusi, manipolati, ingannati.

 

Quindi dobbiamo parlare chiaramente:

 

  • Le benedizioni tra persone dello stesso sesso sono una bestemmia.
  • Maschio e femmina li creò.
  • La messa in latino non è una minaccia: è un tesoro.
  • La misericordia senza pentimento è una menzogna.

 

Papa San Pio X tuonava: «i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti» (Notre Charge Apostolique, 25 agosto 1970).

 

Se ci chiamano rigidi, così sia. La verità è rigida. E la spina dorsale dei santi era tenuta rigida dalla grazia di Dio.

 

Ci chiamino pure farisei, fondamentalisti, reliquie di un’epoca passata. Siamo reliquie, perché siamo eredi. Non siamo pezzi da museo: siamo i custodi del tesoro.

 

5. Comunità fedeli

Questa battaglia non si vincerà da soli. Dobbiamo formare comunità forti: famiglie, parrocchie, apostolati, scuole cattoliche e fattorie.

 

Si facciano processioni eucaristiche per le strade.

 

Che in ogni casa ci siano altari mariani.

 

I genitori cattolici devono essere prima di tutto cattolici e non mondani.

 

Lasciamo che i nostri figli siano catechizzati dai santi, non dagli schermi.

 

San Giovanni Bosco diceva: «solo due cose possono salvarci in questa crisi presente: la devozione a Maria e la Comunione frequente» (San Giovanni Bosco, Lettere ai giovani).

 

Mio amato gregge, non siamo nati per la comodità. Siamo nati per combattere. I lupi indossano paramenti sacri. Il sinodo parla con eresia mielata. Ma Cristo regna ancora.

 

Il suo Sacro Cuore batte ancora.

 

Il Cuore Immacolato trionfa ancora.

 

E la verità è sempre vera: immutata e immutabile.

 

«Gesù Cristo è il medesimo ieri e oggi, ed è anche per i secoli» (Eb 13,8).

 

In sintesi, con la voce di un pastore, vi dico questo:

 

NON LASCIARE LA CHIESA.

 

Non scappare dalla battaglia.

 

Mettiti sulla breccia.

 

Inginocchiarsi in adorazione.

 

Prega con le lacrime.

 

Parla senza paura.

 

E combatti con amore.

 

I lupi esistono davvero.

 

Ma l’Agnello è sul trono.

 

E le porte dell’inferno non prevarranno.

 

Rimani fedele.

 

Restate vigili.

 

E rimanete nel Cuore di Cristo.

 

Che Dio Onnipotente vi benedica, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

 

+ Joseph E. Strickland
Vescovo emerito di Tyler, Texas

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Pensiero

Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale

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Ho un argomento molto metafisico, e al contempo concretissimo, per combattere l’abominio dell’ora legale. Un argomento che sono persino in grado di visualizzare.   Ci sono, certo i numeri: ci dicono che risparmieremo 300 gigawattora. Quando stanotte mi sono svegliato ad un’orario innaturale, nella confusione inevitabile di non sapere se è troppo presto o troppo tardi, ho ripensato ad un altro dato: quante persone, in questi giorni, moriranno negli incidenti stradali dovuti ai colpi di sonno? Non credo che nessuno abbia mai fatto questo calcolo, che sarebbe più importante che qualsiasi discorso sparagnino.   Ma a chi importa? L’ora legale, teorizzata da Beniamino Franklin che, democraticamente, voleva piazzare un cannone in ogni via per svegliare la popolazione all’ora che diceva lui per risparmiare in candele, in Italia fu adottata nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale: i nostri ragazzi andavano verso l’inutile strage, il potere pensava a cambiargli l’orologio. Non sono in grado di calcolare l’effetto che l’ora legale può aver avuto sulle trincee, e non ho voglia nemmeno di chiedermelo.   Tuttavia non è questo pensiero di morte – diligente e terminale conseguenza dell’azione dello Stato moderno, che è macchina antiumana – che mi spinge a vedere nell’ora legale un’aberrazione satanica.

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Ho, negli occhi, e nel cuore, un’immagine invincibile, quella della chiesetta dove assisto alla Santa Messa, ovviamente in rito tridentino. Molti lettori già la conoscono, perché ho usato la sua foto in vari articoli.   Andò più o meno così: oramai sette anni fa, trovammo questa chiesetta – dell’estrema nobiltà della proprietà che ce la concesse parlerò altrove. Si tratta di un oratorio che risale al XII secolo, ma notizie certe in merito non si hanno, e mi piace pensare che vi sia davvero un millennio di storia lì.   La chiesa sta fuori dalla città, sopra un borghetto che sa ancora di medioevo, su una collina di boschi e pareti di roccia. L’oratorio stesso sembra posato su un’enorme roccia, anzi sembra esservi stato scolpito, sottratto una scalpellata dopo l’altra da quantità di mani laboriose e fedeli vissute in secoli dimenticati.   Arrivati al nostro secolo, arrivati a noi, c’era pronto tutto quello che serviva: il luogo era stato restaurato, nessuno vi aveva introdotto il tavolone-alare conciliare, a poca distanza c’era tanto parcheggio… per i tanti che, non solo dalla provincia, finalmente potevano avere a portata la Messa in latino.   Iniziarono così le celebrazioni del rito antico, tuttavia ottenemmo dai sacerdoti, impegnati a dire Messe in tanta parte della regione ed oltre, un orario pre-serale, alle 18.   D’inverno, a quell’ora è il buio. Nella scala di pietra mettevamo delle candeline, e lo facciamo ancora oggi in caso di celebrazione notturna. L’effetto è abbastanza magico, tuttavia nulla ha a che fare con quanto avremmo scoperto più avanti.  

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Anni dopo, a fronte di una comunità di fedeli sempre più vasta e persistente (unita davvero, come dimostrò la solidarietà in pandemia…) aumentarono il numero di Sante Messe, e fu concessa quindi una celebrazione la domenica mattina, alle 11:00.   Saltò così fuori il fenomeno che ancora mi stupisce, mi commuove. Ci accorgemmo che, precisamente a mezzogiorno – ora nella quale si ha, con la messa iniziata alle 11, la consacrazione eucaristica, un raggio di luce entra dalla finestra a lato e colpisce esattamente il centro dell’altare, dove è posato il tabernacolo.   L’incenso aiuta a vederlo, tuttavia a volte può capitare di notarlo anche in assenza di fumo. È impressionante. Tendo a sospettare di quanti vedono questa cosa e non restano sbalorditi. Le immagini che vedete qui sotto non sono ritoccate in nessun modo. Anzi, ad occhio nudo l’effetto è ancora più forte.    

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È interessante notare che lo abbiamo riscoperto noi a Messa, ma da qualche parte l’eco di questo miracolo luminoso risuonava ancora. Una signora della Pro Loco, che ha stampato un libro sulla chiesetta, mi aveva domandato se mai fosse vera una leggenda locale secondo cui nel giorno del Santo patrono dell’oratorio un raggio di luce colpisce l’altare. Ho risposto invitandola a Messa la domenica successiva, dove ha fatto tante foto con il telefonino, e compreso che la leggenda conteneva una realtà ancora più stupefacente: quel raggio si produce ogni giorno.   Il fenomeno impone tanti pensieri. Il primo, è che le mani che hanno eretto questa chiesa sapevano fare cose che i moderno non sono in grado di fare. Di più: chi l’ha costruita, l’ha basata su principi che sono sconosciuti all’architettura moderna. Per fare una chiesa, bisogna orientarla, cioè l’abside deve dare ad orientem (come il sacerdote prima del Concilio), ma non solo.   Ho l’idea che chi ha costruito la chiesetta lo abbia fatto proprio a partire da quel raggio, alla faccia di quanti ne osservino gli elementi (scala esterna, portone, altare) e li considerino disallineati. Ossia, l’intera chiesa è concepita a partire dal rapporto del Vielo con la Terra, cioè di Dio con l’uomo – questo è un senso ultimo della religione cristiana, quella della divinità che si fa essere umano, del Dio del Cielo che scende sulla Terra, del Cielo che nutre la Terra con la sua luce, il suo calore la sua grazia, .  

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Quel raggio, che casca durante la Santa Messa esattamente nel momento più alto,  significa in maniera incontrovertibile l’armonia tra il Cielo e la Terra. L’accordo, nella bellezza, accordato all’uomo da un Dio buono, un Dio che è luce, che è amore.   Questo è l’ordine celeste, infinito, stupendo. Questo è il logos. Questo è il cosmos.   Non ci sono voluti tanti mesi per capire che, a parte il cattivo tempo, c’era solo una cosa in grado di distruggere il nostro raggio divino: l’ora legale. Come a marzo si cambia l’ora, quella luce svanisce, si fa più tenue, fino a sparire, facendo capolino, forse, solo dopo la Messa, quando qualcuno si attarda ad una confessione fuori tempo ed altri (io) rassettano prima di chiudere.   Di fatto, poi, il fascio luminoso scompare del tutto, dalla vista come dai cuori. Fine della magia, per ordine dello Stato moderno.  

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Ho sempre preso questo fatto come la prova definitiva della nequizia dell’ora legale – del suo essere un invento contronatura, e quindi contro Dio.   Solo il mondo moderno poteva pensare di alterare persino il tempo: l’uomo si sente in grado di modificare l’immutabile, l’uomo introduce il suo artificio in un sistema la cui complessità ha milioni di anni. Non è diverso per tante altre questioni: ad esempio, i vaccini, la fecondazione in vitro, la bioingegneria…   L’uomo-dio crede di poter mettere mano su qualsiasi cosa, devastando le leggi stesse della creazione, disintegrando quindi l’equilibrio del Cielo e della Terra – una realtà conosciuta dalla saggezza cinese: «l’uomo si conforma alla Terra / La Terra si conforma al Cielo / il Cielo si conforma al Tao» ( Tao Te King, XXV). Era chiaro, agli antichi cinesi, che il Cielo è legato alla morale: «Sotto il cielo tutti /  sanno che il bello è bello, / di qui il brutto, sanno che il bene è bene, / di qui il male» ( Tao Te King, II).   Ora, nel Cristianesimo l’armonia tra la Terra e il Cielo è in realtà una vera alleanze tra persone, cioè tra gli uomini e Dio – e questa nuova alleanza è il Cristo risorto.   Alterare il tempo significa frantumare la relazione naturale con il Cielo. Adulterare la luce del sole significa quindi andare contro il divino, contro la legge naturale, contro Dio.   Non poteva essere altrimenti: il mondo moderno odia, più ancora dell’uomo, Nostro Signore, che vuole sostituire con l’essere umano ubriacato di hybris satanica, l’umanità onnipotente che, apoteosi del non serviam, si crede capace di cambiare le leggi del cosmo.   Ecco perché combatto l’ora legale: perché,  ve ne rendiate conto o no, fa parte della macchina in atto per distruggere la presenza di Dio sulla Terra.   E quel raggio magnifico me lo ha ricordato anche domenica scorsa: sì, tornata l’ora del Sole, l’ora vera, è tornato. E con lui è venuta ancora da noi questa immagine potente di reincanto del mondo, di bellezza divina, di armonia cosmica, questa visione sacra che vale più di qualsiasi risparmio.   Vale tutto. Vale il senso vero dell’esistenza e dell’universo.   Roberto Dal Bosco

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Cristo Re, il cosmo divino contro il caos infernale. Omelia di Mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Cristo Re dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

 

 

 

Israël es tu Rex

Omelia nella festa di Cristo Re

 

 

 

Israël es tu Rex,
davidis et inclyta proles;
nomine qui in Domini,
Rex benedicte, venis.

D’Israele Tu sei il Re,
di David la nobile prole;
Tu che vieni, Re benedetto,
nel Nome del Signore.

Teodolfo di Orléans,
Inno Gloria laus et honor.

 

Gloria, laus et honor tibi sit, Rex Christe Redemptor. Al canto di questo inno antichissimo, intonato nella Domenica delle Palme dinanzi alle porte serrate della chiesa, la processione del clero e dei fedeli entra solennemente nella nuova Gerusalemme, spalancandone i robusti battenti con il triplice colpo della Croce astile.

 

La suggestiva cerimonia della seconda Domenica di Passione rievoca l’ingresso trionfale di Nostro Signore nella Città santa, di cui era figura l’ingresso di Salomone (1Re 1, 32-40). Essa ha dunque un’indole eminentemente regale, perché con questa presa di possesso del Tempio, Egli è riconosciuto e osannato come Dio, come Messia e come Re dei Giudei: il Cristo, Χριστός, l’Unto del Signore. La Sua divina Regalità era già stata testimoniata e onorata dai Magi, nella grotta di Betlemme: con l’oro al Re dei Re, l’incenso al Dio Vivo e Vero, la mirra al Sacerdote e Vittima.

 

Poco meno di cent’anni fa, l’11 Dicembre 1925, il grande Pontefice lombardo Pio XI promulgò l’immortale Enciclica Quas primas, nella quale è definita la dottrina della universale Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo: Egli è Re in quanto Dio, in quanto discendente della stirpe regale della tribù di Davide e per diritto di conquista mediante la Redenzione.

 

L’istituzione di questa festa non ha in verità introdotto nulla di nuovo. Essa è stata voluta da Pio XI per contrastare e combattere la peste del liberalismo laicista, il massonico Libera Chiesa in libero Stato e la folle presunzione di estromettere Gesù Cristo dalla società civile. Pio XI non fu il solo a ribadire solennemente la dottrina cattolica: prima di lui Clemente XII, Benedetto XIV, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XIV, Pio IX, Leone XIII e San Pio X avevano severamente condannato le logge segrete, la carboneria, la Massoneria e tutti gli errori che i nemici di Cristo avevano sparso e alimentato nel corso degli ultimi due secoli.

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Dopo la grande frattura del Protestantesimo nel Cinquecento, i tre secoli successivi hanno visto affrontarsi in una serie di terribili battaglie la Chiesa Cattolica e l’Antichiesa, cioè la Massoneria: da una parte, il Principe della Pace e le Sue schiere angeliche e terrene; dall’altra, la scelesta turba, la folla sciagurata, aizzata dai mercanti asserviti a Lucifero.

 

Il mito del «popolo sovrano» ha sepolto sotto le rovine della Rivoluzione secoli di civiltà cristiana, mostrando sino a quali aberrazioni l’uomo potesse giungere. I Martiri di questi secoli di violenze inaudite e di eccidi ancora impuniti ci guardano dai loro scranni in cielo, chiedendo giustizia per il sangue che essi hanno versato, e con il loro silenzio – quasi di notte oscura per la Chiesa, alla vigilia della sua passione – essi osservano increduli i papi di questi ultimi decenni deporre le armi spirituali e cooperare con i nemici di Cristo.

 

Da quegli scranni ci guardano anche i Pontefici guerrieri che – anche a costo della propria vita, come Pio VI, imprigionato da Napoleone e morto di stenti in carcere – seppero affrontare a testa alta i più feroci attacchi contro Dio, contro il Papato, contro la Gerarchia Cattolica, contro i fedeli. Se la Storia non fosse stata falsificata dai momentanei vincitori di questa guerra – come avviene ancora oggi – nelle scuole i nostri figli studierebbero non la presa della Bastiglia, non le menzogne dell’epopea del Risorgimento, non le gesta di mercenari cospiratori o di ministri corrotti, ma le fasi del genocidio contro i Cattolici delle Nazioni un tempo cristiane.

 

Quando venne istituita la festa di Cristo Re, la Chiesa Cattolica non poteva più avvalersi della cooperazione dei Sovrani cattolici, che nelle leggi civili e penali avevano fatto osservare i principi del Vangelo e della Legge naturale. La prima autorità dell’ancien régime a cadere fu infatti la Monarchia di diritto divino, che attinge alla Regalità di Cristo la potestà vicaria nelle cose temporali.

 

La seconda autorità cadde pochi decenni dopo, e fu quella dei pontefici asserviti alla Rivoluzione. Con la deposizione della tiara papale, Paolo VI suggellò l’abdicazione della potestà di Cristo nelle cose spirituali e la resa alle ideologie anticristiche e anticattoliche della Sinagoga di Satana. «Anche noi, più di ogni altro abbiamo il culto dell’uomo», disse Montini alla chiusura del Vaticano II (1). E sotto le volte della Basilica Vaticana echeggiarono queste parole: «La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità», parole che solo pochi anni prima avrebbero scandalizzato qualsiasi Cattolico.

 

Paolo VI – e con lui il predecessore Giovanni XXIII – furono gli iniziatori del processo di liquidazione della Chiesa di Cristo e su di essi incombe la responsabilità di aver disarmato la Cittadella e averne spalancate le porte per meglio farvi entrare il nemico, salvo poi ipocritamente denunciare che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (2). E nulla si salvò da quell’operazione di disarmo: né la dottrina, né la morale, né la liturgia, né la disciplina.

 

Così venne sfigurata anche la festa di Cristo Re, la cui data fu spostata alla fine dell’anno liturgico, assumendo una valenza escatologica: Cristo Re del mondo a venire, non delle società terrene. Perché la Signoria del Verbo Incarnato non doveva rappresentare un ostacolo al dialogo con «l’uomo contemporaneo» e con l’idolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

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I fautori di questo smantellamento suicida ebbero a rallegrarsi che finalmente si fosse posto fine al trionfalismo postridentino di una Chiesa che voleva convertire il mondo a Cristo, e non adattare la divina Rivelazione all’antievangelo dell’Antichiesa; di una Chiesa che onorava il proprio Signore come Re universale e a Lui voleva condurre tutte le anime, perché nel regnum Christi esse potessero vivere nella pax Christi.

 

Scelesta turba clamitat: regnare Christum nolumus (3) – cantiamo nel magnifico inno della festa odierna – La folla scellerata schiamazza: Non vogliamo che Cristo regni! Questa bestemmia è il grido di battaglia delle orde di Lucifero, dei figli delle tenebre; lo stesso grido che risuonò quando lo spirito ribelle e orgoglioso di Satana vomitò il suo Non serviam. Un grido che sovverte il κόσμος divino, fondato in Nostro Signore Gesù Cristo, nel Dio incarnato per obbedienza all’Eterno Padre, e per obbedienza morto sulla Croce propter nos homines et propter nostram salutem.

 

Alla fine dei tempi, ormai prossima, l’Anticristo contenderà a Cristo proprio la Sua universale Signoria, cercando di sedurre i popoli con prodigi e falsi miracoli, addirittura simulando la propria resurrezione. Affascinante, seducente, simulatore, orgoglioso, pieno di sé, l’Anticristo combatterà la Santa Chiesa senza esclusione di colpi, ne perseguiterà i Ministri e i fedeli, ne adultererà la dottrina, ne corromperà i chierici facendone dei propri servi.

 

Quello che vediamo accadere nella sfera civile e religiosa da almeno da due secoli, in un continuo crescendo, è la preparazione di questo piano infernale, volto a spodestare Nostro Signore, a rifiutarLo come Dio, come Re e come Sommo Sacerdote, a calpestare empiamente l’Incarnazione e l’opera della Redenzione.

 

Con la festa di Cristo Re noi cooperiamo al ripristino dell’ordine, del κόσμος divino contro il χαός infernale. Restituiamo a Cristo la corona che già Gli appartiene, lo scettro che Gli ha strappato la Rivoluzione. Non perché stia a noi rendere possibile la restaurazione dell’ordine, di cui sarà artefice unico Nostro Signore, ma perché non è possibile prendere parte a questa restaurazione senza che noi vi contribuiamo.

 

Ai tempi della prima Venuta del Salvatore, il regno di Israele e il tempio non avevano né un Re legittimo, né legittimi Sommi Sacerdoti: l’autorità civile e religiosa era ricoperta da personaggi di nomina imperiale. Nella seconda Venuta alla fine del mondo questa vacanza dell’autorità sarà ancora più evidente, perché Nostro Signore ricomporrà in Sé tutte le cose – Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10) – in un momento storico in cui sarà il Male a dominare in tutti gli ambiti della vita quotidiana, in tutte le istituzioni, in tutte le società.

 

E sarà una vittoria trionfale, schiacciante, totale, inesorabile, su tutte le menzogne e i crimini dell’Anticristo e della Sinagoga di Satana.

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Facciamo nostra la preghiera dell’inno Te sæculorum Principem:

 

O Christe, Princeps Pacifer,
Mentes rebelles subjice:
Tuoque amore devios,
Ovile in unum congrega.

 

O Cristo, Principe che porti la vera Pace: sottometti le menti ribelli e riunisci in un solo ovile quanti si sono allontanati dal Tuo amore. E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

26 Ottobre MMXXV
D.N.J.C. Regis
Dominica XX post Pent., ultima Octobris

 

 

NOTE
1) Cfr. Discorso di Paolo VI alla IX Sessione Pubblica del Concilio Vaticano II, 7 Dicembre 1965.

2) Paolo VI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972.

3) Inno Te sæculorum Principem nella festa di Cristo Re.

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Spirito

Fraternità San Pio X: ingressi al Seminario 2025

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L’ingresso al seminario della Fraternità inizia a settembre nell’emisfero settentrionale, mentre nell’emisfero meridionale, presso il Seminario Nuestra Señora Corredentora situato a La Reja, in Argentina, ha luogo all’inizio di marzo. Un articolo recente è già stato dedicato all’ingresso a Flavigny.   Il Seminario Herz Jesu – Seminario del Sacro Cuore – è lieto di accogliere nove nuovi seminaristi. Dopo aver trascorso una settimana a Jaidhof, in Austria, per il ritiro di rientro, i seminaristi sono finalmente arrivati. Sono stati accolti con la celebrazione della Solennità di San Pio X, come ogni anno.   Per quanto riguarda la provenienza dei nuovi arrivati, i paesi di lingua tedesca possono rallegrarsi. Mentre l’anno scorso a Zaitzkofen non erano arrivati ​​tedeschi, quest’anno ce ne sono quattro. Con due svizzeri, il seminario ha di nuovo tra le sue fila dei cittadini della Confederazione. Due polacchi e uno sloveno completano questo nuovo anno di spiritualità.   All’inizio di quest’anno accademico, il seminario conta un totale di 54 seminaristi, superando di uno il record dell’anno scorso. Con un’età media di soli 21,9 anni, il primo anno contribuirà a un notevole ringiovanimento della comunità seminaristica.  

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