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Terrorismo

Manila, confermata la morte dei due leader dei ribelli comunisti

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Benito e Wilma Tiamzon erano il presidente e la segretaria generale del partito. Le forze armate filippine sostengono siano stati uccisi in uno scontro a fuoco, ma fonti del partito dicono che sono stati torturati a morte. Lo scontro tra ribelli marxisti e forze governative è costato tra il 1969 e il 2008 oltre 43 mila morti.

 

 

Fonti del Partito comunista delle Filippine (PCF) hanno oggi confermato l’uccisione di Benito e Wilma Tiamzon, rispettivamente presidente e segretaria generale del partito, dopo che le forze armate filippine avevano anticipato la notizia del decesso, a loro detta avvenuto durante uno scontro armato ad agosto 2022.

 

Il vertice delle forze armate ha espresso soddisfazione, parlando della notizia come di una vittoria o di un evento storico parte del lungo e sanguinoso confronto tra i militari e la ribellione di ispirazione marxista che ha segnato la storia moderna del Paese.

 

Riconoscendo la scomparsa dei Tiamzon, il partito ha invece accusato l’esercito filippino di tortura e uccisione sommaria della coppia e di violazione del diritto internazionale.

 

Per il portavoce del Comitato centrale del partito, i due sarebbero stati catturati con altri militanti durante un’azione militare sull’isola di Samar, picchiati duramente e, una volta uccisi, caricati su un’imbarcazione che sarebbe stata fatta esplodere.

 

«Le accuse di cattura e tortura sono parte della propaganda dei comunisti e un tentativo di ingannare i filippini. Ciò che è successo nell’operazione dell’agosto 2022 è stata un’azione legittima in base a informazioni che indicavano il tentativo di fuga dalle operazioni militari in corso dei leader del Partito comunista delle Filippine e del Nuovo esercito del popolo (NEP/NPA)», ha ribadito il portavoce delle forze armate.

 

Il PCF e le forze che si raccolgono attorno ad esso sono ora senza una leadership, escluso il Comitato centrale, dopo che il capo storico del partito, Jose Maria Sison è morto lo scorso dicembre mentre si trovava in esilio in Olanda.

 

Questa situazione rende più difficile il dialogo tra governo e comunisti, peraltro interrotto ufficialmente durante la presidenza Duterte, precedente a quella attuale di Ferdinand Marcos Jr.

 

Nel 2018 il dipartimento della Giustizia aveva chiesto la messa al bando del Partito Comunista e dell’NPA in base alla legge sulla sicurezza nazionale. Una richiesta allora respinta da un tribunale di Manila prima che la normativa venisse poi abrogata.

 

Dello scorso anno è anche l’ultima istanza, avanzata da gruppi della destra politica, di scioglimento del Partito comunista, del suo braccio armato e della coalizione che raccoglie le organizzazioni dichiaratamente rivoluzionarie, come il Fronte democratico nazionale delle Filippine, e che sarebbero responsabili di «cospirazione organizzata per rovesciare il governo filippino».

 

Quella del Nuovo esercito del popolo, in corso da 54 anni, è probabilmente la più duratura ribellione armata di ispirazione comunista (non maoista) al mondo. Si calcola che il confronto tra ribelli e forze governative sia costato tra il 1969 e il 2008 oltre 43 mila morti.

 

Lo scontro non si è mai davvero interrotto, trasformandosi in un conflitto a bassa intensità che da un lato ha continuato a garantire al NEP/NPA il controllo su diverse aree dell’arcipelago, nonostante il gruppo sia andato incontro a un indebolimento e un ridimensionamento numerico.

 

Dall’altro, insieme alle attività del Partito comunista, è stato pretesto per le forze di sicurezza per intraprendere iniziative repressive spesso indiscriminate o illegali nei confronti di gruppi o individui critici del governo.

 

 

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Terrorismo

Jihadisti francesi attaccano le forze governative siriane

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Le nuove autorità siriane hanno lanciato un’ampia operazione militare contro le forze jihadiste straniere rimaste nella provincia nord-occidentale di Idlib, con particolare attenzione ai militanti di origine francese.

 

Il governo damasceno ha dichiarato che questi gruppi, che in passato hanno contribuito a rovesciare l’ex presidente Bashar Assad, costituiscono ora una minaccia alla sicurezza.

 

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), con sede nel Regno Unito, gli scontri sono scoppiati durante un assalto notturno delle forze governative a un campo noto come «campo francese» nella città di Harem, a ovest di Idlib. Entrambe le parti avrebbero subito perdite, ma il numero esatto di vittime non è stato confermato. Almeno due jihadisti sono stati catturati. Secondo le autorità, il campo sarebbe gestito da combattenti stranieri guidati da Omar Omsen, un cittadino francese di origini senegalesi.

 

Il Servizio di Sicurezza Generale siriano ha specificato che l’obiettivo era arrestare Omsen e ripristinare la stabilità nella regione. Un canale Telegram legato ai jihadisti ha diffuso una dichiarazione del loro leader, che accusava il governo di collaborare con gli Stati Uniti e una «coalizione internazionale» per eliminare i militanti stranieri in Siria, minacciando Damasco di rappresaglie jihadiste e citando il supporto di altri gruppi militanti stranieri.

 

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Un articolo del Washington Post dello scorso maggio riferisce che il governo del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, precedentemente conosciuto come il terrorista jihadista al-Jolani, legato ad al-Qaeda e ISIS, sta affrontando minacce dalle stesse forze che lo hanno insediato al potere a novembre.

 

Secondo un rapporto di Le Monde del 2023, circa 200 cittadini francesi, tra combattenti e loro familiari, si sono stabiliti a Idlib dopo il collasso dello Stato Islamico nel 2019, descritti come «jihadisti francesi irriducibili».

 

Il WaPo a maggio riportava che «militanti sunniti estremisti» hanno compiuto stragi di alawiti sulla costa siriana a marzo, causando almeno 1.300 morti, con altre migliaia morti nei mesi successivi.

 

Come noto, anche i cristiani sono oggetto di continue violenze assassine e genocide da parte dei takfiri jihadisti che perseverano nella loro opera di cruenta persecuzione, tra esecuzioni di donne cristiane e bombe nelle chiese, mentre diviene sempre più chiaro che la sharia è l’unica legge del Paese un tempo laico.

 

Alcuni di questi gruppi jihadisti hanno poi rivolto la loro ostilità contro al-Jolani, specialmente dopo il suo incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha portato alla rimozione delle sanzioni contro la Siria, ma lo ha fatto apparire come un «infedele» agli occhi dei radicali.

 

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Terrorismo

Episodio di terrorismo a Belgrado

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Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha descritto la sparatoria di mercoledì vicino all’Assemblea nazionale di Belgrado come un «terribile attacco terroristico». Un uomo di 70 anni avrebbe aperto il fuoco nella capitale serba e dato fuoco a una tenda.   L’autore, identificato come Vladan Andelkovic, è stato arrestato. Secondo i resoconti, ha ferito un uomo di 57 anni, Milan Bogdanovic, sparandogli e ha poi incendiato una tenda dei sostenitori del presidente Vucić davanti all’Assemblea nazionale. Kurir ha riportato che il sospettato ha anche gettato munizioni tra le fiamme.   La vittima, colpita alla coscia, non ha subito ferite gravi. I vigili del fuoco hanno domato l’incendio, mentre la polizia ha isolato l’area e avviato un’indagine.  

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In un discorso televisivo, Vucic ha condannato l’episodio come un «attacco terroristico contro persone e proprietà», dichiarando che il sospettato aveva acquistato benzina per appiccare intenzionalmente il fuoco alla tenda, con l’obiettivo di seminare paura. Vučić ha mostrato un video in cui Andelkovic afferma di aver agito con intenti suicidi: «L’occupazione del centro città mi infastidisce. Ho dato fuoco alla tenda con la benzina», si sente nella registrazione.   «Volevo che mi uccideste perché non posso più vivere», ha aggiunto l’uomo.   Tuttavia, Vucic ha suggerito che l’uomo potrebbe aver «finto di essere pazzo», sottolineando che il suo passato nelle forze di sicurezza indica una piena consapevolezza delle sue azioni. «Questa persona e i suoi eventuali complici saranno puniti severamente», ha promesso.   Il presidente ha poi invitato a evitare reazioni impulsive: «Ho visto la rabbia causata da questo episodio, alcuni oppositori dei bloccanti vogliono radunarsi, ma chiedo loro di non farlo. La vendetta non porta a nulla di buono. Non deve esserci vendetta, e metto in guardia tutti dal cercarla».     SOSTIENI RENOVATIO 21
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Terrorismo

Preparavano un altro attentato a Trump?

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Il direttore dell’FBI Kash Patel ha dichiarato domenica 19 ottobre a Fox News che i Servizi Segreti (USSS) hanno individuato una «postazione di caccia» con vista diretta sull’uscita dell’Air Force One del presidente Donald Trump presso l’aeroporto internazionale di Palm Beach. L’FBI sta collaborando con l’USSS e le forze dell’ordine della contea di Palm Beach per le indagini.

 

Il Patel ha riferito che, fino a ieri, nessuna persona è stata vista o associata alla postazione sopraelevata. Secondo una fonte anonima delle forze dell’ordine citata da Fox, la postazione, situata su un ramo d’albero, sembra essere stata preparata «mesi fa».

 

 

Tuttavia, il capo delle comunicazioni dell’USSS, Anthony Guglielmi, ha precisato che gli agenti hanno scoperto la postazione giovedì 16 ottobre durante i «preparativi di sicurezza avanzati» per l’arrivo di Trump a Palm Beach. «Non ci sono state ripercussioni sui movimenti e nessuna persona era presente o coinvolta nel luogo», ha dichiarato Guglielmi a Fox News.

 

«Sebbene non possiamo fornire dettagli sugli oggetti specifici o sul loro scopo, questo incidente evidenzia l’importanza delle nostre misure di sicurezza a più livelli», ha aggiunto.

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