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Geopolitica

L’ex generale ucraino afferma che l’articolo 5 della NATO non esiste

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I membri dell’Europa orientale della NATO sono consapevoli che il blocco militare guidato dagli Stati Uniti non ha alcuna intenzione di proteggerli dalla Russia, ha affermato l’ex generale di stato maggiore ucraino Valery Zaluzhny.

 

L’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, che stabilisce che un attacco a un membro della NATO è da considerarsi un attacco a tutti i membri, non viene attuato nella pratica, ha affermato mercoledì Zaluzhny, che attualmente è ambasciatore di Kiev nel Regno Unito, durante un incontro con gli studenti nella città di Leopoli.

 

«Gli Stati baltici capiscono che non esiste un Articolo 5 e non c’è mai stato. Anche la Polonia lo capisce, perché di tanto in tanto cadono missili lì, a volte nostri, a volte russi. La Romania capisce tutto, ma tace», ha affermato.

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Il generale-ambasciatore ha ricordato che quando era ancora a capo dell’esercito ucraino, «mi hanno chiamato dalla Romania e mi hanno chiesto di non dire una parola» dopo che due presunti droni russi si erano schiantati in territorio rumeno.

 

Un funzionario di Bucarest ha attribuito la responsabilità dell’incidente all’Ucraina, affermando che i droni erano stati dirottati in Romania a causa dell’impiego di armi elettroniche da parte di Kiev, ha affermato.

 

«Ho detto loro: “Abbattiamoli. Avete 40 jet F-16″», ha aggiunto lo Zaluzhny, che è stato licenziato come generale di Kiev nel febbraio 2023. Secondo indiscrezioni, l’allora plenipotenziario degli USA per la politica Ucraina Victoria Nuland aveva chiesto allo Zelens’kyj di non licenziare lo Zaluznhy. Resoconti sulla stampa hanno poi messo in luce l’impopolarità del suo sostituto, Aleksandr Syrsky, definito secondo il sito Politico un «macellaio» dalle truppe.

 

L’ambasciatore di Kiev ha anche suggerito che anche se la spinta dell’Ucraina ad entrare nella NATO dovesse avere successo, non fornirebbe al Paese garanzie di sicurezza. «Non darebbe nulla oltre alla protezione politica», ha insistito l’ambasciatore.

 

L’inviato speciale del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Steve Witkoff, ha dichiarato in un’intervista con Tucker Carlson la scorsa settimana che Volodymyr Zelens’kyj e il suo capo di gabinetto, Andryi Yermak, «hanno ampiamente ammesso che non diventeranno membri della NATO».

 

«Penso che sia accettato che Ucraina e Russia, se ci sarà un accordo di pace, l’Ucraina non potrà essere un membro della NATO», ha detto.

 

Per quanto riguarda l’opzione dell’Ucraina di ottenere «quella che viene chiamata protezione dell’articolo 5» dagli Stati Uniti o dai paesi dell’Europa occidentale senza far parte della NATO «è una questione aperta alla discussione», ha affermato Witkoff.

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Impedire a Kiev di entrare nella NATO, che Mosca considera un blocco ostile, era stato nominato da Mosca tra le ragioni per il lancio della sua operazione militare nel febbraio 2022. Verso la fine dell’anno scorso, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha ribadito che l’adesione dell’Ucraina sarebbe stata «inaccettabile» e avrebbe contraddetto la posizione della Russia secondo cui «la sicurezza di un paese non può essere garantita a scapito della sicurezza di un altro».

 

Come riportato da Renovatio 21, secondo un documento riservato del Parlamento tedesco portato alla luce dai giornali, l’articolo 5 potrebbe scattare in caso di attacco russo alle truppe NATO in Ucraina. L’Alleanza Atlantica ha precedentemente fatto sapere pubblicamente che un attacco cibernetico potrebbe far scattare l’articolo 5.

 

I senatori americani Lindsey Graham e Richard Blumenthal hanno presentato nella primavera 2023 una risoluzione chiedendo che se la Russia utilizza armi nucleari in Ucraina o si verifica un grave incidente nella centrale nucleare di Zaporiggia con conseguente diffusione della contaminazione da radiazioni, la NATO veda tali incidenti come un attacco al Patto Atlantico stesso ai sensi dell’articolo 5.

 

Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa si discuteva di come la NATO poteva entrare in guerra in Ucraina ai sensi non dell’articolo 5 ma dell’articolo 4. L’articolo 4 consente di estendere l’ombrello della protezione della NATO a quei membri non NATO che l’alleanza considera un alleato, una categoria dove l’allora segretario atlantico Stoltenberg aveva chiaramente inserito l’Ucraina.

 

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Geopolitica

La Von der Leyen lancia un ultimatum alla Serbia

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La Serbia non potrà entrare nell’UE senza un pieno allineamento alla politica estera del blocco, incluse tutte le sanzioni contro la Russia, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.   La Serbia, che ha richiesto l’adesione all’UE nel 2009 e ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2012, è tra i pochi stati europei a non aver imposto restrizioni a Mosca. Belgrado ha sottolineato i suoi storici legami con la Russia e la dipendenza dalle sue forniture energetiche.   Mercoledì, durante una conferenza stampa a Belgrado accanto al presidente serbo Aleksandar Vucic, von der Leyen ha ribadito che la Serbia deve compiere «passi concreti» verso l’adesione e mostrare un «maggiore allineamento» con le posizioni dell’UE, incluse le sanzioni, evidenziando che l’attuale livello di conformità della Serbia alla politica estera dell’UE è del 61%, ma ha insistito che «serve fare di più», sottolineando il desiderio di Bruxelles di vedere Belgrado come un «partner affidabile».

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Vucic ha più volte dichiarato che la Serbia non imporrà sanzioni alla Russia, definendo la sua posizione «indipendente e sovrana». Tuttavia, il rifiuto di Belgrado ha attirato crescenti pressioni da parte di Bruxelles e Washington.   La settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Petroleum Industry of Serbia (NIS), parzialmente controllata dalla russa Gazprom Neft, spingendo la Croazia a interrompere le forniture di greggio. Vucic ha avvertito che tali misure potrebbero portare alla chiusura dell’unica raffineria petrolifera serba entro novembre, mettendo a rischio l’approvvigionamento di benzina e carburante per aerei.   Come riportato da Renovatio 21proteste sempre più violente si susseguono nel Paese, che Belgrado attribuisce a influenze occidentali volte a destabilizzare il governo.   Le proteste hanno già portato alle dimissioni del primo ministro Milos Vucevic e all’arresto di diversi funzionari, tra cui un ex ministro del Commercio, con l’accusa di corruzione.   Il presidente Aleksandar Vucic ha affermato che i disordini sono stati fomentati dall’estero e ha denunciato quella che ha definito «violenza mascherata da attivismo»: «mancano pochi giorni prima che inizino a uccidere per le strade» aveva detto lo scorso agosto davanti all’ennesima ondata di proteste violente.   Come riportato da Renovatio 21, le grandi manifestazioni contro Vucic di marzo erano seguite la visita pubblica del figlio del presidente USA Don Trump jr. al premier di Belgrado.

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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso mese il servizio di Intelligence estero russo (SVR) ha sostenuto che l’UE starebbe cercando di orchestrare un «Maidan serbo» per insediare un governo filo-Bruxelles. Belgrado nel dicembre 2023 produsse evidenti segni di «maidanizzazione» in corso. Già allora presidente serbo accusò le potenze occidentali di tentare di «ricattare» la Serbia affinché sostenga le sanzioni e di tentare di orchestrare una «rivoluzione colorata» – una sorta di Maidan belgradese –contro il suo governo a dicembre.   Vucic giorni fa ha accusato le potenze occidentali di aver cercato di orchestrare il suo rovesciamento. In un’intervista su Pink TV trasmessa lunedì, il presidente serbo aveva affermato che le «potenze straniere» hanno speso circa 3 miliardi di euro nell’ultimo decennio nel tentativo di estrometterlo dal potere.   Come riportato da Renovatio 21, il ministro degli Esteri Pietro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.

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  Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Pakistan e Afghanistan concordano il cessate il fuoco

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Afghanistan e Pakistan hanno dichiarato un cessate il fuoco temporaneo, mettendo fine agli scontri iniziati mercoledì mattina tra le loro forze. Più di una dozzina di civili sono stati uccisi nell’ultimo conflitto armato tra i due paesi vicini.

 

Il ministero degli Esteri pakistano ha comunicato, alcune ore dopo lo scontro, che Kabul e Islamabad hanno concordato una tregua di 48 ore, con inizio alle 18:00 ora locale di mercoledì.

 

Nella sua nota, il ministero ha sottolineato che entrambe le parti «si impegneranno sinceramente attraverso il dialogo per trovare una soluzione positiva ai loro problemi complessi ma risolvibili».

 

In precedenza, il portavoce dei talebani afghani Zabihullah Mujahid aveva scritto su X che le forze pakistane avevano avviato un attacco, utilizzando «armi leggere e pesanti», causando la morte di 12 civili e il ferimento di oltre 100 persone.

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Il portavoce aggiunto che le forze afghane hanno risposto al fuoco, uccidendo un «gran numero» di soldati, confiscando armi e carri armati pakistani e distruggendo installazioni militari.

 

Ali Mohammad Haqmal, portavoce del distretto di Spin Boldak, in Afghanistan, luogo dello scontro, ha stimato che le vittime civili siano state 15. Secondo l’AFP, un funzionario dell’ospedale locale ha riferito che tra i feriti ci sarebbero 80 donne e bambini.

 

Islamabad ha definito le accuse «oltraggiose» e «palesi menzogne», sostenendo che i talebani afghani abbiano iniziato le ostilità attaccando una postazione militare pakistana e altre aree vicino al confine. L’esercito pakistano ha dichiarato di aver respinto l’assalto, uccidendo 37 combattenti talebani in due operazioni distinte.

 

Secondo l’agenzia Reuters, che cita fonti di sicurezza anonime, lo scontro sarebbe durato circa cinque ore.

 

Il conflitto segue un’escalation di scontri avvenuta nel fine settimana, durante la quale Afghanistan e Pakistan si sono accusati a vicenda per le vittime. I talebani hanno affermato di aver ucciso 58 soldati pakistani, mentre Islamabad ha dichiarato di aver conquistato 19 posti di frontiera afghani.

 

Le tensioni transfrontaliere tra Afghanistan e Pakistan sono aumentate negli ultimi anni, con entrambe le parti che si accusano ripetutamente di ospitare militanti.

 

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Geopolitica

Israele accusa Hamas di aver restituito il corpo sbagliato

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Uno dei corpi restituiti martedì da Hamas non appartiene a nessuno degli ostaggi tenuti prigionieri dal gruppo armato palestinese a Gaza, hanno affermato le Forze di difesa israeliane (IDF).   Lunedì Hamas ha liberato gli ultimi 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio del rilascio di quasi 2.000 prigionieri palestinesi, nell’ambito di un accordo mediato da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia. Martedì, il gruppo ha iniziato a consegnare i cadaveri dei prigionieri deceduti a Israele, restituendone sette in due lotti tramite la Croce Rossa.   Tuttavia, le IDF hanno dichiarato mercoledì in una dichiarazione su X che un esame presso l’istituto forense Abu Kabir ha rivelato che uno dei quattro corpi del secondo lotto «non appartiene a nessuno degli ostaggi». Si ritiene che i resti appartengano a un palestinese, hanno aggiunto.     Gli altri tre corpi sono stati confermati come appartenenti ai prigionieri. Sono stati identificati come il sergente maggiore Tamir Nimrodi, 18 anni, Uriel Baruch, 35 anni, ed Eitan Levy, 53 anni, si legge nel comunicato.   Il capo di stato maggiore delle IDF, tenente generale Eyal Zamir, ha dichiarato in precedenza che Israele «non avrà pace finché non restituiremo tutti [gli ostaggi]. Questo è il nostro dovere morale, nazionale ed ebraico». Hamas detiene ancora i corpi di 21 prigionieri deceduti.   Questa settimana, rifugiati palestinesi e combattenti di Hamas sono tornati a Gaza City e in altre aree dell’enclave, dopo il ritiro parziale delle forze dell’IDF, in linea con l’accordo. A Gaza sono stati segnalati scontri sporadici tra Hamas e fazioni rivali.  

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