Economia
L’astrolabio degli Hyksos, per uscire dalla notte bancaria
Renovatio 21 pubblica questo articolo del 2012 di Piero Vassallo (1933-2022) dell’autunno 2021 sul tema, ancora oggi tabù, della prospettiva di nazionalizzazione delle banche.
A cominciare dal momento in cui un dolente Antonio Gramsci ammise (nei Quaderni dal carcere) che la maggioranza degli italiani semplici nutriva ideali refrattari al sistema di Karl Marx, l’apparato culturale della sinistra fu severamente impegnato a diffamare e squalificare gli interpreti della tradizione nazionale.
Gli autori di fede cattolica e di ovvia cultura controrivoluzionaria, pertanto, furono sepolti, dai quadri intellettuali del PCI, nel cimitero della memoria vergognosa, il medesimo in cui gli antichi egizi avevano nascosto gli odiati Hyksos.
Hyksos di complemento furono giudicati anche gli italiani sconfitti nella seconda guerra mondiale e perciò rinchiusi all’interno delle parentesi marmoree scolpite dal liberale filosofante Benedetto Croce.
Degli italiani innominabili, giacenti fra le parentesi alzate dal filosofo di Pescasseroli, è emblema il fratello, minore e vergognoso del celebre Antonio, camicia nera Mario Gramsci, ostinato combattente di tre guerre vinte e di una perduta e federale del deprecato partito fascista repubblicano in Varese.
La storia, in breve. Reduce dai fronti della prima guerra mondiale, il fratello innominabile aderì al fascismo nel 1921 e pertanto fu selvaggiamente affrontato e bastonato a sangue dai compagni dell’illustre Antonio.
Nel 1935, dimenticate le pedagogiche e fraterne percosse, Mario fece pressione su Benito Mussolini perché al fondatore del PCI fosse concessa la libertà condizionata (in seguito definitiva) e l’opportunità di curare in un’attrezzata clinica romana la malattia che lo affliggeva.
Gli storici rispettosi tacciono elegantemente, ma Antonio Gramsci, a seguito dell’intervento del bieco duce, morì in libertà, assistito da medici qualificati e da premurosi familiari.
Diversa la sorte di Mario Gramsci, che nel 1943 aderì purtroppo alla RSI. Catturato dai partigiani fu picchiato e torturato quindi consegnato agli inglesi, che lo deportarono in un campo di concentramento democratico.
Quando gli educatori inglesi accertarono che le condizioni di salute di Mario erano disperate lo rimpatriarono in fretta e furia. Anonimo fra gli anonimi, Mario morì in Italia nel dicembre del radioso 1945.
Il presente saggio è scritto per rivendicare il diritto alla memoria degli Hyksos pensanti con o senza camicia nera. E per sollecitare, con motivata insistenza, il riconoscimento del diritto di cercare, nei proibiti libri firmati dagli Hyksos, le idee vincenti sulla crisi del 1929.
Estratto dalle crociane parentesi, il programma proibito può soccorrere gli affannati ricercatori di una via d’uscita dal presente, che è segnato dal drammatico collasso dell’economia liberale e/o di specchio.
Nel solco della tradizione interpretata dalla destra che non c’è più, è proposto infine uno scandaloso scritto sui pensieri occultamente hyksos, che, nel secondo dopoguerra, hanno ispirato il principale autore del miracolo italiano, il professore Amintore Fanfani.
Il miracolo, infine, fu speronato e affondato da un panfilo, il Britannia, che era adibito al trasporto delle presenti sciagure.
Un temerario aspirante alla squalificata identità hyksos, il professore Giulio Tremonti, sostiene che «la globalizzazione è stata una pazzia – fatta da pazzi autentici, illuminati fanatici».
Il disordine causato dal mercato globale, la fatale inclinazione del sistema mercatista a produrre recessioni e carestie, sono implicitamente annunciati dall’elenco (stilato dall’incauto Tremonti) dei replicanti, intesi a rilanciare la mitologia intorno alla mano magica del mercato: «i liberali drogati dal successo appena ottenuto nella lotta contro il comunismo; i post-comunisti divenuti liberisti per salvarsi; i banchieri travestiti da statisti; gli speculatori-benefattori; e i più capaci pensatori di questo tempo, gli economisti, sacerdoti e falsi profeti del nuovo credo». (Giulio Tremonti, La paura e la speranza. Europa: la crisi globale che si avvicina e la via per superarla, Mondadori, Milano 2008).
Tremonti rammenta altresì che alla lucida follia dei globalizzatori si è aggiunta la fulminante cupidigia dei banchieri americani, che il presidente Bill Clinton aveva sciolto dal guinzaglio di una buona legge:
«Nel 1999 il presidente Clinton abroga la legge – voluta dal presidente democratico Franklin Delano Roosevelt – legge che vietava alle banche di speculare. La legge diceva: Se tu usi il risparmio dei cittadini lo puoi impiegare per dare soldi alle famiglie, ai lavoratori, all’industria, alle comunità, non per giocare in borsa. Se vuoi giocare in borsa lo fai con i soldi tuoi. Clinton abolisce quella legge e autorizza le banche a fare quello che vogliono».
L’associazione dei due fattori di disordine scatenati dall’oligarchia liberale – la globalizzazione incontrollata e la cieca avidità dei banchieri & gabellieri – hanno generato la crisi, che sta devastando l’economia occidentale.
La festa italiana, celebrata dagli svenditori democristiani imbarcati sul panfilo Britannia intanto è finita. Ai politici di cultura cattolica, adesso s’impone l’arduo compito di chiudere, senza pentimenti, la scena liberale allestita dagli entusiasti ruggenti intorno alla catastrofe del sistema comunista.
La fonte del cattolicesimo liberale, non è inutile rammentarlo, sta nei saggi scritti dal democristiano Jacques Maritain durante il soggiorno negli Stati Uniti. Saggi non a caso apprezzati dal cattoliberale Michael Novak e valorizzati quali scongiuri da lanciare contro la tentazione rappresentata dall’economia mista concepita e attuata dagli Hyksos con felici esiti.
La ferocia della crisi in atto consiglia invece di fare un passo indietro e di rilanciare la magistrale lezione di Pio XI sulle cause ideologiche delle depressioni, che periodicamente sconvolgono le economie governate dalla mano magica del mercato. Senza dimenticare la fonte illuministica e signorile della mitologia liberale.
Stabilito che le massime del liberalismo vacillavano per effetto dell’implosione della borsa di Wall Street (1), Pio XI nella Quadragesimo anno, affermò che dalla superstiziosa sopravvalutazione del mercato «come da fonte avvelenata, sono derivati tutti gli errori della scienza economica individualistica, la quale, dimenticando o ignorando che l’economia ha un suo carattere sociale non meno che morale, ritiene che l’autorità pubblica la dovesse stimare e lasciare assolutamente libera a sé, come quella che nel mercato o libera concorrenza doveva trovare il suo principio direttivo o timone proprio secondo cui si sarebbe diretta molto più perfettamente che per qualsiasi intelligenza creata».
Il coraggioso pontefice affermò di conseguenza che «il retto ordine dell’economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza delle forze» e concluse il suo ragionamento riconoscendo la necessità inderogabile che la giustizia sociale fosse garantita dalla legge dello Stato: «è necessario che questa giustizia sia davvero efficace, ossia costituisca un ordine giuridico e sociale a cui l’economia tutta si conformi».
Pio XI, di conseguenza, approvava senza riserve l’intervento della politica degli Hyksos italiani, intesi a disciplinare la libertà del mercato e a correggerla instaurando quell’economia mista che fece uscire l’Italia dalla crisi causata nel 1929 dagli speculatori di Wall Street.
Di qui la sconfessione dell’utopia mercantilista e il conseguente successo della scienza economica italiana.
La soluzione approvata da Pio XI convinse Amintore Fanfani, giovane professore dell’Università cattolica del Sacro Cuore, ad avviare uno studio approfondito sui rapporti tra morale cattolica ed economia.
Il risultato della ricerca intrapresa da Fanfani fu Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, un magistrale saggio pubblicato nel 1933 dalla casa editrice Vita e Pensiero.
Fanfani, dopo aver dimostrato che la modernizzazione dell’economia non fu avviata dai riformatori luterani e calvinisti ma dai mercanti cattolici attivi nella Firenze del Trecento, sostiene che il capitalismo può convivere e di fatto ha convissuto felicemente con la morale prevalente nelle società fondata sui realistici princìpi del cattolicesimo (2).
Quale benefico effetto della morale cattolica sull’economia, Fanfani citava la proibizione dell’usura: «La preoccupazione del rispetto della morale in questo campo prende talmente il sopravvento da indurre per lungo tempo i moralisti ad incoraggiare di sopperire alle necessità della vita economica non già con il semplice mezzo del prestito, ma con il ricorso alla formazione di società. Così si antepone ad una soluzione economicamente razionale quale è quella del prestito, una soluzione razionale anche moralmente quale è quella dell’associazione. Esempio questo d’evidenza solare, della subordinazione che per lo spirito cattolico hanno i problemi economici a quelli morali». (3)
Coerentemente la teoria di Fanfani esclude che il cattolicesimo respinga la razionalizzazione economica o che la voglia compiere secondo principi estranei all’ordine economico, «ma si è che il cattolicesimo ritiene che tale razionalizzazione deve avere dei limiti negli altri principi ordinatori della vita».
Pertanto «il cattolicesimo non può accogliere quella organizzazione sociale in cui riceve piena sanzione di legalità l’interesse predominante, prescindendo dalle sue relazioni positive o negative collo scopo della società, dello Stato, dell’uomo cattolicamente inteso».
La morale degli hykos cattolici costituisce dunque l’unica via al superamento della morale dimezzata e inquinata dal liberalismo, un’ideologia che ha giustificato guerre pedagogiche, piraterie, usure, schiavismo e sfruttamento dei lavoratori, in vista di successi che puntualmente si rovesciano in tragiche carestie.
La conferma di tale conclusione si legge nel miracolo economico italiano, ottenuto negli anni Sessanta da un sistema di economia mista, puntellato da istituti assistenziali e previdenziali fondati dalla calunniata lungimiranza degli Hyksos.
La decrepitezza dell’ideologia liberale e cattoliberale e la cecità del pensiero socialista si misura dalla proposta di abolire l’IRI e dalla motivazione antifascista degli oppositori democristiani a Fanfani.
Il giro degli anni che ha riportato l’Italia alla miseria regnante prima del miracolo economico, da Giano Accame definito cripto fascista, consiglia la rivisitazione delle teorie censurate dalla banca mangia uomini e dal delirio di scuola liberista.
Piero Vassallo
NOTE
1)Nel 1929 la mano magica del mercato gettò sul lastrico milioni di americani. Per risollevare la loro sorte il presidente Franklin Delano Roosevelt fu costretto ad adottare provvedimenti ispirati da princìpi hyksos, irriducibili alla venerata mitologia liberale.
2) Negli anni Novanta, l’economista Giuseppe Palladino, in continuità con Fanfani, rammenterà che «il capitalismo italiano, storicizzato alla luce dell’etica e della teologia morale dei canonisti, fece di anguste aree della Toscana e di altre plaghe del Nord Italia, le terre più prospere del mondo di quel tempo» (citato da Normanno Malaguti, cfr. La moneta debito, Il Cerchio, Rimini 2012). Di recente l’economista Flavio Felice ha confermato la tesi fanfaniana rammentando che «se per capitalismo intendiamo un modello di produzione fondato sul ruolo positivo svolto dalle imprese, dal mercato, dalla proprietà privata e dal libero, responsabile e creativo agire della persona, ancorata ad un saldo sistema giuridico e ad un chiaro orizzonte ideale, al centro del quale è posta l’opera del più affascinante, raffinato e prezioso fattore di produzione: il capitale umano, credo che sia difficile non cogliere proprio nella tradizione greca, romana ed infine cristiana, le radici stesse del capitalismo».
3) Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, Marsilio, Venezia 2005, pag. 111.
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Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
Netflix avrebbe raggiunto un accordo per acquisire Warner Bros., inclusi i suoi studi cinematografici e televisivi, HBO e HBO Max, attraverso una transazione mista in contanti e azioni che valuta Warner Bros. Discovery a un valore aziendale di 82,7 miliardi di dollari (valore azionario di 72 miliardi di dollari), pari a 27,75 dollari per azione.
L’intesa dovrebbe essere finalizzata nel terzo trimestre del 2026, dopo lo scorporo programmato da parte di WBD della sua divisione Global Networks in una società quotata autonoma («Discovery Global»). Questa operazione giunge a pochi mesi dalla proposta avanzata da Paramount-Skydance per rilevare WBD.
L’accordo tra Netflix e WBD fonderà la piattaforma di streaming con un catalogo secolare e con franchise iconici come i supereroi della DC Comics, Harry Potter, Game of Thrones, I Soprano e The Big Bang Theory.
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In una nota ufficiale, Netflix ha dichiarato che l’operazione espanderà la sua library di contenuti, potenzierà le capacità produttive e favorirà una crescita sostenibile nel lungo periodo: «fornendo agli utenti una gamma più vasta di serie e film di alto livello, Netflix si attende di conquistare e trattenere un maggior numero di abbonati, incrementare l’engagement e generare entrate e profitti operativi aggiuntivi. L’azienda prevede inoltre di conseguire risparmi sui costi per almeno 2-3 miliardi di dollari annui entro il terzo anno e che la fusione avrà un effetto positivo sull’utile per azione GAAP già a partire dal secondo anno».
Secondo i termini dell’accordo, ogni azione WBD sarà convertita in 23,25 dollari in contanti più 4,50 dollari in azioni Netflix. I board di entrambe le società hanno approvato l’operazione all’unanimità.
La chiusura è attesa tra 12 e 18 mesi, subordinata all’esame regolatorio e all’ok degli azionisti di WBD. All’inizio dell’anno, Netflix ha superato le controfferte, tra cui quelle di Paramount-Skydance e Comcast.
Bloomberg ha rilevato che Hollywood non accoglie con entusiasmo questo nuovo connubio tra Netflix e WBD.
Warner Bros. Discovery ha avviato negoziati esclusivi per cedere i suoi studi cinematografici e televisivi insieme a HBO Max a Netflix, stando a fonti interne alla major – un’indicazione che il colosso dello streaming ha avuto la meglio su Paramount-Skydance e Comcast. Un’intesa del genere ridisegnerebbe il settore dell’intrattenimento e rappresenterebbe un turning point strategico per Netflix, già leader per capitalizzazione a Hollywood. Paramount ha bollato il processo di cessione come «contaminato», mentre l’attrice Jane Fonda, due volte premio Oscar, ha descritto il suo potenziale effetto sull’industria con un aggettivo più severo: «catastrofico».
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Nata come servizio di noleggio DVD via posta, Netflix ha prima annientato la catena Blockbuster e ora sta replicando il colpo con Hollywood, snobbando in larga misura le uscite cinematografiche in sala. L’accordo catapulterebbe Netflix al rango di superpotenza negli studi hollywoodiani. Tuttavia, il tutto resta appeso all’approvazione dei regolatori, con il repubblicano californiano Darrell Issa che ha già espresso opposizione a qualsivoglia acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix.
L’industria cinematografica è minacciata dall’avvento dell’IA, che potrebbe presto consentire a chiunque di produrre contenuti di livello cinematografico in un click, disintegrando un’intera filiera di lavoratori che vanno dagli attori ai cineoperatori, agli addetti al casting, agli elettricisti, registi, etc.
Si spiega così la corsa di Netflix verso le IP, cioè le proprietà intellettuali: avere un personaggio conosciuto e diffuso come, ad esempio Harry Potter, anche nell’era del cinema generato dall’AI potrebbe avere un valore strategico ed economico.
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Immagine di Fourbyfourblazer via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
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L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
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Economia
La BCE respinge il ladrocinio dei fondi russi congelati proposto dalla Von der Leyen
La Banca Centrale Europea ha declinato di avallare il progetto della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per un finanziamento di 140 miliardi di euro a beneficio dell’Ucraina, da assicurare mediante i patrimoni russi immobilizzati. Lo riporta il Financial Times, attingendo a fonti informate sui negoziati.
Il quotidiano britannico ha precisato che la BCE ha ritenuto l’iniziativa della Commissione – che fa leva sugli attivi sovrani russi custoditi presso Euroclear, la società depositaria belga – estranea al proprio ambito di competenza.
Bruxelles ha impiegato mesi a sondare l’utilizzo delle riserve congelate della banca centrale russa per strutturare un «mutuo di indennizzo» da 140 miliardi di euro (equivalenti a 160 miliardi di dollari) in appoggio a Kiev. Il Belgio ha più volte espresso allarmi su potenziali controversie giudiziarie e pericoli finanziari in caso di attuazione del meccanismo.
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In base alla bozza elaborata dalla Commissione, i governi degli Stati membri dell’UE offrirebbero garanzie pubbliche per distribuire il peso del rimborso del prestito ucraino.
Tuttavia, i rappresentanti della Commissione hanno segnalato che i Paesi UE potrebbero non riuscire a reperire celermente risorse in scenari di urgenza, con il pericolo di generare turbolenze sui mercati finanziari.
A quanto risulta, i funzionari UE hanno sollecitato alla BCE se potesse intervenire come prestatore estremo per Euroclear Bank, la branca creditizia dell’ente belga, al fine di scongiurare una carenza di liquidità. Gli esponenti della BCE hanno replicato alla Commissione che tale opzione è impraticabile, ha proseguito il Financial Times, basandosi su interlocutori vicini alle consultazioni.
«Un’ipotesi di tal genere non è oggetto di esame, in quanto verosimilmente contravverrebbe alla normativa dei trattati UE che esclude il finanziamento monetario», ha chiarito la BCE.
Bruxelles starebbe ora esplorando vie alternative per assicurare una provvista temporanea a supporto del mutuo da 140 miliardi di euro.
«Assicurare la liquidità indispensabile per eventuali obblighi di restituzione dei beni alla banca centrale russa costituisce un elemento cruciale di un eventuale mutuo di indennizzo», ha dichiarato FT, citando un portavoce della Commissione.
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La direttrice di Euroclear, Valerie Urbain, ha ammonito la settimana scorsa che l’iniziativa verrebbe percepita a livello mondiale come una «espropriazione delle riserve della banca centrale, che erode il principio di legalità». Mosca ha reiteratamente definito qualsiasi ricorso ai suoi attivi sovrani come un «saccheggio» e ha minacciato ritorsioni.
L’urgenza del piano si inserisce in un frangente in cui l’UE, alle prese con vincoli di bilancio, deve reperire risorse per Kiev nei prossimi due anni, aggravata dalla congiuntura di liquidità critica ucraina, con gli sforzi per attingere ai fondi russi che si acuiscono mentre Washington avanza una nuova proposta per dirimere il conflitto. Gli analisti prevedono che l’Ucraina affronterà un disavanzo di bilancio annuo di circa 53 miliardi di dollari nel quadriennio 2025-2028, al netto degli stanziamenti militari extra.
L’indebitamento pubblico e garantito dal governo del Paese ha raggiunto picchi storici, oltrepassando i 191 miliardi di dollari a settembre, ha comunicato il Ministero delle Finanze. Il mese scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha aggiornato al rialzo le stime sul debito ucraino, proiettandolo al 108,6% del PIL.
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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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