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Geopolitica

L’Argentina promette di riprendere controllo delle Falkland

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L’Argentina si è impegnata a riprendere il controllo delle Isole Falkland, un arcipelago nell’Atlantico che è stato al centro di una disputa territoriale con la Gran Bretagna per quasi 200 anni.

 

La promessa è arrivata dopo che Londra ha restituito uno dei suoi territori d’oltremare, le Isole Chagos, alla nazione insulare di Mauritius giovedì.

 

Nel corso della giornata, il ministro degli Esteri argentino Diana Mondino si è rivolto a X per elogiare la decisione di Londra di trasferire la sovranità delle isole Chagos nell’Oceano Indiano a Mauritius, dopo decenni di negoziati.

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«Accogliamo con favore questo passo nella giusta direzione e la fine di pratiche obsolete», ha scritto Mondino, riferendosi apparentemente al fatto che il Regno Unito controlla ancora alcuni dei territori occupati durante il periodo coloniale.

 

«Recupereremo la piena sovranità sulle nostre Malvinas. Le Malvinas erano, sono e saranno sempre argentine», ha aggiunto. Malvinas è il nome argentino delle Falkland.

 

L’arcipelago conteso del Sud Atlantico si trova a circa 375 miglia nautiche (più o meno 600 km) dalla terraferma argentina. Buenos Aires rivendica le isole, affermando che facevano parte del territorio quando l’Argentina ottenne l’indipendenza dalla Spagna nel 1816. Il Regno Unito governa l’arcipelago dal 1833. Argentina e Regno Unito combatterono una guerra di dieci settimane per le isole nel 1982, che costò la vita a quasi 1.000 persone e si concluse con una vittoria britannica.

 

La governatrice delle Falkland, Alison Blake, è intervenuta su X giovedì, affermando che il Regno Unito aveva un «impegno incrollabile» per difendere la propria sovranità sulle isole. Ha continuato descrivendo il contesto storico delle Falkland e delle Chagos come «molto diverso».

 


Anche l’Assemblea legislativa delle Falkland ha rilasciato una dichiarazione, sottolineando che la popolazione locale, che conta circa 3.600 persone, aveva scelto di rimanere sotto il controllo britannico in un referendum del 2013.

 

Il presidente argentino Javier Milei ha promesso a maggio di riavere le isole attraverso i canali diplomatici e ha ammesso che potrebbero volerci decenni per riacquistare la sovranità dal Regno Unito.

 

Ad aprile, nel 42° anniversario della guerra delle Falkland, ha promesso una «roadmap» per le isole affinché diventassero argentine.

 

Come riportato da Renovatio 21, nove mesi fa l’Argentina aveva invitato ufficialmente Londra a riprendere i colloqui sulle Falkland, affermando di voler trovare finalmente una «soluzione» alla disputa territoriale. La dichiarazione in merito era stata rilasciata mercoledì dal ministero degli Esteri di Buenos Aires, in occasione del 190° anniversario dell’occupazione britannica delle isole.

 

Dal 1833, tutti i governi argentini hanno riaffermato i loro «diritti di sovranità legittimi e imprescrittibili sulle Malvine, Georgia del Sud e Isole Sandwich Meridionali e sulle aree marittime circostanti», ha affermato il ministero in una nota, segnalando che la nuova amministrazione non ha fatto eccezione.

 

«Il Governo argentino esprime ancora una volta la sua volontà di riprendere i negoziati bilaterali per trovare una soluzione a questa disputa di sovranità, in conformità con le pertinenti risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite», ha affermato il Ministero.

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«In questo quadro, il Governo argentino desidera mantenere una relazione matura con il Regno Unito che implichi un dialogo sostanziale e costruttivo su tutte le questioni di reciproco interesse, con l’obiettivo di costruire un clima di fiducia favorevole alla ripresa dei negoziati», scrive la nota ministeriale.

 

Le promesse dell’allora neogoverno Milei avevano ricevuto una fredda accoglienza a Londra, con l’ufficio dell’allora primo ministro britannico Rishi Sunak che haaveva affermato che la sovranità del paese sulle Falkland era «non negoziabile» e che la questione «è stata risolta in modo decisivo qualche tempo fa»: quest’ultima osservazione si riferiva apparentemente alla guerra di 74 giorni tra le due nazioni nel 1982, che portò alla sconfitta dell’Argentina.

 

La guerra delle Falkland fu tecnicamente una guerra non dichiarata, e durò appena dieci settimane. L’obiettivo era il controllo di due territori dipendenti dalla Gran Bretagna nell’Atlantico meridionale: le Isole Falkland e la sua dipendenza territoriale, la Georgia del Sud e le isole Sandwich meridionali.

 

Il conflitto iniziò il 2 aprile 1982, quando l’Argentina invase e occupò le Isole Falkland, seguita il giorno successivo dall’invasione della Georgia del Sud.

 

Il 5 aprile, il governo britannico inviò una task force navale per ingaggiare la marina e l’aeronautica argentina prima di sferrare un assalto anfibio alle isole. La guerra si concluse con la resa dell’Argentina il 14 giugno, che restituì le isole sotto il controllo britannico. In totale, 649 membri militari argentini, 255 membri militari britannici e tre isolani delle Falkland furono uccisi durante le ostilità.

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Immagine di Ben Tubby via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

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Lavrov: gli anglosassoni spingono l’Europa continentale a combattere la Russia

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Gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno preparando l’Europa continentale per uno scontro militare con Mosca, ha affermato il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.   Lavrov ha lanciato l’allarme durante il suo discorso al simposio «Inventing the Future» tenutosi lunedì a Mosca.   Parlando del conflitto in Ucraina, il diplomatico di alto rango ha sottolineato che «gli anglosassoni si aspettano di sconfiggere il nostro Paese per mano del regime di Kiev, proprio come Hitler, riunendo la maggior parte dei Paesi europei sotto la bandiera nazista».

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«E, come piano di riserva, nel caso in cui il regime di Zelens’kyj fallisse, stanno preparando l’Europa continentale a lanciarsi in un’avventura suicida e a entrare in un conflitto armato diretto con la Russia», ha affermato.   Il Lavrov ha espresso rammarico per il fatto che le élite al potere in molti paesi europei non vedano un futuro per sé stesse nella formazione di un mondo multipolare. Invece, stanno «cercando la salvezza da un egemone d’oltremare», ricordando come il cancelliere tedesco Olaf Scholz abbia accolto con favore l’annuncio di luglio che gli Stati Uniti avrebbero piazzato missili a raggio intermedio in Germania.   Secondo il Lavrov, questa non è stata l’unica volta in cui Scholz non è riuscito a difendere il suo Paese.   «Il governo tedesco ha vergognosamente accettato l’umiliante distruzione dei gasdotti Nord Stream a scapito degli interessi fondamentali dell’economia tedesca e del popolo tedesco», ha affermato il ministro degli Esteri.   Alti funzionari russi, tra cui il presidente Vladimir Putin, hanno già puntato il dito contro gli Stati Uniti come probabile responsabile delle esplosioni del Nord Stream nel settembre 2022, sostenendo che Washington aveva i mezzi tecnici per portare a termine l’operazione e che era quella che avrebbe tratto il massimo vantaggio dalla distruzione dei principali oleodotti, considerando che l’attacco ha interrotto le forniture energetiche russe all’UE e costretto il blocco a passare al più costoso gas naturale liquefatto fornito dagli Stati Uniti.

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Lavrov ha anche descritto come «sconsiderate» le proposte avanzate dall’Ucraina e da alcuni in Occidente per consentire a Kiev di utilizzare armi fornite dall’estero per attacchi in profondità nel territorio russo.   «Non parlerò dell’insensatezza dell’idea stessa di combattere contro la Russia fino alla vittoria. Nella migliore delle ipotesi, ciò ridurrà drasticamente le possibilità che i potenziali partecipanti a una guerra del genere svolgano un ruolo in un futuro multipolare», ha avvertito.   Le accuse del ministro degli Esteri russo alla categoria degli «anglosassoni» non sono nuove.   Come riportato da Renovatio 21, due anni fa Lavrov dichiarò che gli anglosassoni non avrebbero permesso all’Ucraina di negoziare la fine della guerra.   Altre volte la leadership russa si è riferita al concetto del «miliardo d’oro», ossia a quella parte dell’umanità, coincidente più o meno con l’Occidente e i suoi satelliti, considerata come privilegiata rispetto al resto della popolazione mondiale.  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0), immagine tagliata.
 
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Israele ammette l’«operazione speciale» in Siria

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Israele ha effettuato un raid di terra in Siria per arrestare «un terrorista operativo» legato all’Iran, ha affermato domenica l’esercito israeliano. L’annuncio segna la prima volta dall’escalation del conflitto in Medio Oriente l’anno scorso che Israele ha ammesso che le sue truppe hanno operato sul suolo siriano.

 

Nelle ultime settimane lo Stato ebraico ha intensificato la sua campagna contro il movimento islamista Hezbollah, lanciando un’offensiva di terra in Libano e lanciando missili contro l’Iran.

 

Le Forze di difesa israeliane (IDF) non hanno specificato quando è avvenuta l’operazione in Siria. Tuttavia, l’agenzia AP ha citato una stazione radio siriana filo-governativa che domenica ha riferito che le forze israeliane avevano eseguito un’ «operazione di rapimento» durante l’estate, prendendo di mira un uomo nel sud del Paese.

 

L’uomo, identificato come cittadino siriano Ali Soleiman al-Assi, è stato arrestato «durante un’operazione speciale delle IDF basata sull’Intelligence», ha affermato l’esercito israeliano in una dichiarazione su X domenica.

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Al-Assi, che l’IDF sostiene essere un agente operativo della rete terroristica iraniana, viveva nell’area di Saida, nella Siria meridionale, a circa 60 km dal confine con Israele. L’esercito israeliano lo ha accusato di «raccogliere informazioni sulle truppe dell’IDF nell’area di confine per future attività terroristiche».

 

«L’IDF non consentiranno ai delegati iraniani nella Siria meridionale di operare e minacciare i civili israeliani», si legge nella dichiarazione.

 

 


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Nell’ultimo anno, Israele ha effettuato molteplici attacchi aerei in Siria, prendendo di mira membri di Hezbollah e funzionari iraniani. L’Iran è un alleato sia del movimento sciita che di Damasco. L’IDF non ha mai reso pubbliche in precedenza incursioni via terra nel Paese.

 

A settembre Israele ha intensificato notevolmente la sua campagna contro il gruppo militante sciita, lanciando l’operazione Northern Arrows per attaccare obiettivi di Hezbollah nel Libano meridionale.

 

Il ministero degli Esteri israeliano e le IDF sostengono di aver «eliminato» quasi tutti i principali leader militari di Hezbollah, tra cui lo storico segretario generale del movimento, Hassan Nasrallah, e il suo potenziale successore, Hashem Safieddine.

 

Ad aprile, Israele ha condotto un attacco aereo sul complesso dell’ambasciata iraniana di Damasco, uccidendo 16 persone, tra cui otto ufficiali del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) e due civili siriani.

 

Come riportato da Renovatio 21, Israele ha colpito in questi anni plurime volte gli aeroporti siriani e plurime volte la capitale, anche in ore diurne.

 

Due anni fa, dopo uno di questi raid, si registrò una condanna da parte di Mosca di rara durezza.

 

Il mese scorso si sono registrati attacchi israeliani nell’aria di Jableh, nei pressi di una base aerea russa.

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Immagine di Israel Defense Forces via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

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Geopolitica

Israele vuole la Russia come mediatore

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Israele vuole che la Russia prenda parte agli sforzi di pace volti a porre fine al conflitto dello Stato degli ebrei con il gruppo militante libanese Hezbollah, hanno riferito Ynet news e diversi altri organi di stampa locali, citando funzionari coinvolti nei negoziati.   Secondo quanto riportato, Israele si aspetta che il coinvolgimento di Mosca possa aggiungere stabilità a qualsiasi accordo futuro e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.   «I russi avranno un ruolo speciale nell’attuazione dell’accordo e nella prevenzione di un’ulteriore escalation», ha detto una fonte a Ynet.   Commentando i resoconti, Orna Mizrahi, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale israeliano, ha dichiarato a Newsweek che, sebbene Israele «preferisca gli americani», comprende che i «buoni rapporti» della Russia con l’Iran potrebbero contribuire alla stabilità di qualsiasi accordo sul Libano raggiunto in futuro.

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«Un altro punto è il fatto che fanno parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e se arriviamo al punto di avere una sorta di nuova risoluzione sul cessate il fuoco nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, vorremmo che i russi la approvassero», ha detto.   Questa settimana i media israeliani hanno affermato che i negoziati per un accordo di cessate il fuoco in Libano hanno già raggiunto «fasi avanzate». L’inviato del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, Amos Hochstein, che sta mediando tra Israele e Libano, avrebbe raggiunto accordi preliminari sull’accordo durante una visita a Beirut all’inizio di questa settimana.   L’accordo prevede un’attuazione più ampia della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, approvata nel 2006, che richiede il ritiro delle forze di Hezbollah dal confine tra Libano e Israele. Introduce un meccanismo internazionale per supervisionare la regione e gestire le rivendicazioni di violazioni da parte di Israele o del Libano e, a quanto si dice, impedisce a Hezbollah di riarmarsi, il che significa di fatto che al gruppo verrebbe vietato di acquisire mezzi militari.   Funzionari israeliani hanno dichiarato a Ynet che l’accordo, se firmato, avrebbe avuto inizio con un cessate il fuoco di 60 giorni, durante i quali sarebbe stato istituito un nuovo meccanismo di supervisione della regione.   Si dice che Hochstein dovrebbe arrivare in Israele prima delle elezioni presidenziali americane programmate per il 5 novembre per finalizzare l’accordo. I resoconti affermano che Mosca ha già discusso la situazione con l’Iran, che si dice stia incoraggiando Hezbollah ad accettare i termini.   Venerdì il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov non ha né confermato né smentito il coinvolgimento della Russia nel processo di pace, ma ha affermato che Mosca «mantiene contatti con tutte le parti in conflitto».   «E, naturalmente, se il nostro aiuto fosse necessario, la Russia è pronta a fare la sua parte», ha affermato.   Secondo un dato del 2022, circa il 15% della popolazione israeliana è di lingua russa e la comunità russofona rappresenta il 15% degli aventi diritto al voto in Israele, per un totale di 1,3 milioni di cittadini. Tale numero, tuttavia, comprende anche gli immigrati provenienti dall’Unione Sovietica e dagli stati post-sovietici diversi dalla Russia vera e propria.

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Alcuni degli immigrati non sono considerati ebrei secondo l’Halacha (l’insieme delle leggi religiose ebraiche che derivano dalla Torah scritta e orale), che definisce un ebreo se la madre è ebrea o si è formalmente convertito all’ebraismo.   Secondo la «Legge del Ritorno», chiunque abbia almeno un nonno ebreo può diventare cittadino israeliano. A causa della politica di ateismo di stato dell’Unione Sovietica e della popolazione ebraica storicamente numerosa della Russia, durante il periodo comunista si sono verificati alcuni matrimoni misti tra ebrei russi e russi etnici. Alcuni ebrei russi sono israeliani solo per matrimonio, poiché la Legge del Ritorno consente anche ai coniugi non ebrei di ebrei di rivendicare la cittadinanza israeliana.   Alcuni israeliani russi discendono invece da famiglie russe Subbotnik (sabatisti: movimento religioso cristiano di tre secoli fa che osserva il riposo del sabato, che ha finito per portare alcuni a convertirsi al talmudismo), che sono emigrate in Israele nel corso dell’ultimo secolo. La maggior parte dei russi in Israele ha la piena cittadinanza israeliana. I russi israeliani sono coinvolti nell’economia del Paese a tutti i livelli.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
   
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