Pensiero
La strana commedia dei partiti sovranisti italiani

Il destino dell’Italia sembra diventato una commedia. E affinché una commedia sia riuscita, è necessario che tutti gli attori recitino il proprio copione esattamente al tempo stabilito.
Come si fa a sapere che siamo di fronte a una commedia? È sufficiente verificare se gli attori stanno recitando la propria parte con una certa coordinazione. Pensate ai tic del dottor Tomas, il direttore della fabbrica cibernetica di Vieni avanti Cretino (1982), esempio di commedia all’italiana noto più che altro per il suo titolo molto eloquente e persuasivo, adattabile a molte situazioni.
Quella che si chiama «dialettica politica» (cioè il rapporto tra i diversi attori politici) può assumere la struttura di una commedia, laddove gli attori paiono impegnati in copioni preordinati.
Dobbiamo dire di come la strategia della destra «sovranista» dal 2020 ad oggi abbia tutta l’aria di essere una parte in commedia. Osserviamo attentamente i suoi movimenti dal 2020 a oggi. Vi sveliamo già il finale del filmetto: l’ultimo atto è apparso pochi giorni fa, quando al Senato 17 senatori della sinistra hanno salvato il nascente governo Meloni votando Ignazio La Russa. Sì, avete letto bene: la sinistra vota il capo dei sanbabilini.
Pochi giorni fa un clamoroso colpo di scena ha portato all’elezione di Ignazio La Russa alla Presidenza del Senato con 116 preferenze, ma senza i voti di Forza Italia. Ci sarebbero quindi ben 17 senatori dell’opposizione che lo hanno votato. Sembra strano.
Ma torniamo al 2020. All’inizio del 2020 in Italia c’era il governo Conte II, nato dalle ceneri del governo Conte I, quello giallo-verde. Un governo questo che cadde perché Salvini – così dicono – voleva ingenuamente andare alle elezioni anticipate per incassare il suo 34% di consensi raggiunto tra elezioni Europee in quei mesi del 2019. Piano questo, passato alle cronache col nome di «Papeete». Secondo una leggenda metropolitana ancora udibile fra i militanti, Salvini sarebbe stato ingannato dal PD, il quale gli aveva promesso di andare a elezioni anticipate se fosse caduto il governo Conte I. Invece il PD formò il governo Conte II col Movimento 5 Stelle. E Salvini sarebbe rimasto con in mano la dinamite a miccia accesa come il Willy il Coyote dei cartoni animati.
Stranamente, quindi, non fecero andare alle elezioni Salvini per incassare il 34% dei voti del momento. Salvini fu sedotto e abbandonato, altra commedia, più antica.
Non insinueremo qui niente di relativo alla circostanza per cui il Movimento di Beppe Grillo accettò per la prima volta di formare un governo col Pd proprio nei giorni in cui era emersa – ancora non del tutto uscita sulla stampa – la oscura vicenda del figlio, coinvolto nel presunto stupro di una ragazza in Sardegna, un processo che peraltro si protrae da 3 anni. Non faremo mai insinuazioni sull’argomento. Cose che fecero invece alcuni malfidenti italiani e Vittorio Sgarbi.
Dopo solo 3 mesi di vita il governo Conte II si trovò a gestire a sorpresa (?) l’arrivo della pandemia COVID.
Iniziarono col Governo Conte II le prime restrizioni alla libertà nella storia della Repubblica Italiana: lockdown, confinamenti e lasciapassare. Pazienti lasciati in isolamento senza poter vedere i parenti; decessi senza funerali, autopsie proibite, un virus mortale da contrastare con Tachipirina e vigile attesa. Aziende e scuole chiuse, smart working e sostegni (“ristori”) dello Stato pari al valore di un giropizza.
In questo contesto la Lega iniziò a sguazzare subito dopo la prima ondata; eravamo verso giugno 2020.
Lo slogan della Lega era «riaperture» e «basta mascherine». Tutti ci ricordiamo quel Salvini che andava in pubblico ostentando la mancanza di mascherina. Era il Capitano anti-mascherina che si atteggiava a Zorro pandemico.
Effettivamente sarebbe stato uno scenario da cavalcare notevole per prendere consensi: ti ritrovi all’opposizione durante un’emergenza sanitaria nazionale in cui i tuoi avversari inseguono i runner sulle spiagge e mentre mandano in fallimento le partite IVA. Politicamente, una manna dal cielo.
Sempre per stare nell’analogia mosaica, diciamo che la Lega e Fratelli d’Italia si trovarono nel contesto più propizio dai tempi delle acque aperte nel Mar Rosso per travolgere gli avversari. Ora, per dimostrare l’esistenza della commedia della destra italiana, andiamo a vedere come – non solo non hanno approfittato del passaggio nel Mar Rosso –, ma come abbiano invece fornito agli avversari delle scialuppe di salvataggio. Fino ad arrivare alla scialuppa più grande: il Governo Meloni.
Proprio quando la pressione della destra sul governo Conte II portò alle dimissioni dell’esecutivo, la Lega scelse di entrare nel governo Draghi a inizio 2021.
Una volta indebolito e affossato il governo pandemista Conte bis, infatti la Lega cambiò posizione ed entrò nel governo iper-pandemista Draghi. L’unico Ministro chiave rimasto invariato dal governo precedente fu, non a caso, Speranza. E la Lega ha regolarmente votato tutte le misure relative a green pass, lockdown e obblighi vaccinali.
Durante il Governo Draghi è rimasta all’opposizione soltanto Fratelli d’Italia. Certo, per quanto si possa definire opposizione quella di FdI sull’agenda Draghi. Di fatto FdI ha sempre mantenuto una posizione di tacito consenso sulle misure vaccinali e sul green pass.
Tanto che – come altre volte ricordato su Renovatio 21 – la Meloni non ha mai nemmeno lontanamente pensato di relazionarsi alle proteste no-pass. Milioni di voti potenziali, lasciati inspiegabilmente alla deriva dall’unico partito di opposizione. Il caso più emblematico fu la separazione coatta tra il comizio di FdI in Duomo a Milano e i manifestanti no green pass che venivano dall’attigua Piazza Fontana, luogo di concentramento della protesta che montava ogni sabato nel capoluogo lombardo.
Nel frattempo i sondaggi continuavano a dare la Lega in calo, proprio a causa del supporto al Governo Draghi. Mentre gli stessi davano i consensi di FdI in salita. Fino ad arrivare all’esito delle ultime elezioni.
Dove la Lega è finita ad avere il 9% dei voti e il travaso si è compiuto. In fin dei conti, sommati, si tratta sempre di quel 34 % che nell’Agosto 2019 Salvini vantava a torso nudo al Papeete.
Noi – davanti a un piano apparentemente tanto demenziale – ipotizzammo che i ragazzi della Lega fossero in realtà degli strateghi geniali: magari volevano soltanto eleggere un Presidente della Repubblica nel 2022. Il piano sarebbe stato potente e lo scrivemmo su queste colonne. Purtroppo non accadde nulla di tutto questo. E fecero rieleggere Sergio Mattarella.
Ora, se vedessimo un imprenditore che deliberatamente causa perdite nei propri bilanci aziendali senza nessuna logica dimostrabile di investimento per il futuro, scatterebbe il sospetto di frode fiscale o bancarotta fraudolenta
Nel caso dei partiti politici non esiste alcuna ipotesi di reato nel perdere deliberatamente i propri consensi; esistono però le ipotesi di commedia. Nel caso presente l’ipotesi di commedia ci porta proprio a oggi.
Ebbene, arrivati a febbraio 2022 con milioni di italiani che non potevano prendere i mezzi pubblici o lavorare senza una vaccinazione sperimentale, subentra nello scenario internazionale il conflitto in Ucraina.
Anche in questo caso, la posizione assunta dal governo Draghi con le sanzioni provoca danni immediati al principale elettorato storico della Lega: le partite IVA. Inoltre, è impossibile non prevedere i danni certi ed immani nel medio termine a causa dell’interruzione delle forniture di gas russo.
Eppure la Lega – anche in questa circostanza – non batte ciglio. Continua a guidare la propria macchina verso il precipizio dei consensi.
Per quanto riguarda Fratelli d’Italia, la rispettiva posizione risulta nel contesto meno paradossale: sebbene sostenesse le stesse posizioni atlantiste che danneggiano il proprio elettorato; era infatti consapevole di essere in continua crescita dei consensi: i consensi stavano venendo travasati dalla Lega a FdI. Questo era risaputo dal 2021 al punto che ne scriveva pure la stampa nazionale.
E arriviamo all’ultimo e più grande favore, che la Lega e Fratelli d’Italia con Forza Italia potessero fare al governo Draghi: farlo cadere durante l’estate 2022 anziché attendere le elezioni prevista nel marzo 2023. O, meglio, prestarsi al racconto secondo cui Draghi sarebbe stato sfiduciato. Quando invece, come osservarono alcuni, era palesemente Draghi che stava tagliando la corda prima dell’autunno.
Che le scelte della Lega e di FdI siano state operate contro il loro stesso interesse, assume qui un livello che si può spiegare solo con l’esistenza di una recita in atto, di cui è eseguito consapevolmente un copione.
La Lega e FdI hanno scelto di togliere le castagne dal fuoco lasciate dal governo Draghi (caldarroste che la Lega ha direttamente contribuito a scaldare). Che strani questi sovranisti.
Non è invece strana la posizione di Forza Italia, dato che già in piena pandemia Berlusconi venne riesumato e definito «statista» da figure come Romano Prodi su Il Messaggero proprio perché, oltre a poter fornire voti presidenziali, si prestava a fare da ago della bilancia in uno scenario dove il dissenso della popolazione tendeva ad andare fuori controllo e dove potevano servire almeno i voti di Forza Italia per formare un governo Draghi con PD e i pezzi del M5S.
La posizione di Lega ed FdI è, in apparenza, invece indecifrabile. Dopotutto si sarebbe trattato di attendere fino a marzo 2023 per incassare il malcontento dovuto ai razionamenti di gas in arrivo, alla contrazione dell’economia e –chissà – magari un altro inverno con green pass. Questo avrebbe polverizzato interamente per un intero ciclo politico le forze politiche della cosiddetta «maggioranza Ursula», cioè l’apparato europeista che ha come suo garante il Partito Democratico e i vertici dello Stato.
Ma non basta. Non solo la coalizione della Meloni ha fatto questo favore al partito Ursula-Draghi dandogli una via di fuga prima che pagasse le conseguenze delle proprie scelte – unico caso nella storia di elezioni a settembre e campagna elettorale estiva . No, la coalizione della Meloni ha anche accettato di prendere il timone della nave lanciata contro l’iceberg; e proprio i sovranisti al governo resteranno segnati come responsabili dell’impatto. L’iceberg è in vista. L’impatto è inevitabile.
Lo possiamo vedere da alcuni giorni: la stampa nazionale –più si avvicina il passaggio delle consegne – più inizia a parlare apertamente di recessione e crisi energetica totale. Argomenti che erano tabù durante il regime dei «migliori» guidato da Draghi.
In conclusione, possiamo anche osservare che il piano di Reset che coinvolge l’Italia dal 2020, non sarebbe stato possibile senza poter contare sull’esistenza di un’opposizione fittizia che si presta a fare la sua parte nel grande copione.
Nessuno accetterebbe di guidare una nave contro un iceberg pensando poi di farla franca, a meno che non vi sia qualche mozzo che prenda il timone negli ultimi istanti, un capro espiatorio sintetico a cui affibbiare tutta la responsabilità. E nel contesto italiano i mozzi, le utili comparse del filmetto, sono proprio i sedicenti sovranisti.
L’unica strategia che presunte forze sovraniste avrebbero potuto e dovuto seguire per proteggere l’Italia sarebbe stata quella di dire «non prenderemo mai il timone, finché non vi schianterete. Quindi, fate ben attenzione a non schiantarvi».
Solo questa strategia avrebbe avuto margine strategico nell’attenuare le pressioni straniere alle quali è sottoposta l’Italia.
Il solo modo per proteggere l’Italia sarebbe insomma stato quello di rimanere fuori dal governo Draghi (questo vale per la Lega) ed evitare di formare alcuna coalizione alle elezioni, anticipate o meno che fossero.
Il Partito Democratico questo forse lo ha capito molto bene e infatti ha seguito proprio questa strategia per lasciare alla Meloni il maggior numero possibile di seggi: il PD potrebbe aver fatto finta di non avere trovato un accordo con Azione; e su città come Roma avremmo trovato duelli come quello tra Bonino e Calenda. La strategia della sinistra nello scenario presente potrebbe aver emanato l’ordine defilarsi e lasciare seggi alla coalizione della Meloni. Che lo schianto se lo gestisca lei.
Dopotutto, senza la disponibilità di utili timonieri dell’ultimo minuto, come avrebbero fatto gli amici di Ursula a far schiantare l’Italia senza con ciò prendersene tutte le responsabilità?
Il partito Ursula ha potuto pianificare l’impatto solo perché contava su qualche gonzo che prendesse il timone, dandogli la possibilità di defilarsi.
Tornando al governo Draghi, vediamo come senza la Lega esso non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto: se la Lega fosse rimasta fuori dal Governo e avesse anche solo fatto l’occhiolino ai dissidenti no-pass, molto di quanto accaduto sarebbe accaduto diversamente, o forse nemmeno sarebbe accaduto.
A maggior ragione se la Lega si fosse associata a FdI all’opposizione.
La cosa più curiosa rimarrebbe spiegare come facciano i sovranisti di casa nostra (sovranisti atlantisti, ça va sans dire) a non sospettare di essere il prossimo capro espiatorio; voglio dire, quando leggi le previsioni di recessione e ti votano al Senato i colleghi del Pd, non ti viene il dubbio?
Pensano forse di avere qualche margine di manovra? Davvero? Tipo siglare una pace indipendente dalla NATO con la Russia e farsi mandare il gas attraverso il continente tramite palloncini da compleanno?
Oppure, chissà, magari hanno già accettato di svolgere un preciso mandato. Quello che Renovatio 21 ha ipotizzato come quello di un governo della Repressione.
A quel punto, la commedia finisce. Iniziano le botte. Il dolore. La povertà. Il freddo. Ancora botte.
Tutto un altro film. Anche quello, però, ha un copione. E degli attori che volentieri lo realizzano.
Gian Battista Airaghi
Immagine di Photo2021 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0); immagine modificata
Pensiero
Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.
L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.
Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.
Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.
Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.
Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.
Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.
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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.
Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.
Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.
Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.
Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.
I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.
Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».
Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.
Patrizia Fermani
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Pensiero
Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Pensiero
La questione di Heidegger

Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».
Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».
Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.
Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.
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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.
Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.
L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.
Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.
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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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