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Geopolitica

La Nuova Alleanza Africana rifiuta l’ECOWAS

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Un giorno prima dell’apertura del vertice della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), previsto per il 7 luglio, i governanti militari di Burkina Faso, Mali e Niger hanno firmato un nuovo patto di difesa durante il vertice di Niamey, in Niger. Lo ha riportato Reuters.

 

La confederazione si chiama Alleanza degli Stati del Sahel (AES) ed è stata annunciata per la prima volta lo scorso settembre; i tre Paesi si sono ritirati dall’ECOWAS nel gennaio 2024.

 

Il patto prevede di sostenersi a vicenda contro la ribellione armata o l’aggressione esterna. I colpi di Stato avvenuti negli ultimi anni in una mezza dozzina di nazioni del Sahel, compresi nei tre paesi del periodo 2020-2023, si sono liberati dai legami militari e diplomatici con molti alleati regionali e potenze occidentali.

 

Questo è il primo vertice dell’AES e segnala un più stretto allineamento tra i vicini del Sahel centrale e un colpo devastante per la Francia colonialista e i suoi sostenitori a Londra e Washington.

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«Il leader militare del Niger, generale Abdourahamane Tchiani, ha descritto il vertice dell’AES come “il culmine della nostra determinata volontà comune di rivendicare la nostra sovranità nazionale”» ha scritto Reuters. «La formalizzazione del trattato per istituire una confederazione conferma il rifiuto da parte di Niger, Mali e Burkina Faso della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) composta da 15 membri… che sperava di persuadere i tre a riconsiderare la loro decisione di gennaio di lasciare il blocco».

 

«”I nostri popoli hanno irrevocabilmente voltato le spalle all’ECOWAS”, ha detto [il generale del Niger Abdourahmane Tiani] in un discorso. “Spetta a noi oggi rendere la Confederazione AES un’alternativa a qualsiasi gruppo regionale artificiale costruendo… una comunità libera dal controllo delle potenze straniere”».

 

In un comunicato diffuso dopo il vertice, i Paesi hanno affermato di aver concordato di coordinare le azioni diplomatiche, creare una banca di investimento AES e un fondo di stabilizzazione e unire le proprie risorse per avviare progetti in settori strategici tra cui l’estrazione mineraria, l’energia e l’agricoltura. «I capi di Stato “hanno accolto con favore il loro ritiro irrevocabile e senza indugio dall’ECOWAS”, si legge”».

 

Deutsche Welle ha anche citato il leader del Burkina Faso, il capitano Ibrahim Traoré, che accusa i Paesi occidentali di sfruttare l’Africa.

 

«Gli occidentali ritengono che noi apparteniamo a loro e che anche la nostra ricchezza appartiene a loro. Pensano che siano loro a dover continuare a dirci cosa è bene per i nostri Stati. Quest’era è finita per sempre; le nostre risorse rimarranno per noi e per le nostre popolazioni», ha affermato Traoré. «”L’attacco a uno di noi sarà un attacco a tutti gli altri membri”, ha detto anche il leader del Mali, colonnello Assimi Goïta».

 

L’alleanza era in preparazione da diverso tempo.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato, quando vi fu il golpe in Niger, l’ECOWAS minacciò plurime volte l’invasione, e il presidente Macron dichiarò che la Francia era pronte a sostenere l’azione militare. Nel frattempo, Mali e Niger hanno annullato gli accordi con Parigi, e il Burkina Faso è arrivato ad abbandonare il francese come lingua ufficiale.

 

Contro l’intervento armato dell’ECOWAS si schierarono i vescovi dell’Africa Occidentale.

 

I Paesi del Sahel si sono trovati ad affrontare una improvvisa recrudescenza dell’attività terroristica.

 

Come riportato da Renovatio 21, i servizi segreti russi dissero che gli USA stavano considerando di assassinar ei leader golpisti nigerini.

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Immagine di U.S. Army Southern European Task Force, Africa via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0

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Geopolitica

Orban: l’UE annega nella corruzione

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L’UE continua a rivendicare la sua «superiorità morale» nonostante sia «annegata» nella corruzione, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orban, accusando Bruxelles e Kiev di proteggersi a vicenda dagli scandali di corruzione.   Venerdì Orban ha attaccato duramente la leadership dell’UE in un’intervista a Kossuth Radio, evocando l’ultimo scandalo di corruzione che ha colpito l’Unione all’inizio di questa settimana. La Procura europea (EPPO) ha formalmente accusato tre sospettati di alto profilo, tra cui l’ex responsabile della politica estera dell’Unione e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini, di frode, corruzione, conflitto di interessi e violazione del segreto professionale.   Il primo ministro ungherese ha tracciato parallelismi tra la vicenda e la serie di scandali di corruzione che hanno colpito l’Ucraina, tra cui il sistema di tangenti da 100 milioni di dollari legato alla cerchia ristretta di Volodymyr Zelens’kjy. Nonostante lo scandalo, Bruxelles ha cercato di ottenere 135 miliardi di euro per sostenere Kiev nel corso del prossimo anno.

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L’UE non è riuscita a fornire una risposta adeguata allo scandalo di corruzione in Ucraina, ha affermato Orban, accusando la leadership dell’Unione di voler coprire Kiev. «L’UE sta annegando nella corruzione. I commissari sono accusati di gravi reati, la Commissione e il Parlamento sono travolti dallo scandalo, eppure Bruxelles continua a rivendicare la superiorità morale. La corruzione in Ucraina dovrebbe essere denunciata dall’UE, ma ancora una volta è la solita vecchia storia: Bruxelles e Kiev si proteggono a vicenda invece di affrontare la verità», ha scritto Orban su X, condividendo un estratto dell’intervista.   Le sue osservazioni seguono le dichiarazioni rilasciate all’inizio di questa settimana dal ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che ha accusato l’UE di essere riluttante a denunciare la corruzione ucraina «perché anche Bruxelles è costellata da una rete di corruzione simile».   «Nessuno ha chiesto conto agli ucraini delle centinaia di miliardi di euro di aiuti dell’UE dopo che è stato rivelato che in Ucraina si stava verificando corruzione ai massimi livelli statali», ha detto lo Szijjarto ai giornalisti, aggiungendo che il denaro dei contribuenti europei finisce in ultima analisi nelle «mani di una mafia di guerra».  

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Immagine di European People’s Party via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Geopolitica

Per gli USA ora la normalizzazione delle relazioni con la Russia è un «interesse fondamentale»

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Gli Stati Uniti hanno indicato il rilancio dei rapporti normali con la Russia e l’interruzione rapida della guerra in Ucraina come priorità assolute nella loro nuova Strategia per la sicurezza nazionale, diffusa venerdì dalla Casa Bianca, ponendoli tra gli obiettivi cardine per gli interessi americani.

 

Il documento di 33 pagine delinea la prospettiva di politica estera delineata dal presidente Donald Trump, affermando che «è un interesse essenziale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina», al fine di «stabilizzare le economie europee, scongiurare un’escalation o un allargamento imprevisto del conflitto e ricostruire la stabilità strategica con la Russia».

 

Si evidenzia come il conflitto ucraino abbia «profondamente indebolito le relazioni europee con la Russia», minando l’equilibrio regionale.

 

Il testo rimprovera i dirigenti europei per le «aspettative irrealistiche» sull’evoluzione della guerra, precisando che «la maggioranza degli europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle politiche adottate».

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Washington, prosegue il rapporto, è disposta a un «impegno diplomatico sostanziale» per «supportare l’Europa nel correggere la sua rotta attuale», reinstaurare l’equilibrio e «ridurre il pericolo di scontri tra la Russia e gli Stati europei».

 

A differenza della strategia del primo mandato di Trump, che accentuava la rivalità con Russia e Cina, la versione attuale sposta l’asse sull’emisfero occidentale e sulla tutela del suolo patrio, dei confini e delle priorità regionali. Esorta a riallocare le risorse dai fronti remoti verso minacce più immediate e invita la NATO e i Paesi europei a farsi carico in prima persona della propria sicurezza.

 

Il documento invoca inoltre l’arresto dell’espansione della NATO, una pretesa a lungo avanzata da Mosca, che la indica come una delle ragioni principali del conflitto ucraino, interpretato come una guerra per interposta persona orchestrata dall’Occidente.

 

In sintesi, la strategia segna un passaggio dall’interventismo universale a un approccio estero più pragmatico e contrattuale, sostenendo che gli Stati Uniti debbano intervenire oltre i propri confini solo quando gli interessi nazionali sono direttamente coinvolti.

 

Si tratta del primo di una sequenza di rilevanti atti su difesa e politica estera che l’amministrazione Trump si accinge a emanare, tra cui una Strategia di Difesa Nazionale rivista, la Revisione della Difesa Missilistica e la Revisione della Postura Nucleare, tutti attesi in linea con l’impostazione del documento.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Geopolitica

Israele potrebbe iniziare a deportare gli ucraini

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Decine di migliaia di rifugiati ucraini in Israele rischiano la deportazione entro la fine del prossimo mese, a causa del protrarsi del ritardo governativo nel rinnovare il loro status legale. Lo riporta il quotidiano dello Stato Giudaico Haaretz.   La tutela collettiva offerta a circa 25.000 ucraini in seguito all’aggravarsi del conflitto in Ucraina nel 2022 necessita di un’estensione annuale, ma gli attuali permessi di soggiorno scadono a dicembre.   Tuttavia, Israele non si è dimostrato particolarmente ospitale verso molti di questi migranti, in particolare quelli non eleggibili alla «Legge del Ritorno», una legge fondamentale dello Stato di Israele implementata dal 1950che garantisce a ogni ebreo del mondo il diritto di immigrare in Israele e ottenere la cittadinanza, basandosi sul legame storico e religioso del popolo ebraico con la Terra Promessa. Secondo i resoconti dei media locali, gli ucraini non ebrei ottengono spesso solo una protezione provvisoria, devono fare i conti con norme d’ingresso stringenti e sono esclusi dalla residenza permanente o dagli aiuti sociali, finendo intrappolati in un limbo legale ed economico.

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In carenza di un ministro dell’Interno ad interim, la competenza su tale dossier è passata al premier Benjamino Netanyahu, ma una pronuncia non è ancora arrivata, ha precisato Haaretz.   L’Autorità israeliana per la Popolazione e l’Immigrazione ha indicato che la pratica è in esame e che una determinazione verrà comunicata a giorni, ha aggiunto il giornale.   Anche nell’Unione Europea, l’assistenza ai profughi ucraini è messa alla prova, con vari esecutivi che stanno tagliando i piani di supporto per via di vincoli di bilancio. Dati Eurostat mostrano un recente incremento degli arrivi di maschi ucraini in età da leva nell’UE, in scia alla scelta del presidente Volodymyr Zelens’kyj di allentare i divieti di espatrio per la fascia 18-22 anni. Tale emigrazione continua di uomini abili al reclutamento sta acutizzando le già critiche carenze di forza lavoro in Ucraina.   Germania e Polonia, i due Stati membri che accolgono il maggior numero di ucraini, hanno di recente varato restrizioni sui sussidi, malgrado un calo del consenso popolare.   Il presidente polacco Karol Nawrocki ha annunciato il mese scorso che non rinnoverà gli aiuti sociali per i rifugiati ucraini oltre il 2026. A quanto pare, l’opinione pubblica polacca sui profughi ucraini si è inasprita dal 2022, per via di frizioni sociali e del diffondersi dell’idea che rappresentino un peso o una minaccia criminale.   Quest’anno, i giovani ucraini hanno provocato quasi 1.000 interventi delle forze dell’ordine per scontri, intossicazione alcolica e possesso di armi non letali in un parco del centro di Varsavia, ha rivelato all’inizio della settimana Gazeta Wyborcza.   Una sorta di cecità selettiva, o di compiacenza, di Tel Aviv nei confronti del neonazismo ucraino pare emergere anche da dichiarazioni dell’ambasciatore dello Stato Ebraico a Kiev, che ha detto di non essere d’accordo con il fatto che Kiev onori autori dell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale come eroi nazionali, tuttavia rassicurando sul fatto che tale disputa non dovrebbe rappresentare una minaccia per il sostegno israeliano al governo ucraino.

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Secondo un articolo del Washington Post, circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbero fuggiti dal Paese dall’inizio del conflitto con la Russia.   Come riportato da Renovatio 21le pressioni dell’amministrazione Biden su Tel Aviv per la fornitura di armi a Kiev risale ad inizio conflitto.   Tre anni fa l’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev aveva messo in guardia Israele dal fornire armi all’Ucraina in risposta alle affermazioni secondo cui l’Iran sta vendendo missili balistici e droni da combattimento alla Russia.   Israele a inizio 2022 aveva rifiutato la vendita di armi cibernetiche all’Ucraina o a Stati, come l’Estonia, che potrebbero poi rivenderle al regime Zelens’kyj.  

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Immagine di Spokesperson unit of the President of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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