Il modello occidentale, fondato su capitalismo e democrazia, non riesce più né a difendere l’interesse generale né a garantire la sovranità popolare. Sommati, questi due fallimenti sono gl’ingredienti di una rivoluzione generalizzata.
Geopolitica
La caduta del modello occidentale
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21
La crisi del capitalismo
La crisi dell’Occidente è storicamente iniziata con la crisi del capitalismo americano del 1929. All’epoca, la maggior parte dei libri e dei giornali affermavano che la concentrazione del capitale, bloccando la concorrenza in molti settori, avrebbe reso sterile l’economia.
La crisi dell’Occidente è storicamente iniziata con la crisi del capitalismo americano del 1929. All’epoca, la maggior parte dei libri e dei giornali affermavano che la concentrazione del capitale, bloccando la concorrenza in molti settori, avrebbe reso sterile l’economia
Mentre negli Stati Uniti imperversava la fame, per uscire dall’impasse economico la stampa dell’epoca proponeva tre modelli politici:
- il leninismo, ossia la nazionalizzazione di tutti i mezzi di produzione, correndo il rischio di stroncare ogni iniziativa individuale;
- il fascismo dell’ex rappresentante di Lenin in Italia, Benito Mussolini, che non voleva combattere la concentrazione del capitale, ma organizzarlo in corporazioni, così correndo il rischio di far perdere ai salariati ogni possibilità di resistere a datori di lavoro senza scrupoli;
- il progressismo di Franklin Roosevelt, secondo cui l’economia poteva essere rilanciata dalla tecnologia, purché si ripristinasse la concorrenza attraverso lo smantellamento delle grandi società (dottrina di Simon Patten).
Mentre negli Stati Uniti imperversava la fame, per uscire dall’impasse economico la stampa dell’epoca proponeva tre modelli politici: leninismo, fascismo, progressismo
Lo stesso Lenin non poté che constatare il fallimento, in un periodo di guerra civile, della propria teoria economica. Perciò liberalizzò il commercio estero e persino autorizzò in Unione Sovietica alcune imprese private (la Nuova Politica Economica – NEP). Il fascismo poté affermarsi solo a prezzo di una terribile repressione. Fu spazzato via dalla seconda guerra mondiale. Il progressismo divenne invece la regola fino agli anni Ottanta, allorquando fu contestato dalla deregolamentazione di Donald Reagan e Margaret Thatcher.
Anche il quarto modello, la deregolamentazione appunto, è stato rimesso in discussione dalla rovina delle classi medie, vittime della globalizzazione.
Il presidente Bush padre pensò che con la sparizione dell’URSS la ricerca della prosperità si sarebbe sostituita alla rivalità militare tra Washington e Mosca. Autorizzò alcune società USA a stringere alleanza con il Partito Comunista Cinese e a delocalizzare fabbriche sulle coste della Cina.
Anche il quarto modello, la deregolamentazione appunto, è stato rimesso in discussione dalla rovina delle classi medie, vittime della globalizzazione
La formazione dei lavoratori autoctoni era carente, ma la manodopera costava venti volte meno di quella statunitense. Queste società accumularono profitti colossali, che consentirono loro d’imporre in alcuni settori una concentrazione molto più forte di quella del ‘29. Per di più, queste società trassero la parte più cospicua dei profitti non già dalla produzione di beni e servizi, ma dalla liquidità. La natura del capitalismo cambiò di nuovo: da produttivo divenne finanziario.
Oggi i lavoratori cinesi, adeguatamente formati, costano quanto i lavoratori statunitensi, sicché le delocalizzazioni ora danneggiano il Paese che le mette in atto verso il Vietnam e l’India. Si è tornati al punto di partenza.
Le società USA, che avevano iniziato a delocalizzare i posti di lavoro in Cina e a trasformare le imprese in attività puramente finanziarie, sono riuscite ad amalgamare ideologia della «globalizzazione economica» e mondializzazione dell’uso di nuove tecnologie; due concezioni che però non possono andare di pari passo. Infatti le nuove tecnologie possono essere utilizzate ovunque nel mondo, ma non possono esserlo nel medesimo tempo, in quanto richiedono energia e materie prime.
Queste società trassero la parte più cospicua dei profitti non già dalla produzione di beni e servizi, ma dalla liquidità. La natura del capitalismo cambiò di nuovo: da produttivo divenne finanziario
L’economia americana ha perciò convinto il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld a dividere il mondo in due parti: da un lato la zona di consumo globale, avente per epicentro USA, Russia e Cina; dall’altro la zona che possiede le risorse necessarie ad alimentare la prima.
Il Pentagono decise perciò di distruggere le strutture statali del Medio Oriente Allargato, per privare le popolazioni della regione dei mezzi per opporre resistenza; George W. Bush chiamò l’operazione «guerra senza fine». E guerre infinite iniziarono davvero in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen; ogni volta per ragioni diverse, ma sempre con gli stessi aggressori, i jihadisti.
Nel 2017 Donald Trump e Xi Jinping decisero contemporaneamente di contrastare il fenomeno: il primo con il nazionalismo protezionista, il secondo con il nazionalismo economico.
La riforma fiscale di Trump, il Border Ajustment Act, prevedeva di liberalizzare le esportazioni e di tassare al 20% le importazioni; fu però respinta dal Congresso. Xi Jinping, nel corso del XIX Congresso del PCC, creò invece un organo per controllare la conformità degli obiettivi delle imprese a quelli della nazione, il Fronte Unito. Nel consiglio di amministrazione delle grandi imprese cinesi ora siede un rappresentante dello Stato.
Le società USA, che avevano iniziato a delocalizzare i posti di lavoro in Cina e a trasformare le imprese in attività puramente finanziarie, sono riuscite ad amalgamare ideologia della «globalizzazione economica» e mondializzazione dell’uso di nuove tecnologie
Lo smacco del progetto fiscale indusse Trump a tentare di ottenere i medesimi vantaggi economici dichiarando una guerra dei dazi alla sola Cina. Il PCC reagì cercando di espandere il mercato interno, nonché d’indirizzare il surplus di produzione verso l’Europa, che ne pagò immediatamente il prezzo. Come sempre accade quando i governanti non sono attenti all’indigenza della popolazione, il problema economico causa una crisi politica.
La crisi della democrazia
Diversamente da un luogo comune, che scaturisce dall’apparenza delle cose, all’origine delle rivoluzioni non c’è la scelta di un nuovo regime politico, bensì la difesa d’interessi collettivi, che in epoca moderna si connotano sempre di patriottismo. Chi si rivolta è convinto, a torto o a ragione, che chi governa sia al servizio d’interessi stranieri e quindi non sia più un alleato, ma un nemico.
L’ordine mondiale che s’impose dopo la seconda guerra mondiale era supposto servire l’interesse generale, sia nel caso avesse forma democratica sia fosse la dittatura del proletariato. Tuttavia, in Stati non sovrani, che appartenevano alla NATO o al Patto di Varsavia, il sistema non poteva funzionare a lungo. A un dato momento i dirigenti di questi Stati sono stati indotti a tradire il popolo e a servire il proprio sovrano, USA o URSS.
Il sistema fu accettato per il tempo in cui, a torto o a ragione, fu giudicato indispensabile per vivere in pace. Una ragione oggi venuta meno. La NATO però è ancora lì, benché priva di legittimità.
All’origine delle rivoluzioni non c’è la scelta di un nuovo regime politico, bensì la difesa d’interessi collettivi, che in epoca moderna si connotano sempre di patriottismo. Chi si rivolta è convinto, a torto o a ragione, che chi governa sia al servizio d’interessi stranieri e quindi non sia più un alleato, ma un nemico
La NATO, sorta di Legione Straniera di Stati Uniti e Regno Unito, ha concepito e creato quel che è divenuta l’Unione Europea.
In un primo momento lo scopo era ancorare l’Europa dell’Ovest al campo Occidentale. Oggi invece l’Unione Europea subordina nei trattati la propria Difesa alla NATO.
In pratica, per i popoli dell’UE l’Alleanza del Nord Atlantico è l’elemento militare di un insieme di cui l’UE è l’elemento civile. La NATO impone norme, fa costruire infrastrutture e si fa finanziare attraverso istituzioni opache. Tutto questo viene tenuto nascosto alle popolazioni dei Paesi dell’Unione, cui viene spiegato, per esempio, che il parlamento europeo vota le leggi, mentre non fa che ratificare testi della NATO presentati dalla Commissione.
La NATO, sorta di Legione Straniera di Stati Uniti e Regno Unito, ha concepito e creato quel che è divenuta l’Unione Europea. Oer i popoli dell’UE l’Alleanza del Nord Atlantico è l’elemento militare di un insieme di cui l’UE è l’elemento civile. Tutto questo viene tenuto nascosto alle popolazioni dei Paesi dell’Unione, cui viene spiegato, per esempio, che il parlamento europeo vota le leggi, mentre non fa che ratificare testi della NATO presentati dalla Commissione
Non c’è dubbio che, benché lo subiscano senza reagire, i cittadini non accettino simile ordine: mai hanno smesso di opporsi all’idea di una Costituzione europea.
Parallelamente, il concetto di democrazia è stato profondamente trasformato.
Non si tratta di garantire il «potere del popolo», ma di sottostare allo «Stato di diritto»; due concetti inconciliabili. Ora i magistrati, in vece del popolo, decidono chi ha il diritto di rappresentarlo e chi no. Un trasferimento di sovranità dai popoli ai sistemi giudiziari indispensabile per consentire l’effettivo dominio degli anglosassoni sui Paesi della UE. Da qui l’accanimento di Bruxelles a voler imporre lo «Stato di diritto» a Polonia e Ungheria.
La rivolta
Negli Stati Uniti il crollo del livello di vita subito dalla gente comune con Barack Obama ha portato all’elezione di Donald Trump. In Europa l’accelerazione delle delocalizzazioni, conseguenza della guerra dei dazi tra USA e Cina, ha prodotto in Francia il movimento dei Gilet Gialli.
Nelle prime settimane del movimento, questa rivolta popolare si è in particolare concretizzata nella rivendicazione del Referendum d’Iniziativa Popolare – RIC – di Étienne Chouard.
Riassumendo, l’attuale rivolta è frutto sia di tre quarti di secolo di dominazione anglosassone sui Paesi membri dell’Unione Europea sia dell’iperconcentrazione del capitale globalizzato
Una ribellione che si può collocare nel solco della candidatura alla presidenza della repubblica francese del 1981 del comico Coluche («Tous ensemble pour leur foutre au cul», «Tutti insieme per fotterli in culo») e delle manifestazioni del comico italiano Beppe Grillo nel 2007 («Vaffanculo»). L’ironia s’accompagna progressivamente a una collera sempre più forte e oscena.
Bisogna essere consapevoli che il rifiuto della dominazione militare USA è precedente al rifiuto della globalizzazione economica, ma è quest’ultima ad aver dato il via alla rivolta. Bisogna altresì distinguere le rivendicazioni patriottiche dei Gilet Gialli, bandiera nazionale in testa, da quelle dei trotskisti che hanno rapidamente preso il controllo del movimento e l’hanno deviato, attaccando simboli della nazione e vandalizzando l’Arco di Trionfo, nonché la statua della Marsigliese.
Riassumendo, l’attuale rivolta è frutto sia di tre quarti di secolo di dominazione anglosassone sui Paesi membri dell’Unione Europea sia dell’iperconcentrazione del capitale globalizzato. Queste due crisi sommate formano una bomba a scoppio ritardato che, se non disinnescata, esploderà a danno di tutti. La ribellione ha ora reale coscienza del problema, ma non ancora la maturità necessaria per impedire ai governanti europei di neutralizzarla.
Queste due crisi sommate formano una bomba a scoppio ritardato che, se non disinnescata, esploderà a danno di tutti. La ribellione ha ora reale coscienza del problema, ma non ancora la maturità necessaria per impedire ai governanti europei di neutralizzarla
Senza nemmeno cercare soluzioni, costoro sperano di beneficiare dei propri privilegi il più a lungo possibile, senza assumersi responsabilità. In questo modo non hanno scelta: o spingere alla guerra o rischiare di essere rovesciati con grande violenza.
Thierry Meissan
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «La caduta del modello occidentale», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 21 ottobre 2020.
Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Geopolitica
Orban: il piano dell’UE per rubare i beni russi costituisce una «dichiarazione di guerra»
Qualsiasi tentativo da parte dell’Unione Europea di confiscare i fondi russi congelati senza l’approvazione di Budapest e in contrasto con il diritto europeo rappresenterebbe una «dichiarazione di guerra», ha dichiarato il primo ministro ungherese Viktor Orban.
La settimana scorsa, l’UE ha approvato il mantenimento a tempo indeterminato del congelamento dei beni della banca centrale russa, ricorrendo a poteri di emergenza per bypassare il requisito di unanimità, nonostante le opposizioni di alcuni Stati membri.
La Commissione Europea, guidata dalla presidente Ursula von der Leyen, intende impiegare i circa 210 miliardi di euro per finanziare un «prestito per riparazioni» destinato a Kiev, un’iniziativa contrastata da vari Paesi, inclusi Ungheria e Slovacchia. La Russia ha definito illegale il congelamento e ha qualificato come «furto» qualsiasi impiego dei fondi, minacciando ripercussioni economiche e legali.
In un post sui social media, Orban ha affermato sabato che i responsabili UE stanno tentando di appropriarsi dei beni russi congelati «aggirando l’Ungheria» e «violando il diritto europeo alla luce del sole», un’azione che, secondo lui, equivarrebbe a una «dichiarazione di guerra», accusando Bruxelles di protrarre il conflitto, precisando che l’Ungheria «non parteciperà» a quello che ha descritto come uno schema «contorto».
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«Non ho mai visto un sequestro di 200-300 miliardi di euro da parte di un Paese che non abbia provocato qualche tipo di reazione», ha aggiunto lo Orban.
Secondo il premier ungherese, «sono tre i tedeschi a comandare». Ha puntato il dito contro il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il capogruppo del Partito Popolare Europeo Manfred Weber e von der Leyen, rei di aver guidato l’UE «in un vicolo cieco» o «dritta contro un muro».
La proposta di voto avanzata da von der Leyen ha riqualificato la gestione dei beni russi congelati come emergenza economica anziché politica sanzionatoria, permettendo alla Commissione di applicare l’articolo 122 dei trattati UE per decidere a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così possibili veti.
Anche il Belgio, dove è custodita la maggior parte dei fondi, ha espresso riserve per i potenziali rischi legali e finanziari. Il congelamento indefinito è concepito in parte per esercitare pressione su Bruxelles e ottenere il suo appoggio al piano UE di utilizzo dei fondi russi.
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Immagine di Elekes Andor via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Trump annuncia attacchi terrestri in Venezuela «presto»
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Geopolitica
La Slovacchia «non sosterrà nulla» che contribuisca a prolungare il conflitto in Ucraina
Il primo ministro slovacco Robert Fico ha annunciato che la Slovacchia si opporrà a qualsiasi misura che permetta di impiegare i beni russi congelati per fornire armi all’Ucraina, mettendo in guardia sul fatto che ulteriori sostegni militari non farebbero che protrarre l’«insensata uccisione quotidiana di centinaia di migliaia di russi e ucraini».
In seguito all’escalation del conflitto nel 2022, gli alleati occidentali di Kiev hanno bloccato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, in gran parte depositati nell’UE. Da quel momento è divampata una disputa tra i Paesi intenzionati a usare tali fondi come collaterale per un «prestito di riparazione» a favore di Kiev e quelli che si oppongono fermamente. La decisione finale spetterà ai membri dell’UE nel voto previsto per la prossima settimana.
Fico, da sempre critico del piano, ha illustrato la propria posizione in dettaglio in una lettera inviata all’inizio della settimana al Presidente del Consiglio europeo António Costa. In un post su X pubblicato venerdì, ha riferito di aver poi avuto un colloquio telefonico con Costa, durante il quale ha ribadito il suo rifiuto all’invio di armi a Kiev. Fico ha dichiarato di aver avvertito che proseguire con i finanziamenti prolungherebbe le ostilità e accrescerebbe le vittime, mentre Costa «ha parlato solo di soldi per la guerra».
«Se per l’Europa occidentale la vita di un russo o di un ucraino non vale un cazzo, non voglio far parte di un’Europa occidentale del genere», ha affermato Fico. «Non appoggerò nulla, anche se dovessimo restare a Bruxelles fino al nuovo anno, che comporti il sostegno alle spese militari dell’Ucraina».
Today I held an almost hour-long phone conversation with the President of the European Council, A. Costa. I fully respect him, but while he spoke about money for the war in Ukraine, I kept repeating the senseless daily killing of hundreds to thousands of Russians and Ukrainians.… pic.twitter.com/0f9JiitWjG
— Robert Fico 🇸🇰 (@RobertFicoSVK) December 12, 2025
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Vari Stati membri dell’UE hanno manifestato riserve sul programma di prestiti, evidenziando rischi di natura legale e finanziaria. Secondo Politico, venerdì Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno sollecitato la Commissione europea a considerare opzioni alternative al sequestro degli asset, quali un meccanismo di prestito comunitario o soluzioni temporanee. Obiezioni sono arrivate anche da Ungheria, Germania e Francia.
Venerdì la Commissione Europea ha dato il via libera a una norma controversa che potrebbe prorogare indefinitamente il congelamento dei beni russi, qualificando la materia come emergenza economica e non come misura sanzionatoria. Questo passaggio è interpretato come propedeutico all’attuazione del «prestito di riparazione», in quanto permette decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così i veti dei Paesi dissidenti.
Mosca ha stigmatizzato come illegittimo ogni tentativo di appropriarsi dei suoi asset. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato questa settimana che, con il programma di «prestiti di riparazione», l’Europa sta adottando un comportamento «suicida». Riferendosi al voto di venerdì, ha etichettato l’UE come «truffatori».
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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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