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Geopolitica

Israele arma e finanzia i combattenti drusi nella Siria meridionale

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Nel contesto delle tensioni del governatorato di Suwaida, alti comandanti drusi riferiscono che il governo israeliano ha armato e finanziato le milizie druse che cercano di ottenere un ampio margine di autonomia nella zona. Lo riporta il sito Antiwar.

 

Suwaida è il centro storico della minoranza drusa e a luglio si è verificato un massiccio massacro di civili drusi durante la repressione militare. Il movimento islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ha promesso di portare l’intero Paese sotto il controllo del governo centrale, ma dopo il massacro molti drusi ritengono essenziale un certo grado di autonomia.

 

Sebbene lo Stato Ebraico sia impegnato in colloqui con i jihadisti di HTS, sembra tuttavia volerne minarne la stabilità con l’invasione, dichiarata permanente, della Siria sudoccidentale e Suwayda è vicina a quell’area.

 

Si stima che nella zona siano attivi circa 3.000 combattenti della milizia drusa e molti di loro ora ricevono armi e stipendi dagli israeliani, scrive Antiwar.

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L’HTS non ha le idee chiare su come intende centralizzare il controllo nella zona, ma è una delle numerose regioni in cui sta ancora cercando di rafforzare il proprio potere, in genere quelle con un gran numero di minoranze religiose o etniche.

 

Il mese scorso, l’HTS ha annunciato che avrebbe rinviato tutte le elezioni a Suwaida , il che probabilmente limiterà la rappresentanza dei drusi in parlamento.

 

Gli Stati Uniti e la Giordania, che in genere sostengono l’idea che la Siria rimanga contigua e senza alcuna autonomia sostanziale, hanno riferito martedì di aver concordato una «roadmap» per far progredire la situazione a Suwaida.

 

Non hanno detto cosa ciò comportasse, ma l’ambasciatore statunitense Tom Barrack ha espresso il suo solito entusiasmo per l’idea, definendola positiva per l’HTS e quindi positiva per «tutti i siriani».

 

L’esercito siriano, da parte sua, ha ritirato le armi pesanti da Suwaida. Queste armi erano state in gran parte dispiegate nel governatorato durante il massacro di luglio e, sebbene tali ridispiegamenti possano ridurre le tensioni, non sembra che abbiano ritirato le truppe di terra schierate nella zona.

 

Come riportato da Renovatio 21, la strategia del caos siriano come «benefico per Israele» è stata confermata mesi da dall’ex capo della Direzione dell’Intelligence Militare israeliana Tamir Hayman in un’intervista alla Radio dell’esercito israeliano.

 

Civili drusi sono stati negli scorsi mesi giustiziati da forze affiliate al governo siriano. «Continueremo a proteggere i drusi anche in Siria», ha dichiarato Katz, senza menzionare i numerosi cristiani perseguitati nella stessa regione. Le chiese del governatorato di Suwaida hanno recentemente subito bombardamenti incendiari e attacchi da parte di jihadisti affiliati al governo.

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Geopolitica

Il ministro israeliano Ben Gvir: il popolo palestinese non esiste

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Il ministro della sicurezza israeliano, Itamar Ben-Gvir, ha negato l’esistenza del popolo palestinese, alla vigilia del voto del Consiglio di sicurezza ONU sull’attuazione della fase successiva del piano di pace per Gaza, mediato dagli Stati Uniti.   Lunedì il Consiglio valuterà una risoluzione predisposta da Washington e sostenuta da diversi Stati arabi e musulmani, che – secondo i proponenti – «traccia un cammino verso l’autodeterminazione e lo Stato palestinese».   In un ampio intervento su X di sabato, Ben-Gvir, leader del partito ultranazionalista Otzma Yehudit, ha asserito che «non esiste un ‘popolo palestinese’», definendo la nazione «un costrutto privo di qualsiasi radice storica, archeologica o fattuale».

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«Il flusso di immigrati dai Paesi arabi nella Terra d’Israele non crea una nazione, e tantomeno merita un premio per il terrorismo, gli omicidi e le efferatezze propagate ovunque, specie a Gaza», ha aggiunto, indicando come unica «vera» via d’uscita al conflitto l’«incentivazione dell’emigrazione volontaria».   Il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich ha formulato un appello parallelo, spingendo il premier Benjamin Netanyahu a «proclamare al mondo intero» che uno Stato palestinese «non vedrà mai la luce».   Lo Stato di Palestina è attualmente riconosciuto da 157 Paesi, tra cui quattro dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza ONU.   Benché Netanyahu avesse dichiarato a settembre che «non nascerà alcuno Stato palestinese a ovest del Giordano», in precedenza si era distanziato da Ben-Gvir e Smotrich, entrambi esclusi dal gabinetto di guerra del primo ministro.   Come riportato da Renovatio 21, l’inesistenza dei palestinesi era già stata dichiarata nel 2023 dallo Smotrich ad una cerimonia commemorativa a Parigi, dove Smotrich aveva affermato che «non esistono i palestinesi perché non esiste il popolo palestinese», un commento che è stato accolto con applausi dai partecipanti, come si vede in un video dell’evento pubblicato online.  

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«Sai chi sono i palestinesi?» ha proseguito il ministro dello Stato ebraico. «Io Sono palestinese», ha detto, citando anche sua nonna, nata nella città israeliana settentrionale di Metula 100 anni fa, e suo nonno, un gerosolimitano di 13ª generazione come i «veri palestinesi».   «Esiste una storia o una cultura palestinese? No. Ci sono stati arabi in Medio Oriente che sono arrivati ​​in Terra d’Israele contemporaneamente all’immigrazione ebraica e all’inizio del sionismo. Dopo 2000 anni di esilio, il popolo di Israele stava tornando a casa, e intorno c’erano arabi a cui non piaceva. Quindi cosa fanno? Inventano un popolo fittizio in Terra d’Israele e rivendicano diritti fittizi in Terra d’Israele solo per combattere il movimento sionista».   Le comunità arabe occupate dovrebbero «smettere di sputare nel pozzo da cui stanno bevendo», ha detto Smotrich, riferendosi al beneficio che gli arabi avrebbero tratto dal «miracolo» che è Israele.   L’affermazione di inesistenza del popolo palestinesi non è nuova: la prima a dire che «i palestinesi non esistono» fu, negli anni Settanta, la premier Golda Meir.  

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Come riportato da Renovatio 21, il ministro Ben-Gvir a fine ottobre aveva il ritorno della guerra a Gaza.   Itamar Ben Gvir appartiene al partito sionista secolarista Otzma Yehudit («Potere ebraico») è associato al movimento erede del partito Kach, poi dissolto da leggi anti-terroriste varate dal governo Rabin nel 1994, fondato dal rabbino americano Mehir Kahane.   Kach è nella lista ufficiale delle organizzazioni terroristiche di USA, Canada e, fino al 2010, su quella del Consiglio dell’Unione Europea. Il Kahane fu assassinato in un vicolo di Nuova York nel 1990, tuttavia le sue idee permangono nel sionismo politico, in primis l’idea di per cui tutti gli arabi devono lasciare Eretz Israel, la Terra di Israele.   Come riportato da Renovatio 21, il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito  sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.   A luglio 2024 il ministro sionista aveva infiammato la situazione dicendo di aver pregato sulla Spianata delle Moschee, atto proibito per gli ebrei secondo gli accordi esistenti.   Come riportato da Renovatio 21, in un altro editoriale Haaretz scriveva che «il governo di Netanyahu è tutt’altro che conservatore. È un governo rivoluzionario, di destra, radicale, messianico che ha portato avanti un colpo di Stato e sogna di annettere i territori».   Il Ben Gvir era tra i relatori del grande convegno sulla colonizzazione ebraica di Gaza, celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.   A settembre in risposta a sanzioni anti-israeliane emesse dal Belgio, il Ben Gvir aveva dichiarato che «i Paesi europei sperimenteranno il terrore».

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Immagine di Polizia israeliana – Ufficio reclutamento via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Geopolitica

Putin e Netanyahu si telefonano prima del voto dell’ONU sulle forze di pace di Gaza

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Il presidente russo Vladimir Putin e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu hanno intrattenuto un colloquio telefonico alla vigilia del voto del Consiglio di sicurezza ONU sull’invio di contingenti di peacekeeping a Gaza.

 

Sabato il Cremlino ha annunciato che «si è tenuto un ampio confronto sulle dinamiche nel Medio Oriente, inclusi gli sviluppi nella Striscia di Gaza nell’ambito dell’attuazione dell’intesa sul cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi». I due leader hanno pure esaminato il programma atomico iraniano e la congiuntura siriana.

 

L’ufficio di Netanyahu ha emanato un comunicato più sintetico, precisando che il premier israeliano e il presidente russo avevano affrontato «temi regionali».

 

All’inizio del mese, gli Stati Uniti hanno sottoposto all’esame una bozza di risoluzione che approva il dispiegamento della Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) a Gaza per almeno due anni e sollecita l’istituzione del cosiddetto Consiglio per la Pace quale autorità transitoria. Venerdì, Egitto, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Turchia, Pakistan e Indonesia hanno espresso un sostegno collettivo alla proposta statunitense.

 

Mosca ha avanzato un’alternativa che assegna al segretario generale ONU il compito di delineare opzioni per l’esecuzione del piano di pace del presidente USA Donald Trump. La delegazione russa ha censurato il progetto americano per l’assenza di «meccanismi di monitoraggio e verifica» sulla forza di stabilizzazione e per l’omissione della soluzione a due Stati. Ha ribadito che «solamente un approccio autenticamente equilibrato e inclusivo» può assicurare una pace duratura.

 

Entrambe le risoluzioni dovrebbero essere poste ai voti lunedì.

 

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Geopolitica

Il Cremlino pubblica l’intervista a Lavrov censurata dal Corriere

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Il Corriere della Sera, primo quotidiano nazionale, si è rifiutato di pubblicare un’intervista esclusiva chiesta ed ottenuta con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.   Il testo integrale dell’intervista a Lavrov nelle scorse ore è stato pubblicato sul sito web del Ministero degli Affari Esteri russo, anche in traduzione italiana.   Domanda: Si dice che il nuovo incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump a Budapest non abbia avuto luogo perché persino l’amministrazione americana si è resa conto della vostra mancanza di disponibilità a negoziare sulla questione ucraina. Cosa è andato storto dopo il vertice di Anchorage che aveva fatto sperare nell’avvio di un vero processo di pace? Perché la Russia rimane fedele alle richieste formulate da Vladimir Putin nel giugno 2024 e su quali temi potreste essere disposti a un compromesso? Risposta: Gli accordi di Anchorage rappresentano una tappa importante nel percorso verso una pace duratura in Ucraina, attraverso il superamento delle conseguenze del cruento colpo di Stato anticostituzionale a Kiev del febbraio 2014, organizzato dall’amministrazione Obama. Essi si basano sulla situazione creatasi e sono strettamente in linea con le condizioni per una risoluzione equa e sostenibile della crisi ucraina, enunciate dal presidente Vladimir Putin nel giugno 2024.   Abbiamo ritenuto che tali condizioni siano state ascoltate e comprese, anche pubblicamente, dall’amministrazione di Donald Trump, soprattutto per quanto riguarda l’inammissibilità dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO che creerebbe minacce militari strategiche alla Russia, proprio ai suoi confini. Washington ha inoltre riconosciuto apertamente che non sarà possibile ignorare la questione territoriale alla luce dei referendum svoltisi in cinque regioni storiche del nostro Paese, i cui abitanti si sono espressi in maniera inequivocabile a favore dell’autodeterminazione rispetto al regime di Kiev che li aveva definiti «subumani», «esseri» e «terroristi» e della riunificazione con la Russia.

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Proprio intorno al tema della sicurezza e delle realtà territoriali è stata costruita la concezione americana, che una settimana prima del vertice in Alaska è stata portata a Mosca, su incarico del presidente degli Stati Uniti, dal suo rappresentante speciale Steve Witkoff e che, come ha comunicato il presidente Vladimir Putin al presidente Trump ad Anchorage, abbiamo accettato di assumere come base, proponendo al contempo un passo concreto che aprisse la strada alla sua realizzazione pratica.   Il leader americano ha risposto che avrebbe dovuto consultarsi, ma neanche dopo il suo incontro con gli alleati il giorno successivo a Washington, abbiamo ricevuto alcuna reazione alla nostra risposta positiva alle proposte menzionate, presentate a Mosca da Steve Witkoff prima del vertice in Alaska.   Nemmeno durante il mio incontro con il Segretario di Stato Marco Rubio a settembre a New York ho avuto alcuna reazione, quando ricordai che eravamo ancora in attesa di un riscontro. Per aiutare i colleghi americani a decidere in merito alla loro stessa idea, abbiamo messo per iscritto in via non ufficiale gli accordi di Anchorage e li abbiamo trasmessi a Washington.   Pochi giorni dopo, su richiesta di Donald Trump, ha avuto luogo una sua conversazione telefonica con Vladimir Putin, durante la quale si è convenuto di organizzare un nuovo incontro a Budapest, da preparare accuratamente in anticipo. Non c’era dubbio che si sarebbe parlato degli accordi di Anchorage. Dopo un paio di giorni ho avuto una conversazione telefonica con Marco Rubio, dopo di che Washington, definendo la conversazione costruttiva (era stata davvero seria e utile), ha comunicato che a seguito di tale colloquio, non era necessario un incontro personale tra il Segretario di Stato e il Ministro della Federazione Russa in preparazione del contatto al vertice.   Da dove e da chi siano giunti i rapporti riservati che hanno spinto il leader americano a rinviare o forse cancellare il vertice di Budapest, non mi è dato saperlo. Ma vi ho esposto la sequenza dei fatti in modo preciso, assumendomene la totale responsabilità. Non intendo invece rispondere alle evidenti falsità sulla «mancata disponibilità della Russia a negoziare» e sul «fallimento» dei risultati di Anchorage.   Rivolgetevi al Financial Times che, a quanto mi risulta, ha diffuso questa versione mendace, distorcendo la sostanza e la sequenza degli eventi per attribuire tutta la responsabilità a Mosca e allontanare Donald Trump dalla strada da lui stesso proposta, ovvero quella di una pace stabile e duratura, anziché quella di un cessate il fuoco immediato, come invece lo spingono a fare i padroni europei di Zelens’kyj, ossessionati dal desiderio di ottenere una tregua e di rifornire il regime nazista di armi per continuare la guerra contro la Russia.   Se la BBC è arrivata a falsificare un video del discorso di Trump, mettendogli in bocca l’appello ad assaltare il Campidoglio, a maggior ragione al Financial Times costerà poco mentire, come si dice da noi. Siamo ancora pronti a tenere a Budapest il secondo vertice russo-americano, purché si basi realmente sui risultati accuratamente elaborati dell’Alaska.   La data tuttavia non è stata ancora fissata. I contatti russo-americani continuano.

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Le forze armate della Federazione Russa controllano attualmente un territorio inferiore rispetto a quello del 2022, dopo le prime settimane della cosiddetta operazione militare speciale. Se state davvero vincendo, perché non riuscite a sferrare il colpo decisivo? Potete anche spiegare il motivo per cui non fornite informazioni ufficiali sulle vostre perdite? L’operazione militare speciale (OMS) non è una guerra per il territorio, ma un’operazione per salvare la vita di milioni di persone che vivono da secoli su queste terre e che la giunta di Kiev vuole sterminare – giuridicamente, vietandone la storia, la lingua, la cultura, e fisicamente, con l’aiuto delle armi occidentali.   Un altro obiettivo fondamentale dell’Operazione militare speciale è quello di garantire in modo affidabile la sicurezza della Russia, sventando i piani della NATO e della UE volti a creare ai nostri confini occidentali uno Stato fantoccio ostile, strutturato nella legislazione e nella pratica sull’ideologia nazista. Non è la prima volta che fermiamo gli aggressori fascisti e nazisti: è stato così durante la Seconda guerra mondiale e così sarà anche questa volta.   A differenza degli occidentali, che hanno raso al suolo interi quartieri cittadini, noi proteggiamo le persone, sia civili che militari. Le nostre forze armate agiscono con massimo senso di responsabilità, sferrando attacchi di precisione esclusivamente contro obiettivi militari e relative infrastrutture di trasporto ed energetiche.   Di norma, non si parla pubblicamente delle perdite sul campo di battaglia. Dirò solo che quest’anno, nell’ambito del rimpatrio dei militari caduti, la parte russa ha consegnato oltre novemila salme di soldati delle Forze armate ucraine. Dall’Ucraina abbiamo ricevuto 143 corpi dei nostri combattenti. Traete voi stessi le conclusioni.   La Sua apparizione al vertice di Anchorage con una felpa con la scritta «URSS» ha sollevato molte domande. Alcuni vi hanno visto la conferma del Suo desiderio di ricreare, se non addirittura ripristinare, l’ex spazio sovietico (Ucraina, Moldavia, Georgia, Paesi baltici). Si trattava di un messaggio in codice o semplicemente di uno scherzo? Sono orgoglioso del mio Paese, in cui sono nato e cresciuto, ho ricevuto un’istruzione di livello, ho iniziato e continuo la mia carriera diplomatica. La Russia, come è noto, è l’erede dell’URSS, e nel complesso il nostro Paese vanta una civiltà millenaria. Il governo popolare della veche di Novgorod risale a molto prima che in Occidente si iniziasse a giocare alla democrazia.   A proposito, ho anche una maglietta con lo stemma dell’Impero russo, ma questo non significa che vogliamo riportarlo in vita. Uno dei nostri più grandi patrimoni, di cui andiamo giustamente fieri, è la continuità dello sviluppo e del rafforzamento dello Stato nel corso della sua grande storia di unificazione e coesione del popolo russo e di tutti gli altri popoli del Paese.   Su questo tema si è soffermato di recente il presidente Vladimir Putin durante le celebrazioni della Giornata dell’Unità Nazionale. Quindi non cercate segnali politici dove non ci sono. Forse in Occidente il sentimento patriottico e la lealtà verso la patria stanno scomparendo, ma per noi sono parte del nostro codice genetico.

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Se uno degli obiettivi dell’operazione militare speciale era riportare l’Ucraina nella sfera d’influenza della Russia, come potrebbe sembrare, ad esempio, dalle richieste di determinare la quantità dei suoi armamenti, non ritiene che l’attuale conflitto armato, qualunque sia il suo esito, conferisca a Kiev un ruolo e un’identità internazionali ben definiti e sempre più distanti da Mosca? Gli obiettivi dell’Operazione Militare Speciale sono stati definiti dal presidente Putin nel 2022 e sono ancora attuali. Non si tratta di sfere di influenza, ma del ritorno dell’Ucraina a uno status neutrale, non allineato e non nucleare, del rigoroso rispetto dei diritti umani e di tutti i diritti delle minoranze russe e di altre minoranze nazionali: è proprio così che questi impegni sono stati sanciti nella Dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina del 1990 e nella sua Costituzione, ed è proprio tenendo conto di questi impegni dichiarati che la Russia ha riconosciuto l’indipendenza dello Stato ucraino.   Stiamo ottenendo e otterremo il ritorno dell’Ucraina alle sane e stabili origini della sua statualità, il che presuppone il rifiuto di concedere servilmente il suo territorio allo sfruttamento militare da parte della NATO (e dell’Unione Europea, che si sta rapidamente trasformando in un blocco militare non meno aggressivo), la purificazione dall’ideologia nazista, messa fuori legge a Norimberga, il ripristino dei pieni diritti dei russi, degli ungheresi e di tutte le altre minoranze nazionali.   È significativo che le élite di Bruxelles, trascinando il regime di Kiev nella UE, tacciano sulla palese discriminazione dei «popoli non autoctoni» (così Kiev definisce con disprezzo i russi che vivono da secoli in Ucraina) e allo stesso tempo esaltino la giunta di Zelens’kyj come difensore dei «valori europei». È un’ulteriore conferma del fatto che il nazismo sta rialzando la testa in Europa. C’è su cosa riflettere, soprattutto alla luce del fatto che all’ONU, Germania e Italia, insieme al Giappone, hanno recentemente iniziato a votare contro la risoluzione annuale dell’Assemblea Generale sull’inammissibilità della glorificazione del nazismo.   Gli occidentali non nascondono che di fatto stanno conducendo per procura, tramite gli ucraini, una guerra contro la Russia, guerra che non finirà nemmeno «dopo l’attuale crisi». Ne hanno parlato più volte il segretario generale della NATO Mark Rutte, il primo ministro britannico Keir Starmer, i burocrati di Bruxelles Ursula von der Leyen e Kaya Callas, l’inviato speciale del presidente degli Stati Uniti per l’Ucraina Keith Kellogg.   È evidente che la determinazione della Russia a garantire la propria sicurezza di fronte alle minacce create dall’Occidente con l’aiuto del regime da esso controllato, è legittima e giustificata.   Anche gli Stati Uniti inviano armi all’Ucraina e recentemente hanno persino discusso della possibilità di fornire a Kiev missili da crociera «Tomahawk». Perché la vostra posizione e la vostra valutazione della politica degli Stati Uniti e dell’Europa sono diverse? La maggior parte delle capitali europee costituisce attualmente il nucleo della cosiddetta «coalizione dei volenterosi» che desidera solo una cosa: che le ostilità in Ucraina durino il più a lungo possibile, «fino all’ultimo ucraino». A quanto pare, non hanno altro modo per distogliere l’attenzione del loro elettorato dai problemi socio-economici interni che si sono drasticamente aggravati.   Con i soldi dei contribuenti europei finanziano il regime terroristico di Kiev, fornendo armi con cui vengono uccisi sistematicamente civili delle regioni russe e ucraini che vogliono fuggire dalla guerra e dai carnefici nazisti. Sabotano qualsiasi tentativo di pacificazione e rifiutano i contatti diretti con Mosca. Introducono sempre nuove «sanzioni» che, come un boomerang, colpiscono ancora più duramente le loro economie. Preparano apertamente una nuova grande guerra europea contro la Russia. Inducono Washington a non accettare una soluzione diplomatica onesta e giusta.   Il loro obiettivo principale è quello di minare la posizione dell’attuale amministrazione del presidente degli Stati Uniti, che inizialmente era favorevole al dialogo, comprendeva la posizione della parte russa e mostrava la volontà di cercare una soluzione pacifica e duratura. Donald Trump ha più volte riconosciuto pubblicamente che una delle cause delle iniziative della Russia è stata l’espansione della NATO, l’avvicinamento delle infrastrutture dell’alleanza ai confini del nostro Paese, vale a dire esattamente ciò da cui il presidente Putin e la Russia hanno messo in guardia negli ultimi vent’anni.   Confidiamo che a Washington prevalgano il buon senso e l’adesione a questa posizione di principio e che si astengano da atti che potrebbero portare il conflitto a un nuovo livello di escalation.   Detto ciò, le nostre forze armate non fanno distinzioni sulla provenienza delle armi fornite alle forze armate ucraine, che siano europee o statunitensi. Qualsiasi obiettivo militare viene immediatamente distrutto.

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Lei è stato colui che ha premuto il «pulsante di reset» con Hillary Clinton, anche se poi le cose sono andate diversamente. È possibile un riavvio delle relazioni con l’Europa? Potrebbe la sicurezza comune costituire un terreno fertile per migliorare le relazioni attuali? Risposta: La conflittualità a cui ha portato la politica sconsiderata e senza prospettive delle élite europee non è stata una scelta della Russia. L’attuale situazione non risponde agli interessi dei nostri popoli. Sarebbe auspicabile che i governi europei, la maggior parte dei quali attua una politica ferocemente anti-russa, prendessero coscienza della pericolosità di questa rotta distruttiva.   L’Europa ha già combattuto sotto le bandiere di Napoleone e, nel secolo scorso, sotto gli stendardi e i vessilli nazisti di Hitler. Alcuni leader europei sembrano avere la memoria corta. Quando questo furore russofobo – non si può chiamarlo altrimenti– sarà passato, saremo aperti ai contatti, ad ascoltare come i nostri ex partner intendano comportarsi nei nostri confronti in futuro. Solo allora decideremo se ci saranno ancora prospettive per una collaborazione onesta.   Il sistema di sicurezza euro-atlantico esistente fino al 2022 è stato completamente screditato e smantellato dagli sforzi degli stessi occidentali.   A questo proposito, il presidente Vladimir Putin ha avanzato l’iniziativa di creare una nuova architettura di sicurezza equa e indivisibile in Eurasia. Essa è aperta a tutti gli Stati del continente, compresa la sua parte europea, ma occorrerà comportarsi in modo rispettoso, senza arroganza neocoloniale, sulla base dei principi di uguaglianza, considerazione reciproca ed equilibrio degli interessi.   Il conflitto armato in Ucraina e il conseguente isolamento internazionale della Russia vi hanno probabilmente impedito di agire in modo più efficace in altre aree di crisi, come ad esempio in Medio Oriente? Se l’Occidente storico ha deciso di isolarsi da qualcuno, allora si tratta di autoisolamento. E anche in questo caso le fila non sono così compatte: quest’anno Vladimir Putin ha incontrato i leader di Stati Uniti, Ungheria, Slovacchia e Serbia. È anche chiaro che il mondo moderno non si riduce alla minoranza occidentale. Quei tempi sono finiti con l’avvento della multipolarità. Le nostre relazioni con i paesi del Sud e dell’Est del mondo, che rappresentano oltre l’85% della popolazione mondiale, continuano ad ampliarsi.   A settembre si è svolta la visita di Stato del presidente russo in Cina, solo negli ultimi mesi Vladimir Putin ha partecipato ai vertici di SCO, BRICS, CSI, Russia-Asia centrale, nostre delegazioni governative ad alto livello hanno partecipato ai vertici di APEC, ASEAN e ora si stanno preparando per il vertice del G20. Si tengono regolarmente vertici e incontri ministeriali Russia-Africa, Russia-Consiglio di cooperazione degli Stati arabi del Golfo Persico. I paesi della maggioranza mondiale si fanno guidare dai propri interessi nazionali fondamentali e non dalle indicazioni delle ex metropoli coloniali.   I nostri amici arabi apprezzano il contributo costruttivo della Russia agli sforzi volti a risolvere i conflitti regionali in Medio Oriente. Le attuali discussioni sulla questione palestinese alle Nazioni Unite confermano la necessità di coinvolgere tutti gli autorevoli attori esterni, altrimenti non si otterrà nulla di duraturo, ma solo cerimonie di facciata. Su molte altre questioni internazionali, le nostre posizioni coincidono o sono molto vicine a quelle dei nostri amici mediorientali, il che favorisce la cooperazione nell’ambito dell’ONU e in altre piattaforme multilaterali.   Non ritiene che nel nuovo ordine mondiale multipolare che Lei promuove e sostiene, la dipendenza economica e militare della Russia dalla Cina sia cresciuta, creando così uno squilibrio nella vostra storica alleanza con Pechino? Non stiamo «promuovendo» un ordine mondiale multipolare, esso si sta oggettivamente formando, non attraverso la conquista, la schiavitù, l’oppressione e lo sfruttamento, come facevano i colonizzatori costruendo il loro «ordine» (e in seguito il capitalismo), ma attraverso la cooperazione, la considerazione degli interessi reciproci, la distribuzione razionale del lavoro basata sulla combinazione dei vantaggi competitivi comparativi dei paesi partecipanti e delle strutture di integrazione.   Per quanto riguarda le relazioni tra Russia e Cina, non si tratta di un’alleanza nel senso tradizionale del termine, ma di una forma di interazione più efficace e avanzata. La nostra cooperazione non ha carattere di blocco e non è diretta contro paesi terzi. Le categorie di «leader» e «subordinato», tipiche delle alleanze formatesi durante la guerra fredda, qui non sono applicabili. Pertanto, parlare di un qualsiasi «disequilibrio» è inappropriato.   I rapporti paritari e autosufficienti tra Mosca e Pechino si basano sulla fiducia e sul sostegno reciproci, nonché su secolari tradizioni di buon vicinato. Siamo fermamente impegnati a rispettare il principio di non ingerenza negli affari interni.   La cooperazione commerciale, tecnologica e in materia di investimenti tra Russia e Cina porta benefici pratici concreti a entrambi i Paesi, contribuisce alla crescita stabile e sostenibile delle nostre economie e al miglioramento del benessere dei cittadini. La stretta collaborazione tra le forze armate garantisce un’importante complementarità, aiuta i nostri paesi a difendere i propri interessi nazionali nel campo della sicurezza globale e della stabilità strategica e a contrastare efficacemente le sfide e le minacce nuove e tradizionali.

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L’Italia è un Paese «ostile». Lei stesso lo ha ripetuto più volte, nel novembre 2024, e lo ha persino sottolineato in modo particolare. Tuttavia, negli ultimi mesi, anche sulla questione ucraina, il nostro governo ha dimostrato solidarietà all’amministrazione statunitense, che Vladimir Putin ha definito non un alleato, ma senza dubbio un «partner». E il recente cambio dell’ambasciatore italiano a Mosca fa supporre che a Roma si desideri un certo avvicinamento. A che punto sono le nostre relazioni bilaterali? Per la Russia non esistono paesi e popoli ostili, esistono Paesi con governi ostili. In presenza di un tale governo a Roma, le relazioni russo-italiane stanno attraversando la crisi più grave della loro storia postbellica. Ciò non è avvenuto per nostra iniziativa. Ci ha sorpreso la facilità con cui l’Italia, a discapito dei propri interessi nazionali, si è schierata con coloro che hanno scommesso sulla «sconfitta strategica» della Russia.   Finora non vediamo alcun cambiamento significativo in questo atteggiamento aggressivo. Roma continua a fornire assistenza a tutto campo ai neonazisti di Kiev. Colpisce anche la volontà di interrompere i legami culturali e i contatti tra le società civili. Le autorità italiane cancellano le esibizioni di eminenti direttori d’orchestra e cantanti lirici russi e da diversi anni non autorizzano lo svolgimento del «Dialogo di Verona», nato proprio in Italia, dedicato alle questioni della cooperazione eurasiatica. Non sembra affatto un atteggiamento tipico degli italiani, che sono solitamente aperti all’arte e al dialogo tra le persone.   Allo stesso tempo, molti dei vostri cittadini cercano di capire le ragioni della tragedia ucraina. Ad esempio, nel libro «Il conflitto ucraino visto da un giornalista italiano», del noto pubblicista italiano Eliseo Bertolasi, sono raccolte prove documentarie delle violazioni del diritto internazionale da parte delle autorità di Kiev. Vi consiglierei di leggere questa pubblicazione. Oggi in Europa non è facile trovare la verità sull’Ucraina.   Una cooperazione paritaria e reciprocamente vantaggiosa tra Russia e Italia è nell’interesse dei nostri popoli. Se a Roma saranno disposti a muoversi verso il ripristino del dialogo sulla base del rispetto reciproco e della considerazione degli interessi di entrambe le parti, ce lo facciano sapere, siamo sempre pronti ad ascoltare, ivi compreso il vostro ambasciatore.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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