Economia
Industria italiana travolta dalla crisi energetica: dati sempre più disperati

È passato circa un mese da quando abbiamo intervistato il professor Mario Pagliaro sull’attuale crisi dell’energia che sta investendo il nostro Paese. Nei primi giorni dell’anno, lo scienziato palermitano ci aveva descritto un vero e proprio collasso energetico italiano, ovvero il crollo dei consumi energetici che si registra in Italia ormai dallo scorso mese di agosto. Nell’intervista si davano in anteprima dati che erano a dir poco preoccupanti, disperanti. È stato uno degli articoli più letti di Renovatio 21. Verifichiamo con il professore se, nel frattempo, qualcosa è davvero cambiato.
Professor Pagliaro, gennaio si è concluso da poche ore. Come sono andati i consumi energetici in Italia nel primo mese del nuovo anno?
Sono ulteriormente crollati: sia quelli elettrici, che quelli di gas naturale. Il totale dei consumi elettrici nel mese può essere stimato in 23 miliardi di chilowattora (kWh), in calo di oltre il 16% dai 27,5 miliardi di kWh del gennaio 2022. Quello del gas crolla del 22,1%. In termini assoluti, cioè di miliardi di metri cubi bruciati nel mese, è il maggior calo mai osservato. Crollano sia i consumi delle centrali termoelettriche a gas, che perdono un terzo (il 32%) dei consumi, che quelli industriali, commerciali e domestici.
Perché accade, e cosa significa dal punto di vista industriale?
Sono le aziende manifatturiere che a causa del prezzo dell’energia elettrica scelgono di tenere fermi o al minimo gli impianti, buona parte dei quali è alimentato ad energia elettrica. Ma anche quelli termici, perché il gas viene utilizzato dalle aziende in modo sistematico per produrre vapore e calore di processo. Per avere un’idea concreta dei prezzi elettrici, il prezzo unico nazionale medio dell’elettricità all’ingrosso a gennaio è stato di 174,5 euro per MWh, di molto inferiore ai quasi 300 euro (294,9) toccati a dicembre, ma oltre il triplo dei 56,6 euro a MWh del febbraio di due anni fa. Tenga presente che questi sono i prezzi all’ingrosso sul mercato elettrico. A casa o in azienda o negli uffici pubblici il prezzo dell’energia è molto più alto perché incorpora i costi del trasporto e moltissime altre voci di costo, fra cui gli incentivi alle fonti rinnovabili. In queste condizioni, produrre rimane antieconomico in moltissimi settori industriali, col risultato che i consumi energetici collassano.
Questo significa che le aziende continuano a produrre poco o che sono addirittura ferme?
Cos’altro dovrebbero fare: continuare a produrre per accumulare debiti? Per capire l’entità dei costi energetici di cui parliamo è utile un esempio concreto. L’unica acciaieria che converte il minerale di ferro in acciaio rimasta in Italia, la ex Ilva a Taranto, nel 2019 o nel 2020 pagava una bolletta del gas da 200 milioni. Nel 2022 la bolletta è stata quasi 8 volte maggiore: 1 miliardo e 550 milioni, ridotta a 1 miliardo e 100 milioni grazie al meccanismo di credito fiscale. È chiaro che l’azienda non può pagare una simile bolletta, ed infatti il fornitore del gas ha deciso di rescindere il contratto di fornitura. L’amministratore dell’azienda ancora ieri ha spiegato alla stampa come se l’arretrato non verrà saldato, le forniture si interromperanno e l’attività produttiva dello stabilimento sarà irrimediabilmente compromessa.
Da giorni il prezzo del gas sul mercato olandese è crollato, dagli oltre 300 euro a MWh dello scorso agosto ai circa 60 euro a MWh di domani, 2 febbraio. Dunque siamo fuori dalla crisi?
Il prezzo nel febbraio di due anni fa era di poco più di 18 euro. Il gas in Italia arriva attraverso numerosi gasdotti. I contratti di fornitura del gas in arrivo con i gasdotti non sono regolati su indici finanziari come il prezzo del mercato finanziario cui fa riferimento, ma sono prezzi industriali che coprono il costo di estrazione e trasporto, assicurando un ragionevole profitto al fornitore. Il Paese fornitore del gas non ha alcun interesse a strozzare il suo cliente che, una volta fuori mercato, non comprerà più il suo gas. La situazione attuale potrà risolversi solo con la distensione delle relazioni internazionali, e la fine della guerra fra Russia e Ucraina. La Russia a gennaio è precipitata al quinto posto fra i Paesi fornitori di gas all’Italia. Per decenni è stata, e di gran lunga, il maggiore fornitore.
C’è poi un’altra questione di cui nessuno parla più, quando si discute di energia. Ovvero il prezzo del petrolio. Sembra che la colpa del caro gasolio o del caro benzina sia dei benzinai. Cosa accade sul mercato dell’oro nero?
Il petrolio era ed è di gran lunga la fonte energetica più importante per qualsiasi nazione. Con l’eccezione dei trasporti su rotaia e dei veicoli elettrici, l’intero settore dei trasporti dipende interamente dal petrolio. La sua disponibilità a costi accessibili è il fattore chiave per lo sviluppo economico tanto dei Paesi industrialmente sviluppati, che di quelli in via di sviluppo. Il mese scorso la Cina, fabbrica del mondo, ha riaperto tutte le attività. Man mano che gli impianti tornano a pieno regime, la domanda di greggio crescerà drasticamente contribuendo a trascinare verso l’alto il prezzo del greggio. E infatti il Brent è passato in meno di un mese a 85 dollari mentre il petrolio WTI si avvicina agli 80. Come si vede, siamo molto lontani dal tetto fissato dai Paesi della UE a inizio dicembre, fissato a 60 dollari al barile.
E riguardo al price cap al petrolio russo?
Oggi è entrato in vigore il divieto per i produttori Russi ad esportare petrolio verso i Paesi che hanno messo il tetto al prezzo. Che impatto avrà questo sull’Italia?
Lo stesso che avrà sulla Germania: entrambi i Paesi sono economie manifatturiere il cui benessere dipende dalla capacità, attraverso il lavoro e l’ingegno, di trasformare risorse primarie di cui non dispongono e che devono importare, in prodotti ad alto valore aggiunto. L’unico modo in cui questo può essere fatto è avendo accesso a fonti di energia primaria – petrolio e gas naturale innanzitutto – a basso costo e in grandi quantità.
Quanto soffrirà la Germania?
La Germania dipendeva massicciamente dal petrolio russo, trasportato addirittura via oleodotto. Se questo non sarà più disponibile, l’economia tedesca, e con essa quella dell’intera Europa occidentale, non potrà mai più tornare ad essere florida. Ecco perché dobbiamo veramente auspicare in una concreta e rapida distensione delle relazioni internazionali, che la guerra si concluda, e termini così la crisi energetica conseguente alla fine della disponibilità di risorse energetiche a basso costo. Esiziale tanto per la Germania che per l’Italia.
Economia
Perché il banco a riserva frazionaria è alla base dei fallimenti bancari

I tossicodipendenti soffrono di gravi sintomi di astinenza quando smettono di punto in bianco.
Nel caso delle startup high-tech e delle loro banche (come la Silicon Valley Bank), lo stimolante a tassi di interesse super bassi è stato portato via dallo spacciatore (la FED) tramite aumenti dei tassi di interesse. Con il prosciugamento del credito a buon mercato, le aziende sono passate a prelevare liquidità da SVB, il tutto mentre gli stessi aumenti dei tassi di interesse hanno causato la diminuzione del valore delle attività di SVB.
Il bilancio di SVB non è stato in grado di reggere i prelievi veloci, che sono diventati una classica corsa agli sportelli che si auto-propaga, e il contestuale calo di valore delle sue attività liquide.
Quando le banche praticano questo tipo di disallineamento delle scadenze – potenzialmente passività a termine immediato (depositi) garantite da attività a lungo termine (prestiti e titoli del Tesoro), si parla di «riserva frazionaria bancaria».
Il fallimento di SVB e altre recenti crisi bancarie hanno riacceso il dibattito sulla riserva frazionaria. Mentre gli economisti austriaci su tutta la linea sono critici nei confronti della banca centrale e della manipolazione del governo dell’offerta di moneta e dei tassi di interesse, ci sono divergenze di opinione sulla riserva frazionaria.
Murray Rothbard era fermamente contrario alla pratica per ragioni sia economiche che etiche; tuttavia, i «banchieri a riserva frazionaria» (FRFB) come George Selgin e Larry White hanno scritto ampiamente su come il sistema bancario a riserva frazionaria di per sé non crei un sistema bancario intrinsecamente instabile e non causi cicli economici. La posizione di FRFB è che i cicli economici e l’instabilità sono causati dall’interferenza del governo, principalmente attraverso la politica monetaria della banca centrale.
Per capire come operano le banche a riserva frazionaria, dobbiamo prima fare una distinzione tra banca di magazzino e banca di prestito. Il magazzino bancario si riferisce al modo in cui le banche accettano depositi e agiscono su istruzioni del depositante per inviare o prelevare denaro alla pari su richiesta. Nel magazzino bancario, non c’è moltiplicazione dei depositi o creazione di credito: la banca semplicemente immagazzina il denaro dei depositanti. È importante sottolineare che i depositanti devono pagare una commissione per questo servizio presso le banche di deposito.
Il prestito bancario si riferisce al modo in cui le banche possono agire come intermediari finanziari. Un cliente bancario può acquistare un certificato di deposito o un altro deposito vincolato che, soprattutto, rappresenta una separazione dai fondi. Il cliente non può accedere a questi fondi per spese o prelievi. La banca utilizza questi fondi per estendere i prestiti. Gli interessi maturati su questi prestiti vengono ripartiti (secondo contratto) tra la banca, che ha amministrato e intermediato, e il cliente, che ha ceduto il denaro. Anche qui non c’è moltiplicazione dei depositi, espansione dell’offerta di moneta o creazione di credito ex nihilo.
I problemi con il sistema bancario a riserva frazionaria derivano dalla combinazione di queste due funzioni: deposito bancario e prestito bancario. Le banche combinano queste funzioni utilizzando i depositi a vista (che i depositanti possono ritirare alla pari su richiesta) come base per l’estensione dei prestiti. Si spera che i potenziali problemi con questo siano ovvi: cosa succede se i depositanti richiedono più denaro di quello che la banca ha a disposizione, a causa del fatto che non tutti i depositi hanno riserve di liquidità corrispondenti, ma sono invece garantiti da prestiti a lungo termine?
Questo è esattamente quello che è successo a SVB. I depositanti volevano prelevare più contante di quanto la banca avesse nelle riserve. SVB aveva utilizzato i fondi dei depositanti per acquistare titoli del Tesoro e titoli garantiti da ipoteca e per concedere prestiti a imprese high-tech. SVB potrebbe aver avuto meno lungimiranza rispetto ad altre banche, ma è importante notare che tutte le banche fanno questo genere di cose.
Nessuna banca mantiene il 100% delle riserve, nessuna banca tiene separate le sue funzioni di deposito e di intermediazione. Infatti, nel 2017 la Federal Reserve ha bloccato una nuova banca che intendeva essere un porto sicuro per i depositanti.
Le ripetute corse agli sportelli e le crisi finanziarie associate causate dal sistema bancario a riserva frazionaria hanno portato alla creazione di banche centrali, assicurazioni sui depositi del governo, una moltitudine di regolamenti bancari e una miriade di agenzie per progettare e applicare questi regolamenti. Vale la pena sottolineare, tuttavia, che se il governo semplicemente ignorasse le corse agli sportelli, allora i meccanismi standard di profitti e perdite sarebbero al lavoro. Le banche fallirebbero nello stesso modo in cui falliscono altre imprese private. I potenziali clienti delle banche eviterebbero banche malsane e si affollerebbero in banche sane in base alle proprie preferenze e aspettative.
Questa prospettiva porta la folla FRFB a concludere che la riserva frazionaria bancaria di per sé non è un problema: è l’azzardo morale e la creazione di denaro da parte del governo che causa tutti i problemi.
A mio avviso, i dibattiti sulla sostenibilità e l’etica della riserva frazionaria soffrono di termini poco definiti. Se un deposito è definito come «riscattabile alla pari su richiesta», ciò costituisce una promessa da parte della banca di avere i fondi disponibili alla pari su richiesta, il che significa che non vengono acquistati prestiti con tali fondi. Se un contratto stabilisce che la banca offrirà conti per i quali i depositi sono definiti come tali ma poi utilizza i fondi per fornire prestiti, allora la banca viola il contratto.
Se, tuttavia, la banca e il cliente concordano su una definizione più flessibile del termine «deposito», in modo tale che i depositi non siano sempre rimborsabili alla pari, o siano rimborsabili alla pari ma a volte con un ritardo, allora questa è una loro prerogativa.
Mi sembra che un tale accordo sia più propriamente chiamato un «prestito richiamabile non garantito» e che se questi coesistessero con veri depositi completamente garantiti sul mercato, i prestiti rimborsabili verrebbero scambiati con uno sconto rispetto ai depositi pienamente garantiti.
Penso anche che i dibattiti sulla sostenibilità e l’etica del FRFB siano meno importanti delle conseguenze economiche del sistema bancario a riserva frazionaria. Indipendentemente da ciò che dice la stampa fine in un contratto di deposito (e il linguaggio non è standard, tra l’altro), se i depositanti considerano i saldi dei loro conti correnti come sostituti del denaro uno a uno, allora i prezzi e i modelli di spesa rifletteranno i depositi dei depositanti calcolo del proprio patrimonio netto e aspettative di reddito disponibile.
Se una banca espande il credito oltre a quello tramite la riserva frazionaria, allora l’offerta di credito e i tassi di interesse non riflettono più i risparmi reali sottostanti e i tassi di preferenza temporale dei depositanti. Questo cuneo è ciò che innesca il ciclo boom-bust.
Questo ci riporta all’analogia del tossicodipendente. Supponiamo che un tossicodipendente abbia la capacità di creare magicamente, ex nihilo, la propria droga stimolante, come le banche a riserva frazionaria possono fare con denaro e credito.
Supponiamo che gli effetti collaterali negativi dell’uso del farmaco possano essere diffusi a tutti gli altri membri della società, poiché le banche centrali e l’assicurazione dei depositi del governo consentono le banche a riserva frazionaria. Ti aspetteresti moderazione? Ti aspetteresti risultati salutari?
O ti aspetteresti un ciclo infinito di picchi massimi e crolli?
Jonathan Newman
Articolo apparso su Mises Institute, tradotto e pubblicato su gentile concessione dell’autore.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Cina
Anche il Brasile ora commercia in yuan con la Cina

Il viceministro del Commercio cinese Guo Tingting, ha annunciato oggi che Cina e Brasile hanno concluso un accordo per commerciare in yuan.
«Con il Brasile è stato firmato un accordo sul regolamento dei pagamenti in yuan, che facilita notevolmente il nostro commercio. Stiamo pianificando di espandere la cooperazione nel campo dell’estrazione di cibo e minerali e di cercare la possibilità di esportare merci ad alto valore aggiunto dalla Cina al Brasile e dal Brasile alla Cina», ha detto Guo al seminario economico Brasile-Cina, a Pechino.
La conferenza è stata organizzata dal ministero degli Esteri brasiliano e da ApexBrasil (l’agenzia brasiliana per la promozione del commercio e degli investimenti) e «hanno partecipato oltre 500 uomini d’affari brasiliani e cinesi, con l’obiettivo di rafforzare e diversificare le relazioni commerciali e i flussi di investimento», secondo un comunicato stampa del ministero degli Esteri.
ApexBrasil ha annunciato la firma di oltre 20 accordi, specificando che «Banco BOCOM BBM annuncia la sua adesione al CIPS (China Interbank Payment System), che è l’alternativa cinese a SWIFT. L’aspettativa è di ridurre i costi delle transazioni commerciali con lo scambio diretto tra BRL e RMB. La banca sarà il primo partecipante diretto a questo sistema in Sud America. La filiale brasiliana della Banca industriale e commerciale della Cina (Brasile) diventa la banca di compensazione in RMB [reminbi, l’altro nome della valuta cinese, ndr] in Brasile. L’allentamento delle restrizioni sull’uso del RMB ha lo scopo di promuovere ulteriormente il commercio bilaterale e facilitare gli investimenti con il RMB».
Il Brasile e la Cina hanno annunciato quindi l’istituzione di una camera di compensazione che provvederà agli accordi senza utilizzare il dollaro USA. Presterebbe anche in valute nazionali, aggirando il dollaro. Tra l’altro, faciliterebbe e ridurrebbe il costo delle transazioni.
Si tratta di un ulteriore colpo del processo di de-dollarizzazione dell’economia mondiale in corso, ossia la fine della valuta americana come valuta di riserva globale.
Malgrado i rapporti altalenanti per vaccini e importazioni tecnologiche, il Brasile aveva già iniziato a incamerare yuan l’anno scorso. Anche altri Paesi, come Iraq e Birmania, hanno cominciato ufficialmente ad usare il reminbi negli scambi col Dragone. La Banca Centrale di Israele pure ha aumentato le sue riserve della moneta pechinese.
Come riportato da Renovatio 21, anche la Francia la scorsa settimana avrebbe concluso una enorme importazione di gas pagando in valuta cinese.
Il problema principale per il dollaro è costituito dall’Arabia Saudita, che già un anno fa aveva segnalato al mondo di essere disposta a farsi pagare dai cinesi il greggio in yuan, per poi fare accordi diretti con Xi e significare la propria strategia di uscita dal dollaro al World Economic Forum di Davos.
Economia
La Francia acquista 65.000 tonnellate di gas liquefatto dalla Cina. In Yuan

La Francia ha appena condotto il primo scambio di gas naturale liquefatto (GNL) in Yuan. Lo riporta il sito OilPrice.
Il gigante gasiero cinese CNOOC e la francese TotalEnergies si sono accordati per uno scambio di 65 mila tonnellate di GNL dagli Emirati Arabi. Si tratta della prima volta che un simile scambio avviene nella moneta cinese.
Reuters ha sentito Total, uno dei maggiori player mondiali nel gas, che ha confermato che lo scambio coinvolgere GNL emiratino, ma non ha fornito altri dettagli sull’accordo. Il sospetto è che la Cina stia ancora importando il gas russo – che Mosca non può più vendere all’Europa, o meglio, che l’Europa non vuole, o non può, più acquistare – per rivenderlo al vecchio continente, con una chiara cresta resa possibile dalla follia delle sanzioni.
Si tratta di un passo avanti verso la de-dollarizzazione dell’economia mondiale, peraltro compiuto da un Paese che è alleato di Washington e membro del G7.
La Cina ha cercato per anni di stabilire più accordi commerciali in yuan per aumentare la rilevanza del petroyuan sui mercati globali e sfidare il dominio del dollaro USA nel commercio internazionale, incluso quello energetico.
Durante una storica visita a Riyadh a dicembre, il presidente cinese Xi Jinping ha affermato che la Cina e le nazioni del Golfo Arabo dovrebbero utilizzare lo Shanghai Petroleum and National Gas Exchange come piattaforma per effettuare il regolamento in yuan degli scambi di petrolio e gas.
Gli accordi presi in questi mesi tra sauditi e cinesi minano di fatto la persistenza del petrodollaro, mandando all’aria gli accordi fatti nei primi anni Quaranta da Roosevelt con il re Saudita Abdulaziz Ibn Saud presso il Grande Lago Amaro, dove gli arabi si impegnavano ad usare il dollaro per il commercio del petrolio in cambio della protezione americana per la famiglia reale saudita (non il Paese). Al World Economic Forum di Davos i sauditi avevano confermato i piani di uscita dal dollaro.
Un anno fa i sauditi avevano iniziato le danze dicendo di essere disposti a farsi pagare in yuan, un mese fa siamo arrivati che anche l’Iraq ha dichiarato che avrebbe mollato il dollaro negli scambi con la Cina, così come, ufficialmente, la Birmania. Simultaneamente si è registrato un aumento di acquisto di yuan da parte di Banche Centrali, da Israele al Brasile.
Tuttavia, va notato Pechino ha molta strada da fare prima di detronizzare il biglietto verde come riserva globale: mentre la valuta cinese ha fatto breccia nel commercio globale, lo yuan rappresenta solo il 2,7% del mercato, rispetto alla quota del dollaro USA del 41%.
Cinque mesi fa le autorità cinesi avevano dato lo stop alla vendita di GNL agli europei, che pure lo acquistavano a caro prezzo. Il primo deal in yuan deve aver fatto cambiare loro idea.
Nel frattempo, Gazprom ha annunciato che la Russia è diventata il primo fornitore di gas della Cina, e tra i due Paesi è stato completato un grande gasdotto.
La Francia, che sta vivendo una crisi energetica a causa degli improvvisi malfunzionamente delle sue centrali nucleari (con Macron a spegnere le luci sui monumenti e dichiarare la «fine dell’era dell’abbondanza») sei mesi fa aveva iniziato ad esportare gas in Germania: sarebbe paradossale che Berlino comprasse gas dai francesi che lo comprano dai cinesi che lo comprano dai russi – invece di farselo arrivare con i gasdotti, per lo meno quelli sopravvissuti al terrorismo di Stato dell’amministrazione Biden.
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