Economia
Industria chimica tedesca in caduta libera
L’Associazione tedesca dell’industria chimica (VCI) prevede quest’anno un calo delle vendite del 14% e del 16% solo nel settore chimico.
La VCI, che ha presentato le sue previsioni il 21 luglio, aveva precedentemente previsto un calo della produzione del 5% e un calo delle vendite del 7%.
«La casa sta bruciando», ha detto il vicepresidente di VCI Markus Steilemann in una conferenza stampa a Francoforte. Il quadro fosco è dovuto al calo degli ordinativi, soprattutto dai settori dell’automotive, dei beni di consumo e delle costruzioni.
Nella prima metà dell’anno la produzione del settore chimico e farmaceutico è diminuita del 10,5% rispetto all’anno precedente. Le vendite sono diminuite dell’11,5% a 114 miliardi di euro a causa della debolezza della domanda.
Il settore automotive, costretto ad abbandonare i motori endotermici e passare alle sole auto elettriche, sta emigrando a causa dei costi elevati.
La notizia del giorno è che Audi sposterà la produzione di auto elettriche in Cina, in joint venture con SAIC. Nei beni di consumo, la catena di vendita al dettaglio di scarpe Shoepassion ha dichiarato insolvenza oggi, il terzo negozio di scarpe a fallire dopo Reno e Görtz.
Toralf Haag, capo dell’azienda tecnologica Voith, in mano alla famiglia sin dalla sua fondazione nel 1825, ha avvertito del processo di deindustrializzazione in corso in un’intervista a Die Welt. Investire in Germania è diventato impossibile, ha detto Haag. «Ad essere onesti, al momento tendiamo a scegliere l’Europa dell’Est, l’Asia o gli Stati Uniti quando si tratta di nuovi impianti produttivi perché i costi per l’energia e il personale sono particolarmente alti in Germania, mentre allo stesso tempo la burocrazia e la regolamentazione stanno aumentando».
Il rampollo della famiglia industriale ha spiegato che la sua azienda ha dovuto assumere 30 nuovi dipendenti amministrativi solo negli ultimi due anni solo per far fronte ai nuovi obblighi normativi introdotti dalla politica «verde» prima della Merkel e ora del governo «semaforo» di Olaf Scholz, dove il grottesco partito dei verdi (che rifiuta di volersi definire «tedesco» ed al contempo spinge per la guerra con la Russia come nessun altro partito) è parte fondamentale della coalizione che sta gettando il Paese sempre più fra i tentacoli della piovra verde.
Lo Haag vede il pericolo della deindustrializzazione come «molto grande». Le aziende industriali stanno investendo in altre regioni del mondo. «Di conseguenza, l’economia tedesca non sta solo perdendo il suo DNA, ma anche qualsiasi potenziale per il futuro. Con i suoi posti di lavoro ben pagati, l’industria è garante della prosperità. La prosperità raggiunta finora non può essere mantenuta solo con i lavori amministrativi e il settore dei servizi», ha aggiunto.
Come riportato da Renovatio 21, il più grande produttore chimico al mondo, la tedesca BASF, ha annunciato a inizio anno un taglio di 2.600 posti di lavoro a causa degli alti prezzi dell’energia raggiunti in Germania.
Durante l’estate 2022 la BASF e il grande produttore di acciaio tedesco ThyssenKrupp avevano avvertito che senza una fornitura sufficiente di gas naturale, le loro fabbriche potrebbero essere costrette a rimanere inattive o chiudere completamente e potrebbero anche subire danni tecnici.
A novembre 2021 la BASF aveva annunciato la chiusura della produzione di fertilizzanti con ammoniaca in Belgio e Germania, a tempo indeterminato. Ciò è andato ad influire anche sulla produzione di additivo per carburante diesel a base di ammoniaca, AdBlue.
Lo scorso 26 luglio, la BASF dichiarava la riduzione della la produzione di prodotti a base di gas naturale come materia prima compresa, l’ammoniaca, che è importante per i fertilizzanti, nonché per la plastica e altri beni, in particolare il diesel detto DEF, un altro prodotto necessario alle Nazioni (il trasporto merci avviene per lo più con questo tipo di combustibile) colpito in modo totale dalle sanzioni antirusse.
Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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