Spirito
Il rabbino morto e l’ebraismo di Chabad: messianismo e case accoglienza in 100 Paesi

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il rabbino moldavo-israeliano ucciso a Dubai era parte di un gruppo chassidico che, pur non essendo il più numeroso, è noto per il suo «apostolato». Vanta quasi 5mila membri – shluchim, o emissari – che gestiscono circa 3.500 istituzioni o «Case-Chabad». Attivista israeliana: «limitato» definire la morte frutto di attacco antisemita. Il suo movimento «molto importante», ma con elementi di criticità.
L’uccisione negli Emirati Arabi Uniti (EAU) del 28enne rabbino israelo-moldavo Zvi Kogan, in un probabile tentativo di sequestro per il quale i vertici dello Stato ebraico accusano l’Iran (che smentisce), riaccende i riflettori su Chabad Lubavitch, un movimento chassidico, che oggi vanta un’influenza globale.
Nato a Gerusalemme e trasferitosi ad Abu Dhabi nel 2020 all’indomani della firma degli Accordi di Abramo sotto la mediazione statunitense, rabbi Kogan era sposato con Rivky Spielman, nipote del rabbino Gavriel Holtzberg assassinato a Mumbai nell’attacco alla Nariman Chabad House del 2008.
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Il cadavere è stato individuato nella città di Al Ain, nei pressi del confine fra Emirati e Oman, anche se non vi sono certezze sul luogo della morte. Assieme alla moglie gestiva un negozio di alimentari kosher a Dubai (Rimon), già bersaglio nel recente passato di proteste online da parte di dimostranti filo-palestinesi e anti-israeliani.
«È un omicidio da inquadrare nel contesto della guerra» e definirlo «attacco antisemita» è lo specchio evidente di una «mancanza di conoscenza di quanto sta succedendo nel mondo, anche perché molti israeliani hanno una visione, e una narrazione, molto limitata». A sottolinearlo ad AsiaNews è Hana Bendcowsky, esperta nel dialogo interreligioso, responsabile dei programmi per il Jerusalem Center for Jewish-Christian Relations e figura di primo piano del Centro Rossing per l’educazione e il dialogo.
Anche la morte del rabbino Zvi Kogan, e le sue implicazioni, vanno contestualizzate nelle vicende dell’ultimo anno a Gaza (e in Libano): «Chi parla di attacco antisemita – afferma – mostra uno scollamento da realtà e motivazioni, che sono più complesse».
La sua morte, oltre a gettare un’ombra su un possibile coinvolgimento dell’Iran in un tentativo di rapimento degenerato con la morte dell’ostaggio, riporta al centro delle cronache Chabad, una setta ortodossa ebraica con base negli Stati Uniti, ma ramificata in tutto il mondo.
Nota anche come Lubavitch, dal nome della città russa in cui ha avuto sede per gran parte del XIX secolo, pur non essendo il più grande gruppo chassidico per numero è di gran lunga il più noto e visibile.
In particolare per l’opera decennale di sensibilizzazione degli ebrei alle radici della fede. Quest’ultimo, infatti, è l’unico che sfrutta tecnologie e strumenti di comunicazione moderni per diffondere il messaggio e la presenza globale. Da Memphis a Mumbai, da Bangkok a Boston, non vi è quasi nessuna grande città del pianeta che non abbia una presenza permanente.
«Si tratta di un gruppo molto importante – conferma Hana Bendcowsky – per diversi motivi: incoraggia più ebrei a praticare la Torah, promuove un idealismo messianico, fornisce un sostegno anche a livello concreto perché si possa praticare il giudaismo, dal cibo kosher allo Shabbat, portandoli anche a compiere buone azioni. Quasi in ogni angolo del mondo vi è una casa, che diventa un sostegno più accessibile di consolati e ambasciate, un luogo meno burocratico in cui chiedere aiuto».
Vi è però anche un rovescio della medaglia, per una azione «di apostolato» molto «materiale» nella cui prospettiva «tutti devono essere religiosi, non ammettono laicismo o secolarismo fra ebrei, che devono praticare». Uno degli scopi primari della loro «missione» è di convincere a «seguire le 7 leggi universali» perché questo insegna loro il Talmud.
L’influenza di Chabad è in gran parte il prodotto dell’impegno di quasi 5mila membri – noti come shluchim, o emissari – che gestiscono circa 3.500 istituzioni in 100 Paesi.
In genere, gli shluchim sono una coppia sposata che vive e gestisce una «casa Chabad», offrendo pasti, lezioni, servizi di preghiera e (a seconda del luogo) sostegno al turismo. In alcune nazioni, Chabad è l’unica presenza ebraica organizzata. Il gruppo è molto visibile su internet e gestisce (tra gli altri siti web) chabad.org, che dichiara di avere 52 milioni di visitatori all’anno. A questo si aggiunge una delle più prolifiche case editrici ortodosse degli Stati Uniti, un gruppo internazionale di giovani e una rete mondiale di decine di yeshivas.
Chabad viene fondata nel 1775 nell’attuale Bielorussia da Rabbi Shneur Zalman di Liadi (noto anche come Alter Rebbe). Shneur Zalman era un discepolo di Dov Ber di Mezeritch (noto anche come Magghid di Mezeritch), che a sua volta era il principale discepolo del Ba’al Shem Tov, fondatore del movimento chassidico. Zalman era considerato un prodigio, tanto da guadagnare secondo le cronache il titolo di rabbino all’età di 12 anni.
l nome Chabad è un acronimo, coniato da lui stesso, che sta per le tre componenti dell’intelletto: chochmah (saggezza), binah (comprensione) e da’at (conoscenza). Mentre il chassidismo è emerso come reazione a quella che veniva vista come una forma di ebraismo eccessivamente erudita e incentrata sulla yeshiva, Shneur Zalman ha insegnato che il cuore deve rimanere subordinato alla mente.
Tuttavia, è stato grazie a Menachem Mendel Schneerson che il movimento si trasforma da setta chassidica isolata nella forza ebraica di grande influenza che è oggi. Nato nel 1902 nell’attuale Ucraina e universalmente chiamato dai suoi seguaci semplicemente «il rebbe», egli viene considerato studioso di talento fin da giovane. Schneerson vedeva negli alti tassi di interscambio e assimilazione degli ebrei una sorta di Olocausto spirituale.
Secondo il suo insegnamento, riavvicinare gli ebrei alla loro eredità e all’osservanza dei comandamenti biblici avrebbe accelerato la venuta del Messia. I suoi sforzi si concentravano sugli ebrei, ma non si limitavano a loro: Schneerson ha anche chiesto ai suoi seguaci di incoraggiare l’osservanza delle 7 leggi «universali» (Noahide), gli obblighi morali universali che l’ebraismo insegna essere incombenti su tutta l’umanità. Il «rebbe» muore senza figli e senza designare un successore, lasciando il movimento senza un leader ma rimanendo ancora oggi la sua «luce guida».
Nei decenni successivi alla sua morte, l’espansione di Chabad nel mondo è continuata a ritmo sostenuto. Tra il 1994 e il 2002 sono stati inviati più di 610 nuovi emissari e sono state aperte 705 nuove istituzioni, come riposta nel suo libro The Rebbe’s Army la giornalista Sue Fishkoff.
Nello stesso periodo, la presenza di Chabad nell’ex blocco sovietico passa da otto città russe a 61 in tutta la regione. Chabad opera non solo nelle grandi aree urbane, ma anche nelle città più piccole e nelle zone rurali. In alcuni luoghi esiste soprattutto per soddisfare le esigenze dei viaggiatori ebrei, rendendosi quello che è stato definito il «volto dell’ebraismo moderno».
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Immagine di Haim Twito via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Spirito
Cardinale Burke: il messaggio di Fatima mette in guardia dall’«apostasia pratica del nostro tempo»

Cardinal Burke: Fatima “speaks about the practical apostasy of our time that is the going away from Christ by so many in the Church, & the violence & death which are its fruit”
Many “embrace the confusion, lies, & violence of contemporary culture. Their lives contradict the most… pic.twitter.com/OPKhNEji75 — Michael Haynes 🇻🇦 (@MLJHaynes) July 14, 2025
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Spirito
I riti nella Chiesa cattolica

Il termine «rito» si riferisce comunemente all’ordine della preghiera ufficiale, ovvero alla norma dell’azione liturgica stabilita dall’autorità e che trova la sua espressione pubblica e concreta nella liturgia. Il III secolo vide i primi segni di liturgie diverse nelle tre grandi metropoli dell’Impero: Roma, Alessandria e Antiochia.
Nel IV secolo emersero le zone liturgiche, costituite secondo le grandi divisioni politiche dell’epoca, dove alla fine prevalsero le forme liturgiche che costituiscono la base dei riti odierni.
Rito latino
In Occidente, la liturgia derivata da Roma prevale universalmente. L’antichissima liturgia gallicana, ampiamente utilizzata e fonte di numerosi elementi per le liturgie locali e persino per la liturgia romana, fu sostituita, a partire dall’epoca di Carlo Magno, dalla liturgia romana.
Lo stesso accadde nell’XI secolo per la liturgia ispanica o mozarabica, che in alcuni elementi si avvicinava alla liturgia gallicana. Fu ripresa nel XVI secolo in una cappella della cattedrale e in alcune parrocchie di Toledo, dove è ancora conservata.
Nell’arcidiocesi di Milano e in alcune parrocchie delle diocesi di Bergamo, Novara, Pavia e Lugano è ancora vigente la liturgia ambrosiana, riorganizzata da san Carlo Borromeo.
Diverse particolarità delle liturgie locali furono abolite dal Concilio di Trento, poiché da due secoli non avevano più alcuna autorità; alcune, tuttavia, sopravvissero fino al Concilio Vaticano II nelle arcidiocesi di Braga (rito di Braga) e di Lione (rito lionese) e nelle famiglie religiose, ad esempio tra i domenicani e i certosini (riti domenicano e certosino).
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Riti orientali
Il concetto di «rito» in senso stretto è riservato alle azioni liturgiche. Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, promulgato il 18 ottobre 1990, ne definisce una nozione più ampia, che si estende all’intero «patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare» delle singole Chiese orientali.
Questo patrimonio trae origine da una delle seguenti tradizioni: alessandrina, antiochena, armena, caldea e costantinopolitana. Tre di queste hanno avuto origine nell’Impero romano: alessandrina e costantinopolitana in Cappadocia, antiochena a Gerusalemme; due sono nate alla periferia dell’Impero: caldea in Mesopotamia e Persia, e armena per gli armeni.
La tradizione alessandrina conobbe uno sviluppo particolare in Etiopia, dove subì l’influsso di quella antiochena, mentre quella costantinopolitana o bizantina si conservò, senza subire profonde modificazioni, nelle Chiese nate dal Patriarcato stesso.
Sia la tradizione alessandrina che quella antiochena, nelle comunità fedeli ai concili di Efeso e di Calcedonia, furono gradualmente sostituite, dopo le controversie cristologiche del V secolo, dalla tradizione costantinopolitana, cioè quella dell’Impero e della Corte.
Così, a partire dal Medioevo, la liturgia alessandrina fu praticata solo dagli oppositori del Concilio di Calcedonia in Egitto ed Etiopia e di quello di Antiochia in Siria, Palestina e Mesopotamia, nonché dai Maroniti, che in seguito vi apportarono alcune modifiche.
A coloro che sono in comunione con la Chiesa cattolica, la Santa Sede lascia normalmente il proprio patrimonio. È un principio già affermato da San Leone IX: «La Chiesa romana sa che le consuetudini diverse a seconda del luogo e del tempo non impediscono la salvezza dei credenti, quando un’unica fede, operando attraverso la carità il bene che può, raccomanda tutti gli uomini a un solo Dio».
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Tradizione alessandrina
Questa tradizione si divise in due: egiziana ed etiope. Dominò in Egitto fino al XIII secolo, quando fu abbandonata a favore della tradizione costantinopolitana. Dopo la conquista musulmana, l’arabo soppiantò gradualmente il greco, di cui rimangono solo poche tracce (il rito copto).
In Etiopia ed Eritrea, la liturgia alessandrina subì profonde modifiche e si arricchì di nuovi testi, influenzati dai testi antiocheni. La lingua liturgica utilizzata è stata il Ge’ez, già lingua ufficiale nel V secolo, quando furono effettuate le prime traduzioni di testi biblici e liturgici in Axum (rito Ge’ez).
Tradizione antiochena
Formatasi liturgicamente a Gerusalemme e poi soprattutto ad Antiochia, e diffusa in Palestina, Siria e Mesopotamia settentrionale, questa tradizione si diffuse gradualmente a partire dalla seconda metà del XVII secolo fino ai cristiani di San Tommaso nell’India meridionale. I maroniti conservarono la tradizione antiochena, con modifiche in senso latino (rito maronita).
Praticato inizialmente in greco e siriaco, oggi è celebrato solo in siriaco con molte parti in arabo, in particolare tra i siriani (rito siro-antiocheno). I Malankaresi, cattolici di tradizione antiochena dell’India, usano, oltre al siriaco, il malayalam (rito siro-malankarese).
Tradizione armena
La tradizione armena si sviluppò a partire da testi antiocheni, con notevole influenza dei testi cappadoci e bizantini, ma con un notevole elemento originale fin dai tempi più antichi (rito armeno). Elementi latini furono introdotti nel Medioevo.
La lingua liturgica è l’armeno classico, lingua ufficiale dell’Armenia nel V secolo. In alcune eparchie del Patriarcato cattolico di Cilicia (nell’attuale Turchia sud-orientale), si osserva un crescente uso liturgico dell’arabo.
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Tradizione caldea
Questa tradizione si sviluppò indipendentemente nell’ex Impero Sasanide, da cui il termine «rito persiano». Dal XVII secolo in poi, il termine «caldeo» prevalse a Roma, ma le regioni abitate dai caldei la chiamarono «siro-orientale» (rito caldeo).
Questa eredità rituale fu trasmessa dai missionari della Mesopotamia all’Asia centrale, alla Cina e all’India. L’uso del siriaco, scritto e pronunciato in modo molto diverso da quello usato in Siria, si conservò quasi esclusivamente nella liturgia. In Mesopotamia, alcune chiese adottarono l’usanza di leggere pericopi scritturali e altre formule in arabo.
Il ramo più numeroso è la Chiesa siro-malabarese, che, secondo la tradizione, risale all’apostolo San Tommaso. La lingua liturgica usata oggi è il malayalam (rito siro-malabarese).
Tradizione costantinopolitana o bizantina
Questa tradizione, spesso chiamata «rito greco» in Occidente, si sviluppò a Costantinopoli, anticamente Bisanzio, essenzialmente da quella di Antiochia, ma con elementi provenienti da Alessandria e dalla Cappadocia (rito greco o bizantino).
Nel corso dei secoli, i testi liturgici e quelli relativi alla disciplina canonica di Costantinopoli furono tradotti dal greco nelle lingue dei popoli sottoposti alla giurisdizione dei Patriarchi di Costantinopoli, Alessandria e Antiochia, aderendo alla fede di Calcedonia: prima in georgiano, siriaco, paleoslavo e arabo, poi in romeno e, più di recente, in molte altre lingue.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Spirito
«Decimare la popolazione, rendere schiavi i superstiti»: mons. Viganò contro il green deal


La «conversione» green
Dichiarazione a proposito dell’endorsement vaticano alla frode climatica dell’Agenda 2030
La teoria che attribuisce all’uomo la responsabilità dei cambiamenti climatici derivanti dall’emissione di CO2 nell’atmosfera è sostenuta da una parte ampiamente minoritaria della comunità scientifica, peraltro in gravissimo e palese conflitto di interessi. La sua sovraesposizione mediatica è data dalla sistematica censura di tutte le voci davvero indipendenti e autorevoli, e costituisce una totale falsificazione della realtà. È sulla riduzione della CO2 che si basa l’intero castello di menzogne e frodi che dovrebbero legittimare la «transizione green». In realtà l’anidride carbonica è indispensabile alla sopravvivenza della vita sul Pianeta, e ridurla significa distruggere ogni forma vivente sulla Terra. E quand’anche il riscaldamento globale fosse reale, esso non avrebbe alcun significativo rapporto con l’attività umana, essendo originato principalmente dall’attività solare. Infine, le soluzioni proposte per porre rimedio all’aumento dell’anidride carbonica suonano risibili, poiché vengono adottate solo da una parte delle Nazioni, mentre Cina e India continuano a costruire centrali a carbone e ad utilizzare l’energia derivante dai combustibili fossili. D’altra parte, gli impianti per la produzione di energia alternativa risultano molto più inquinanti di quelli tradizionali.Sostieni Renovatio 21
- L’emergenza climatica è una frode, in quanto non è basata su dati oggettivi, e non è attribuibile all’azione umana (e ancor meno risolvibile solo da parte dei Paesi occidentali mediante la deindustrializzazione forzata);
- questa crisi – come quella pandemica, quella economica e quella bellica – costituisce un pretesto per l’imposizione di misure coercitive ad esclusivo danno dei cittadini, minacciati non solo nei loro beni ma anche nella loro salute e nella loro stessa esistenza;
- gli artefici del green deal hanno come esplicito scopo della transizione ecologica l’eliminazione fisica di gran parte della popolazione mondiale e l’instaurazione di una dittatura tecnocratica volta al controllo sociale e alla limitazione delle libertà fondamentali;
- per dare corpo alla frode green, le organizzazioni coinvolte si avvalgono di tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica e di ingegneria sociale, ricorrendo non solo alla falsificazione sistematica delle notizie tramite i media – ad esempio attribuendo le morti di questi giorni all’emergenza climatica – ma anche creando artificialmente eventi meteorologici disastrosi (pensiamo alle distruzioni provocate a Maui nelle Hawaii, a Valencia in Spagna e più recentemente in Texas tramite l’impiego della geoingegneria e delle tecnologie dell’HAARP, High frequency Active Auroral Research Programme).
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