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Il primato dell’essere umano sugli interessi della società e della scienza

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Renovatio 21 pubblica il comunicato del Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB).

 

 

 

 Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB)

Parere relativo al primato dell’essere umano sugli interessi della società e della scienza, alla demedicalizzazione della società e alla revisione critica della nozione di progresso tecnologico

 

 

L’attuale fase della gestione del COVID – sebbene parzialmente oscurata dalla sovrapposizione tra pausa estiva, crisi di governo, polemiche relative all’adozione dei vari «Decreti Aiuti» e campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre 2022 – sta evidenziando anche sul mainstream le contraddizioni e le incoerenze che hanno preceduto e accompagnato, sul piano scientifico, l’immissione in commercio dei cosiddetti vaccini.

 

L’incertezza circa la sicurezza e l’efficacia di questi ultimi, e per converso la certezza circa la loro natura sperimentale, sono oggi ben note: ma è appena il caso di ricordare che lo erano molto meno nel novembre 2021, quando il CIEB richiamava – per la prima volta in Italia – l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che i «vaccini» in questione erano stati autorizzati, in via condizionata e provvisoria, sulla base di un regolamento europeo applicabile a «medicinali» per i quali non fossero forniti «dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia». (1)

 

A quasi un anno di distanza dal suo I Parere, il CIEB non può fare a meno di constatare che – tra l’indifferenza della politica, dei media e conseguentemente dell’opinione pubblica – l’assenza di dati oggettivi in merito alla sicurezza e all’efficacia dei cosiddetti vaccini è divenuta il tratto caratteristico ed essenziale destinato a stimolare e ad accelerare l’intera campagna vaccinale, in Europa come nel resto del mondo.

 

Una conferma in tal senso è fornita dalla decisione della Food and Drug Administration statunitense di autorizzare nuovi vaccini per le varianti del COVID pur in assenza di qualsiasi studio clinico (2); un’altra conferma è fornita dalla raccomandazione dell’European Medicines Agency di autorizzare nuovi vaccini per le varianti Ba.4 e 5 del COVID sulla base dei dati ottenuti per i vaccini relativi alle precedenti varianti Ba.1 e 2, a loro volta ottenuti mediante mera comparazione con i dati di laboratorio – e, quindi, non clinici – relativi ai vaccini concepiti per la versione primigenia del Sars-CoV-2 (3); un’ulteriore conferma è fornita dall’invio massiccio di vaccini nei Paesi africani – cui ha contribuito anche il governo italiano donando 100 milioni di euro alla GAVI Alliance, come segnalato dal CIEB nel suo XIV Parere del 19 agosto 2022 – ciò che potrebbe condurre alla accidentale o incauta somministrazione di vaccini adenovirali a soggetti sieropositivi (4); ma la conferma più eclatante è fornita dalla comunicazione della Commissione Europea del 2 settembre 2022, in cui si afferma, in modo emblematicamente apodittico, che «lo sviluppo dei vaccini COVID-19 può essere considerato un trionfo scientifico (sic!) e si stima (sic!) che il loro successo nell’implementazione abbia salvato circa 20 milioni di vite (sic!) in tutto il mondo» (5).

 

Questo scavalcamento delle evidenze scientifiche avviene mentre in Italia si discute più o meno oziosamente dei «poteri speciali» che il Presidente del Consiglio ha ritenuto di disciplinare in materie di rilevanza strategica solo dopo la crisi di governo e le sue dimissioni, nell’assoluto silenzio dei media e della politica e, soprattutto, al culmine del periodo più buio dell’intera storia repubblicana per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali (6); mentre il dibattito pre-elettorale sta progressivamente soffocando, secondo un processo non imprevedibile e forse non indesiderato dagli stessi movimenti anti-sistema, il dissenso della parte ancora raziocinante della società civile nei confronti dell’evidente mancanza di eticità del potere politico, mediatico, tecno-scientifico e finanziario; mentre taluni partiti, chiaramente interessati al mantenimento dello status quo, strizzano l’occhio a quanti si mostrano critici nei riguardi della gestione del COVID, in vista di eventuali successi elettorali; mentre dovrebbe essere di palmare evidenza che la cosiddetta pandemia è servita, prima di ogni altra cosa, a sdoganare la strategia volta a legittimare l’adozione di meccanismi e strumenti premiali ispirati ai principi dell’economia comportamentale e finalizzati all’instaurazione di regimi neomalthusiani di stampo totalitario mediante l’utilizzo del terrore, della propaganda e dello scientismo; e mentre già si delineano le nuove emergenze pianificate dalle corporazioni finanziarie multinazionali in grado di controllare in profondità, su scala globale, i circuiti scientifici, tecnologici, produttivi, industriali, culturali, mediatici e politici.

 

Poiché da più parti si colgono segnali in grado di far presagire che, qualsiasi governo nascerà dalle prossime elezioni politiche, gli italiani si troveranno comunque a fronteggiare ulteriori restrizioni ispirate a nuove emergenze sanitario-climatico-energetiche, il CIEB ritiene necessario ribadire fin d’ora, ancora una volta e con forza, il principio del primato dell’essere umano sugli interessi della società e della scienza, come recepito anche da strumenti di diritto internazionale (7). Questo principio, richiamato in diversi Pareri del CIEB, non ha che una sola declinazione: guidare le scelte politiche e le decisioni normative concernenti le applicazioni dei risultati scientifici conseguiti, in particolare, nei campi della genetica, della biologia e della medicina, ossia le applicazioni tecnologiche che più di altre suscitano dubbi e sollevano interrogativi etici in merito alla salvaguardia dell’integrità psico-fisica dell’essere umano e alla tutela della dignità e dei diritti fondamentali dell’uomo.

 

A tal fine, il CIEB ritiene improcrastinabile:

 

  • riportare i principi e i valori cui si ispira la riflessione bioetica e biogiuridica al centro del processo di revisione della gestione del COVID – che talune istituzioni pubbliche e private stanno avviando solo ora, con ingiustificabile ritardo, a emergenza apparentemente conclusa – superando in particolare la sterile contrapposizione tra dati scientifici su cui indulgono in modo strumentale gran parte dell’accademia, la politica, i media e, conseguentemente, l’opinione pubblica;

 

  • creare le condizioni affinché la società civile possa dotarsi degli strumenti intellettuali e culturali necessari per valutare criticamente le misure di gestione della cosiddetta pandemia, nonché quelle che saranno adottate per gestire le future, nuove emergenze, tenuto conto della diffusa tendenza, avallata anche dalle istituzioni, a ridicolizzare, criminalizzare o addirittura psichiatrizzare le opinioni dissenzienti e minoritarie, riducendole a teorie cospiratorie o complottismi di varia natura e finalità; (8)

 

  • anche in considerazione delle gravi violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali commesse durante la gestione del COVID, tali da prospettare veri e propri crimini contro l’umanità, riaprire il dibattito sull’esigenza di demedicalizzare la società – allo scopo di recuperare e valorizzare la funzione tradizionale della medicina – e di rivedere, più in generale, nozione e prospettive del progresso tecnologico allo scopo di salvaguardare i diritti dell’uomo nei confronti della biomedicina, delle biotecnologie e delle «tecnologie convergenti» verso la prospettiva postumana e transumana, con specifico riferimento alle nanotecnologie, alle tecnologie dell’informazione e comunicazione, alle applicazioni delle neuroscienze, alla biologia sintetica, all’intelligenza artificiale e alla robotica.

 

 

CIEB

 

17 settembre 2022

 

 

NOTE

 

1) Cfr. l’art. 4, n. 1, del regolamento della Commissione europea n. 507/2006 del 29 marzo 2006, in Guue n. L92 del 20 marzo 2006.

2) Cfr., tra gli altri, https://ilmanifesto.it/vaccino-pfizer-senza-test-gli-usa-corrono-leuropa-frena.

3) Cfr. https://www.ema.europa.eu/en/news/adapted-vaccine-targeting-ba4-ba5-omicron-variants-original-sars-cov-2-recommended-approval.

4)  Sui rischi di tale somministrazione cfr. Buchbinder, S.P.; McElrath, M.J.; Dieffenbach, C.; Corey, L.; Use of Adenovirus Type-5 Vectored Vaccines: A Cautionary Tale, in Lancet Lond. Engl. 2020, 396, e68–e69, doi:10.1016/S0140-6736(20)32156-5.

5) Cfr. l’incipit della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, intitolata «Risposta dell’UE al COVID-19: preparazione per l’autunno e l’inverno 2023», documento COM(2022) 452 def. del 2 settembre 2022.

6) Cfr. il D.P.C.M. 1° agosto 2022, n. 133, intitolato «Regolamento recante disciplina delle attività di coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri propedeutiche all’esercizio dei poteri speciali di cui al decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, e successive modificazioni ed integrazioni, della prenotifica e misure di semplificazione dei procedimenti», in G.U., Serie Generale, n. 211 del 9 settembre 2022. Come è evidente, l’atto in questione è stato adottato a crisi già consumata (risalendo le dimissioni del governo al 21 luglio 2022) e pertanto è quantomeno dubbia la sua riconducibilità all’ambito degli «affari correnti» che il governo dimissionario dovrebbe, come noto, limitarsi a espletare. Ad abundantiam, il D.P.C.M. in questione è stato pubblicato con più di un mese di ritardo sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore il 24 settembre 2022, ossia il giorno prima della data prevista per le elezioni politiche.

7) Cfr. l’art. 2 della Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, firmata a Oviedo il 4 aprile 1997.

8) Cfr., emblematicamente, https://www.rivistadipsichiatria.it/archivio/3790/articoli/37742/.

 

 

Il testo originale del Parere è pubblicato sul sito internet: www.ecsel.org/cieb

 

 

Renovatio 21 offre questo comunicato per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

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Mosca bataclanizzata: qual è il messaggio?

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Al momento in cui scrivo la conta dei morti del massacro di Mosca è di 60 morti e 140 feriti.

 

Abbiamo raccolto e mostrato qualche immagine agghiacciante: sì, un commando è entrato in un centro commerciale (su qualche canale ebete di Telegram avete letto che era un municipio: il traduttore automatico dei geni ha tradotto «Crocus City Hall» in «Municipio di Crocus», come se Crocus fosse un quartiere della capitale russa; gli ignoranti che seguite sui social fanno anche questo) con fucili automatici e hanno iniziato a sparare all’impazzata. Sono stati colpiti anche dei bambini, e due dodicenni sarebbero gravi.

 

È interessante notare quanto siano restii i nostri media a pronunziare, davanti allo schema perfettamente ripetuto, la parola che aveva inondato il discorso pubblico sul terrorismo quasi dieci anni fa: Bataclan.

 

Il disegno tecnico è il medesimo: colpire la popolazione comune, falciandola con armi a ripetizione e magari qualche bomba suicida o meno, nel momento di massimo svago e massima vulnerabilità – quando va a vedere un concerto. Sparare sulla gente quando è concentrata in un unico punto ed indifesa. Massacrare in maniera massiva per compiere il lavoro del terrorismo, e portare il suo messaggio.

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Mosca è stata bataclanizzata. I grandi media non vogliono dirvelo – perché significherebbe elevare il popolo russo a vittima, dopo due anni di campagna martellante per convincerci che la Russia è carnefice. E poi, soprattutto, nessuno ha voglia davvero di guardarci dentro: se il disegno è lo stesso del Bataclan, gli autori sono gli stessi? I mandanti pure?

 

Alla rivendicazione dell’ISIS, buttata subito in stampa da tante testate internazionali, non possiamo credere. Curioso, tuttavia, che l’ISIS possa voler colpire la Russia proprio ora, quando l’intervento in Siria è finito da anni…

 

L’Ucraina, per bocca di un ciarliero e molto visibile tizio consigliere di Zelens’kyj, Mikhailo Podolyak (quello che aveva insultato il papa e il cristianesimo) ha detto non siamo stati noi, mentre altri ucraini hanno ovviamente tirato fuori l’hastatoputin. Chiaramente, ci vogliono far credere, è un false-flag del Cremlino per scatenarsi, anzi, guarda, è la festa personale di Putin per aver vinto l’elezione con quasi il 90% dei voti. Come no. (in rete circolano meme divertenti con il passaporto di un terrorista miracolosamente, come al solito, ritrovato sul luogo del delitto: la foto è quella di un Putin barbuto)

 

Si tratta della più grande strage terrorista dai primi anni 2000. Qualcuno ricorderà i 130 morti (più quaranta terroristi) e i 700 meriti della crisi del Teatro Dubrovka, quando vennero sequestrati 850 civili da un gruppo di islamisti separatisti ceceni.

 

Dobbiamo capire che la vittoria sulla questione cecena – e sul terrorismo correlato – è stata la scala d’ingresso di Putin verso il Cremlino. La Cecenia era un disastro che poteva trascinare giù tutta la Russia: un alveare terrorista nel cuore del Paese, e allo stesso tempo un fattore di demoralizzazione devastante per la popolazione. Erano i primissimi tempi di internet, ma già circolavano i video, poi perfezionati da ISIS e compagni, di sgozzamenti di soldati e civili russi.

 

Putin fu colui che mise fine al pericolo. Da primo ministro ha vinto la Seconda Guerra Cecena, di fatto sottomettendo una fazione in lotta, quella di Kadyrov, il cui figlio ora al potere a Grozny manda i suoi soldati a combattere in Ucraina con adunate oceaniche negli stadi dove si grida «Allahu Akbar» e subito dopo «viva il presidente Putin».

 

La strage di Dubrovka non è stata la sola. Poco dopo, ci fu il massacro di Beslan, ancora più intollerabile nella volontà terrorista di colpire gli indifesi: il 1 settembre 2004 un gruppo di 32 fondamentalisti separatisti ceceni entrò in una scuola elementare e sequestrò 1200 persone, per maggior parte bimbi. Ricordate quell’immagine: una bomba pronta ad esplodere piazzata dentro il canestro della palestra, e i bambini sotto. Il conto, dopo che gli Spetsnats (le forze speciali russe) liberarono la scuola, fu di oltre trecento morti, di cui 186 bambini, e 700 feriti. Quasi tutta la scuola è stata ferita dal terrorismo.

 

Si tratta di traumi che i russi pensavano passati. Sono seguiti gli anni putiniani dove stipendi e pensioni sono saliti di 7, 15 volte. Dove il popolo russo, che dopo il 1991 aveva cominciato a perdere un milione di persone l’anno (alcol, disperazione) ha ritrovato la dignità, e, parola chiave per capire Putin e la Russia odierno, rispetto.

 

Il terrorismo, essenzialmente, è un linguaggio. Ogni atto terroristico ha un messaggio da portare al mondo – questo è quello che ci dicono, almeno. Sappiamo che il messaggio è, in genere, più di uno. C’è un messaggio di superficie, quello dei perpetratori: vogliamo l’indipendenza, vogliamo vendetta, vogliamo la shar’ia, vogliamo la fine dell’occupazione, cose così.

 

Poi c’è il messaggio profondo, quello dei veri mandanti, di cui non si può discutere, perché non si può saperne nulla.

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Le stragi dei primi 2000 avevano, come messaggio di superficie, la Cecenia: la terra dove Putin aveva riportato l’ordine, promettendo di inseguire i terroristi anche al cesso ed ucciderli lì, disse in una famosa dichiarazione.

 

Il messaggio profondo possiamo immaginare fosse un altro: lasciaci continuare a depredare la Russia. Il desiderio, profondo ed irrevocabile, dei veri mandanti, che non necessariamente stavano in russo.

 

I terroristi takfiri ceceni, si è detto, potevano aver legami con oligarchi nemici di Putin riparati all’estero. Era chiaro cosa volevano gli oligarchi ribelli: proseguire, anche per conto dei loro soci occidentali, la razzia resasi possibile con il crollo dell’Unione Sovietica nel decennio di Eltsin, come visibile, ad esempio, nel caso magnate del petrolio Mikhail Khodorkovskij, quello che Pierferdi Casini difendeva al Parlamento italiano, prima di essere imprigionato da Putin si diceva avesse trasferito le sue quote a Lord Nathaniel Jacob Rothschild, quello dei quadri satanici con Marina Abramovic spirato pochi giorni fa. Liberato dalla clemenza di Putin prima delle Olimpiadi 2014 (l’Occidente ringraziò organizzando poco dopo i Giochi di Sochi Piazza Maidan a Kiev), il Khodorkhovskijj ora è tornato a galla per la questione ucraine, i giornali lo definiscono «oppositore di Putin».

 

Vi sono tuttavia casi più evidenti. Rapporti tra terroristi ed oligarchi furono discussi per uno dei nemici più acerrimi di Putin, l’oligarca riparato a Londra Boris Berezovskij. Una trascrizione di una conversazione telefonica tra Berezovsky e il fondamentalista Movladi Udugov – attualmente uno degli ideologi e il principale propagandista del cosiddetto Emirato del Caucaso, un movimento militante panislamico che rifiuta l’idea di uno stato ceceno meramente indipendente a favore di uno stato islamico che comprenda la maggior parte del Caucaso settentrionale russo e si basi su principi islamici e sulla legge della shar’ia – fu trapelata su uno dei tabloid di Mosca il 10 settembre 1999. Udugov propose di iniziare la guerra del Daghestan per provocare la risposta russa, rovesciare il presidente ceceno Aslan Maskhadov e fondare la nuova repubblica islamica di che sarebbe stata amica della Russia pre-putiniana.

 

Dopo la Seconda Guerra Cecena, Berezovskij aveva mantenuto i rapporti con i signori della guerra islamisti. Nel 1997, nell’ambito di supposte attività di ricostruzione della Cecenia, fece una donazione di 1 milione di dollari (alcune fonti menzionano 2 milioni di dollari) per una fabbrica di cemento a Grozny. Per tale pagamento fu negli anni accusato di finanziare i terroristi ceceni.

 

Il 23 marzo 2013 Berezovskij, che bazzicava il World Economic Forum di Davos e aveva avuto un ruolo attivo nella rielezione di Eltsin nel 1996, fu trovato morto nel bagno nella sua villa nel Berkshire, vicino ad Ascot, luogo caro alla nobiltà britannica. Dissero dapprima che era depresso, perché aveva perso una causa con Roman Abramovic (ex patron del Chelsea, anche lui oligarca ebreo ultramiliardario che però si era sottomesso a Putin) e quindi aveva debiti; la polizia inglese invece disse che era una morte senza spiegazioni e volle lanciare un’inchiesta, ma non arrivò a nulla. Si dice prendesse farmaci antidepressivi, e un giorno prima di morire avrebbe detto ad un giornalista londinese che non aveva più niente per cui vivere.

 

Parlo della morte di Berezovskij perché all’epoca notai come potesse essere correlata ad una strage terrorista dall’altra parte del mondo: il 15 aprile dello stesso anno due bombe esplodono alla Maratona di Boston ammazzando tre persone e ferendone 250. Vengono accusati due fratelli ceceni, Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev. Emerse che loro zio, che i giornali dissero subito si era dissociato dalla deriva islamista dei nipoti, era stato sposato con la figlia di un agente CIA, con cui avrebbe pure convissuto.

 

Difficile capirci qualcosa: tuttavia, la domanda che mi feci, all’epoca, era: il messaggio profondo della strage bostoniana è che, morto Berezovskij, qualcuno stava chiedendo il riequilibrio di questa rete antirussa occulta che attraversa il mondo.

 

La mia era solo una supposizione. Di certezze sulle connessioni tra gli americani e gli islamisti ceceni, invece, ne ha Vladimir Putin.

 

In una sequenza di tensione rivelatrice del documentario che Oliver Stone ha dedicato a Putin – un’intervista di ore e ore tra il 2015 e il 2016 – il presidente russo dà una notizia piuttosto gigantesca: racconta che gli USA, trovati ad aver contatti con i terroristi ceceni, hanno risposto alle rimostranze del Cremlino dicendo che essi erano autorizzati diplomaticamente a parlare con chi volevano.

 

Putin era visibilmente scosso: la Cecenia, per lui che l’aveva vinta come prima missione della sua carriera ai vertici, significava tanto: il dolore di tanti morti, il rischio di far finire la Russia, ancora una volta, in una spirale di razzia e violenza, in pratica di farla sparire dalla storia.

 

Discorsi simili sono stati fatti poche settimane fa nell’intervista che Putin ha concesso a Tucker Carlson. Il presidente russo lo aveva ripetuto ai giornalisti anche l’anno scorso: «nel Caucaso l’Occidente sosteneva Al-Qaeda». Washington appoggia il terrorismo antirusso, in sintesi. Per gli italiani che si ricordano quando – al tempo non c’era la parola «complottista» – si parlava della Strategia della Tensione, non è una storia tanto campata in aria.

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E quindi, qual è il messaggio della strage terrorista al Crocus di ieri sera?

 

È lo stesso, crediamo, di quello di quando l’anno scorso hanno bombardato a Mosca Darja Dugina o a San Pietroburgo il blogger Vladen Tatarskij: vogliono ri-cecenizzare la Russia.

 

Vogliono riportare le lancette indietro a quegli anni, quando Mosca era debole, il popolo incerto ed impaurito, e le risorse del bicontinente libere per i rapaci internazionali. Quando c’era il terrorismo islamico, usato come solvente da un potere superiore per distruggere definitivamente ogni potere indipendente per la Russia e piegare nella paura la psiche del popolo russo.

 

Tutto questo è durato fino a Putin. I mandanti non hanno mai accettato di aver perso. E quindi, nell’ora del trionfo politico e popolare di Putin, ripetono il messaggio. Puoi anche vincere le elezioni, puoi anche avere l’affetto del tuo popolo: noi te lo possiamo portar via a suon di mitragliate terrorista. Puoi vincere la guerra ucraina, noi massacreremo le famiglie ai concerti a Mosca. Lo faremo con i ceceni, con gli ucraini, con i daghestani, con i nazisti russi, con chiunque potremo manovrare.

 

Ora, da temere, più che il messaggio, che è chiaro, è la risposta che darà Putin.

 

Perché, come è evidente, potrebbe essere l’innesco della Terza Guerra, che di fatto l’élite occidentale, brama affannosamente.

 

Roberto Dal Bosco

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Il diritto e il suo fondamento. Dall’antica Roma al COVID, da Hegel a Gaza

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Il senso logico e deontologico del diritto quale «regolamento normativo dei rapporti sociali» è stato spesso complicato dalla incomprensione della sua origine, ovvero dalla frequente dimenticanza della sua formazione che, al di là di tante variabili, non può non essere ritenuta sempre identica per ogni agglomerato umano costretto dalle contingenze a convivere e a darsi per questo delle regole.   Anche l’eterna diatriba, spesso sterile, sugli elementi distintivi del diritto rispetto ad altre manifestazioni della vita dello spirito, in primis alla morale, ha finito spesso per oscurare questa verità elementare, contribuendo ad alimentare i tanti ultimi paradossi cui è approdato il fenomeno giuridico, legislativo e giudiziario.   La necessità della convivenza implica la necessità di un ordine, quindi richiede che vi sia una autorità capace di porre le regole, e di garantirne il rispetto, condizione indispensabile perché esse rimangano effettive. Ma implica altresì che si sia formata una coscienza comune di come esista già un ordine naturale che va messo in forma secondo quella naturalis ratio ciceroniana che distingue e dovrebbe sempre distinguere l’umano.   Ora, se occorre un potere che imponga le regole, siamo già nel campo della politica come azione di governo della comunità, ovvero le regole sono un prodotto della politica. Ma il potere, e quindi la politica, sono esposti alla possibilità dell’arbitrio e il diritto, da strumento di garanzia della ordinata convivenza sociale, può diventare strumento a sua volta di dominio e di arbitrio, tradendo la propria funzione.   Insomma, si innesca il fatale circolo vizioso per cui il diritto è prodotto della politica, dalla quale deve però difendersi. Secondo l’ineccepibile schema aristotelico, è un prodotto della razionalità umana che si esprime nella politica, ma finisce per potere essere travolto dalla stessa irrazionalità da cui viene travolta l’azione politica quando essa devia da quella funzione di governo che è anch’essa indispensabile per una ordinata vita di relazione.   Insomma, si pone il problema della giustizia delle regole, della loro imposizione e applicazione, ovvero della loro rispondenza alla finalità, sorretta dalla ragione, di realizzare il bene oggettivo. L’episodio di Salomone e delle due donne che rivendicavano la propria maternità sul medesimo bambino riassume in modo esemplare questo schema ideale della retta ragione che riconosce e salva a vantaggio di tutti un valore superiore di verità, per metterla a guardia del bene comune.   E il criterio della giustizia secondo ragione deve guidare il diritto e il potere, altrimenti esposti alla minaccia della prepotenza e della irragionevolezza. Di qui anche la esigenza, sentita fin dai tempi più antichi, di ancorare la legge umana ad un parametro oggettivo che, stando al di sopra di ogni soggettivismo ed egotismo, garantisca la fedeltà della legge alla sua vocazione ordinatrice e pacificatrice, e dunque ad una volontà superiore incontrovertibile.   Di qui il senso del diritto va ricercato in una dimensione metafisica che rifletta esigenze umane superiori. Anche la legge mosaica è stata dettata perché il popolo era di dura cervice, ed è rimasta valida al di là e al di sopra della storia.

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I greci non svilupparono per nulla un sistema giuridico organico quale quello partorito dalla razionalità pratica romana, ma la loro attitudine filosofica colse l’aspetto spirituale che ogni attività normativa poteva scoprire condizionando la direzione dell’operato umano.   Dunque, è sempre una divinità, Temi, madre di Dike a rappresentare lo spirito e la volontà di giustizia (Walter Otto, Gli dei della Grecia, pag. 157), ovvero a dare ordine alle cose attraverso la giustizia.   Infatti, attraverso le sue tre figlie, le Ore, Eunomia, Dike, e Irene – ovvero buon ordine, giustizia e pace – guida l’operato degli uomini. E Dike in particolare, che siede accanto a Zeus, ha il compito di indicare all’uomo il modo di condurre la propria esistenza secondo giustizia (dicaiusine), che vuol dire secondo la stessa armonia con cui si muove il mondo iscritto nel cosmo. Ed è costretta a vagare piangendo e strepitando quando qualcuno dei mortali contravviene a quelle indicazioni, guidato dalla propria insana hybris. In questo senso il concetto oggettivo e soggettivo di giustizia si saldano, e uomo giusto è chi pratica la giustizia secondo i criteri superiori preordinati.   Ulpiano tradurrà lo stesso concetto, con linguaggio pratico, nel suum cuique tribuere, da intendere in senso metaforico ampio, come regola di equilibrio oggettivo e non certo nel senso ristretto contabile della giustizia distributiva.   La giustizia suggerita da Dike è dunque equilibrio di rapporti e di azioni, quella misura che, se rotta dall’hybris, porta l’uomo alla perdizione, ovvero porta alla perdizione le genti governate dall’hybris.   Insomma, il mito richiamava felicemente ai criteri che debbono essere rispettati perché si abbia una vita buona e quindi anche un buon governo degli uomini. E quei criteri sono di origine divina, trascendono le volontà umane. Ma è anche evidente che l’esigenza di fissare questi criteri a priori non si sarebbe manifestata a sua volta, se l’esperienza non avesse mostrato che un ordine normativo implica il potere di attuarlo e il potere è sempre esposto al pericolo dell’arbitrio.   Ovvero al pericolo che le finalità pacificatrici e ordinatrici delle norme vengano tradite o stravolte da chi detiene il potere e lo impiega per scopi che nulla hanno a che fare con esse. Ogni forma di imposizione delle leggi per scopi che non sono quelli del bene della comunità, produce la degenerazione del diritto e la perdita della sua funzione sostanziale.   Di qui la necessità di predeterminare i criteri che debbono guidare un buon esercizio del potere e la sua valutazione in concreto. Di qui la necessità di ancorare la legge a una autorità superiore trascendente l’umano, non esposta ai capricci del tempo e delle passioni tristi, che non può e non deve essere messa in discussione e tanto meno disattesa.   Dunque, al di là della genesi che si può attribuire in generale al fenomeno giuridico e alle diverse disposizioni antropologiche, vi sono delle costanti evidenti, come è appunto il presupposto religioso quale fondamento che garantisce stabilità e coerenza al sistema normativo.   Tutti i concetti fondamentali afferenti al mondo del diritto possono poi essere ricercati nella eredità giuridica di Roma che è stata capace di creare il sistema più compiuto e geniale, generalmente accolto o riconosciuto nel tempo quale archetipo indiscusso ed esemplare.   Possiamo osservare anzitutto che, se dal medievale «directum» si è imposta una terminologia diventata corrente per definire ogni sistema normativo dell’Europa continentale, è lo jus romano originario a riportarci alla sua più profonda prospettiva concettuale.   La radice comune con jussum implica il comando e quindi il potere e l’autorità di imporre l’obbedienza alle regole e garantirne l’osservanza attraverso i necessari mezzi coercitivi, morali e all’occorrenza materiali. Ma ha anche la stessa radice di Juppiter ed è anzitutto una formula religiosa quella che all’inizio ha forza di legge, per lungo tempo appannaggio del Pontifex, il quale interpreta e trasmette al popolo la volontà divina.   Abbiamo visto come la regola porti con sé anche l’esigenza di un contenuto adeguato alla sua funzione, e in questo senso sia buona, cioè giusta. Dallo jus deriva anche la romana justitia arrivata anche nella terminologia fino a noi.   Dunque anche il diritto arcaico romano ebbe un fondamento squisitamente religioso e proprio da quello che sarebbe diventato il più grandioso sistema giuridico mai creato vediamo come il diritto abbia richiesto fin dall’origine un forte e rassicurante ancoraggio in una volontà superiore e trascendente, secondo una connessione che ha accompagnato tutta la storia umana sia pure in forme e misura variabile, e che sono state rimesse alla volontà degli dei le regole della vita sociale, alla quali si è voluta dare stabilità.   Insomma, nella visione in cui Dio vuole il bene degli uomini e la loro ordinata sopravvivenza, la legge divina quale legge naturale che precede la legge umana pone ad essa i criteri indefettibili sui quali deve essere modellata per presentarsi anche come giusta. Il criterio della giustizia ha bisogno di essere formulato al di là e al disopra delle particolarità e delle contingenze storiche e sociopolitiche, dei venti di dottrina, e modellato sulle leggi eterne del buon vivere comune.

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Tuttavia, bisogna anche precisare che un conto è il piano del diritto interno, che regola la vita di una comunità omogenea e autonoma, e, prima ancora, quello della coscienza che guida il comportamento individuale, e un conto quello dei rapporti tra comunità estranee fra loro e tendenzialmente in conflitto.   Qui il campo dell’etica si articola secondo criteri che spesso hanno poco a che fare con quelli della morale individuale e dell’etica collettiva in cui va la prima a riflettersi. Di fatto qui prende corpo quella che impropriamente chiamiamo legge del più forte, perché non rappresenta un qualche principio normativo, quanto un fenomeno oggettivo della realtà effettuale e che, se proprio gli si volesse conferire un contenuto normativo, andrebbe avvicinata alle leggi da cui sono governate le specie animali, leggi che chiamiamo naturali in quanto rispecchiano una realtà empiricamente verificata.   A proposito di Roma, è stato osservato come, al pari del diritto privato, dominato dai principi della buona fede e dell’equità, la vita privata continuò a svolgersi secondo principi etici consolidati, mentre nella vita pubblica dominava già l’homo homini lupus. Segno che la logica e la coerenza interna al sistema, e allo stesso tempo la miracolosa capacità di armonizzare l’ancoraggio ai principi del mos maiorum con la necessità di modellare nuovi istituti alle sempre mutevoli contingenze socioeconomiche, attraverso la creatività delle proprie magistrature, assicurò la sopravvivenza secolare del sistema al di là delle fortissime turbolenze interne ed esterne.   «Religione, Politica e Diritto, configurano tre aspetti della Norma i quali risulteranno a Roma strettamente vincolati tra loro». E questa connessione rispondeva e risponde oggettivamente ad una esigenza profonda la cui dimenticanza può generare mostri, come ha dimostrato e continua a dimostrare la storia. Ma, come vedremo presto, può generare mostri anche quella torsione particolare tra religione e politica che si è verificata ab antiquo nell’ebraismo e in tempi più vicini con il protestantesimo specie calvinista.   D’altra parte, se Dio è anche il legislatore dichiarato, il problema del fondamento della legge è stato posto nei suoi termini teorici. Ma questo non esaurisce di per sé ancora quello dei contenuti, della bontà delle leggi, che si trasferisce sul dio legislatore. Dunque, si pone il problema della teodicea e della sua possibile contraddizione interna. Ed è evidente come si profili ancora l’ombra di un circolo vizioso quando la legge che si fa discendere da Dio contraddica proprio quella funzione ordinatrice e pacificatrice che le era stata attribuita.   Circolo vizioso dal quale è possibile uscire soltanto mettendo a fuoco quale sia la legge fondamentale che sostanzia la volontà divina. Più semplicemente, di fronte ad una molteplicità di teodicee, occorre affrontare la realtà di un diverso spirito che sostanzia l’una o l’altra. E soprattutto la diversità dei canoni ermeneutici a seconda dei campi di applicazione, ovvero delle regole che debbono guidare la vita interna di una società da un lato e quelle da applicare nei rapporti tra le diverse società e culture.   Non per nulla oggi si torna a parlare molto di teologia politica di fronte a fenomeni a volte contraddittori, a volte persino malignamente coerenti afferenti al rapporto tra religione, diritto e politica.   A questo proposito è particolarmente interessante rileggere quello Spirito del Cristianesimo e il suo destino che raccoglie alcuni scritti giovanili di Hegel, pubblicati postumi, e che offre non pochi spunti di riflessione sulle terribili vicende mediorientali.   Occorre subito precisare anzitutto che per «destino» vi si intendono le conseguenze che certi presupposti religiosi determinano nella realtà sociopolitica. Infatti, nella visione ideale offerta dal cristianesimo, letto ovviamente in chiave protestante come Chateubriand lo leggeva in chiave cattolica, poiché il presupposto su cui si fonda e da cui muove è l’amore, le conseguenze che ne derivano razionalmente sono la tendenza verso una pace universale che, se non è quella perpetua della utopia kantiana, guida la vita dei popoli nella direzione del bene comune interno e della convivenza pacifica all’esterno.   Ora, mettendo da parte questo assunto per il momento, è interessante fermare l’attenzione sul paragone che egli propone con l’ebraismo e con la cultura abramitica.   Se da un lato il cristianesimo ha come legge fondamentale quella dell’amore, pur declinato e di fatto interpretato in una grande varietà di accezioni, «il Dio di Abramo disprezza tutto il mondo tranne il popolo eletto unico favorito, con il corollario che questo sceglie con Abramo di vivere in assoluta separatezza ideale dagli altri, mentre la sua liberazione è espressione del favore di Dio e non frutto della propria volontà».   Dunque, secondo questa interpretazione, il destino del popolo ebraico è quello di una profonda scissione anche rispetto alla natura, mentre ogni sua liberazione sarà fonte di inimicizia aggressiva nei confronti degli altri popoli con cui verrà in contatto.   Inutile dire come questa analisi teologico politica si adatti alla tragica realtà che abbiamo ora sotto gli occhi, e possa spiegare scelte che appaiono insensate e incomprensibili anche da un punto di vista dell’utile meramente politico. Ma i fatti di Gaza e il fine di annientamento che guidano i comandi israeliani e non impensieriscono i loro concittadini sembrano inverare la analisi hegeliana della separatezza ancestrale anche dagli altri uomini e dal comune sentire, ma con in più la allucinata determinazione psicotica che fu propria, per ironia della sorte, dei famigerati persecutori degli ebrei nel cuore dell’Europa.   Segno che affermare il fondamento trascendente delle azioni umane è necessario e plausibile soltanto in quanto orienti al bene l’operato degli uomini che hanno il compito di attivare a questo scopo il dono della ragione. Questa è stata anche la lezione di Benedetto XVI a Regensburg, il cui monito era ad ampio spettro e si rivolgeva di certo a tutti quanti cerchino di agire con ingiustizia nel nome di Dio.

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Va anche osservato come le stesse ascendenze religiose di quel protestantesimo che condivide con l’ebraismo l’elezione divina sembrano produrre in molti casi i medesimi effetti insensati e altrettanto devastanti, ben al di là del campo della economia capitalistica in cui il fenomeno è stato rilevato da Weber.   Quella stessa elezione divina che dal calvinismo all’inizio è stata riservata all’individuo, alla fine ha potuto diventare genericamente, specie nella autostima angloamericana, elezione di popolo. Ma soprattutto ha potuto tradursi, in oligarchie dinastiche e di censo sostanzialmente atee, nella ipertrofia di un ego onnipotente e legibus solutus. E dunque capace di tutto.   Di qui la consonanza di sensi e visione del mondo che lega la oligarchia statunitense a Israele. Una oligarchia che cerca nel conflitto procurato e perpetuo la conferma del proprio destino di potere su uomini e cose. Salvo poi incappare negli imprevisti della storia e negli errori di calcolo che distruggono spesso i teoremi e le allucinazioni della volontà di potenza.   Del resto, come è stato osservato, Hegel nel riferirsi all’ebraismo proponeva semplicemente un modello negativo da non seguire, un paradigma dal quale bisognava staccarsi nella certezza che il bene individuale e collettivo può venire soltanto dalla conciliazione tra Dio, uomo e natura, che sola può contribuire ad una vita buona per tutti.   Il problema del rapporto tra Cristianesimo, diritto e politica, non è proponibile in uno spazio limitato. Esso è stato molto articolato anche in ragione di un pensiero teologico in perenne affanno filosofico e dei travagli politici della Chiesa fino alla sua secolarizzazione avviata col Concilio Vaticano II e quasi completata ormai da Bergoglio nel plauso degli ateisti che confondono la religione con la religiosità della ideologia.   Del resto, la connessione stessa tra religione, diritto e politica e i loro condizionamenti reciproci si articola sempre in modi molto diversi, nel tempo e nello spazio.   Basti pensare ad esempio alla capacità singolare dimostrata dal diritto romano di mantenere nel tempo la propria coerenza concettuale in una articolata rete di istituti consolidati e paradigmatici, al di là di ogni turbolenza politica e di ogni convulsione della storia. Forse è stata proprio questa solidità persistente della creazione giuridica romana a far sì che il concetto stesso di diritto sia rimasto definito e incontaminato nella sua sostanza concettuale e ideale e sia vissuto di luce propria almeno fino ai giorni nostri dove, svuotato di ogni contenuto di valore, ma caricato soltanto della funzione coercitiva utile al potere dominante, si riduce a mero e brutale instrumentum regni al quale regno assicura una suggestionata e cieca obbedienza.   Ora infatti abbiamo a che fare con fenomeni normativi contingenti quanto aberranti che del diritto tradiscono il senso e la funzione e condividono abusivamente con esso solo il nome. Norme positive, cioè poste, che traggono la propria cogenza soltanto dalla validità formale e ottengono quindi obbedienza indipendentemente dalla loro intima contraddizione con il senso e la funzione propria del diritto, e con il dettato costituzionale.   Perché la stessa Costituzione, da legge fondamentale scritta, è diventata manu militari, cioè in via politica, un vaporoso insieme di massime estemporanee liberamente interpretabili in senso favorevole al demagogo di turno, come l’oroscopo di un settimanale femminile.   In altri termini, del perverso, e sempre in agguato, circolo vizioso tra politica e diritto sottomesso al suo arbitrio, oggi viviamo ulteriori e spettacolari manifestazioni, in ragione anche di fenomeni inediti. Infatti, oggi, dopo secoli di elaborazione del pensiero giuridico e del pensiero politico, di impennate verso il superamento e l’uscita dal circolo vizioso attraverso l’utopia democratica, ci vediamo precipitati, all’interno come all’esterno, nel punto più basso della degenerazione del diritto pubblico e privato e, nei suoi limiti, internazionale, almeno in proporzione con quelli che ne erano stati ritenuti i progressi.   Per non dire della devastazione dei principi etici che dal diritto debbono essere messi in forma. Il diritto soggettivo, che dovrebbe rappresentare la tutela accordata ad un interesse meritevole per la collettività, diventa la coccarda appuntata sul petto di ogni fenomeno contro ragione e contro natura.   L’arbitrarietà con cui viene tradita la morale cristiana, la funzione sostanziale del diritto e della politica, riproducono le insensatezze, le imposture o le mostruosità etiche che corrispondono perfettamente a quelle estetiche. Queste spesso si presentano con l’etichetta di arte contemporanea, mentre distano dal concetto di arte che ha potuto formarsi su modelli storicamente riconosciuti dallo spirito, dall’intelletto e dalla sensibilità umana fino a quando questi non sono stati prima confusi e poi del tutto ottusi da corrive quanto plateali imposture.   Parimenti il concetto di diritto oggettivo, come quello di diritto soggettivo che dal primo nasce per filiazione quando una pretesa del soggetto, individuale o collettivo, viene riconosciuta meritevole di tutela, è ormai radicalmente contraffatto. Primo perché non ricava la propria validità da un base razionale, ma semplicemente dal potere che lo pone. Valga per tutti l’esempio delle restrizioni imposte con la cosiddetta pandemia non sulla base della conoscenza dei fatti, ma per la sudditanza di fronte a sistemi di potere incontrollati riconosciuti superiori una tantum. Tutto riassunto in un compendio, abbiamo trovato la abolizione della sovranità normativa, la confusione tra i poteri dello Stato. la degenerazione degli assetti istituzionali.

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La riduzione del diritto a mero strumento di potere arbitrario sta soprattutto nella distruzione di ogni principio etico fondamentale per la tenuta e la sopravvivenza di qualunque società umana. La nostra si vota alla autodistruzione perché violenta la natura, normalizzando omosessualità e genderismo e imponendo questa violenza anche ai più indifesi. Eleva a diritto la soppressione dei nascituri e dei superflui ingombranti, o dei fornitori di pezzi di ricambio che servono soltanto se espiantati ai vivi. E altre amenità rese possibili dallo spaccio di parole truffaldine, falsi sentimenti e ragionamenti fasulli.   Le leggi non servono più a governare il caos, ma ad alimentarlo. Prodotto obbligato del deterioramento fatale di un pensiero religioso, giuridico e politico, una volta innescato, il caos sembra oggi divenuto proprio l’obiettivo costante che il potere utilizza per consolidarsi. Perché in mezzo ad esso, nella notte in cui tutte le vacche sono nere è difficile che gli individui riescano ad aggregarsi, a trovare la coerenza di una forza d’urto capace di squarciare il buio della ragione e mettere a nudo la mancanza di senso in cui è gettata la vita individuale e collettiva, sulla quale viene organizzato e amministrato proprio il caos.   In mezzo ad esso il potere infatti può sussistere e mantenersi in piedi, grazie alla cieca e irresponsabile accondiscendenza di alcuni, alla miope rassegnazione di molti, alla impermeabile e colpevole inconsapevolezza dei più.   Infatti, questo caos non turba troppo la ben oleata ignavia di una società in coma, o la turba quel tanto che le è concesso per ritenersi ancora padrona di sé, illudersi della propria esistenza, e non avere quindi motivo per rivendicare la propria autodeterminazione culturale e politica.   Viviamo nella società dei non pensanti, forse in restringimento quantitativo, ma pur sempre capace di dare al potere una certa fiducia in se stesso. Altrimenti l’Occidente avrebbe altre classi dirigenti. Un altro ministro degli esteri, e un altro ministro del merito, un altro apparato di governo in generale, altri soggetti istituzionali.   Saremmo un popolo memore di una storia, di un’etica comunitaria e di una morale individuale, di una eredità di pensiero religioso, giuridico e filosofico di prim’ordine, prima che venisse il tempo, non tanto degli sciacalli, e delle jene, quanto quello dei piccoli uomini insignificanti quanto pericolosi perché servi sciocchi e senza volto, ovvero senza responsabilità.   Patrizia Fermani     Articolo previamente apparso su Ricognizioni.

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Occulto

Feto trovato in uno stagno. Chi ce lo ha messo? E soprattutto: perché?

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Leesburg è storica cittadina di 40 mila abitanti nello Stato americano della Virginia. Si trova vicino al fiume Potomac, quello che passa per la capitale Washington.

 

Leesburg è il capoluogo di contea della contea di Loudoun – praticamente omonima della piccolo paesino francese che nel Seicento fu teatro della possessione di massa delle suore di un convento, da cui il romanzo I diavoli di Loudun di Aldous Huxley – il luogo finito nelle cronache negli scorsi mesi per il clamore seguito alle presunte molestie sessuali subite da una ragazzina adolescente in un «bagno transgender» ad opera di uno studente transessuale. Lo scandalo si moltiplicò quando la repressione si abbattè sui genitori che protestavano negli incontri con i dirigenti della scuola, con il padre della giovane vittima arrestato dalla polizia durante un meeting.

 

Lo scorso 12 marzo il dipartimento di polizia locale della piccola città americana ha emanato un comunicato stampa agghiacciante.

 

Vi si dichiara che l’11 marzo, «il dipartimento di polizia di Leesburg è stato allertato intorno alle 16:33 da un membro della comunità che ha scoperto il corpo di un feto a termine nello stagno dietro Park Gate Drive, a Leesburg». L’espressione inglese usata per il bambino, «late term», indica un bambino nato tra 41 settimane e 0 giorni e 41 settimane e 6 giorni.

 

Il feto è stato trasportato all’ufficio del capo medico legale della Virginia per l’autopsia.

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«Questa è una situazione profondamente tragica», ha detto il capo della polizia di Leesburg, Thea Pirnat. «Esortiamo chiunque abbia informazioni a farsi avanti, non solo per il bene delle indagini, ma anche per garantire che a chi ne ha bisogno ricevano cure e servizi medici adeguati».

 

La polizia ha anche ricordato alla gente del luogo le risorse disponibili per le donne incinte, inclusa l’opzione per la consegna sicura e anonima dei neonati secondo le leggi Safe Haven della Virginia, con le quali i genitori possono consegnare il proprio bambino se ha 30 giorni o meno, insomma come si faceva un tempo con la ruota degli esposti.

 

«La legge fornisce protezione dalla responsabilità penale e civile in alcuni procedimenti penali e procedimenti civili per i genitori che consegnano in sicurezza i loro bambini», dichiara il dipartimento. «La legge consente a un genitore di rivendicare una difesa affermativa davanti all’accusa se l’accusa si basa esclusivamente sul fatto che il genitore ha lasciato il bambino in un luogo sicuro designato».

 

«L’indagine viene trattata con la massima serietà e sensibilità» afferma il dipartimento nel comunicato. Per il resto, vista la mancanza di aggiornamenti sul caso, possiamo forse usare la famosa espressione giornalistica: la polizia brancola nel buio.

 

La verità è che, con grande probabilità, non si farà molto per risalire a chi ha abbandonato al bambino – anche se, a pensarci, la genetica di consumo in voga negli USA, con cui si stanno prendendo serial killer che l’avevano fatta franca per decenni, potrebbe aiutare ad avvicinarsi quantomeno ai genitori del piccolo.

 

Il vescovo della diocesi di Arlington Michael F. Burbidge ha espresso «grande dolore» per la scoperta. «Esorto i fedeli della diocesi e tutte le persone di buona volontà ad unirsi a me nella preghiera per la madre del bambino e per chiunque sia coinvolto in questo incidente».

 

Il problema è che chiunque in questo caso parte con un’idea che, per quanto non dimostrata, è persistente: si tratta di un caso di degrado, un segno orrendo di disagio sociale, un effetto del livello di bassezza cui è sprofondata la società… Cose così. Inevitabile, a questo punto, che salti fuori anche quello che dice che con l’aborto si risolveva tutto. È il tema dell’antica canzone di Elio e le Storie Tese: Cassonetto differenziato per il frutto del peccato.

 

Eccerto, se il bambino veniva fatto a pezzi nel grembo materno, gli sarebbe stato risparmiato di finire in uno stagno. La minuta voce utilitarista dentro ogni cittadino sincero-democratico dice: così non soffriva. In verità, in tanti, specie se interessati al mantenimento dell’establishment, vorrebbero dire che, uccidendolo semplicemente prima grazie alle leggi feticide, ci risparmiavamo l’orrore, lo scandalo, i quindici minuti di destabilizzazione sociale conseguenti all’orripilante scoperta.

 

Crediamo che ci sia la possibilità che si sbaglino tutti: polizia, abortisti, vescovi, pro-life pregatori vari. Potrebbe essere che si stiano ponendo la domanda sbagliata. Potrebbe essere che stiano guardando al dito invece che alla luna. Perché su Renovatio 21 stiamo, da tempo, sviluppando l’idea che tali ritrovamenti, che avvengono di continuo in tante parti del mondo, non siano casuali, e nemmeno siano tutti scaturigini del degrado sociale della società odierna.

 

Abbiamo sotto gli occhi tanti strani casi italiani, di cui da tempo stiamo tentando di iniziare un censimento.

 

Per esempio, nell’aprile 2006 a Terlizzi (provincia di Bari), in un cimitero, trovano sotterrato maldestramente un feto di sesso maschile di tre mesi: il bambino è inserito in un barattolo di vetro.

 

Nel 2017 in provincia di Benevento, i carabinieri del comando provinciale trovano «un barattolo in vetro, con all’interno un oggetto dalle presunte fattezze di un feto umano» che sarebbe stata messa, anche qui, nel verde, «in un’area prospiciente il fiume Calore, seminascosto dietro un terrapieno». Poco dopo, rientra tutto: si trattava di «due guanti in tessuto, avvolti tra loro con dello spago che erano stati riempiti con una sostanza spugnosa» scrivono i giornali. Insomma, uno «stupido scherzo», dissero. Caso chiuso.

 

A metà novembre 2019, in uno spazio verde di Piazza Benfica, a Torino, un signore che porta a passeggio un cane si accorge che qualcuno aveva messo lì un contenitore con all’interno, visibile nel liquido trasparente di conservazione, un feto embrionale. Dal primo esame svolto all’epoca dei sanitari fu detto che il feto aveva tra le 10 e le 15 settimane. Mesi dopo il Pubblico Ministero chiederà l’archiviazione. I giornali dicono che «il giallo è risolto» perché il feto risalirebbe ad almeno vent’anni prima. Ciò ovviamente non spiega nulla, ma basta trasmettere al lettore sincero-democratico che va tutto bene. Circolare, niente da vedere qui.

 

Giugno 2023, Bassano del Grappa, provincia di Vicenza: in una zona di campagna i carabinieri, secondo quanto riportato, stavano conducendo un’operazione antidroga, andando a cercare luoghi dove gli spacciatori potrebbero nascondere gli stupefacenti. Durante il setaccio, dietro un cespuglio, gli agenti scoprono un barattolo, con dentro un essere umano grande quanto il palmo di una mano. Un feto di sei mesi, conservato in un liquido che probabilmente è formalina. I giornali locali parlano di «ipotesi di riti satanici», ma come sempre, l’eterna «pista del satanismo» va a sparire dopo pochi giorni, come tutta la storia.

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Poi giace da qualche parte, enorme e dimenticato, il caso di Granarolo. Febbraio 2022: un ragazzo che recupera ferro vecchio e altri materiali nelle industrie si reca presso un capannone per eseguire una raccolta. Gli viene detto di portare via anche dei bidoni gialli, sono una quarantina, tutti accatastati lungo un muro, tra altri rifiuti. Il suo compito sarebbe di «smaltirli da qualche parte». Lui ne apre uno: è pieno di un liquido di colore verde. Dentro vi galleggia un feto umano. Il ragazzo si spaventa. Filma la situazione, poi chiama la polizia. Sembra di capire, quindi, che di feti mica ce ne era solo uno: forse che tutti quei bidoni gialli contenevano feti? Da dove provenivano? Di chi erano figli? Cosa ci facevano lì… quanti erano?

 

Come avevamo predetto su queste colonne, anche questa storia di feti abbandonati sparisce immediatamente dai radar. Non ci è chiaro cosa abbiamo fatto le autorità, se una qualche ricostruzione è stata data: avevano detto che forse centravano musei e università, ma era davvero così? Qualche responsabilità è stata assegnata? Qualche indagine è stata conclusa? Stiamo cercando, ma sembra proprio che, come avevamo preconizzato, notizie sulla vicenda non sono state più date – nel disinteresse totale di curia, politici locali, ebetudine pro-life organizzata varia. Va così.

 

Ora, il pensiero che stiamo sviluppando è quello per cui tutti questi casi di feti «abbandonati» non siano effetti casuali del disagio sociale. Potrebbe essere, invece, parti di un disegno «religioso» con forme e dimensioni ancora sconosciute. I feti non sono lasciati lì per caso: sembrano, in molti di questi casi, disposti appositamente, secondo regole precise, forse geografiche, ambientali.

 

Ci aveva colpito, ad esempio, che in Italia i bambini imbarattolati venissero trovati per lo più nel verde, in mezzo al nulla: cespugli, aiuole, campagne, lungo argine. Un po’ come il feto di Leesburg, trovato non in una fogna, ma in un placido specchio d’acqua, tra i verdi giardini delle casette residenziali lì attorno.

 

Renovatio 21 aveva fatto delle ipotesi: la società post-cristiana è in realtà divenuta anche post-satanista, dove il satanismo non più legato a messe nere e formule magiche varie, ma innestata invece nel discorso dei «diritti umani», come il feticidio e i rapporti contronatura, ora divenuti legge dello Stato moderno. Il caso del Tempio di Satana, che vuole aprire cliniche abortiste in nome della libertà religiosa, costruisce altari satanici da piazzare a Natale nei Palazzi del potere e organizza festoni satanici con green pass e mascherina obbligatori, va in questa direzione.

 

Ma quindi, perché la disseminazione dei feti?

 

Abbiamo pensato che forse, la disposizione di questi feti potrebbe suggerire che li si voglia nascondere, come si fa con gli amuleti maledetti affinché persistano la loro funzione contro la vittima: sepolti nell’erba, occultati, ma presenti nella loro drammatica verità. Delle bandierine dell’universo post-satanista, delle «antenne» con la loro funzione: reliquie occulte, ripetitori del messaggio, dell’energia del Male.

 

Un feto a termine ucciso e impiantato nel territorio può volere dire: qui si fa l’aborto. E il fatto che nel caso della Virginia si trattasse di un bambino late term, potrebbe fare pensare qualcuno: nel grande paradosso del presente americano, la Corte Suprema elimina l’aborto come diritto federale mentre una parte della politica parla apertamente di late term abortion, cioè della possibilità di abortire fino al momento della nascita, o pure dopo.

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Se vuole essere un segnale politico per la situazione attuale, il bambino a termine ucciso nello stagno offre un messaggio chiarissimo. Continueremo, andremo avanti anche con l’età dei sacrificandi. Questa terra è nostra.

 

Non è sbagliato pensare che, in questo piano metafisico, vi sia chi all’aborto dedica riti occulti – perché esso è la porta ideale per il ritorno del sacrificio umano, l’inversione definitiva della religione divina, per cui non è più Dio che si sacrifica per l’uomo (come sulla Santa Croce, come nella Santa Messa), ma l’uomo che si sacrifica per gli dei dei pagani – i quali sono, come dice il Salmo, tutti demòni.

 

Il sacrificio umano è, per il momento, illegale, l’aborto no – ed ecco che quindi che essi devono proteggerlo ad ogni costo, attendendo che la fetta superiore del panino, l’eutanasia, scenda giù schiacciando noi in mezzo, fino a rendere l’intera popolazione sacrificabile in ogni momento. Fino a disintegrare una volta per tutte la dignità umana, e rendere la vita spendibile, sprecabile a piacimento. Fino al Regno Sociale di Satana.

 

Vorremmo andare oltre. Stiamo tentando di raccogliere materiale per farci un’idea sui continui casi dei feti nei cassonetti che funestavano in passato le cronache italiane. Forse non era esattamente come pensavamo. Forse anche lì si trattava di un messaggio, della disposizione di antenne oscure, della diffusione del segnale dell’Inferno.

 

Quando avremo tempo, ce ne occuperemo.

 

Nel frattempo, preghiamo il lettore: dai gruppi che vi parlano di difesa della vita, di lotta contro l’aborto – magari chiedendovi con automatica insistenza dei danari – state alla larga.

 

Con evidenza, non hanno capito nulla di quello che sta accadendo. La loro funzione, forse, è proprio quella di farci continuare a non comprendere forme e proporzioni di questa guerra occulta.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine su licenza Envato, rielaborata

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