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Il presidente algerino Tebboune ottiene un secondo mandato

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Il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune è stato dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali tenutesi sabato. Tuttavia, Tebboune e i suoi due oppositori hanno accusato l’autorità elettorale della nazione nordafricana di aver annunciato risultati contraddittori.

 

Secondo i dati provvisori pubblicati domenica dall’Autorità Nazionale Indipendente per le Elezioni (ANIE), Tebboune ha ottenuto il 94,65% dei voti, lasciando i suoi avversari Abdelaali Hassani Cherif e Youcef Aouchiche rispettivamente con solo il 3,17% e il 2,16%.

 

«Dei 5.630.000 elettori registrati, 5.320.000 hanno votato per il candidato indipendente Abdelmadjid Tebboune, pari al 94,65%”, ha detto ai giornalisti nella capitale, Algeri, Mohamed Charfi, direttore dell’ANIE.

 

Sabato i responsabili delle elezioni hanno segnalato un’affluenza preliminare del 48,03% su circa 24 milioni di algerini che si erano registrati per votare.

 

Nell’annunciare l’esito del voto, il presidente della commissione elettorale Charfi ha affermato che l’autorità ha lavorato per garantire trasparenza e una competizione leale tra tutti i contendenti.

 

Tuttavia, i tre candidati alla presidenza, tra cui Tebboune, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta domenica sera in cui si opponevano alle cifre annunciate dall’ANIE. Hanno affermato che le cifre, inclusa l’affluenza alle urne del massimo organo elettorale, erano incoerenti con quelle presentate dagli ufficiali elettorali comunali.

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«Informiamo l’opinione pubblica dell’ambiguità, contraddizione, vaghezza e numeri contrastanti registrati con l’annuncio dei risultati provvisori delle elezioni presidenziali», hanno affermato i direttori della campagna dei tre candidati nella dichiarazione.

 

In precedenza, gli sfidanti del presidente Tebboune avevano espresso preoccupazione per le presunte disparità. Youcef Aouchiche le aveva descritte come «strane» e si era opposto ai tentativi di «gonfiare» i risultati, mentre il portavoce di Hassani Cherif, Ahmed Sadok, le aveva descritte come «un attacco all’immagine dell’Algeria».

 

Tebboune, 78 anni, è ampiamente considerato il candidato dell’esercito ed è diventato il leader dell’Algeria nel 2019, dopo aver vinto le elezioni in seguito alle dimissioni forzate del suo predecessore Abdulaziz Bouteflika. Bouteflika, morto nel 2021, aveva guidato lo Stato africano ricco di petrolio per quasi due decenni, fino a quando la sua candidatura per un quinto mandato ha scatenato massicce proteste di piazza guidate dal movimento Hirak.

 

Tebboune si è impegnato ad aumentare i sussidi di disoccupazione, le pensioni e i programmi di edilizia popolare, cosa che a quanto si dice ha fatto durante il suo primo mandato. Tuttavia, il suo governo ha fatto fatica a incoraggiare l’affluenza alle urne per proiettare legittimità.

 

«L’affluenza alle urne al 48%, rispetto al 40% del 2019, dimostra chiaramente che il divario tra governanti e popolo deve ancora essere colmato», ha affermato l’analista politico Farid Ferrari, citato dalla Reuters.

 

Negli ultimi anni Algeri ha spinto per riforme volte a diversificare l’economia del paese. Verso la fine del mese scorso, le è stata concessa l’adesione alla BRICS New Development Bank (NDB), una mossa che il suo Ministero delle Finanze ha definito un «passo importante nel percorso di integrazione nel sistema finanziario globale».

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Algeria si trova in una situazione di conflitto con il vicino Marocco, talvolta anche con episodi di violenza. Gli scontri nel Sahara occidentale vanno avanti da anni, ignorati dai media europei.

 

Nella contesa tra Marocco e Algeria, prendere le parti del Marocco era costato alla Spagna un aumento dell’8% sul prezzo del gas comperato dagli algerini.

 

Non esattamente una buona notizia per l’Italia che con Draghi premier andò da Tebboune a chiedere di sostituire il gas russo cui i Paesi NATO sono costretti a rinunziare con la scellerata guerra ucraina.

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Politica

Trump chiede la grazia per Netanyahu

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In una lettera inviata mercoledì al presidente israeliano Isacco Herzog, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto la grazia totale per il primo ministro israeliano Beniamino Netanyahu nel suo caso di corruzione.   Sono stati aperti tre procedimenti penali contro Netanyahu, accusato di corruzione, frode e abuso di fiducia. Potrebbe ricevere una condanna fino a dieci anni per le accuse di corruzione, mentre sia la frode che l’abuso di fiducia prevedono una pena massima di tre anni ciascuna.   «Sebbene rispetti assolutamente l’indipendenza del sistema giudiziario israeliano e i suoi requisiti, credo che il “caso” contro Bibi, che ha combattuto al mio fianco per molto tempo, anche contro il durissimo avversario di Israele, l’Iran, sia un’azione penale politica e ingiustificata», ha scritto Trump in una lettera formale condivisa dall’ufficio dello Herzog mercoledì.   «Vi invito pertanto a perdonare pienamente Benjamin Netanyahu».

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Trump ha ripetutamente chiesto la grazia a Netanyahu, ma questa è la prima richiesta ufficiale rivolta a Herzog in merito e rappresenta un raro appello diretto da parte di un leader statunitense in una questione legale interna che riguarda uno stretto alleato.   In risposta alla lettera, l’ufficio dello Herzog avrebbe dichiarato che, pur tenendo in grande considerazione Trump, chiunque voglia ottenere la grazia deve presentare una richiesta formale secondo le procedure stabilite.   Sebbene il ruolo dello Herzog sia in gran parte cerimoniale, egli ha l’autorità di concedere la grazia. Tuttavia, le richieste devono provenire dall’imputato, dai suoi rappresentanti legali o da un familiare. Ad oggi, né Netanyahu né alcuno dei suoi stretti collaboratori ha presentato una richiesta.   Il Jerusalem Post ha osservato che la grazia presidenziale non può essere concessa in questa fase del processo, poiché è ammissibile solo prima dell’inizio del procedimento o dopo che è stato raggiunto un verdetto, nessuna delle due situazioni attualmente applicabili.   Incriminato nel 2019, Netanyahu si è dichiarato non colpevole e nega ogni illecito. Il processo, iniziato nel 2020, ha subito numerosi rinvii e si prevede che continuerà per diversi anni.   Come riportato da Renovatio 21, Trump tre mesi fa ha definito il Netanyahu come un «eroe di guerra». Sono emersi, tuttavia, dettagli di screzi significativi, come quando Trump avrebbe urlato al premier dello Stato Ebraico che minimizzava la carestia a Gaza. In un’altra occasione gli avrebbe detto «sei sempre così fottutamente negativo».   In una plastica immagine della situazione, la folla israeliana ad una cerimonia di riconsegna degli ostaggi ha fischiato Bibi e inneggiato sonoramente al Donaldo.

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Come riportato da Renovatio 21, in passato Trump aveva attaccato Netanyahu arrivando a chiederne la sostituzione e ad ipotizzare tagli agli aiuti ad Israele.   Nel contesto di questi commenti aveva rivelato anche dettagli sull’assassinio del generale dei servizi iraniani Qassem Soleimani, suggerendo che fu indotto ad ordinarne la morte dagli israeliani, che poi però si tirarono indietro.   Come riportato da Renovatio 21, un livello grottesco del rapporto tra Netanyahu e Trump è stato raggiunto a febbraio quando il primo ha fatto dono a quest’ultimo di un cercapersone come quelli fatti esplodere in Libano. Più che un dono diplomatico, a qualcuno può essere sembrata una minaccia vera e propria.   Come riportato da Renovatio 21, a gennaio Netanyahu ha annullato il viaggio per la cerimonia di insediamento di Trump. Prima dell’insediamento l’inviato di Trump Steve Witkoff, in Israele per chiedere la tregua, aveva avuto con Netanyahu un incontro riportato come «molto teso».

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In Belgio lanciano il partito «TRUMP»

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Un nuovo partito di destra, intitolato al presidente USA Donald Trump, è stato lanciato in Belgio, ha riferito lunedì l’outlet locale BRUZZ, citando il fondatore e presidente Salvatore Nicotra.

 

Il partito, ufficialmente denominato TRUMP – acronimo che in francese significa «Tous Réunis pour l’Union des Mouvements Populistes» (Tutti Riuniti per l’Unione dei Movimenti Populisti) – si presenta come erede del movimento Chez Nous, recentemente sciolto, e dell’ex Front National (FN) belga, partito francofono di destra che promuoveva politiche anti-immigrazione e nazionaliste prima di dissolversi nel 2012 per divisioni interne e scandali di corruzione.

 

L’ex presidente dell’FN Nicotra ha spiegato che intitolare il partito a Trump è stata una scelta deliberata. «Donald Trump è il simbolo del populismo. Mostra immediatamente per cosa ci battiamo», ha dichiarato.

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Il politico ha descritto TRUMP come un «partito populista di destra con una dimensione sociale», affermando che la piattaforma attinge circa il 40% dal Partito del Lavoro del Belgio (PTB), di sinistra, che sostiene uguaglianza sociale e salari più alti, e un altro 40% da Vlaams Belang, il maggiore partito di destra belga che chiede controlli più rigidi sull’immigrazione e l’indipendenza delle Fiandre di lingua olandese. A differenza di quest’ultimo, TRUMP rifiuta il separatismo fiammingo e promuove una visione unitaria del Belgio.

 

Il partito TRUMP intende partecipare alle elezioni federali ed europee del 2029 e potrebbe presentare candidati anche a livello regionale e comunale, ha dichiarato Nicotra. Tra gli altri fondatori, tutti ex membri dell’NF, figura Emanuele Licari, ex politico di Vlaams Belang espulso per aver apertamente glorificato il fascismo.

 

Il partito è stato presentato alla stampa il 7 novembre, con l’inaugurazione ufficiale prevista per il 30 novembre.

 

Come noto, Trump, secondo una proposta, potrebbe anche dare il suo nome ad un lago del Kosovo, l’Ujman, che potrebbe chiamarsi Lago Trump. Sebbene il primo ministro kosovaro dell’epoca, Avdullah Hoti, accolse la proposta, non ci fu un’adozione formale del nome.

 

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Politica

Sarkozy è già fuori di galera

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Lunedì l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy ha ottenuto gli arresti domiciliari, meno di tre settimane dopo l’inizio della condanna a cinque anni per un complotto finalizzato a ottenere fondi segreti per la campagna elettorale dal defunto leader libico Muammar Gheddafi.   Sarkozy, condannato a settembre per associazione a delinquere per il finanziamento della sua campagna del 2007, è stato trasferito agli arresti domiciliari.   I procuratori francesi hanno richiesto una stretta sorveglianza giudiziaria per Sarkozy in attesa del processo d’appello. All’ex presidente sarà proibito qualsiasi contatto con testimoni o altri imputati e non potrà lasciare la Francia nel frattempo.   Sarkozy ha sempre negato qualsiasi illecito. «Ho risposto scrupolosamente a tutte le convocazioni… Questa prova mi è stata imposta e l’ho sopportata», ha dichiarato Sarkozy in una conferenza stampa dopo l’udienza in tribunale di lunedì, secondo l’emittente francese BFM TV. «È dura, molto dura, certamente lo è per qualsiasi prigioniero; direi addirittura che è estenuante».   Durante la breve detenzione dell’ex presidente nell’ala di isolamento di La Santé, sono emerse riprese di altri detenuti che lo insultavano di notte da altre sezioni della prigione. Alcuni video contenevano minacce di «vendicare Gheddafi».   Sarkozy, che ha guidato la Francia dal 2007 al 2012, è stato in prima linea nell’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che ha distrutto la Libia e portato alla morte di Gheddafi nel 2011.

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L’ex presidente francese ha visitato Bengasi per sostenere i gruppi ribelli dopo che il blocco militare a guida USA ha imposto una no-fly zone e un blocco navale alla Libia. La guerra ha portato migliaia di combattenti jihadisti nel Paese, ha devastato l’economia libica e ha aperto una rotta migratoria verso l’Europa meridionale che rimane la principale via d’accesso alla crisi migratoria.   Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.     Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».

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