Connettiti con Renovato 21

Economia

Il Pakistan acquisterà petrolio russo usando lo yuan cinese

Pubblicato

il

Il Pakistan ha raggiunto un accordo per pagare le importazioni di petrolio dalla Russia di cui ha urgente bisogno non più con i dollari, ma con gli yuan cinesi lo riporta il quotidiano pakistano in lingua inglese News International.

 

Un anonimo funzionario del ministero dell’Energia pakistano ha dichiarato alla testata che la transazione sarebbe stata facilitata dalla Bank of China, a un prezzo di circa 50-52 dollari al barile.

 

A gennaio, Mosca e Islamabad avrebbero raggiunto accordi «concettuali» sulle forniture di petrolio e prodotti petroliferi russi al Pakistan, riporta il sito russo RT. L’accordo dovrebbe fornire sollievo al Pakistan a corto di liquidità, che sta affrontando una crisi della bilancia dei pagamenti e riserve di valuta estera estremamente basse.

 

Il Pakistan sta attualmente affrontando una situazione di instabilità finanziaria in cui è entrato il Fondo Monetario internazionale (FMI), che vuole che il Pakistan usi i suoi dollari per una cosa, e una cosa sola: pagare il suo debito estero.

 

Questo affare petrolifero ha caratteristiche simili alle discussioni ora in corso tra Brasile e Argentina, per capire come l’Argentina possa pagare le importazioni brasiliane con pesos, non dollari. Come il Pakistan, l’Argentina è colpita da una guerra finanziaria e da un accordo del FMI che la lascia senza dollari per il commercio vero e proprio, figuriamoci per gli investimenti.

 

Nel caso di Argentina-Brasile, stanno cercando di ottenere garanzie dalla Nuova Banca di Sviluppo BRICS (ai quali l’Argentina ha chiesto di partecipare) per prestiti/swap brasiliani per rendere possibile il commercio.

 

Il Pakistan era ritenuto un alleato di ferro degli USA. A causa del rapporto privilegiato tra Islamabad e Washington, tante cose sono state perdonate al Pakistan e ai suoi servizi segreti – il temutissimo ISI – dalla creazione dei talebani in giù.

 

Ora, esattamente come fatto dall’altro grande alleato (o forse, ex alleato) asiatico, l’Arabia Saudita, Islamabad tradisce il dollaro per lo yuan cinese.

 

Il Pakistan raggiunge quindi una quantità di Paese che si stanno sganciando dal dollaro nel movimento verso la dedollarizzazione globale. L’India, l’Indonesia, il Bangladeshla Malesialo Sri Lanka, e altre Nazioni del Sud del mondo stanno seguendo questa pista. A inizio anno la Banca Centrale Irachena ha annunciato che consentirà scambi con la Cina direttamente in yuan cinesi, senza passare dal dollaro, mentre il Ghana si è rivolto non alla moneta statunitense, ma all’oro per stabilizzare la propria valuta nazionale.

 

La de-dollarizzazione  coinvolge da mesi, pur sottotraccia, non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in Cina, in Arabia Saudita, e, oramai da più di un anno, nelle Banche Centrali di Paesi come il Brasile e perfino Israele.

 

Islamabad sta attraversando un periodo di turbolenza senza precedenti. L’ex premier Imran Khan è stato vittima di un attentato a fine 2022.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Khan è stato di recente detronizzato in quello che lui stesso ha definito «un complotto USA». Da premier, aveva mostrato politiche filo-Repubblica Popolare Cinese (di fatto da sempre alleata del Pakistan contro l’India) e negli ultimi tempi filo-russe, posizione più nuova per un premier pakistano. Il Khan aveva altresì avviato accordi con il Tehreek-i-Labbaik Pakistan, il partito islamista del Paese.

 

Sono stati per il Paese mesi di caos, con blackoutterrorismo montante con stragi sanguinarie, le citate pressioni del Fondo Monetario Internazionalefabbriche che chiudono e avvisaglie di guerra civile.

 

Non mancano, nel quadro già tetro, le visite di Bill Gates a generali della potenza nucleare per parlare di vaccini.

 

 

 

 

 

Immagine Fassifarooq via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

Continua a leggere

Economia

La logica dietro al crollo delle criptovalute. Anche la bolla dell’IA pronta a scoppiare?

Pubblicato

il

Da

In un articolo pubblicato sul suo Substack, l’ex Segretario del Lavoro degli Stati Uniti Robert Reich si è unito agli economisti, banchieri e trader che avvertono del rischio imminente di uno scoppio della bolla finanziaria.

 

Reich ha individuato due bolle pronte a esplodere: quella dell’Intelligenza Artificiale e quella delle criptovalute – che, secondo lui, potrebbe essere già collassata, come suggerito dal crollo del 10-11 ottobre).

 

«Le azioni legate all’Intelligenza Artificiale e ai relativi data center rappresentano circa il 75% dei rendimenti delle principali aziende USA, l’80% della crescita degli utili e il 90% dell’aumento delle spese in conto capitale. Tuttavia, un rapporto del MIT rivela che il 95% delle aziende che utilizzano l’IA non genera profitti», ha scritto.

 

La bolla dell’IA ha arricchito alcuni magnati, come Ellison di Oracle, ma Oracle è gravata da debiti e a luglio le agenzie di rating hanno declassato il suo outlook a negativo, una situazione simile a quella di altre aziende del settore.

 

Quanto alle criptovalute, Reich le ha definite «un classico schema Ponzi», che consuma enormi quantità di energia senza produrre nulla di concreto. Quando le bolle dell’IA e delle criptovalute scoppieranno, ha avvertito Reich, «temo che milioni di americani comuni ne pagheranno le conseguenze, perdendo risparmi e posti di lavoro».

Iscriviti al canale Telegram

In seguito alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina della scorsa settimana, il mercato delle criptovalute ha registrato il più grande crollo della sua storia, con una perdita stimata di oltre 150 miliardi di dollari a livello globale. Il bitcoin è calato del 14% tra il 10 e l’11 ottobre, mentre Ether ha toccato un ribasso del 12%. I token minori hanno subito perdite ancora più pesanti. Si tratta della fine della bolla delle criptovalute?

 

Reich si è interrogato sulla questione, rispondendo: «Quando scoppierà la bolla delle criptovalute? Forse è già iniziato». Ha inoltre sottolineato l’«enorme volume di prestiti» che ha alimentato il rialzo delle criptovalute durato nove mesi. Secondo Derive, gli investitori hanno puntato massicciamente su opzioni di Bitcoin ed Ether, segnalando un’ampia scommessa sul crollo del mercato.

 

Quanto alla presunta «stabilità» delle stablecoin, il tracollo delle criptovalute ha colpito anche queste. Bitget riferisce che la stablecoin USDe di Ethena ha perso il 35%, scendendo a 0,65 dollari su Binance, «un movimento notevole per qualcosa che dovrebbe essere stabile… Quando una stablecoin perde il 35% del suo ancoraggio, è naturale chiedersi cosa la sostenga davvero… Le stablecoin sono progettate per resistere a queste pressioni».

 

Un altro castello di carte finanziarie sta per crollare catastroficamente sull’economia globale?

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da Twitter

 

 

Continua a leggere

Economia

JP Morgan: l’oro potrebbe raggiungere i 10.000 dollari

Pubblicato

il

Da

Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan, ha previsto che l’oro potrebbe raggiungere i 10.000 dollari l’oncia, riacquistando appeal come asset rifugio in un panorama di inflazione persistente e instabilità geopolitiche globali.   Il metallo nobile, storicamente visto come una barriera contro l’erosione del potere d’acquisto e la svalutazione delle monete fiat grazie alla sua autonomia da stati e istituti centrali, ha varcato la soglia psicologica dei 4.000 dollari all’inizio di ottobre e ha proseguito il suo rally. Mercoledì ha chiuso con un balzo del 58% da inizio anno, toccando il picco storico di 4.218,29 dollari, più che raddoppiato rispetto al valore del 2023, quando oscillava sotto i 2.000 dollari l’oncia.   «Io non investo in oro: possederlo implica costi del 4%», ha dichiarato Dimon martedì alla conferenza «Most Powerful Women» di Fortune a Washington. «Ma in scenari come l’attuale, potrebbe tranquillamente salire a 5.000 o persino 10.000 dollari».   Il Dimon ha evidenziato come l’economia mondiale stia affrontando numerose sfide, tra cui tariffe doganali americane, l’espansione del disavanzo pubblico, pressioni inflazionistiche, la transizione verso l’Intelligenza Artificiale e attriti internazionali come la corsa agli armamenti, che inducono gli operatori di mercato a puntare sull’oro per mitigare i pericoli.

Sostieni Renovatio 21

Pur astenendosi dal giudicare se l’oro sia sopravvalutato, Dimon ha ammesso che si tratta di «una delle rare occasioni nella mia carriera in cui ha senso allocarvi una quota nel portafoglio, in modo razionale».   Analisti e figure di spicco del settore finanziario condividono vedute analoghe. L’investitore miliardario Ray Dalio ha ribadito martedì che l’oro rappresenta un «ottimo veicolo per diversificare gli investimenti» in un’epoca di debiti sovrani in espansione, conflitti geopolitici ed erosione della fiducia nelle monete nazionali.   «Pertanto, in termini di allocazione strategica ottimale, circa il 15% del portafoglio potrebbe essere dedicato all’oro», ha suggerito il Dalio. Un’indagine di Bank of America condotta a ottobre ha rilevato che il 43% dei gestori patrimoniale vede nelle posizioni long sull’oro la strategia più gettonata a livello globale, superando persino gli investimenti nei «Magnifici Sette» colossi tech Usa (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla).   Il fondatore dell’hedge fund Citadel, Ken Griffin, ha di recente notato che sempre più investitori ritengono l’oro più affidabile del dollaro americano, a lungo trattato come riserva di valore universale. Quest’anno, la valuta Usa ha perso terreno contro tutte le principali divise, in scia alle incertezze legate alle politiche protezionistiche del presidente Donald Trump sui dazi.   Come riportato da Renovatio 21, dopo mesi e mesi di massimi storici raggiunti, l’oro ha superato l’euro nelle riserve globali.  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine screenshot da Twitter  
Continua a leggere

Economia

Trump: «i BRICS erano un attacco al dollaro»

Pubblicato

il

Da

«I BRICS sono stati un attacco al dollaro» lo il presidente statunitense Donald Trump durante l’incontro del 14 ottobre alla Casa Bianca con il presidente argentino Javier Milei.

 

Trump ha sostenuto che, grazie ai dazi imposti ai Paesi BRICS, «questi stanno tutti uscendo dai BRICS» e che ora si sta affermando un «dominio mondiale del dollaro».

 


Sostieni Renovatio 21

Rispondendo a una domanda, Trump ha proseguito: «Mi piace il dollaro. E chiunque ami trattare in dollari ha un vantaggio rispetto a chi non lo fa. Ma per la maggior parte, stiamo mantenendo le cose così. Penso che se Biden, intendo quel gruppo, fosse stato eletto [nel 2024], ovvero Kamala, non avreste più il dollaro come valuta. Non avreste avuto un dominio mondiale del dollaro, se non avessi vinto queste elezioni. E ora, chiunque voglia far parte dei BRICS, va bene, ma imporremo dazi alla vostra nazione. Tutti se ne sono andati; stanno tutti uscendo dai BRICS. I BRICS sono stati un attacco al dollaro. E ho detto: “Se volete partecipare a questo gioco, applicherò dazi su tutti i vostri prodotti che entrano negli Stati Uniti”. E come ho detto, stanno tutti uscendo dai BRICS. E dei BRICS, ormai, non ne parlano nemmeno più».

 

Come riportato da Renovatio 21, Milei, il cui Paese ora aspira a ottenere una linea di swap di emergenza da 20 miliardi di dollari per sostenere l’economia nazionale fino alle elezioni argentine del 26 ottobre, ha rifiutato l’offerta di adesione dell’Argentina ai BRICS tra i primi atti del suo governo.

 

Il 15 ottobre al portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov è stato chiesto un commento sulle affermazioni di Trump riguardo al presunto ritiro delle nazioni dai BRICS: «per quanto riguarda l’intenzione di tutti i Paesi di uscire, onestamente, non ho informazioni del genere», ha risposto il portavoce del Cremlino.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

Continua a leggere

Più popolari