Cina
Il FMI considera l’inclusione dello yuan cinese come valuta di regolamento
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha suggerito di incorporare lo yuan cinese come forma di valuta accettabile per i Paesi membri da utilizzare per adempiere ai propri obblighi finanziari nei confronti del Fondo. Questa proposta arriva dopo che l’Argentina ha utilizzato lo yuan per ripagare una parte del suo debito.
Secondo Julie Kozack, portavoce del FMI, una parte significativa del pagamento effettuato dall’Argentina il mese scorso (1,1 su 2,7 miliardi) è stata effettuata utilizzando lo yuan, detto anche renminbi (in mandarino, «moneta del popolo»), o RMB.
Durante una conferenza stampa, la Kozack ha dichiarato: «come abbiamo affermato in passato, le autorità argentine continuano a rimanere aggiornate sui loro obblighi finanziari nei confronti dell’FMI … Il RMB è una delle cinque valute liberamente utilizzabili che i membri possono e hanno utilizzato per regolare i loro obblighi con il FMI».
La Kozack ha confermato che le discussioni sul programma di prestito da 44 miliardi di dollari sono ancora in corso, smentendo l’affermazione secondo cui il FMI aveva ricevuto una lettera dalla Cina che consentiva all’Argentina di utilizzare una linea di swap con la Banca Centrale Cinese per saldare i suoi debiti con il FMI.
La funzionaria ha quindi sottolineato che il team del FMI ha collaborato attivamente con le autorità argentine per raggiungere due obiettivi: completare la quinta revisione e affrontare sfide complesse.
Il mese scorso, la Banca Centrale dell’Argentina e della Cina hanno concordato di estendere la loro linea di swap per altri tre anni.
Ciò significa che l’Argentina può accedere a fondi per un valore di 130 miliardi di yuan (equivalenti a 18,4 miliardi di dollari) dalla Cina. Il nuovo accordo raddoppia la quantità di denaro che l’Argentina può utilizzare liberamente da 35 miliardi di yuan a 70 miliardi di yuan.
Il 29 giugno la banca centrale argentina ha annunciato di aver incluso lo yuan come valuta accettata per i depositi nelle casse di risparmio e nei conti correnti. Questa mossa significa un allontanamento dall’affidarsi esclusivamente al dollaro USA come valuta di riserva.
La Banca Centrale ha dichiarato che «gli enti finanziari saranno così abilitati ad aprire conti bancari denominati in renminbi yuan».
Questa decisione arriva mentre l’Argentina deve far fronte alla diminuzione delle riserve di valuta estera a causa di condizioni di siccità sfavorevoli che hanno ridotto significativamente le sue esportazioni di grano, che sono la sua principale fonte di entrate in dollari.
Il peso argentino è anche influenzato dal tasso di inflazione annuo del paese di circa il 109%. Secondo l’Instituto Nacional de Estadística y Censos de la República Argentina (INDEC), circa il 40% degli argentini viveva in povertà nella seconda metà del 2022.
Il governo del presidente Alberto Fernández sta lavorando per ricostruire le riserve per far fronte al pagamento del debito, coprire i costi commerciali e raggiungere obiettivi economici nell’ambito di un programma di prestiti del FMI da 44 miliardi di dollari prima delle prossime elezioni generali di ottobre.
Come l’Argentina, quest’anno il Brasile ha firmato un accordo con la Cina per facilitare il commercio e gli investimenti nelle rispettive valute, riducendo il predominio del dollaro USA.
Secondo Milton Ezrati, capo economista di Vested, l’accordo mira a promuovere lo yuan come valuta globale, ma è ancora in ritardo rispetto al dollaro come valuta di riserva internazionale. Ezrati ha spiegato: «se sei la valuta di riserva mondiale, come lo è il dollaro, allora i trader di tutto il mondo devono detenere la tua valuta perché è così che fanno i loro affari. Se detengono la tua valuta, vogliono un posto dove investirla».
Lo yuan è ora utilizzato dall’India per pagare il petrolio russo. Lo stesso dicasi per il Pakistan.
L’Iraq ha fatto sapere che userà lo yuan, mollando il dollaro, negli scambi con Pechino, e così anche la Birmania. Il RMB ha ora superato il dollaro come valuta più utilizzata nelle transazioni transfrontaliere cinesi.
Tre mesi fa era emerso che lo yuan in Russia aveva sostituito il dollaro come principale valuta estera. Importante ricordare anche le 65 mila tonnellate di gas liquido acquistate dalla Francia a Pechino pagando sempre in yuan: forse l’atto più esplicativo della situazione dopo la dichiarazione saudita di farsi pagare in danaro cinese il petrolio.
Il Brasile nel 2021 aveva incrementato le sue riserve in valuta cinese; Israele nel 2022 ha aumentato la sua riserva di yuan. Qualcuno ritiene che da un anno è di fatto iniziato un passaggio allo yuan delle Banche Centrali.
L’accettazione dello yuan da parte del FMI fa venire il pensiero che la de-dollarizzazione, con conseguente collasso dell’economia americana e occidentale, sia qualcosa di programmato ad un livello profondo.
Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
I test di sicurezza sui trasporti pubblici in Norvegia hanno rivelato che i produttori cinesi possono accedere e controllare a distanza gli autobus elettrici.
Una compagnia di autobus norvegese ha condotto dei test segreti confrontando autobus realizzati da produttori europei e cinesi per scoprire se i veicoli rappresentassero una minaccia per la sicurezza informatica.
Non sono stati segnalati problemi con l’autobus europeo, ma si è scoperto che il veicolo cinese, prodotto da un’azienda chiamata Yutong, poteva essere manipolato a distanza dal produttore.
Questa manipolazione includeva la possibilità di accedere al software, alla diagnostica e al sistema di batterie dell’autobus. Il produttore cinese aveva la possibilità di fermare o immobilizzare il veicolo.
Arild Tjomsland, un accademico che ha collaborato ai test, ha sottolineato i rischi: «l’autobus cinese può essere fermato, spento o ricevere aggiornamenti che possono distruggere la tecnologia di cui l’autobus ha bisogno per funzionare normalmente».
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Tjomsland ha poi aggiunto che, sebbene gli hacker o i fornitori non siano in grado di guidare gli autobus, la capacità di fermarli potrebbe essere utilizzata per interrompere le operazioni o per esercitare un’influenza sul governo norvegese durante una crisi.
Le preoccupazioni sui veicoli cinesi sono diffuse. I think tank hanno lanciato l’allarme: i veicoli elettrici potrebbero essere facilmente «armati» da Pechino.
Le aziende cinesi hanno testato su strada i loro veicoli negli Stati Uniti, raccogliendo dati, tra cui roadmap, che gli esperti ritengono potrebbero rivelarsi di utilità strategica.
I risultati dei test sono stati ora trasmessi ai funzionari del ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni in Norvegia.
La militarizzazione dei prodotti cinesi importati in gran copia non riguarda solo le auto.
Come riportato da Renovatio 21, mesi fa è emerso che sono stati trovati dispositivi «non autorizzati» trovati nascosti nei pannelli solari cinesi che potrebbero «distruggere la rete elettrica».
Una trasmissione giornalistica italiana aveva dimostrato che nottetempo le telecamere cinesi usate persino nei ministeri italiani inviavano dati a server della Repubblica Popolare.
Il lettore di Renovatio 21, ricorderà tutta la querelle attorno al decreto del governo Conte bis, in piena pandemia, chiamato «Cura Italia» (da noi ribattezzato più onestamente «Cina Italia»), che in bozza conteneva concessioni a produttori di IT di 5G cinesi come Huawei che, secondo alcuni, mettevano a rischio la sicurezza del nostro Paese e del blocco cui è affiliato.
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