Arte
Il cantante dei Verve rifiuta di suonare ad un Festival dove si entra con il pass sanitario
Il cantante britannico Richard Ashcroft, noto come frontman del gruppo The Verve, ha annullato un’apparizione programmata ad un festival musicale dopo che gli organizzatori hanno deciso di inserire l’evento nell’Events Research Program del governo, ossia un circuito di eventi dove possono entrare solo coloro che esibiscono prova del fatto di essere stati doppiamente inoculati o siano risultati negativi al COVID.
Il partecipanti a questi eventi, comunque, devono poi presentarsi alle autorità sanitarie per un ulteriore monitoraggio del governo dopo il concerto.
«Mi scuso con i miei fan per la delusione, ma il festival è stato informato più di 10 giorni fa che non avrei suonato una volta che fosse diventato parte di un programma di test del governo»
Tutto questo era troppo per Ashcroft, che una volta resosi conto, si è immediatamente ritirato dal Tramlines Festival a Sheffield, in Inghilterra. Ashcroft ha fatto notare che egli si rifiuta di far parte di qualsiasi «esperimento governativo» o eventi che impongono restrizioni.
«Mi scuso con i miei fan per la delusione, ma il festival è stato informato più di 10 giorni fa che non avrei suonato una volta che fosse diventato parte di un programma di test del governo», ha scritto Ashcroft sui social media.
«Avevo informato il mio agente mesi fa che non avrei suonato in concerti con restrizioni. Lo status del festival era una cosa quando mi sono iscritto, ma purtroppo è stato costretto a diventare qualcos’altro», ha aggiunto il cantante.
Aschcroft ha inoltre messo in risalto il cortocircuito semantico: «deve essere una questione di età, ma le parole Government Experiment e Festival…». Il messaggio terminava con emoji di risate.
«Avevo informato il mio agente mesi fa che non avrei suonato in concerti con restrizioni. Lo status del festival era una cosa quando mi sono iscritto, ma purtroppo è stato costretto a diventare qualcos’altro»
L’idea di concerti per i soli vaccinati era già partita nel 2020. Quella che sembrava una folle proposta ora è divenuta una triste realtà.
Come riportato da Renovatio 21, negli USA i concerti per soli vaccinati sonoi già realtà. Il mese scorso Foo Fighters, Strokes e Bruce Springsteen si sono esibiti in performance dove tutto il pubblico doveva aver subito l’iniezione di siero genico.
Non sono molti i musicisti di qualche fama che non si sono piegati alla psicopandemia e alle sue «leggi» non scritte – specie a quelle contrarie ad ogni Costituzione del mondo libero. Il panorama in Italia, abbiamo visto, è di tristezza assoluta: pensate al conformismo da vaccino e mascherina raccomandato da «artisti» come Vasco Rossi, etc.
Nel Regno Unito si registra invece qualche voce più libera. Come riportato da Renovatio 21, Eric Clapton ha potuto dire la sua tremenda esperienza con il vaccino anti-COVID, al quale ha avuto una reazione avversa.
Noel Gallagher ha dichiarato che la combinazione di cultura del politicamente corretto e i lockdown COVID hanno un significato generazionale molto preciso: per la prima volta nella storia moderna, i giovani ora avranno meno libertà rispetto alle generazioni precedenti
Al contempo, libera è la voce del chitarrista degli Oasis Noel Gallagher, altra icona rock britannica che ha preso una posizione. Gallagher ha infatti dichiarato che la combinazione di cultura del politicamente corretto e i lockdown COVID hanno un significato generazionale molto preciso: per la prima volta nella storia moderna, i giovani ora avranno meno libertà rispetto alle generazioni precedenti.
Immagine di Roger Woolman via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)
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Attrici giapponesi che si vestono da uomini bullizzano collega fino a spingerla al suicidio
Dal Giappone arriva l’eco di un episodio di bullismo e violenza sistematica sfociati in un suicidio all’interno di una struttura esclusivamente femminile. Una sorta di suicidio femminicida, ma ad opera di femmine.
Teatro della vicenda è per il corpo teatrale Takarazuka, un’istituzione più che secolare nel mondo dello spettacolo giapponese. Il concetto alla base del corpo teatrale è che sono soltanto attrici a salire in scena, interpretando anche i ruoli maschili. Tale idea, di per sé spiazzante, inverte completamente la tradizione del teatro tradizionale Kabuki, dove sono gli attori maschi a ricoprire tutti i ruoli.
Gli spettacoli del Takarazuka sono tuttavia distanti anni luce dal rigido formalismo del Kabuki: qui si tratta di musical che attingono dalle fonti più disparate, da West Side Story all’Evgenij Onegin, spesso spingendo a tavoletta su elementi che qualche anno fa si definivano camp o kitsch, in italiano lo si potrebbe semplicemente chiamare «pacchianeria», benché estremamente professionale e ben fatta.
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Il seguito che hanno questi spettacoli nel contesto nipponico è impressionante, ancora di più perché per la grandissima maggioranza femminile: lo scrivente ricorda di essersi imbattuto in una lunghissima coda in attesa di entrare nel teatro di Tokyo – in zona centralissima, vicino al palazzo imperiale – dove si esibisce la compagnia. Si poteva constatare che gli uomini tra la folla erano appena una manciata.
Un ambiente quindi quasi completamente femminile, al sicuro da patriarcato e maschilismo tossico.
E allora, come si spiegano allora vessazioni di gruppo, ustioni procurate con le piastre per i capelli, carichi di lavoro insostenibili assegnati al solo scopo di umiliare e di lasciare soltanto tre ore di sonno al giorno? È questa l’ordalia che ha portato la 25enne Aria Kii a gettarsi nel vuoto per porre fine alla sua vita nel settembre del 2023.
La vicenda era stata prontamente insabbiata dall’azienda che gestisce la compagnia teatrale ma è stata riportata a galla dall’ineffabile Shuukan Bunshun, testata con una lunga e gloriosa tradizione di caccia agli scheletri negli armadi. Nella primavera di quest’anno i dirigenti dell’azienda in questione hanno pubblicamente ammesso la loro responsabilità nel non essere stati in grado di vigilare adeguatamente l’ambiente lavorativo delle attrici.
Duole dire che per la società giapponese uno scenario così è tutto fuorché inconsueto: il proverbio «il chiodo che sporge verrà martellato» illustra ancora con una certa fedeltà le dinamiche sociali che si formano all’interno delle istituzioni giapponesi – siano esse scuole, aziende, partiti.
Negli ultimi tempi c’è un evidente cambiamento in atto soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro, ma il bullismo allo scopo di creare coesione all’interno di un gruppo è una pratica a cui i giapponesi ricorrono abitualmente e che non sembra soffrire di particolare disapprovazione sociale.
Dal Giappone ci chiediamo con sincerità come un giornalista italiano – di area woke, ma anche solo attento a seguire i dettami del politicamente corretto elargiti ai corsi di deontologia dell’Ordine – potrebbe riportare la notizia della triste morte di Aria, con lo stuolo di angherie subite in un contesto esclusivamente femminile.
Taro Negishi
Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo
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Lucerna annulla il concerto della Netrebko, Berlino la invita a cantare
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La nona di Beethoven trasformata nel canto banderista «Slava Ukraini»
La direttrice Keri-Lynn Wilson, moglie del direttore generale del Metropolitan Opera di Nuova York Peter Gelb, ha annunciato che la sua «Ukrainian Freedom Orchestra» eseguirà la famosa nona sinfonia di Beethoven, quella ispirata all’ode Inno alla gioia (An die Freude) del drammaturgo tedesco Friedrich Schiller. Lo riporta EIRN.
Tuttavia, secondo quanto si apprende, la Wilson starebbe sostituendo la parola «Freude» nel testo con «Slava». «Slava ukraini» o «Gloria all’Ucraina» era il famigerato canto delle coorti ucraine di Hitler guidate dal collaborazionista Stepan Bandera durante la Seconda Guerra Mondiale. Da allora è stato conservato come canto di segnalazione dalle successive generazioni di seguaci di Bandera, i cosiddetti «nazionalisti integrali», chiamati più semplicemente da alcuni neonazisti ucraini o ucronazisti.
A causa di quanto accaduto nella prima metà del secolo, in Germania non si può cantare «Heil!» in tedesco senza invocare «Heil Hitler!», né si può dichiarare ad alta voce «Slava!» in Ucraina senza invocare lo «Slava Ukraini» canto dei sanguinari collaboratori locali del Terzo Reich, in particolare il Bandera.
La Wilson, che si vanta delle sue origini ucraine via nonna materna e della sua comunità ucraina di Winnipeg, Canada (Paese, come è emerso scandalosamente con il caso Trudeau-Zelens’kyj, pieno di rifugiati ucronazisti), ha rilasciato ieri il suo comunicato stampa.
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«La decisione di cantare il grande testo di Schiller per la Nona Sinfonia di Beethoven in ucraino è stata per noi un’importante dichiarazione artistica e culturale più ampia» ha dichiarato il direttore. «Putin sta letteralmente cercando di mettere a tacere una nazione. Non saremo messi a tacere. Il nostro unico emendamento a Schiller è che invece di cantare “Freude” (Gioia) canteremo “Slava” (Gloria), dal grido della resistenza ucraina di fronte alla spietata aggressione russa, Slava Ukraini! (Gloria all’Ucraina!)».
Notiamo l’interessante inversione in corso presso la sinistra e l’establishment: la «resistenza», oggi, la fanno i nazisti…
«Mentre l’Ucraina continua la sua lotta a nome del mondo libero, ha bisogno più che mai del nostro sostegno e porteremo con orgoglio il nostro messaggio in tutta Europa e negli Stati Uniti» ha continuato la Wilsona, che ha eseguito per la prima volta la sua versione banderizzata di Beethoven il 9 nel dicembre 2022 a Leopoli con la sua Ukraine Freedom Orchestra.
Nel 2023, l’importante casa discografica della classica Deutsche Grammophon ha registrato l’esecuzione del suo primo tour europeo a Varsavia, e quest’anno vi sarà la pubblicazione, proprio nel bicentenario dell’opera di Beethoven. Vi sarà quindi una tournée quest’estate che toccherà Parigi, Varsavia, Londra, Nuova York e Washington.
Secondo quanto riporta EIRN, «si dice inoltre che il prossimo progetto della Wilson coinvolga la sostituzione della parola “agape”» (cioè, in greco, amore disinteressato, infinito, universale), termine contenuto nella lettera di San Paolo ai Corinzi (capitolo 13), «con «agon» o «eris» (cioè, contesa, lotta, conflitto)».
Se fosse vero, sarebbe un altro tassello del quadro che si sta dipanando dinanzi ai nostri occhi. Dalla gioia alla guerra. Da Cristo a Nietzsche.
Va così, perfino nella musica classica.
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