Geopolitica
I talebani contro l’ultimatum di Trump, che rivuole la base aerea di Bagram: sennò «accadranno cose brutte»

L’Afghanistan ha respinto l’ultimatum del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che esigeva la restituzione della base aerea di Bagram sotto il controllo americano, sostenendo che tali richieste violano l’accordo di Doha del 2020 tra talebani e Stati Uniti sul ritiro delle truppe.
Domenica, Trump ha avvertito che, in caso di mancata restituzione della base, «ACCADRANNO COSE BRUTTE!!!» senza specificare ulteriori dettagli. Il leader statunitense aveva precedentemente lamentato la perdita della base da parte di Washington, sottolineandone la vicinanza strategica alla Cina.
Più tardi quel giorno, Hamdullah Fitrat, vice portavoce del governo afghano guidato dai talebani, ha dichiarato che Kabul ha ribadito agli Stati Uniti in tutti i negoziati che «l’indipendenza e l’integrità territoriale del Paese sono della massima importanza».
«Va ricordato che, in base all’accordo di Doha, gli Stati Uniti si sono impegnati a ‘non usare né minacciare la forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’Afghanistan, né a interferire nei suoi affari interni’», ha affermato Fitrat, esortando gli Stati Uniti a rispettare la loro promessa.
⚡️BREAKING
Afghanistan responds to Trump.
Qari Fasihuddin Fitrat, Chief of Staff of the Afghan Ministry of Defense, responding to reports about talks regarding the handover of Bagram Air Base, stated:
“It is not possible to negotiate over even one inch of Afghanistan’s soil.” pic.twitter.com/gRQNB7xhfX
— Warfare Analysis (@warfareanalysis) September 21, 2025
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«Piuttosto che ripetere gli approcci fallimentari del passato, bisognerebbe adottare una politica di realismo e razionalità», ha aggiunto.
La base aerea di Bagram, situata nella provincia di Parwan, a circa 60 km a nord di Kabul, è stata il principale hub militare statunitense in Afghanistan per due decenni, servendo come punto di partenza per operazioni antiterrorismo contro al-Qaeda e lo Stato Islamico. Ospitava anche centri di detenzione, utilizzati in alcuni casi per pratiche di tortura.
Con l’accordo di Doha del 2020, gli Stati Uniti hanno negoziato una pace con i talebani, impegnandosi a ritirare gradualmente le proprie truppe dall’Afghanistan e a cessare di minacciare l’indipendenza politica del Paese. In cambio, i talebani hanno garantito che il territorio afghano non sarebbe stato utilizzato da gruppi terroristici.
Tuttavia, durante il ritiro graduale delle truppe statunitensi, il governo e le forze di sicurezza afghane sono crollati sotto la pressione dei talebani, costringendo le truppe USA rimaste a gestire un’evacuazione caotica.
Da allora, i funzionari talebani hanno dichiarato di essere aperti alla cooperazione con gli Stati Uniti, ma «senza che gli Stati Uniti mantengano alcuna presenza militare in nessuna parte dell’Afghanistan».
Ieri il ministro degli Esteri dell’Emirato talebano ha risposto a Trump. «Non daremo agli americani nemmeno un granello del nostro suolo, figuriamoci la base aerea. Se necessario, li combatteremo per altri 20 anni».
The 🇦🇫Afghan Foreign Minister responds to Trump on the demand to get back the Bagram airbase:
“We will not give the Americans even a grain of our soil, let alone the airbase. If necessary, we will fight them for another 20 years.”
Yesterday, Trump said Americans are RESPECTED… pic.twitter.com/LqCTZ7j9Tm
— Megh Updates 🚨™ (@MeghUpdates) September 21, 2025
L’ultimatum di Trump ha scatenato una protesta armata fuori dall’ambasciata USA a Kabul.
😄😄😄
Taliban protests outside US🇺🇸 embassy in Afghanistan 🇦🇫
They danced outside the so-called embassy throughout the night. 😅Trump’s statement on BAGRAM met with strong counters from TALIBAN’s side.
Including the demonstration below. 👇👇👇 https://t.co/txd2BjhlJH pic.twitter.com/DZdrVY1kM5— Levina🇮🇳 (@LevinaNeythiri) September 22, 2025
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Immagine di AhmadElhan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Geopolitica
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Cina
Trump blocca l’accordo sulle armi con Taiwano

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di non approvare un pacchetto di armi destinato a Taiwan. Lo riporta il Washington Post, che cita cinque fonti informate.
Il giornale ha collegato questa scelta ai tentativi di Trump di negoziare un accordo commerciale con Pechino e al possibile incontro con il presidente cinese Xi Jinping, previsto a margine del vertice APEC in Corea del Sud il prossimo mese.
Il pacchetto di armi, valutato oltre 400 milioni di dollari, è stato descritto come «più letale» rispetto alle forniture precedenti. Secondo il WaPo, il team di Trump ritiene che Taiwan dovrebbe procurarsi autonomamente le proprie armi, in linea con l’approccio «transazionale» del presidente in politica estera. Un funzionario della Casa Bianca ha dichiarato al giornale che la decisione non è ancora definitiva.
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Pechino, che considera Taiwan parte integrante del suo territorio, si oppone fermamente a qualsiasi assistenza militare straniera a Taipei. Xi ha ribadito che la Cina punta a una riunificazione pacifica, ma non esclude l’uso della forza.
A dicembre, il ministero degli Esteri della Repubblica Popolare ha ammonito Taipei, avvertendo che «cercare l’indipendenza appoggiandosi agli Stati Uniti o con mezzi militari è una via verso l’autodistruzione».
Il ministero della Difesa di Formosa ha scelto di non commentare il rapporto, ma ha sottolineato che «Taiwan e Stati Uniti mantengono una stretta cooperazione in materia di sicurezza, con tutti i programmi di scambio che procedono regolarmente per rafforzare un sistema di difesa completo».
Negli ultimi anni, Washington ha autorizzato diverse vendite di armi a Taiwan, inclusa la fornitura di sistemi missilistici di difesa aerea NASAMS.
Ancora lo scorso dicembre il presidente della Cina comunista Xi Jinpingo ha dichiarato ancora una volta che la riunificazione con l’isola di Taiwano è un processo inarrestabile.
Come riportato da Renovatio 21, anche nel discorso di fine anno 2023 lo Xi aveva dichiarato che la riunificazione con Taipei è «inevitabile». Un anno fa, tuttavia, Xi non aveva fatto menzione della forza militare. Il mese prima, il governo cinese aveva epperò chiarito che una dichiarazione di indipendenza da parte di Taipei «significa guerra».
Sinora, lo status quo nella questione tra Pechino e Taipei è stato assicurato dal cosiddetto «scudo dei microchip» di cui gode Taiwan, ossia la deterrenza di questa produzione industriale rispetto agli appetiti cinesi, che ancora non hanno capito come replicare le capacità tecnologiche di Taipei.
La Cina, tuttavia, sta da tempo accelerando per arrivare all’autonomia tecnologica sui semiconduttori, così da dissolvere una volta per tutte lo scudo dei microchip taiwanese. La collaborazione tra Taiwan e UE riguardo ai microchip, nonostante la volontà espressa da Bruxelles, non è mai davvero decollata.
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Come riportato da Renovatio 21, il colosso del microchip TSMC ha dichiarato l’anno scorso che la produzione dei microchip si arresterebbe in caso di invasione cinese di Formosa.
I microchip taiwanesi sono un argomento centrale nella attuale tensione tra Washington e Pechino, che qualcuno sta definendo come una vera guerra economica mossa dall’amministrazione Biden contro il Dragone, che riprendono politiche della precedente amministrazione Trump.
Come riportato da Renovatio 21, durante il suo discorso per la celebrazione del centenario del Partito Comunista Cinese nel 2021 lo Xi, mostrandosi in un’inconfondibile camicia à la Mao, parlò della riunificazione con Taipei come fase di un «rinnovamento nazionale» e della prontezza della Cina a «schiacciare la testa» di chi proverà ad intimidirla.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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