Persecuzioni
I sacerdoti dell’ultima città completamente cristiana della Cisgiordania chiedono aiuto durante l’assedio israeliano

I sacerdoti delle chiese di Taybeh, l’ultima città completamente cristiana rimasta in Cisgiordania, hanno implorato l’aiuto degli «attori internazionali» nel mezzo di un assedio distruttivo da parte dei coloni israeliani. Lo riporta LifeSite.
«I coloni israeliani stanno incendiando luoghi sacri, distruggendo terreni agricoli e terrorizzando le famiglie. I sacerdoti di Taybeh chiedono a gran voce aiuto. Il mondo deve ascoltarli e agire», ha esortato martedì l’attivista per i diritti umani Jason Jones, condividendo su X una copia di una dichiarazione dei sacerdoti della Chiesa greco-ortodossa, della Chiesa latina e della Chiesa greco-melchita cattolica di Tabyeh, che il Vangelo di Giovanni (11, 54) chiama «Efraim», il luogo in cui Gesù si ritirò prima della sua passione.
I sacerdoti hanno descritto la «serie continua e grave di attacchi» contro la città cristiana.
Taybeh—the only fully Christian town left in the West Bank – is under siege.
Israeli settlers are torching holy sites, destroying farmland, and terrorizing families. The priests of Taybeh are crying out for help. The world must hear them—and act. #ChristiansForPalestine… pic.twitter.com/NNjzZr2teW— The Jason Jones Show (@JasonJonesVPP) July 9, 2025
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«Lunedì 7 luglio 2025, i coloni hanno deliberatamente appiccato il fuoco nei pressi del cimitero cittadino e della storica chiesa di San Giorgio (Al-Khadr), risalente al V secolo, uno dei più antichi monumenti religiosi della Palestina», hanno raccontato i sacerdoti, aggiungendo che è stato solo grazie alla rapida risposta dei residenti locali e dei vigili del fuoco che i danni non sono stati «molto più catastrofici».
I sacerdoti hanno poi raccontato come i coloni abbiano regolarmente fatto pascolare il loro bestiame nei terreni agricoli di Tabyeh, «compresi i campi di proprietà familiare» e le aree vicine alle abitazioni, senza essere fermati dalle autorità. Così facendo, «causano danni diretti agli ulivi – una fonte vitale di sostentamento per la popolazione di Tabyeh – e impediscono agli agricoltori di accedere e coltivare le loro terre», hanno osservato.
Pertanto, la parte orientale della città «è di fatto diventata un bersaglio aperto per insediamenti illegali che si espandono silenziosamente sotto protezione militare», e che «servono da base per ulteriori attacchi al territorio e alla sua gente».
«Non possiamo rimanere in silenzio di fronte a questi attacchi incessanti che minacciano la nostra stessa esistenza su questa terra», hanno dichiarato i sacerdoti, invitando «gli attori locali e internazionali, in particolare consoli, ambasciatori e rappresentanti della Chiesa», a intervenire in aiuto della città per:
- Indagare immediatamente sui “continui attacchi a proprietà, terreni agricoli e luoghi sacri”, compresi gli incendi dolosi.
- «Esercitare pressioni diplomatiche sulle autorità occupanti affinché fermino le azioni dei coloni e impediscano loro di entrare o pascolare nelle terre di Taybeh».
- Inviare «delegazioni internazionali ed ecclesiastiche» per osservare in prima persona i danni in corso e documentarli.
- Sostenere la popolazione di Tabyeh “attraverso iniziative economiche e agricole” e assistenza legale.
Padre Bahar Fawadleh, parroco della chiesa di Cristo Redentore a Taybeh, situata a est di Ramallah, ha recentemente affermato: «Non viviamo in pace, ma nella paura e nell’assedio quotidiani».
Le aggressioni dei coloni israeliani contro i cittadini della città, tra cui incendi dolosi dei raccolti e furti di attrezzature, sono riconosciute dai cristiani locali «come parte di uno sforzo sistematico per strangolarli economicamente e cacciarli via», ha spiegato il sacerdote.
Tali violenze perpetrate da questi coloni terroristi non sono affatto rare in Cisgiordania. Durante l’anno solare 2024, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha registrato circa 1.420 episodi di violenza da parte dei coloni israeliani. «Questi episodi includono, secondo quanto riferito, l’uccisione di cinque palestinesi, tra cui un bambino, il ferimento di altri 360 palestinesi, tra cui 35 bambini, e la vandalizzazione di oltre 26.100 alberi di proprietà palestinese da parte dei coloni».
Amnesty International ha descritto questi attacchi come «parte di una campagna decennale sostenuta dallo Stato per espropriare, sfollare e opprimere i palestinesi nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, sotto il sistema di apartheid israeliano».
«Le forze israeliane hanno una comprovata esperienza nel favorire la violenza dei coloni ed è scandaloso che ancora una volta siano rimaste a guardare e in alcuni casi abbiano preso parte a questi brutali attacchi», afferma un rapporto dell’aprile 2024.
I coloni ebrei in Cisgiordania sono spesso associati all’influente eresia internazionale del sionismo religioso, che abbraccia un’ideologia di supremazia ebraica radicale e quindi una giustificazione per gli orrendi crimini violenti di pulizia etnica e genocidio contro il popolo palestinese come mezzo per impossessarsi della Terra Santa e costruire uno stato etnico ebraico esclusivo.
Una volta completata la conquista del territorio, mirano a costruire un terzo tempio per il sacrificio animale a Gerusalemme e ad accogliere il loro Moshiach (Messia), da cui le loro aspettative sono in stretta sintonia con ciò che le autorità cattoliche si aspettano dall’Anticristo. E da Gerusalemme, questi sionisti religiosi si aspettano che questa figura sottometta tutti gli altri popoli alle leggi di Noè, sconfiggendo il cristianesimo come “idolatria” e persino eseguendo la pena di morte contro i cristiani per questo presunto crimine.
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Le comunità di coloni illegali beneficiano anche di un sostegno finanziario indiretto, costituito da miliardi di dollari dei contribuenti statunitensi che sostengono le forze militari israeliane e contribuiscono così ad aiutare i coloni e gli insediamenti a espandersi efficacemente in Cisgiordania. Anche gli interessi privati americani forniscono fondi significativi per l’ulteriore sviluppo degli insediamenti illegali, dei gruppi paramilitari e delle unità dell’IDF che operano a Gaza e in Cisgiordania.
Nel luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che l’occupazione militare israeliana, durata 58 anni, di un territorio palestinese internazionalmente riconosciuto era illegale ai sensi del diritto internazionale. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dato seguito a questa sentenza a settembre, approvando a larga maggioranza una risoluzione che chiede a Israele di porre fine all’occupazione illegale di questi territori, compresa l’evacuazione degli insediamenti in Cisgiordania, entro 12 mesi.
Le voci unanimi e costanti dei vescovi cattolici e ortodossi della regione hanno definito l’occupazione illegale di questi territori palestinesi da parte di Israele come la «radice» dell’aggressione del conflitto, un «peccato» continuo che deve essere contrastato e a cui si deve porre rimedio se si vuole che ci sia una qualche speranza di pace nella regione.
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Immagine di Ralf Lotys via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
Persecuzioni
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Persecuzioni
Arcivescovo armeno condannato a due anni di carcere

L’arcivescovo armeno Mikael Ajapahyan è stato giudicato colpevole di incitamento al colpo di stato e condannato a due anni di carcere, in un clima di crescente tensione tra la Chiesa nazionale e il governo. Il religioso ha respinto le accuse, definendole di natura politica.
Come riportato da Renovatio 21, l’arcivescovo era stato arrestato ad inizio estate, quando la polizia aveva fatto irruzione nella sede della Chiesa apostolica armena, la più grande del Paese, nella città di Vagharshapat, provocando gravi scontri tra chierici, membri della chiesa e forze dell’ordine.
Negli ultimi mesi, le frizioni tra il primo ministro Nikol Pashinyan e l’opposizione, appoggiata da figure di spicco della Chiesa Apostolica Armena (CAA), si sono intensificate. I critici hanno accusato Pashinyan di compromettere gli interessi nazionali dell’Armenia per aver accettato di cedere alcuni villaggi di confine all’Azerbaigian, Paese con cui l’Armenia ha contenziosi territoriali. Pashinyan ha difeso la decisione, che ha scatenato proteste, sostenendo che punta a risolvere il conflitto decennale tra le due ex repubbliche sovietiche.
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Venerdì, un tribunale di Yerevan ha emesso la sentenza contro Ajapahyan, in custodia cautelare da fine giugno. L’accusa aveva richiesto una condanna a due anni e mezzo, mentre la difesa aveva sostenuto l’innocenza dell’arcivescovo. Secondo l’atto d’accusa, Ajapahyan avrebbe incitato al rovesciamento del governo armeno in due interviste rilasciate a febbraio 2024 e giugno 2025.
Commentando le accuse dopo il suo arresto, Ajapahyan ha dichiarato che il «Signore non perdonerà i miseri servitori che sanno bene cosa stanno facendo».
Ad agosto, Karekin II, Patriarca supremo e Catholicos di tutti gli armeni, ha espresso preoccupazione per la «campagna illegale contro la Santa Chiesa apostolica armena e il suo clero da parte del potere politico», come riportato in una dichiarazione ufficiale della Chiesa.
A giugno, le autorità armene hanno arrestato un altro importante religioso, il vescovo Bagrat Galstanyan, accusandolo di terrorismo e di aver pianificato un colpo di Stato.
Nello stesso mese, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito la spaccatura tra il governo armeno e la Chiesa una «questione interna» dell’Armenia, aggiungendo però che molti membri della numerosa diaspora armena in Russia stavano «osservando questi eventi con dolore» e non «accettavano il modo in cui si stavano svolgendo».
L’Armenia e il vicino Azerbaigian sono entrambe ex repubbliche sovietiche, coinvolte in una disputa territoriale sulla regione del Nagorno-Karabakh dalla fine degli anni Ottanta. La regione, a maggioranza armena, si è staccata da Baku all’inizio degli anni ’90 in seguito a una guerra in piena regola.
Il territorio è stato fonte di costante tensione tra Armenia e Azerbaigian per oltre due decenni, con molteplici focolai e conflitti su larga scala, prima che Baku riuscisse a riprendere il controllo della regione con la forza nel 2023, provocando l’immane esodo degli armeni del Nagorno, regione divenuta prima teatro di atrocità poi di città fantasma.
Come riportato da Renovatio 21, strutture gasiere legate all’Azerbaigian sono state colpite nei pressi di Odessa, a pochi metri dal confine romeno (cioè NATO) nelle scorse ore.
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Baku è legata alla politica europea, ed italiana, tramite il gasdotto TAP, considerato come fornitura di idrocarburo alternativa a Mosca, per cui spinta dalle élite euro-atlantiche di Brusselle, pronte a chiudere un occhio sulle accuse allo Stato dinastico petro-islamico dell’Azerbaigian riguardo i diritti umani.
Secondo un giornale spagnolo, l’Armenia, nel suo movimento di allontanamento da Mosca perseguito dalla presidenza Pashynian, starebbe per porre parte del suo territorio sotto il controllo degli Stati Uniti.
Yerevan è diventata sempre più filo-occidentale sotto Pashinyan; durante la conferenza stampa, il primo ministro ha ribadito che «l’Armenia vuole entrare a far parte dell’UE», riflettendo una legge firmata all’inizio di quest’anno che esprime questa intenzione. Tuttavia, ha riconosciuto che sarà «un processo complicato», poiché il paese dovrà soddisfare determinati standard e ottenere l’approvazione di tutti gli Stati membri.
Nelle ultime settimane, la tensione in Armenia è stata elevata a seguito dell’arresto di due alti prelati della Chiesa Apostolica Armena (CAA) e di uno dei suoi principali sostenitori, l’imprenditore russo-armeno Samvel Karapetyan. Sono stati accusati di aver cospirato per rovesciare il governo di Pashinyan dopo aver esortato la popolazione a protestare contro la decisione del primo ministro di cedere diversi villaggi di confine all’Azerbaigian.
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