Geopolitica
I russi completano la presa di Bakhmut, che per loro si chiama Artëmovsk

Il ministero della Difesa russo ha emesso il seguente annuncio alle 17:15. dell’altro giorno: «Artëmovsk è stata completamente liberata a seguito delle azioni offensive dei distaccamenti d’assalto Wagner supportati dall’artiglieria e dall’aviazione del Gruppo di forze Yug». Artëmovsk è il nome russo di Bakhmut. (La «ë», è da leggersi, e volendo anche da traslitterarsi, come il suono «jo», come in «Krushëv», cioè «Krushjov»)
Nel suo aggiornamento quotidiano di ieri mattina, il ministero ha aggiunto che «l’aviazione e l’artiglieria del gruppo di forze Yug hanno sventato i tentativi di contrattacco del nemico dalle aree di Konstantinovka, Bogdanovka e Krasnoye (Repubblica popolare di Donetsk)».
Le forze russe hanno anche distrutto un ponte vicino a Krasnoye che è stato utilizzato dalle truppe ucraine per portare rinforzi ad Artëmovsk.
Putin ha comunicato questa mattina le sue congratulazioni alle forze coinvolte. «Il presidente si è congratulato con le unità d’assalto Wagner e con tutto il personale di servizio delle forze armate della Federazione Russa che hanno fornito loro il supporto necessario e protetto i fianchi, al completamento dell’operazione per liberare Artëmovsk», si legge in una dichiarazione pubblicata dal servizio stampa del Cremlino. «Tutto il personale militare che si è distinto nell’operazione sarà raccomandato per le decorazioni di stato». Si tratta della prima volta che il nome del gruppo Wagner viene fatto pubblicamente.
Zelens’kyj a Hiroshima per il G7 – che raggruppa le prime potenze economiche mondiali, più, a quanto pare, il Paese più povero d’Europa – non ha riconosciuto la perdita di Bakhmut. «Bakhmut è ancora sotto il controllo ucraino?» ha chiesto un giornalista durante l’incontro tra il presidente-attore e Biden, «La Federazione Russa afferma di aver preso Bakhmut» continuava l’interlocutore, a cui lo Zelens’kyj ha risposto: «Penso di no (…) ma dovete capire che lì non è rimasto niente. Hanno distrutto tutto. Non ci sono edifici. È un peccato, è una tragedia, ma per oggi Bakhmut è solo nei nostri cuori».
C’è discordanza nell’esegesi delle affermazioni giapponesi del presidente ucraino.
Il portavoce presidenziale ucraino Sergey Nikiforov ha affermato che Zelens’kyj stava rispondendo a una frase aggiuntiva. Cioè, le parole «Penso di no» si riferiscono alla presa di Bakhmut da parte dei russi. Allo stesso tempo, Nikiforov ha sorvolato sul fatto che c’era una chiara domanda sul fatto che Artyomovsk rimanesse sotto il controllo ucraino. «Il presidente ha negato che Bakhmut sia stata presa», ha scritto il Nikiforov sulla sua pagina Facebook.
Non è chiaro se nel volo di ritorno da Hiroshima il presidente ucraino sia stato meglio informato, o abbia cambiato la sua versione. A dire il vero non è chiaro nemmeno se stia tornando a Kiev, visto che negli ultimi giorni è stato impegnato in un tour de force tale da aver avuto probabilmente difficoltà ad incastrare un incontro con il papa, di cui ha rifiutato l’appello ad accordi di pace.
Tuttavia, c’è una certa cautela su cosa significhi militarmente la presa della cittadina del Donbass. Alexander Kots, il corrispondente militare di Komsomolskaja Pravda, ha osservato che mentre le stime delle perdite ucraine arrivano fino a 50.000 uccisi nei 244 giorni della battaglia, Artëmosk è ancora circondato da posizioni ucraine pesantemente fortificate ad Avdeevka, Druzhkovka, Konstantinovka, Kramatorsk, Slavjansk, e altre località.
«La principale linea difensiva di Kiev nel Donbass» spiega l’analista militare del giornale russo, «corre lungo questo asse».
Poi c’è la questione della tanto attesa offensiva ucraina. «Si prevedeva che un attacco delle forze armate ucraine avrebbe avuto luogo nell’ultima decade di maggio», osserva il canale Telegram Ukraine Watch. «Le forze armate ucraine non hanno abbandonato i piani per un’offensiva. Questi piani sono stati preparati e le attrezzature e le persone che sono state salvate vengono portate in prima linea. Secondo tutte le indicazioni, l’attivazione potrebbe iniziare nei prossimi giorni».
Come riportato da Renovatio 21, Zelens’kyj da mesi aveva significato il suo timore di perdere Bakhmut; era stato ipotizzato che la sua visita al fronte cinque mesi fa fosse un fake. Dall’altra parte abbiamo invece il capo della Wagner Prigozhin non ha perso occasione per comunicare, talvolta anche con rabbie inaudite, l’avanzata russa nella cittadina del Bacino del Don, mostrandosi in prima linea e perfino su un caccia, dal quale ha sfidato Zelens’kyj.
Come scritto da Renovatio 21 in questi giorni, ci pare che il presidente-comico ucraino abbia dato segni di essere oramai fuori controllo.
Immagine da Telegram
Geopolitica
I morti nella costruzione della «città lineare» saudita sarebbero decine di migliaia

Il bilancio delle vittime sul lavoro nella costruzione di NEOM, la megalopoli lineare lunga 150 chilometri in Arabia Saudita, sarebbe impressionante. Lo riporta il canale britannico Channel 3.
Nel documentario della TV inglese andato in onda a fine 2024, il segreto sottaciuto sulle morti bianchi sulla via del megaprogetto viene rivelato da una giornalista si reca sotto copertura sul posto.
Nel corso del suo reportage, l’inviata in incognito scopre una verità molto scomoda: nel corso del progetto Vision 2030 da miliardi di dollari, lanciato nel 2017 e che include un edificio, attualmente in costruzione, lungo oltre centocinquanta chilometri chiamato «The Line» («la linea»), dove si stima siano morti più di 21.000 lavoratori stranieri.
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La maggior parte delle persone morte mentre lavoravano a Vision 2030 provengono da paesi dell’Asia meridionale come Bangladesh, India e Nepal. Quelle ancora in vita hanno raccontato in termini crudi alla giornalista, quanto siano orribili le loro condizioni di lavoro.
Nonostante alcuni tentativi maldestri di riforma del lavoro, i lavoratori migranti in Arabia Saudita sono sottoposti a uno sfruttamento estremo che rasenta la schiavitù. Infatti, durante il documentario, alcuni dei lavoratori incaricati di costruire trincee e tunnel ferroviari a NEOM hanno affermato di essere «trattati come mendicanti» e costretti a lavorare 16 ore al giorno.
«C’è poco tempo per riposare», ha detto uno dei lavoratori. «Ci stanchiamo. Soffriamo di ansia giorno e notte».
Non sorprende che in tali condizioni – aggravate dalla candidatura saudita di ospitare la Coppa del Mondo nel 2034 in uno stadio di calcio che non è ancora stato costruito – gli incidenti sul lavoro siano all’ordine del giorno. Tuttavia, data la natura ultra-segreta del regno wahabita, è impossibile conoscere la vera portata di quanti feriti e vittime si siano effettivamente verificati.
La notizia del raccapricciante bilancio delle vittime di NEOM segue i precedenti resoconti sulle decine di migliaia di indigeni che sono stati allontanati con la forza per far posto alla città lunga 100 miglia. Come ha rivelato la BBC l’anno passato, i funzionari sauditi avrebbero ricevuto l’ordine di uccidere tutti i membri non conformi della tribù Huwaitat che abitavano la regione desertica.
Quando il quotidiano londinese Guardian ha chiesto a NEOM di commentare le affermazioni fatte nel documentario di Channel 3, un rappresentante ha affermato che il progetto sta «valutando le affermazioni fatte in questo [programma] e, ove necessario, adotterà misure appropriate».
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«Richiediamo a tutti gli appaltatori e subappaltatori di rispettare il codice di condotta di NEOM, basato sulle leggi dell’Arabia Saudita», ha continuato il rappresentante.
Come riportato da Renovatio21, un’analisi sempre del Guardian ha rivelato che più di 6.500 lavoratori provenienti da India, Pakistan, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka sono morti in Qatar da quando la monarchia del Golfo si è aggiudicata il principale torneo internazionale di calcio alla fine del 2010. Senz’acqua, a lavorare per una manciata di monete, nel caldo torrido di un Paese desertico, costretti in situazioni di pericolo: qualcuno è arrivato a dire che sono stati dei Mondiali costruiti sulla schiavitù.
Il calcio è sempre attento e sensibile a qualsiasi tipo di tematica etica qua in occidente, ma pare soffrire di miopia nei Paesi dove certi principi non sono nemmeno contemplati e soprattutto pare non esserci il minimo rispetto per la vita umana, persino durante l’inaugurazione della manifestazione calcistica di tre anni fa. Un lavoratore migrante impiegato nelle opere legate ai Mondiali di calcio morì in Qatar proprio durante lo svolgimento del torneo. Il tutto senza alcuna reale forma di interesse da parte delle autorità di Doha e della FIFA.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
L’Ucraina non è invitata ai colloqui tra Russia e USA, dice Zelens’kyj

🚨President Zelensky tells me Ukraine hasn’t received an invitation for a meeting between national security advisers from U.S. & Russia in Saudi Arabia. “It is strange to hold a meeting in such format before we had consultations with our strategic partners”. He said pic.twitter.com/C8X1PAuCLB
— Barak Ravid (@BarakRavid) February 15, 2025
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Geopolitica
Il Vaticano al centro della questione ucraina

La Russia ha appena riconosciuto il ruolo chiave svolto dalla Santa Sede nello scambio di prigionieri con l’Ucraina. Giocando la carta umanitaria, il Vaticano si ritrova al centro della partita diplomatica sulla questione ucraina, in un momento in cui l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca rischia di rimescolare le carte.
Le scelte diplomatiche della Santa Sede sulla questione ucraina darebbero i loro frutti? Probabilmente secondo la dichiarazione delle autorità russe del 23 gennaio 2025: «con la partecipazione personale e attiva dell’inviato speciale del Papa in Ucraina, il cardinale Zuppi, 16 militari feriti delle forze armate del nostro Paese sono tornati in Russia nell’ambito dello scambio di prigionieri di guerra», ha affermato Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri russo.
Da diversi mesi il Vaticano ha cambiato atteggiamento nei confronti del conflitto ucraino: anziché cercare di mettere insieme punti di vista inconciliabili, è meglio giocare la carta umanitaria per riannodare i labili fili del dialogo e preparare i belligeranti a potersi sedere allo stesso tavolo in un futuro più o meno prossimo.
Così, dal maggio 2023, data di inizio della missione del cardinale Matteo Zuppi, sono stati scambiati tra Ucraina e Federazione Russa 400 prigionieri di guerra e diverse centinaia di minori sfollati: «intendiamo continuare la cooperazione costruttiva con il Vaticano sulle questioni umanitarie», ha dichiarato Maria Zakharova.
Il portavoce ha aggiunto che, a differenza dell’Occidente, accusato di aver «provocato la guerra», «salta favorevolmente la posizione equilibrata del Vaticano e di Papa Francesco, che cercano di dare il loro contributo». Una soddisfazione di cui i diplomatici della Santa Sede, spesso accusati, in particolare dai cattolici ucraini, di una neutralità che ai loro occhi rasenta la complicità con Mosca, avrebbero fatto volentieri a meno.
Una cosa è certa: con questa dichiarazione inaspettata, la parte russa rimette visibilmente il Vaticano al centro del gioco diplomatico, in un momento in cui il conflitto in Ucraina entra in una nuova fase con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il 24 gennaio, Vladimir Putin ha dichiarato di essere pronto a negoziare con la controparte americana sull’Ucraina, senza tuttavia fornire una data concreta.
«Non mi dilungherò su questo punto, ma posso solo dire che l’attuale presidente ha dichiarato di essere pronto a lavorare insieme. (…) Lo abbiamo sempre detto e voglio sottolinearlo ancora una volta: siamo pronti per questi negoziati sulle questioni ucraine», ha affermato il Presidente della Federazione Russa.
E per aggiungere qualcosa alla sua controparte americana: «non posso che essere d’accordo con [Donald Trump] nel dire che se fosse stato presidente, se non gli avessero rubato la vittoria nel 2020, forse non ci sarebbe stata la crisi in Ucraina che si è verificata nel 2022».
Per alcuni, il presidente russo sta cercando di guadagnare tempo per avanzare il più possibile nel teatro delle operazioni militari e arrivare in una posizione di forza al tavolo delle trattative: le recenti dichiarazioni, siano esse sull’aspetto umanitario con il Vaticano o diplomatico, costituirebbero, in questa prospettiva, altrettante manovre dilatorie.
Ma Donald Trump è intenzionato a negoziare rapidamente, minacciando Mosca con nuove sanzioni. «Se non troveremo rapidamente un accordo, non avrò altra scelta che imporre tariffe elevate (…) su tutto ciò che la Russia venderà agli Stati Uniti. Mettiamo fine a questa guerra che non sarebbe mai iniziata se fossi stato presidente. (…) Non devono più essere perse vite», ha affermato.
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La parte americana opta per i negoziati, basati su un mix di pressioni e incentivi, per portare Russia e Ucraina a un accordo. Le Figaro, da parte sua, suggerisce che i futuri colloqui potrebbero essere ospitati dalla Svizzera e dalla Slovacchia e inizieranno con un cessate il fuoco che congeli le posizioni dei due eserciti, pur accettando la possibilità di uno scambio di territori.
La parte russa sostiene una «pace a lungo termine» che includa il riconoscimento delle regioni conquistate all’Ucraina dal 2014 e del Donbass. Perché sul campo il vantaggio militare è chiaramente a favore della Russia, che ha bisogno di tempo per vincere la sua guerra di logoramento. Ma l’economia di guerra, che sta provocando un’inflazione del 9,5% in un anno, un’impennata degli affitti e dei prezzi dei prodotti alimentari, non può durare per sempre…
Come si vede, la situazione è tutt’altro che chiara sul terreno di ipotetici negoziati, ma nei cento giorni che si è concesso per risolvere la questione ucraina, il presidente americano avrà probabilmente interesse a fare affidamento sugli sforzi discreti messi in atto dal Vaticano. Per evitare che questi cento giorni sfocino, da un punto di vista puramente umano, in una drammatica Waterloo diplomatica.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News.
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Immagine di Mstyslav Chernov via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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