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Halloween, vero e costante fiume di sangue

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Puntuale come un treno di altri tempi arriva l’articolo di Renovatio 21 sull’orrore di Halloween, la festa americanoide oramai installata con successo anche in Italia e in altri Paesi d’Europa (e perfino, abbiamo riportato due anni fa, in Arabia Saudita…).

 

A dire il vero, ci siamo un po’ rotti di scrivere, anno dopo anno, delle origini occulte, pagane, se non sataniche, della festa di Halloween. Stiamo cedendo? Stiamo invecchiando? Forse, ma siamo anche quelli, confessiamo, che non si offendono davanti ad un «Buon Ferragosto» invece che «Buona Festa dell’Assunta».

 

Il fastidio certo rimane, specie quando scopriamo che allenamenti di minibasket sono cancellati «causa Halloween», facendo capire che, in ispecie in contesto infantile, la festa diabolica è assurta a ricorrenza vera e propria. Massì: la festa di precetto della zucca maledetta.

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Fuor di scherzo (anzi, di scherzetto), l’orrore di Halloween resta tutto.

 

Quella che pubblichiamo, anche stavolta, è una lista incompleta delle atrocità che, per coincidenza, sono state perpetrate durante la «notte degli spiriti». Un elenco spaventoso – quello sì – che cerchiamo di aggiornare ogni volta.

 

Senza fare scandalismo, perché oggi non abbiamo voglia, lasciamo al lettore un giudizio sulla ricorrenza della zucca orrorifica. E sulle potenze che stanotte, ci creda o meno, potrebbero scatenarsi.

 

Notte del 31 ottobre 1957, Los Angeles, California: il veterano della II Guerra Mondiale Peter Fabiano, un marine, apre la porta a quello che crede essere un ragazzino che chiede le caramelle. Trova invece la morte: qualcuno gli spara a bruciapelo. La Polizia incastrerà l’ex amante lesbica della moglie di Fabiano, e una complice.

 

Notte del 30 ottobre 1973, Fond du Lac, Wisconsin: la bambina Lisa French, 9 anni, fa toc toc alla porta del vicino Gerald Turner per la routine del trick or treat, «dolcetto o scherzetto». Turner la stupra, la uccide, la metta in sacchetto di plastica e la getta in una discarica.

 

Notte del 31 ottobre 1974, Deer Park, Texas: il bambino di otto anni Timothy O’Brien ingerisce alcune caramelle del tipo Pixy Stick raccolte durante il tour del vicinato in modalità «trick or treat». Cade al suolo, ha le convulsioni. Muore un’ora dopo in ospedale. Era stato in realtà il padre, che voleva incassare l’assicurazione sulla vita del figlio. Nove anni dopo, l’uomo fu giustiziato.

 

Notte del 31 ottobre 1975 (anno con un Halloween tosto), Greenwich, Connecticut: la quindicenne Marta Moxley viene trovata percossa e pugnalata a morte sotto l’albero davanti casa. A fianco del corpo, una mazza da golf ferro 6, spezzata in quattro parti.

 

Notte del 31 ottobre 1979, Los Angeles, sobborgo si Sunland Tujunga: Shirley Ledford, sedicenne, sta tornando a casa in autostop da una festa di Halloween quando due uomini le danno un passaggio in furgone. Non sapeva che i due uomini erano conosciuti come i Toolbox Killers, gli assassini della cassetta degli attrezzi. Lawrence Bittaker e Roy Norris erano famosi per raccogliere autostoppiste e poi torturarle con strumenti che tipicamente si trovano in una cassetta degli attrezzi. Spesso scattavano foto delle loro vittime durante gli omicidi. Dopo aver torturato Ledford, gettarono il suo corpo sul prato di uno sconosciuto. La Ledford è diventata la quinta e ultima vittima della coppia dopo che un amico li ha denunciati.

 

Notte del 31 ottobre 1981, ad Amarillo, Texas: il diciassettenne Johnny Lee Garret stupra una suora di 76 anni e la uccide a coltellate.

 

Ancora nella notte del 31 ottobre 1981, Manhattan, Nuova York: il fotografo Ronald Sisman e la studentessa dello Smith College Elizabeth Platzman sono picchiati nel loro appartamento di Manhattan la notte di Halloween del 1981 prima di essere uccisi. Il loro appartamento viene completamente saccheggiato, ma non sembra mancare nulla. Su questo massacro girano le speculazioni più pazzesche, che collegano il fotografo ad una setta che avrebbe ordito ed eseguito gli assassini seriali di Son of Sam. Secondo il reporter Maury Terry vi sarebbero possibili implicazioni anche con produttori cinematografici e produzione di snuff movie: ne parla il documentario Netflix Sons of Sam.

 

Sempre nella notte del 31 ottobre 1981, Point Pleasant, Virginia Occidentale: Maria Ciallella, 17 anni, dice al padre che sarebbe uscita e sarebbe tornata verso mezzanotte. Quella notte un poliziotto l’ha vista camminare sul ciglio della strada e stava per darle un passaggio sulla via del ritorno. Torna entro 10 minuti, ma lei è sparita. Il corpo viene trovato tagliato in tre pezzi nel 1983 nel giardino della madre del serial killer Richard Biegenwald, detto il «Thrill Killer» del Jersey Shore.

Notte del 31 ottobre 1992, New Orleans, Louisiana: lo studente giapponese in scambio culturale Yoshihiro Hattori esce per andare ad un party di Halloween. Persosi per strada, bussa ad una porta, nessuno gli risponde. Tornato alla macchina, sente che la porta si apre: «siamo qui per la festa» disse il giovane nipponico, che in risposta ottiene una revolverata. Il proprietario di casa è stato accusato di omicidio colposo, ma ha invocato la «Castle Doctrine» («dottrina del castello»), l’idea per cui gli americani possono affermare di avere il diritto di usare mezzi letali per proteggere le proprie case. L’assassino di Halloween è stato dunque dichiarato non colpevole da una giuria.

 

Notte del 31 ottobre 1993, Pasadena, California: tre ragazzi uccisi a colpi di arma da fuoco mentre tornano da una festa.

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Notte del 31 ottobre 1994, Tony Bagley, 7 anni, è con la famiglia a fare «dolcetto o scherzetto», vestito da scheletro. Allo stesso tempo, un uomo che indossava una tuta con cappuccio corse in strada e iniziò a sparare alla famiglia Bagley. Tutta la famiglia è colpita, il bambino muore in ospedale. Caso irrisolto.

 

Notte del 31 ottobre 1998, South Bronx, New York: il parabrezza del programmatore di computer Karl Jackson viene colpito da un uovo. L’uomo, il quale stava recandosi a prendere il figlio ad una festicciola, scende per lamentarsene con i discoli autori del lancio, che non la prendono bene; lo inseguono, lo fermano, e gli sparano nella testa.

 

Notte del 31 ottobre 2002, Università del Minnesota: lo studente Carl Jenkins sparisce e viene ritrovato nel fiume Mississippi quattro mesi dopo. Alcuni attribuiscono la morte allo «Smiley Face Killer»: secondo una teoria avanza da alcuni esperti, negli Stati americani del Midwest tra gli anni Novanta e gli anni Dieci un killer avrebbe ucciso almeno 45 giovani uomini. In una dozzina di casi, i corpi sono stati trovati vicino a graffiti con un volto sorridente.

 

Notte del 31 ottobre 2004, Napa Valley, California: Leslie Mazzara e Adriane Insogna vengono massacrate nel loro appartamento. L’assassino, scoprirà la polizia poi, è il fidanzato di una loro cara amica.

 

Notte del 31 ottobre 2005, Frederica, Delaware: l’intera comunità osserva una macabra decorazione che campeggia su di un albero in pubblica piazza. Ci vogliono diverse ore per capire che non si tratta di una scenografia per una festa: è davvero il corpo di una signora quarantaduenne, impiccata.

 

Notte del 31 ottobre 2008, Sumter, Carolina del Sud: il dodicenne T.J. Darrisaw bussa ad una porta per fare «trick or treat», ma riceve in cambio 29 proiettili sparate da un kalashnikov, 11 dei quali lo trafiggono uccidendolo immediatamente. Anche il padre e il fratellino sono colpiti ma sopravvivano. L’assassino era un narcotrafficante che si aspettava la vendetta di una gang rivale.

 

Notte del 31 ottobre 2010, Benton Township, Michigan: Devon Griffin, 16 anni, torna a casa ad Halloween per giocare ai videogiochi dopo essere stato in chiesa e aver passato la notte precedente a dormire fuori. Nota che la casa del Michigan era troppo tranquilla, quindi va a controllare i suoi familiari. Griffin trova il suo patrigno a letto, coperto di sangue. Quando arriva la polizia, trovarono altri due corpi: la madre e il fratello di Griffin. Alla fine la polizia ha scoperto che l’assassino era il fratellastro di Griffin, William Liske.

 

Notte del 31 ottobre 2011, Armstrong, British Columbia: Taylor van Diest, 18 anni, manda un SMS al fidanzato in cui dice di sentirsi pedinata da qualcuno. Viene ritrovata a lato della ferrovia in fin di vita, picchiata a sangue. Morirà poco dopo in ospedale.

 

Notte del 31 ottobre 2012, Michigan: il predicatore John D. White bussa alla roulotte della sua amante, che vive con il figlio in un trailer park. Quindi, la strangola e ne getta il corpo in mezzo ai boschi, quindi torna alla roulotte dove veste il figlio di lei con un costume da Halloween.

 

Notte del 31 ottobre 2013, Nuova York: il diciannovenne Anthony Seaberry muore dopo che uno sconosciuto con la maschera del film Scream gli spara. Caso irrisolto. Tuttavia, potrebbe essere stato opera di un uomo responsabile di altre sparatorie ucciso dalla polizia durante la stessa serata.

 

Halloween 2023: le morti nel weekend di Halloweeno includevano due a Tampa, in Florida, tre a Texarkana, in Texas, e due ciascuna a Dodge City (Kansas) Sant’Antonio (Texas) e Mansfield (Ohio). Molte morti sono venute da alterchi derivanti dalle celebrazioni di Halloween, inclusa la sparatoria di massa nella sezione Ybor City di Tampa domenica mattina presto mentre i bar chiudevano e decine di persone in costume si riversavano per le strade.

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A Indianapolis, una sparatoria durante una grande festa hallowenista ha provocato la morte di un adolescente e il ferimento di altri nove adolescenti e giovani adulti di età compresa tra 16 e 21 anni, ha detto la polizia. I feriti erano in condizioni stabili.

 

A Chicago, la polizia ha detto che almeno 15 persone sono rimaste ferite, due delle quali in modo grave, dopo che un killer ha sparato sulla folla durante una festa di Halloween. Il sospettato è stato preso in custodia, ma fino a lunedì mattina le autorità non avevano annunciato alcuna accusa.

 

In Texas, cinque persone sono state uccise e altre sei sono rimaste ferite in due sparatorie separate il sabato sera.

 

La polizia di San Antonio ha detto che una ragazza di 13 anni è rimasta ferita e i suoi genitori sono stati uccisi dopo una sparatoria durante una festa in casa. Un uomo di 20 anni è arrivato alla festa e ne è seguita una discussione, ha detto la polizia. L’uomo ha iniziato a sparare con una pistola e un uomo di 40 anni ha risposto al fuoco.

 

A Texarkana – a 450 miglia (724 chilometri) di distanza lungo il confine con l’Arkansas – la polizia ha detto che tre persone sono morte e altre tre sono rimaste ferite durante una festa nel retro di un’azienda. Due uomini hanno iniziato a scazzottarsi, poi sono state tirate fuori le armi da fuoco, ha detto la polizia. Non è stato effettuato alcun arresto.

 

Un ragazzo di 17 anni è stato ucciso e tre persone di età compresa tra 20 e 24 anni sono rimaste ferite in una sparatoria all’inizio di sabato, secondo la polizia di Cumberland, nel Maryland.

 

Se non trovate ragioni per rifiutare Halloween nell’elenco della morte qui sopra, non sappiamo cosa dirvi. O forse sì.

 

Come ha scritto Renovatio 21 negli anni, «Trick or treat», indebitamente tradotto con «dolcetto o scherzetto», la formula di rito che devono pronunciare i bambini che vagano per la città estorcendo leccornie, ha in origine un significato cruento: «maledizione o sacrificio». O si offre il cibo agli «spiriti» (che surrogati oggi dai mostri nei quali si travestono i nostri bimbi), o se ne viene maledetti. (un’usanza degli antichi di varie latitudini che in qualche modo ancora si ricorda: lasciare cibo e latte fuori dalla porta, per ingraziarsi gli spiriti, non dissimilmente da quanto taluni fanno ancora con Babbo Natale).

 

In questa notte, però, il tributo è come estorto. Gli spiriti lo pretendono, e mandano dei proprio bambini a farne l’ingiunzione. È quale è il sacrificio più grande che questi «spiriti possono chiedere»? Qual è l’ultimo sacrificio che gli uomini possono offrire?

 

Sapete come Renovatio 21 risponde: il sacrificio umano.

 

Rivogliono il tributo primigenio, quello che era in uso in ogni angolo della terra (da Cartagine agli Aztechi, dalla Nuova Guinea al paganesimo indoeuropeo più antico) prima dell’avvento del Signore della Vita. Vogliono il sangue degli esseri umani, specialmente quello innocente.

 

Non è difficile da capire. A questo punto, si può comprendere come mai molte persone non amino Halloween. Chi crede che l’universo abbia una componente spirituale, non può in alcun modo prestarsi alla celebrazione, sia pur ironica, del sacrificio di esseri umani, e del Male che lo esige.

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Chi ama la propria anima, chi ama la vita non ama Halloween. Entrambe le cose sono in gioco stasera, simbolicamente e anche no.

 

Per cui, un consiglio: stasera state a casa. E tenete a casa i vostri figli. State con loro, giocate con loro, se siete del team, pregate con loro i santi. Non esponetevi a niente di quello che questa ricorrenza infera rappresenta – ed è.

 

Qualche genitore lo sa: il senso di tanto di quello che sta succedendo nella società moderna è la progressiva realizzazione della possibilità di portarvi via i figli senza che voi possiate reagire in alcun modo. È una battaglia che conosciamo, che riguarda tutti, ed è dappertutto.

 

Non celebriamo, neanche per ischerzo, neanche per una sola notte, i mostri che vorrebbero che sacrificassimo la nostra prole.

 

Perché mostri che mirano a terrorizzare e rapire i nostri piccoli esistono. E ci troviamo a combatterci contro tutto l’anno, e, se non ci muoviamo, per tutto il XXI secolo, ed oltre.

 

E se non credete a tutto il ciarpame spiritualista di Renovatio 21, ascoltate, al meno, la sfrontata saggezza del tesoro nazionale vivente Vittorio Sgarbi le spiegazioni laiche sul rifiuto che bisogna opporre ad Halloweeno.

 

Buona festa di Ognissanti a tutti.

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Orban: l’egemonia occidentale lunga 500 anni è finita

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L’egemonia globale dell’Occidente, durata 500 anni, è finita e il futuro apparterrà all’Eurasia, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orbán.   L’idea che «il mondo intero dovrebbe essere organizzato su un modello occidentale» e che le nazioni saranno disposte ad aderirvi «in cambio di benefici economici e finanziari» è fallita, ha affermato Orban al Forum Eurasia di Budapest giovedì.   Il mondo occidentale è stato sfidato dall’Oriente, ha dichiarato il leader ungherese, aggiungendo che «il prossimo periodo sarà il secolo dell’Eurasia».

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«Cinquecento anni di dominio della civiltà occidentale sono giunti al termine», ha affermato Orban.   Secondo il leader ungherese, i Paesi asiatici sono diventati più forti e hanno dimostrato di essere capaci di «crescere, esistere e durare come centri indipendenti di potere economico e politico». Ora hanno sia un vantaggio demografico che tecnologico rispetto ai loro pari occidentali, ha affermato.   Di conseguenza, il centro dell’economia mondiale si è spostato a est, dove le economie stanno crescendo quattro volte più velocemente di quelle occidentali, ha detto Orban. «Il valore aggiunto dell’industria occidentale rappresenta il 40% del mondo, e quello dell’industria orientale il 50%. Questa è la nuova realtà».   Mentre l’Asia rappresenta il 70% della popolazione mondiale e ha una quota del 70% nell’economia mondiale, l’UE è emersa come il «perdente numero uno» nella realtà in evoluzione, secondo il primo ministro magiaro, che ha affermato che l’Occidente è «soffocato» nel suo stesso ambiente, affrontando sfide come la migrazione, l’ideologia di genere, i conflitti etnici e la crisi Russia-Ucraina.

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«È comprensibilmente difficile per i leader occidentali rinunciare al senso di superiorità a cui sono abituati, ovvero che siamo i più intelligenti, i più belli, i più sviluppati e i più ricchi», ha sostenuto detto il premier ungherese.   Secondo Orban, le élite occidentali si sono organizzate per proteggere lo «status quo della vecchia gloria», che alla fine porterà a un blocco economico e politico.   Come riportato da Renovatio 21, Orban aveva già esposto il suo pensiero sul tramonto dell’Occidente a inizio anno, sostenendo che l’egemonia occidentale è finita, e chiamando al ruolo salvifico di Donald Trump.

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Immagine di The Left via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0
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Gli elettori americani rifiutano l’aborto fino alla nascita. Mentre il papa incontra Emma Bonino

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Trump ha ottenuto la valanga di voti che avevano predetto i più ottimisti, ribaltando il colore degli Stati democratici e umiliando la campagna Harris in altri.

 

Tuttavia, un altro dato non ha mancato di allarmare i media dell’establishment: gli elettori della Florida, oltre a eleggere il loro conterraneo The Donald, ha votato in massa no ad un referendum che estendeva grandemente la tempistica degli aborti. La proposta avrebbe consentito i cosiddetti aborti «prima della vitalità», solitamente intorno alle 24 settimane di gravidanza.

 

La legislazione floridiana vieta la maggior parte degli aborti dopo sei settimane, prima che molte donne sappiano di essere incinte.

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La misura proposta dai democrats in Florida, nota come Emendamento 4, ha ottenuto il 57% dei voti, non raggiungendo il 60% richiesto per l’approvazione. Si tratta di una vittoria politica per il governatore Ron DeSantis, che nel 2022 aveva promulgato il bando degli aborti di 15 settimane, portando nel 2023 il divieto a 6 settimane. In precedenza, la Florida aveva consentito aborti fino a 24 settimane ed «era considerata una destinazione per le donne di altri stati del sud con leggi più severe», scrive il quotidiano neoeboraceno.

 

L’emendamento 4, detto «Emendamento per limitare l’interferenza del governo con l’aborto», affermava che «nessuna legge proibirà, penalizzerà, ritarderà o limiterà l’aborto prima della vitalità o quando necessario per proteggere la salute del paziente, come determinato dal medico curante del paziente». Esso avrebbe richiesto che l’aborto fosse consentito per qualsiasi motivo prima della «vitalità» fetale e avrebbe reso i divieti successivi alla «vitalità» di fatto privi di significato esentando qualsiasi aborto che un abortista afferma essere per motivi di «salute».

 

In pratica, se fosse passato, l’Emendamento 4 avrebbe consentito l’aborto dopo la vitalità per qualsiasi motivo ritenuto correlato alla salute da un operatore sanitario da quando il feto ha 23 settimane alla nascita.

 

Si trattava di una proposta radicale, con lo stesso DeSantis che ha dichiarato che, secondo il testo dell’emendamento, gli aborti potevano essere legalmente consentiti «fino alla nascita».

 

Ad un passo, notiamo noi, dall’infanticidio, pardon, dall’«aborto post-natale».

 

La sconfitta, pur non essendo inaspettata, ha interrotto quella che era stata una serie ininterrotta di vittorie per i gruppi per i diritti all’aborto sulle misure elettorali da quando la Corte Suprema ha annullato la sentenza Roe v. Wade nel 2022, scrive il New York Times. Gli elettori si sono schierati a favore dei diritti all’aborto in tutti e sette gli stati che avevano domande elettorali sulla questione prima di quest’anno, in stati diversi come Kansas e California.

 

Gli organizzatori della campagna chiamata «Yes on 4» avevano raccolto più di 100 milioni di dollari per far sì che la misura venisse inserita nella scheda elettorale e per fare campagna a favore.

 

Il presidente Donald J. Trump, ora residente in Florida, si era opposto all’emendamento 4, dopo aver inizialmente lasciato intendere che avrebbe potuto sostenerlo.

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Come noto, la Roe v. Wade – cioè l’aborto inteso come «diritto federale» non regolabile dai singoli Stati dell’Unione – è stato ribaltato da una Corte Suprema costituita da giudici indicati da Trump, cui quindi può andare il merito di aver, di fatto, rovesciato la legge abortista in USA, una promessa fatta nel 2016 ai gruppi pro-life che è riuscito a mantenere.

 

Al contempo, lo smacco delle elezioni midterm del 2022, quando ci si aspettava una red wave (cioè un’ondata di vittorie di candidati repubblicani), portò il pensiero che il Grand Old Party non aveva raccolto i consensi che ci si aspettava a causa del mancato voto delle donne «offese» dalla fine del libero aborto in vari Stati.

 

Tale idea ha spinto anche la campagna Harris, che ha investito sino all’ultimo sul tema dei «diritti riproduttivi» (cioè, il feticidio, e in seconda battuta la riproduzione artificiale in provetta) minacciati da Trump, sicuri del fatto che il tema avrebbe sicuramente fatto breccia nel cuore di tante donne che, pur repubblicane, avrebbero quindi evitato di votare per un potere antiabortista.

 

Non è andata così: la valanga di voti per Trump, e per i repubblicani che ora controllano sia la Camera che il Senato, c’è stata comunque. Non sappiamo se a ciò ha contribuito l’insistenza di Trump e dei suoi uomini (tra cui mettiamo pure Elone Musk) nel ripetere che Trump come 47° presidente si sarebbe opposto frontalmente ad una messa al bando federale dell’aborto.

 

Come riportato da Renovatio 21, è leggibile in questo senso anche l’uscita del libro di Melania di questi giorni, dove la bellissima slovena si dichiara pienamente abortista: certo, può essere la verità, ma al contempo si trattava con certezza di una manovra elettorale, come lo è stato l’appoggio in questi mesi dichiarato da Trump alla fecondazione in vitro, pratica di morte massiva entrata in crisi con una sentenza dell’anno scorso della Corte Suprema dell’Alabama che dichiara gli embrioni come persone. Un altro colpo prima impossibile senza il ribaltamento di Roe v. Wade.

 

L’aborto, quindi, è stato un tema dominante della campagna elettorale 2024, come lo sono stati immigrazione o l’inflazione.

 

Abbiamo già scritto qui come Trump, di fatto, rappresenti l’unica forza politica che in cinquant’anni è riuscita non solo a toccare, ma a cancellare una delle legislazioni sul feticidio libero spuntate, chissà perché quasi simultaneamente in tutto il mondo, negli anni Settanta.

 

La questione dell’aborto ha guidato di certo anche il voto cattolico americano, con vescovi e cardinali intervenuti, a vario titolo, con indicazioni di voto in merito – e la definizione, data dal vescovo texano Joseph Strickland, di Trump che, in quanto non integralmente pro-life, era da votare come «male minore».

 

Uno dei temi cattolici più importanti, quindi, era sulla scheda elettorale nel voto di uno dei Paesi di maggiore importanza al mondo – anche per la presenza di popolazione cattolica, che si conta negli USA in circa 71 milioni di fedeli.

 

La cosa, tuttavia, non è sembrata interessare Roma in alcun modo. Il Sacro Palazzo si è tenuto sideralmente distante dalle elezioni, e soprattutto da Trump, dopo che nel 2016 Bergoglio era entrato a gamba tesa nella corsa con Hillary definendo Trump «non cristiano» per la sua proposta di creare un muro al confine con il Messico.

 

Stavolta, tuttavia, il papa è riuscito a fare peggio.

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Nel giorno delle elezioni americane – dove, ripetiamo, il feticidio era anche fisicamente sulla scheda elettorale – Bergoglio è andato a trovare la persona che più di ogni altra ha incarnato la battaglia per il libero aborto in Italia, Emma Bonino.

 

 

Ecco infatti che il romano pontefice suona a sorpresa il campanello della leader radicale, «appena dimessa dopo un ricovero che le aveva fatto temere il peggio per una crisi respiratoria», scrive il giornale dei vescovi Avvenire.

 

I giornali sono pronti a scattare e pubblicare le foto dell’evento. Il gesuita bianco scende sorridente dalla macchina, poi eccotelo in terrazza con la radicale, entrambi – in una significativa, paurosa simmetria – in carrozzella.

 

«La foto di Francesco e della storica leader radicale attorno a un tavolino entrambi in sedia a rotelle mostra la condivisione della fragilità fisica, il simbolo di una fraternità che non si lascia imprigionare dalle appartenenze e dalle identità, che evidentemente restano» continua il quotidiano episcopale.

 


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«Con enorme sorpresa e piena di emozione, Sua Santità mi ha fatto una graditissima visita. Di papa Francesco emerge sempre l’aspetto umano straordinario» ha detto la Bonino, raccontando l’argentino le ha regalato «un meraviglioso mazzo di rose e dei cioccolatini. Sono rimasta molto colpita dalla forza e comprensione dimostratami già dal suo saluto “cerea” tipico piemontese, per le nostre origini comuni. E avermi detto di essere “un esempio di libertà e resistenza” mi ha riempito di gioia».

 

Non si tratta della prima volta che i due si incontrano.  «Il Papa ed Emma Bonino si erano incontrati più volte negli anni scorsi intessendo un dialogo soprattutto sul tema dei migranti. Tanto che Francesco nel 2016 aveva detto che Bonino “ha offerto il miglior servizio all’Italia per conoscere l’Africa”» continua Avvenire.

 

Non ci è chiaro cosa avrebbe fatto la Bonino per l’Africa: sappiamo che per un periodo si era trasferita al Cairo, dove si diceva stesse studiando l’arabo; qualche cristiano copto incontrato in quegli anni rivelò inquietudine per la presenza in Egitto negli anni turbolenti della «Primavera Araba» della Bonino, notoriamente legata al finanziere internazionale Giorgio Soros, al punto da essere tra gli happy few invitati al suo terzo matrimonio anni fa.

 

Ma ci sono ancora più episodi: chi scrive ricorda l’oltraggio di tanti sostenitori che, recatisi alla Marcia per la Vita il 10 maggio 2015 – camminata che per qualche ragione terminava a San Pietro con l’Angelus del Bergoglio che la snobbava – si ritrovavano sui giornali, l’indomani, la foto della Bonino col turbante che abbracciava il pontefice in Vaticano ad una qualche iniziativa per i bambini. Più che ai bambini trucidati nel grembo materno, al papa interessavano i bambini dell’iniziativa «Fabbrica della pace» da presentare alla FAO.

 

Ora, siccome non lo fa Avvenire, tocca a noi ricordarci come i cattolici ricordano la Bonino – vera, grande eroina del feticidio in Italia, ben prima che esso fosse legalizzato dalla legge 194/78.

 

Neera Fallaci, sorella minore della più famosa Oriana, nel 1976 intervistava la giovine Bonino per la rivista Oggi: «tra il febbraio e la fine di dicembre del 1975, gli interventi per aborto del CISA [Centro Italiano Sterilizzazione ed Aborto, il nome preso dalla villa per volontà di Marco Pannella, ndr] sono stati 10.141».

 

Secondo quanto riportato, agli aborti la Bonino provvede di persona – ciò sarebbe dimostrato da una oramai notissima fotografia che circola da decenni, per l’aborto la Bonino si serviva di uno strumento fai-da-te, la pompa di una bicicletta.

 

Il bambino abortito prima di finire nella spazzatura veniva aspirato dentro un vasetto della marmellata opportunamente svuotato: «alle donne non importa nulla che io non usi un vaso acquistato in un negozio di sanitari, anzi, è un buon motivo per farsi quattro risate».

 

Come noto, sugli aborti di quel tempo scrisse un libro-manuale l’attuale ministro della Famiglia del governo Meloni Eugenia Roccella, l’indimenticato Aborto Facciamolo da noi. La Roccella è poi entrata in tutt’altro giro, quel sempiterno network democristiano di vescovi Family Day che è riuscito ad infiltrarsi anche nell’attuale compagine di governo. Resta il fatto che l’abolizione della 194 non è reclamata né dal ministro né da vari minion del sedicente mondo pro-life italiano.

 

I racconti del pre-1978 – prima della legalizzazione dell’aborto in Italia con la 194 – descrivevano una bella villa sui colli, dove un ginecologo a nome Giorgio Conciani eseguiva clandestinamente aborti in quantità. Il Conciani dopo aver allargato il campo con battaglie per l’eutanasia, finirà radiato dall’ordine dei medici e poi suicida, impiccato in cantina, nel 1997.

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La Bonino farà una carriera politica incredibile: Parlamento plurime volte (anche, secondo una foto che circolava in rete tempo, fa con i voti della Lega), Commissione Europea, ministeri della Repubblica italiana vari, tra cui, di recente, quello degli Esteri.

 

E poi, diventa partecipante del Bilderberg, ma ancora più significativamente, e poi ancora come membro del board di Open Society Foundations del già citato Giorgio Soros, il quale prese perfino la tessera di un partito-ircocervo radical-socialista spuntato fuori ad un certo punto, la non memorabilissima Rosa nel Pugno.

 

Va detto anche che la spinta della Bonino per l’aborto non era fatta con la storia dei migliaia di feti aspirati clandestinamente. Non tutti ricordano che l’aborto sbarcò in Italia sulle ali di un grande caso mediatico, quello di Seveso.

 

Nel 1976, cioè due anni prima che arrivasse la 194, la deputata del Partito Repubblicano Italiano (un partito che qualcuno dice vicino alle famose logge «laiche») Susanna Agnelli chiese al ministro della Sanità l’autorizzazione all’aborto per le madri di Seveso, cioè quelle donne incinte al tempo del disastro chimico che colpì la cittadina lombarda.

 

La richiesta della Agnelli, ovviamente, si univa a quella della deputata radicale Bonino. Sconvolge vedere come il mondo pro-life si sia scagliato negli anni contro Emma, ma mai contro la sorellona di Gianni Agnelli.

 

Per l’Agnelli, insomma, questa anteprima nazionale del feticidio di Stato doveva farsi per forza. La diossina di Seveso era un’occasione troppo ghiotta.
Il Ministro De Falco concesse la deroga, non prima di aver avuto il placet del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, esattamente l’uomo che due anni dopo avrebbe firmato la legge genocida 194.

 

Gli aborti invocati dalla Agnelli vennero operati alla clinica Mangiagalli di Milano (tuttora in funzione) e al nosocomio Desio. Furono fatti degli studi sui poveri resti dei bambini massacrati: i resti degli aborti furono inviati in un laboratorio di Lubecca, in Germania, per essere analizzati; nella relazione stilata nel 1977 dai tedeschi si dice che in nessuno di quei resti umani fosse evidente un segno di malformazione.

 

Altre donne di Seveso portarono a termine le loro gravidanze senza problemi, i loro figli, che vivono tutt’oggi non mostrarono segni di malformazioni evidenti. Qualcuno magari sta pure leggendo queste righe.

 

Il disastro di Seveso non fu altro che il casus belli necessario all’avvento della legge 194, che arrivò firmata dal governo democristiano Andreotti IV. Pannella e la Bonino avevano vinto la loro battaglia.

 

Un’immagine a foto doppia pubblicata in un articolo pro-aborto del giornale degli Agnelli La Repubblica la mostra con il medesimo cartello dal 1978 al 2022: «abbiamo tutte abortito». Rammentiamo inoltre le scritte da sandwich umano «No Vatican no Taliban»: San Pietro come Kabul, il santo padre come il mullah Omar – allora, per i radicali, i mangiapreti partitici più accaniti, andava così.

 

Ora il sommo talebano vaticano va a trovare la leader radicale direttamente a casa. Din-don. Sorrisoni, solidarietà visibile sin dall’effetto speculare delle sedie a rotelle l’una dinanzi all’altra.

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Tutto questo avviene mentre in America torna al potere Donald Trump, l’uomo che, prima della controversa elezione 2020, aveva rilanciato la lettera aperta che gli aveva scritto monsignor Carlo Maria Viganò, l’arcivescovo già nunzio apostolico USA ora scomunicato dal Bergoglio.

 

Come sa il lettore di Renovatio 21, monsignor Viganò si è ripetuto quest’anno, con un appello ai cattolici americani per il voto a Trump, dove definiva Kamala Harris «mostro infernale che obbedisce a Satana». La lettera ha fatto il giro della stampa statunitense ed internazionale, probabilmente aiutando, in una qualche misura, il voto cattolico a Trump.

 

Viganò ieri ha celebrato apertamente la vittoria del presidente come «battuta di arresto per il piano criminale del Nuovo Ordine Mondiale», benedicendo l’America tutta.

 

Per cui ci chiediamo: non è che il nuovo presidente possa preferire l’ex nunzio apostolico a Washington «scomunicato» all’amico della Bonino e dei migranti, del cambiamento climatico e dell’internazionale woke? Quella figura che, a differenza di Viganò, aveva detto pubblicamente di non sapere se si dovesse votare per la sfidante (abortista radicale, persecutrice di pro-life oltre che dei conservatori tout court) Kamala Harris?

 

Perché, con una politica estera USA che potrebbe essere in gran parte ribaltata, alcuni nodi potrebbero venire al pettine… E a quel punto potremmo cominciare a vedere scene interessanti.

 

Chissà.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine dal profilo Twitter di Emma Bonino

 

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Pensiero

Mistica dell’Ultra-MAGA: Trump e il «mandato del cielo»

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Ieri mattina, viaggiando con un amico sull’A4, ho visto due aerei da guerra che volavano bassi.   Erano americani? Non ho fatto in tempo a discernerlo, stavo guidando. Venivano da che base? Ghedi? Istrana? Aviano? Potevo solo fare supposizioni.   Il fatto è che, per qualche attimo, ho sentito distintamente un sentimento di paura. Così, una reazione subitanea, non mediata da nulla se non dall’animo. E se fanno partire una guerra oggi…?

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Se pensate che il pensiero di un disastro militare internazionale nel giorno del voto della grande burocrazia – pardon, democrazia – USA sia peregrino, sappiate che ieri gli USA hanno indetto, per pura coincidenza, un test del Minuteman III, un missile balistico intercontinentale ipersonico a capacità nucleare. Proprio nelle ore delle elezioni: ma guarda che combinazione.   Ogni cosa poteva succedere in queste ore. Come avevo predetto, non c’è stato discorso di concessione da parte di Kamala – è troppo vuota, troppo pupazza, per ammettere la sconfitta; parlerà solo quando i pupari le diranno di farlo, e abbiamo già visto come Obama poche ore fa se ne è uscito con un discorso pazzesco sul fatto che ci potrebbero volere giorni per certificare il voto.   (Sulla strana personalità di Kamala, che sembra direzionabile, malleabile a piacimento, capace di qualsiasi contraddizione e non in grado di esprimere un’idea sua che non sia la ripetizione di un talking point assegnatole, sono avanzate in questi ultimi giorni ipotesi sorprendenti, come quella secondo cui potrebbe essere un prodotto del progetto MK-Ultra: non sappiamo se chi ha fatto la sparata ora sentirà il bisogno di approfondire).   Non mi aspettavo, certo, la valanga di voti, con il ribaltamento di Georgia, Pennsylvania, Wisconsin, i tre Stati chiave, finiti tutti e tre senza problemi in mano a Trump. Vedevo l’uomo e il suo entourage – tra cui contiamo, ora, pure Elon Musk – particolarmente tranquilli. Dobbiamo farlo too big to rig, troppo grande per un broglio. Seguendo alchimie politiche percentuali precise, hanno portato a casa il risultato. E magari i voti sarebbero ancora di più, perché è impensabile che non vi siano stati tentativi da parte dell’establishment di truccare anche queste elezioni.   È più che una vittoria storica, è un cambiamento di paradigma totale. Più che il Partito Repubblicano, che certo ha fornito l’infrastruttura, ha vinto il movimento MAGA. La spinta popolare più netta, unita, potente vista in questi anni, in tutto il mondo. Come se il popolo americano avesse ritrovato, dopo decadi di sentimenti oscuri, fiducia in se stesso.   Il popolo ha fatto vincere la democrazia, o forse no. Di fatto, gli USA paiono ora una monarchia – un unico al vertice, con tantissimo potere, secondo alcuni esattamente quello che volevano i padri fondatori americani, che si ribellarono a Londra perché volevano una monarchia senza re ed una aristocrazia senza nobili.   Chi ha visto la convention repubblicana di luglio, quella fatta con il cerotto all’orecchio poche ore dopo l’attentato di Butler, si è reso conto che oramai l’intera famiglia Trump ha colonizzato il partito e il discorso politico: dopo che al microfono si sono susseguiti figli e nuore varie, parenti amici di famiglia di ogni sorta, ha parlato dal palco persino la nipote 18enne, figlia di Don jr. È un casato, una dinastia reale. E con il popolo, nella democratica America, che l’acclama come tale.   Non abbiamo mai dato peso alle storie di QAnon, che come avete visto sono sparite completamente in questi anni. C’era questa sorta di religione oracolare, alimentata da misteriosi, criptici messaggi postati su internet, che descriveva Trump come una sorta di eroe con un’agenda segreta, un piano occulto in via di svolgimento che avrebbe sconvolto il Paese e riportato la giustizia.   Si trattava di una sorta di messianismo immanente: Trump non era investito di poteri soprannaturali, ma gli veniva assegnato questo ruolo salvifico nell’opera di imminente distruzione, dicevano, dell’élite corrotta e perversa. Ho ritenuto che si trattasse di qualcosa di vago e di losco, e guardando il documentario HBO Q Into the Storm (2021), con il regista che ritiene di aver capito chi vi era dietro, ho trovato conferma alle mie sensazioni.   Tuttavia, vale la pena di ricordare che la realtà, anche stavolta, è ben più bizzarra della finzione. I Qanonisti sostenevano che Trump avrebbe tirato fuori i nomi dell’élite pedofila di Washington ed Hollywood: il biondo ha annunciato che vuole pubblicare la lista di Epstein, mentre ci si chiede cosa accadrà a quella di Puff Daddy – con quantità di divi ospiti del rapper lubrificatore che hanno apertamente appoggiato la Harris, compresa l’ex fidanzata, l’irriconoscibile Jennifer Lopez.   Il mondo di QAnon bisbigliava di tunnel sotterranei a Nuova York, dove avvenivano indicibili traffici: ebbene, tutti ricordiamo con stupore ancora vivo i sotterranei scoperti sotto le sinagoghe hassidiche di Brooklyn.   Ancora: i Qanonimi dicevano che, ad una certa, grazie a Trump e al suo piano sarebbe uscito dalla latitanza John John Kennedy, il figlio di JFK morto nel 1999 in un incidente aereo (en passant, rammentiamo che sarebbe stato sfidante di Hillary Clinton per il seggio senatoriale democratico nella Grande Mela): ebbene, con Trump un Kennedy, il cugino Robert junior, sta per tornare davvero al governo degli USA.   Sì, what a time to be alive stanno dicendo molti ora. Che epoca incredibile ci tocca di vivere.

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Eppure, vogliamo andare un po’ oltre, e parlare di qualcosa che va oltre la stramberia del cospirazionismo realizzato. Vogliamo parlare dello spirito, vogliamo parlare della cifra mistica di ciò che sta accadendo.   In Cina, le dinastie imperiali iniziate 3000 anni fa con i Zhou hanno goduto nei millenni del Tiānmìng (天命), il «mandato del cielo».   L’idea, definita in seguito da filosofo confuciano Mencio, è che il cielo (天, Tiān) approva il sovrano giusto fornendogli un mandato a regnare. Il potere politico, quindi, ha giustificazione politica che viene dalla morale e dalla divinità. A differenza dell’Europa, non era necessario che alla base di una dinastia ci fosse un nobile: il mandato del cielo si estendeva a uomini comuni, come i fondatori delle dinastie Han e Ming, perché esso derivava dalla virtù del regnante, prima che dal suo lignaggio.   Possiamo dire che Trump abbia avuto un mandato del cielo? Sì. Di questo, personalmente, siamo convinti – dopo l’attentato che gli ha sfiorato l’orecchio, dal quale si è rialzato mostrando una fibra morale mai vista prima (con annessa foto del secolo, ottenuta naturalmente a fronte di immagini iconiche come quella di Iwo Jima che sono artefatte) e disprezzando l’idea di rintanarsi in casa lontano dai comizi mentre in circolo ci sarebbero almeno cinque team di assassini, alcuni dotati di missili terra-aria, con l’ordine di ucciderlo. (Qui ricordiamo i dittatori uccisi mentre scappano o suicidi mentre si rintanano tra il tanfo del piscio nel bunker)   L’attentato di Butler ci ha lasciato senza parole: perché una cosa così non l’abbiamo mai vista. O meglio: giammai abbiam veduto qualcosa che assomiglia di più ad un intervento divino.   Come ha detto Tony Hinchliffe, il comico che al comizio del Madison Square Garden della settimana scorsa ha rischiato di far deragliare la campagna di Trump con la battuta su Porto Rico e spazzatura (in realtà, è stata la propulsione per la gaffe odiosa di Biden e il conseguente irresistibile sketch del Trump-netturbino): «noi voteremo il 5 novembre, Dio ha votato il 13 luglio».   Non è possibile spiegare in altro modo l’accaduto: i complottisti, che ora stanno a sinistra, hanno provato a dire che era tutta una scenata per prendere voti, tuttavia, oltre ai morti, ricordiamo anche il New York Times che pubblicò l’immagine della pallottola che sfreccia nell’aere, captata per caso dalla macchina del fotografo.   Dio vuole che Trump governi? È molto probabile. E la spiegazione che ci siamo dati è piuttosto semplice: certo, Nostro Signore odia l’aborto, ma potrebbe odiare ancora di più la guerra termonucleare globale. Perché la guerra atomica è l’aborto della civiltà. L’assassinio dell’umanità tutta.   Il cielo ha assegnato il suo mandato, perché il rischio è che il cielo si ritrovi senza la terra.   E quindi, è giusto, per quanto possa sembrare sconsiderato, sentire la cifra mistica di questo momento. È possibile dire: ma Trump ha detto di essere abortista, vuole liberalizzare la provetta (che fa più vittime dell’aborto), con la religione cristiana c’entra poco. Magari è tutto vero: ma quando mai si era visto al mondo che una regolamentazione abortista – la Roe v. Wade – venisse ritirata? Con Trump: una promessa mantenuta tramite la Corte Suprema.   Perché se Trump è uno strumento della Provvidenza lo è in quanto essere umano, in quanto essere imperfetto – come tutti noi. È Dio che sa scrivere dritto su righe storte. E al momento, sembra proprio che questa pagina la vuole scrivere.

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Da qui, mandiamo un caro saluto anche ai Soloni ebeti, abbondanti assai nel giro della cosiddetta «controinformazione», che ora berciano il classico «tanto non cambia nulla». Imbecilli: se solo cambiano gli algoritmi censorii di internet (cosa fattibile in un minuto) la rivoluzione sulle nostre vite, potendo dire ed ascoltare la verità, sarebbe immane. Ne sappiamo qualcosa.   E ribadiamo: la fine dei banning su internet (non solo sui social), sarebbe un low hanging fruit, un risultato semplice da ottenere.   Immaginiamoci il resto: e se Trump comincia, come ha promesso, aa deportare gli immigrati, significa che anche in Italia possiamo cominciare a parlare di «remigrazione»?   Se Trump toglie, come promesso, gli uomini dagli sport femminili, significa che magari possiamo arginare la follia gender anche nelle scuole e nelle cliniche italiane?   Se Trump chiude con la buffonata ucraina, significa che possiamo tornare ad avere energia a basso costo?   Se Trump affonda la NATO, significa che finalmente possiamo avere la pace in Europa?   È tanta roba. C’è davvero da perdersi in questa mistica del MAGA, anzi, come si era iniziato a dire l’anno passato, ultra-MAGA. Perché né più e né meno potrebbe trattarsi di un movimento di rigenerazione dell’intero mondo – con le nostre esistenze quotidiane incluse.   Concludiamo con un segno concreto di celebrazione, un qualcosa per ricordarsi per sempre di questa giornata. Quattro anni fa, nei mesi in cui la lotta post-elettorale di Trump sembrava possibile, avevamo avuto l’idea di fare una maglietta da vendere ai lettori di Renovatio 21, che allora ci raggiungevano, en masse, tramite Facebook. Circolava questa espressione, quella del «Kraken», il mostro che – come da battuta del film Scontro di Titani (1981) conservata pure nel remake del 2010– sarebbe stato liberato con esiti devastanti.   Creammo dunque un simbolo, che chiamammo «Donald Kraken». Un’icona che doveva finire su di una t-shirt per chi segue Renovatio 21. Non facemmo in tempo a realizzarne la produzione – erano, peraltro, i mesi del lockdown duro, e di lì a poco si sarebbero abbattute su di noi censure ed avvertimenti…   Il Kraken, come sapete, nel 2020 non venne liberato. È libero ora.   La maglietta quindi, a questo punto la rendiamo disponibile.   È questa.

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Cotone organico, realizzata in serigrafia – cioè, senza stampa digitale, ma con macchine manuali.   Se la volete, costa €49, spese di spedizione in Italia incluse: potete pagare con PayPal, indicando la taglia e l’indirizzo. Per ogni questione ulteriore, scriveteci.   Portate pazienza: a breve avremo un ecommerce serio, sì. E con altri prodotti. A breve, giuriamo – perché senza non è che possiamo andare avanti molto.   Intanto però volevamo fare questa maglietta, e spedirla a chiunque voglia ricordarsi di questa storia.   Lo dobbiamo allo spirito dell’Ultra-MAGA, lo dobbiamo al mandato celeste palesatosi sotto i nostri occhi.   Lo dobbiamo ai nostri lettori, perché oggi siamo mostruosamente felici.   Roberto Dal Bosco

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