Spirito
Gran Bretagna, ondata persistente di conversioni al cattolicesimo
Un recente rapporto evidenzia un fenomeno inaspettato: le conversioni del clero anglicano alla Chiesa cattolica sono in aumento e le riordinazioni rappresentano un contributo significativo in un momento in cui le vocazioni sacerdotali stanno diventando scarse in un mondo anglosassone duramente colpito dalla secolarizzazione.
Il Tamigi sta diventando un affluente del Tevere? Si potrebbe essere tentati di pensarlo alla luce del rapporto pubblicato il 20 novembre 2025 dalla Saint Barnabas Society, intitolato «Convert Clergy in the Catholic Church in Britain». Questo documento di 24 pagine, co-autore del sociologo della religione Stephen Bullivant, professore alla St. Mary’s University di Londra, offre una panoramica completa di oltre tre decenni di «migrazioni» ecclesiastiche.
Basandosi sugli archivi di mons. John Broadhurst, un ex «vescovo» anglicano ordinato sacerdote cattolico (le ordinazioni anglicane sono invalide), e su interviste a 36 convertiti, il rapporto rivela che quasi 700 tra sacerdoti e religiosi di varie confessioni anglicane in Inghilterra, Galles e Scozia hanno scelto di unirsi alla Chiesa cattolica romana dal 1992.
Tra questi, 491 sono stati ordinati nella Chiesa cattolica: 486 sacerdoti e 5 diaconi. Questo afflusso, lungi dall’essere un fenomeno isolato, rappresenta circa un terzo di tutte le ordinazioni sacerdotali cattoliche in Inghilterra e Galles nello stesso periodo. Questa tendenza fa parte di una storia segnata da svolte decisive.
Tutto iniziò nel 1992, quando la Chiesa d’Inghilterra (anglicana) votò per l’ordinazione sacerdotale delle donne, suscitando scalpore tra gli anglicani devoti alla tradizione apostolica. Questa decisione innescò una prima ondata massiccia: quasi 160 conversioni di clero solo nel 1994, più del doppio rispetto agli anni precedenti.
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I convertiti, spesso provenienti da parrocchie anglicane piuttosto tradizionali, considerarono questa misura una rottura insormontabile con l’eredità patristica: «Per molti, l’ordinazione delle donne invalida la consacrazione eucaristica», osserva il rapporto, evidenziando come questo disagio dottrinale abbia spinto centinaia di pastori a cercare rifugio nella Chiesa cattolica.
Una seconda ondata si verificò nel 2011 sotto Benedetto XVI. Durante la sua visita pastorale in Gran Bretagna nel 2010, promulgò la costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus, creando ordinariati personali in comunione con Roma per accogliere gli anglicani, consentendo loro di preservare alcune tradizioni: liturgia, musica. Nel 2011, ci furono più di 80 ricevimenti, e quasi 40 nel 2012. L’Ordinariato di Nostra Signora di Walsingham divenne un rifugio per questi «pellegrini del Tevere».
Fino ad oggi, il flusso non è diminuito. Il rapporto sottolinea una «continuità stabile»: ogni anno, fino a 11 chierici anglicani si uniscono alla Chiesa cattolica e altrettanti vengono ordinati. Dal 2015 al 2024, gli ex anglicani hanno rappresentato il 9% delle ordinazioni diocesane in Inghilterra e Galles. Includendo gli ordinariati, questa percentuale sale al 35% per il periodo 1992-2024.
Questo afflusso positivo compensa in parte il calo generale delle vocazioni cattoliche nel Regno Unito, in calo negli ultimi decenni: «È una fonte importante di vocazioni cattoliche, molto più importante di quanto si possa immaginare», afferma Stephen Bullivant, preoccupato per un possibile «vuoto pastorale» in futuro: i convertiti dei primi anni si stanno avvicinando alla pensione: «Un’ondata di abbandoni potrebbe benissimo colpire tutti in una volta», avverte il rapporto.
Le ragioni di queste conversioni spesso trascendono i semplici disaccordi dottrinali. Mentre l’ordinazione delle donne rimane il motivo principale della conversione – esacerbata dalle persistenti divisioni all’interno della Comunione Anglicana – i convertiti sottolineano un’aspirazione più profonda: l’unità visibile con la Sede di Pietro.
Il cardinale Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale cattolica di Inghilterra e Galles, lo esprime nella prefazione del rapporto: «La loro conversione al cattolicesimo si spiega meno con il rifiuto della loro ricca eredità anglicana che con un’impellente necessità di integrarsi nella piena comunione visibile della Chiesa cattolica, unita al successore di Pietro». Le testimonianze raccolte nel rapporto confermano questa spiegazione.
Il rapporto, tuttavia, non trascura alcuni insuccessi: dei 700 membri del clero e religiosi convertiti, 35 sono tornati all’anglicanesimo, inclusi cinque dei 491 cattolici ordinati. Solo uno ha optato per l’Ortodossia. Ciononostante, la valutazione complessiva rimane ampiamente positiva e dimostra che il vero ecumenismo, quello che porta frutti, è quello praticato da una Chiesa che espone con orgoglio la bandiera del suo insegnamento.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine: Ingresso Nord-Ovest della Cattedrale di Westminster
Immagine di Antiquary via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Papa Leone si rifiuta di pregare nella moschea di Costantinopoli ma omaggia l’anticristiano Ataturk
Papa Leone XIV ha declinato di recitare una preghiera all’interno della Moschea Blu di Costantinopoli, infrangendo un protocollo recente e destando, a quanto pare, sconcerto tra gli apparati vaticani.
Nel corso del suo primo periplo estero significativo in Turchia, per celebrare il 1700º anniversario del Concilio di Nicea, al Pontefice è stato proposto un giro della celebre moschea eretta nel XVII secolo.
L’imam della moschea e il mufti costantinopolitano lo hanno accompagnato attraverso l’imponente struttura, capace di accogliere fino a 10.000 fedeli.
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Leone XIV si è sfilato le calzature all’ingresso, come da consuetudine, e ha percorso l’interno calzando calzini bianchi. Ciononostante, quando l’imam Askin Musa Tunca gli ha domandato se volesse dedicarsi a un momento di raccoglimento silenzioso, il papa ha replicato di preferire una mera visita al tempio.
Con tale scelta, Leone ha segnato una frattura rispetto ai suoi due predecessori: Benedetto XVI si era immerso in un silenzio meditativo durante la sua tappa del 2006, mentre Francesco aveva elevato una «preghiera fervida» nel 2014, invitando il mufti a unirsi a lui e definendosi «pellegrino».
La Santa Sede ha manifestato sorpresa per la determinazione del pontefice, che potrebbe aver eluso l’etichetta protocollare. Tre ore dopo la visita, il Vaticano ha diramato un bollettino in cui si attestava che la preghiera era avvenuta; il testo, verosimilmente redatto in anticipo, è stato in seguito revocato, con l’ufficio stampa che ha attribuito la diffusione a un errore.
La Sala Stampa vaticana ha precisato che Leone ha compiuto il sopralluogo alla moschea «in uno spirito di contemplazione e di accoglienza, con riverenza profonda per il sito e per la fede di chi vi si raduna in orazione».
La Moschea Blu – nota formalmente come moschea del Sultano Ahmed, dal nome del sovrano ottomano regnante dal 1603 al 1617 – sorge a ridosso della rinomata Basilica di Santa Sofia, recentemente riconvertita in moschea in sprezzo all’opposizione delle autorità cristiane.
Tuttavia, diversamente dai suoi predecessori, Leone ha optato per non includere l’antica chiesa bizantina nel suo itinerario. Santa Sofia, originariamente cattedrale imperiale, fu mutata in moschea dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 sotto l’egida ottomana musulmana. Trasformata in museo nel 1934 per volere dell’Ataturko, è stata reintegrata come moschea nel 2020 dal presidente Recep Tayyip Erdogan, malgrado le obiezioni della comunità cristiana.
Come riportato da Renovatio 21, oltre che Santa Sofia e Chora (dove sono stati coperti affreschi e mosaici cristiani), anche la cattedrale turca di Ani è divenuta una moschea.
Tuttavia, un tremendo segno anticristiano è stato dato comunque.
Nel corso della missione turca, Leone ha pure reso omaggio al Mausoleo di Mustafa Kemal Ataturk ad Ankara, fondatore della Turchia moderna. L’Ataturko è celebrato per aver capitanato il risorgimento nazionalista turco e per le sue riforme laicizzanti: è altresì noto che i suoi Giovani Turchi (CUP) avessero affiliazioni massoniche, con diramazioni che arrivano dritte nell’Italia giolittiana.
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Nessuno sembra aver detto al Prevost che l’Ataturko è da alcuni ritenuto tra i responsabile della pulizia etnica e dello sradicamento di decine di migliaia di cristiani greci, armeni e assiri dall’Anatolia in esito alla Grande Guerra.
Alcune fonti, specialmente quelle armene e di studiosi del genocidio, accusano Ataturk di aver «completato» o «consumato» il genocidio contro i cristiani attraverso azioni militari e politiche post-1918. Durante la campagna in Cilicia (1919-1921), le forze nazionaliste attaccarono posizioni francesi, portando a massacri di armeni a Marash (gennaio 1920, migliaia di morti) e alla distruzione di Hajen (ottobre 1920, città bruciata e popolazione decimata).
La guerra contro la Repubblica d’Armenia (1920), con l’annessione di territori come Kars e l’espulsione di armeni, causò pesanti perdite civili. L’ingresso a Smirne nel settembre 1922, seguito da un incendio che distrusse i quartieri cristiani (armeni e greci), portò all’espulsione di centinaia di migliaia di persone e a massacri. Questo evento è visto come parte della pulizia etnica finale.
Queste azioni, secondo queste prospettive, continuarono la politica di eliminazione delle minoranze cristiane per creare uno stato turco omogeneo, con Atatürk che amnistiò ex-membri del CUP e riorganizzò unità ottomane. Politiche successive come lo scambio di popolazioni con la Grecia (Trattato di Losanna, 1923) e la turchificazione forzata (cambi di nomi, confische di proprietà) contribuirono all’eradicazione delle comunità cristiane residue.
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Immagine screenshot da YouTube
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