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Guerra cibernetica

Gli hacker gay furry attaccano il think tank conservatore che sta sviluppando il «Progetto 2025»

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Un gruppo di autoproclamati «gay furry hacker» ha rivendicato la responsabilità della violazione dei server di dati della Heritage Foundation, un think tank conservatore il cui manifesto «Progetto 2025» chiede una radicale riorganizzazione del governo degli Stati Uniti in senso di destra sotto la guida di Donald Trump.

 

Il gruppo, che si fa chiamare «SiegedSec», ha annunciato l’attacco hacker martedì pubblicando un link su Telegram che presumibilmente conteneva le password, gli indirizzi email e i nomi completi di ogni membro della Heritage Foundation. Tuttavia, il link è stato rimosso e, secondo i resoconti dei media, non sono state rilasciate altre informazioni sensibili.

 

«Il Progetto 2025 minaccia i diritti dell’assistenza sanitaria per l’aborto e in particolare le comunità LGBTQ+. Quindi, ovviamente, non lo tollereremo!» ha dichiarato il gruppo su Telegram.

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Tuttavia, la Heritage Foundation non è sembrata turbata dalla violazione. In un registro di chat pubblicato da SiegedSec mercoledì, un hacker che si fa chiamare «vio» dice al dirigente della Heritage Foundation Mike Howell che hanno eseguito il cyberattacco per «far luce su chi esattamente supporta la Heritage Foundation».

 

«Ecco perché ci avete hackerati? Solo per questo?» rispose Howell, prima di minacciare di identificare gli hacker e di parlare del loro stile di vita.

 

«Dio ha creato la natura, e le leggi della natura sono viziose», ha scritto. «Ecco perché dovete indossare un costume da animale perverso per soddisfare le vostre deviazioni sessuali. I Furry nascosti saranno presentati al mondo per i pervertiti degenerati che sono».

 

I cosiddetti «furry» sono membri di una sottocultura definibile come «fetish» che si vestono con costumi di animali antropomorfi, commerciano arte erotica e si incontrano in convegni. Il fenomeno pare coinvolgere principalmente gli Stati Uniti d’America.

 

Secondo una ricerca statistica svolta negli Stati Uniti, più del 37% trova che la sua «identità furry» sia molto legata alla sfera sessuale. Si apprende che esisterebbe per la tendenza anche un sottogenere pornografico chiamato «yiff». I dati raccolti rivelano che gli appartenenti al Furry Fandom in percentuale hanno un orientamento sessuale eterosessuale (37,2%), bisessuale (37.3%) ed omosessuale (25.5%).

 

Howell ha quindi detto a «vio» di aver segnalato il gruppo all’FBI. Nel giro di un’ora, SiegedSec ha annunciato su Telegram che si sarebbe sciolto «per la nostra salute mentale… e per evitare l’occhio dell’FBI». Non è chiaro se le azioni di Howell abbiano influenzato questa decisione, ma il dirigente di Heritage si è rivolto ai social media per rivendicare «vittoria completa e totale» a prescindere.

 

Nei mesi precedenti all’attacco hacker alla Heritage Foundation, SiegedSec si è assunto la responsabilità dell’attacco hacker a una serie di aziende collegate all’esercito israeliano, a un’università cattolica negli Stati Uniti, a un’azienda di chatbot AI e al quartier generale della NATO. L’attacco hacker della NATO «non aveva nulla a che fare con la guerra tra Russia e Ucraina», ha scritto SiegedSec su Telegram, spiegando che aveva preso di mira il blocco militare per il sostegno di alcuni stati membri a Israele e per presunti «attacchi ai diritti umani».

 

Come riportato da Renovatio 21, il gruppo hacker gay furry avevano attaccato anche un laboratorio atomico statunitense, dicendo che avrebbero riconsegnato i dati qualora gli scienziati si fossero impegnati nella creazione di una «ragazza-gatto».

 

«Siamo disposti a stringere un accordo con la INL. Se effettueranno ricerche sulla creazione di catgirl IRL, rimuoveremo questo post», ha scritto SiegedSec in un messaggio in cui annunciava la fuga di notizie lunedì. Una catgirl è un tipo di personaggio visto in alcuni anime e manga giapponesi, una ragazza umana con orecchie, coda o altre caratteristiche feline. «IRL» sta per «nella vita reale».

 

Il medesimo gruppo hacker ha rivendicato la divulgazione di centinaia di documenti NATO all’inizio di ottobre, nonché l’attacco hacker a diversi governi statali degli Stati Uniti a giugno, apparentemente per aver approvato leggi contro le procedure chirurgiche di «affermazione del genere», cioè le operazioni di cambio di sesso. In quell’occasione, SiegedSec ha fatto trapelare circa 180 gigabyte di dati solo dal Texas e ha affermato di aver violato anche Nebraska, Pennsylvania, South Dakota e South Carolina.

 

Secondo vari organi di stampa, la questione dei furry sta divenendo un tema anche nelle scuole superiore del Nord America, dove ad alcuni studenti è consentito travestirsi costantemente da animale gigante e, secondo i critici, comportarsi pure da tale.

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La Heritage Foundation ha ricevuto un’ampia copertura mediatica nelle ultime settimane dalla pubblicazione di «Project 2025». Questo documento di 900 pagine stabilisce come Trump potrebbe procedere per smantellare le agenzie federali, neutralizzare il potere delle agenzie di Intelligence statunitensi, dotare il suo gabinetto di lealisti e attuare severe restrizioni sui diritti di immigrazione e aborto.

 

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha descritto il manifesto come un progetto approvato da Trump per «distruggere l’America», nonostante Trump apparentemente non abbia avuto alcun ruolo nella sua creazione.

 

«Non so nulla del Progetto 2025», ha scritto l’ex presidente sulla sua piattaforma Truth Social la settimana scorsa. «Non l’ho visto, non ho idea di chi ne sia responsabile e, a differenza della nostra apprezzatissima Piattaforma Repubblicana, non ho avuto nulla a che fare con esso».

 

«I Democratici di Sinistra Radicale se la stanno spassando, tuttavia, cercando di agganciarmi a qualsiasi politica venga dichiarata o detta. È pura disinformazione da parte loro», aveva aggiunto l’ex presidente pochi giorni prima che tentassero di ucciderlo.

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Guerra cibernetica

Internet down in tutto il mondo a causa del crash del sistema di Cloudfare

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Martedì, piattaforme di rilievo come X e ChatGPT hanno subito un’interruzione temporanea a causa di un guasto al servizio del fornitore di infrastrutture internet Cloudflare. Anche downdetector.com, tool diffuso per monitorare i disservizi online, è stato colpito dal malfunzionamento.   Poco prima di mezzogiorno UTC, l’azienda ha comunicato sulla sua pagina di stato di aver rilevato un «degrado interno del servizio» e di essere al lavoro per chiarirne le cause.   «L’interruzione di Cloudflare ha avuto ripercussioni sui servizi in tutto il mondo. Durante questo periodo, Downdetector ha ricevuto oltre 2,1 milioni di segnalazioni su tutti i servizi interessati», ha scritto il sito web di monitoraggio Downdetector su X.   I server di Cloudflare operano come «reverse proxy», deviando il flusso di traffico web attraverso la propria infrastruttura per schermare i clienti da rischi cibernetici. Tutelano quasi un quinto di tutti i siti globali.

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I principali portali che ne fanno uso hanno registrato disagi sporadici.   Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, un guasto esteso a Amazon Web Services (AWS) aveva provocato blackout diffusi sui servizi digitali. Un singolo intoppo può ripercuotersi su milioni di fruitori.   Il co-fondatore ed ex CEO di Binance, Changpeng «CZ» Zhao, ha commentato su X l’interruzione di Cloudflare: «la blockchain ha continuato a funzionare».   Non è ancora chiaro cosa possa essere successo. Alcuni ipotizzano che potrebbe essere stato un attacco alla schermatura offerta da Cloudfare di modo da fare disaccoppiare un particolare sito o sistema dal servizio, così da poter attaccare quest’ultimo, ma si tratta, come sempre nell’ambito cibernetico, di pure speculazioni.  

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Guerra cibernetica

Orban: gli ucraini sono dietro il furto dei dati personali dei cittadini dell’UE

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Dietro il furto e la fuga di dati personali di 200.000 ungheresi ci sono individui ucraini e un partito di opposizione ungherese, ha dichiarato il premier magiaro Vittorio Orban, definendo la situazione un «grave rischio per la sicurezza nazionale» che richiede un’immediata indagine statale.

 

Le accuse, formulate in una dichiarazione video di lunedì, seguono le notizie diffuse dai media ungheresi secondo cui un database con i nomi, gli indirizzi e i recapiti degli utenti che avevano scaricato l’app di organizzazione Vilag del partito Tisza è stato brevemente pubblicato online alla fine della scorsa settimana.

 

Il partito pro-UE e il suo leader Peter Magyar rappresentano la principale opposizione al governo Orban, che accusa l’UE di interferire nella politica interna del Paese.

 

«Un grave scandalo ha scosso la vita pubblica ungherese. I dati personali di 200.000 nostri connazionali sono stati pubblicati online senza il loro consenso», ha dichiarato Orban. «In base alle informazioni attuali, questi dati sono stati raccolti dal partito Tisza».

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Il primo ministro di Budapesto ha affermato che un’analisi del database ha dimostrato che «anche individui ucraini erano coinvolti nella gestione dei dati» e ha ordinato ai funzionari della sicurezza nazionale di condurre l’indagine.

 

Sia il partito Tisza che il suo leader hanno negato qualsiasi coinvolgimento ucraino nello sviluppo dell’app. Magyar ha affermato domenica – senza fornire prove – che l’app del partito era stata presa di mira da «hacker internazionali… che sono ovviamente supportati dai servizi segreti russi».

 

Tuttavia, un articolo del quotidiano ungherese Magyar Nemzet ha ipotizzato che i dati trapelati provenissero dalla piattaforma Vilag, osservando che le prime voci corrispondevano ad account di sviluppatori e tester, alcuni con identificativi dello stato ucraino.

 

Orban, un critico convinto del sostegno militare occidentale all’Ucraina, ha ripetutamente affermato che l’UE e Kiev stanno cospirando per influenzare la politica ungherese e portare al potere il partito Tisza, sostenuto da Bruxelles, nelle elezioni del 2026.

 

Affermazioni simili sono state riprese all’inizio di quest’anno dal Servizio di Intelligence estero russo (SVR), secondo cui la Commissione Europea stava «studiando scenari di cambio di regime» in Ungheria.

 

Bruxelles intende portare Magyar al potere nelle elezioni parlamentari del 2026, «se non prima», ha affermato l’SVR, aggiungendo che Bruxelles starebbe impiegando significative «risorse amministrative, mediatiche e di lobbying», mentre i servizi segreti ucraini farebbero il «lavoro sporco».

 

Come riportato da Renovatio 21, il ministro magiaro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.

 

A inizio ottobre Orban ha ribadio apertis verbis che i leader dell’UE sembrano intenzionati a trascinare il blocco in un conflitto con la Russia.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso Orban ha avviato una petizione contro il cosiddetto «piano di guerra» dell’UE, avvertendo che il sostegno continuo all’Ucraina sta spingendo il blocco verso un confronto diretto con la Russia.

 

Il primo ministro ad agosto aveva accusato il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj di aver minacciato gli ungheresi aggiungendo che l’Ucraina non può entrare nell’Unione Europea con la forza attraverso estorsioni, attentati e intimidazioni. In estate gli attacchi ucraini all’oleodotto Druzhba («Amicizia») di questo mese hanno ripetutamente interrotto i flussi verso Ungheria e Slovacchia, suscitando rabbia in entrambi i Paesi dell’UE.

 

Durante un’intervista a Tucker Carlson nell’agosto 2023, il premier ungherese Vittorio Orban aveva dichiarato significativamente che Ungheria e Serbia erano pronte ad entrare in guerra contro chiunque facesse saltare il loro gasdotto.

Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse settimane è stata data alle fiamme nella zona di confine una chiesa cattolica ungherese, sui cui muri è stato scritto in ucraino «coltello agli ungheresi».

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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni

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Accordo segreto di Israele con Google e Amazon

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Un’inchiesta condotta in collaborazione da vari media, tra cui il Guardian, rivela che Israele ha obbligato i colossi tech statunitensi Google e Amazon a infrangere i propri vincoli contrattuali previsti dall’accordo cloud del 2021 con lo Stato Ebraico.   I patti dello Stato Giudaico con le due piattaforme USA sono finiti sotto la lente in seguito alle accuse – mosse anche dall’ONU – di genocidio per la reazione militare all’assalto di Hamas del 7 ottobre 2023, costato oltre 1.200 vite.   L’intesa, denominata Progetto Nimbus e del valore di 1,2 miliardi di dollari, impedirebbe alle aziende di negare al governo israeliano l’accesso ai servizi cloud, anche in caso di violazione dei loro termini d’uso, stando ai documenti pubblicati dal Guardian con +972 Magazine.

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Il contratto includerebbe inoltre un «meccanismo di allerta» che impone alle società di informare segretamente lo Stato degli ebrei ogni qualvolta uno Stato o un tribunale estero richieda i dati israeliani memorizzati in cloud.   Tale sistema prevede che l’azienda USA corrisponda a Israele una cifra – tra 1.000 e 9.999 shekel – pari al prefisso telefonico internazionale del Paese richiedente per ogni trasferimento di dati.   In pratica, questo escamotage permette alle tech di rivelare informazioni su richieste terze, normalmente secretate.   Google e Amazon rischierebbero pesanti penali se sospendessero i servizi a Israele. Lo Stato ebraico può «avvalersi di qualsiasi funzionalità» purché non infranga la legge israeliana, il copyright o implichi rivendita della tecnologia, secondo il testo trapelato.   La clausola mirerebbe a scongiurare che i giganti USA siano costretti a troncare i rapporti con Israele per pressioni di dipendenti, azionisti o attivisti.   Google ha dovuto affrontare crescenti critiche per il suo ruolo nel conflitto. A febbraio, ha rimosso dalle sue linee guida sull’Intelligenza Artificiale l’impegno a non sviluppare strumenti per armi o sorveglianza.   Negli ultimi anni i lavoratori Google hanno manifestato con crescente frequenza contro i legami aziendali con Tel Aviv, sullo sfondo del conflitto a Gaza. Ad aprile 2024 l’azienda ha licenziato circa 30 di essi, rei di aver ostacolato l’attività lavorativa.   Come riportato da Renovatio 21, a luglio 2025 il cofondatore di Google Sergey Brin ha bollato l’ONU come «apertamente antisemita» dopo un report che accusava le tech, inclusa Alphabet, di aver lucrato sulla guerra a Gaza.

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Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi anni è emerso che centinaia di ex agenti dell’Intelligence militare israeliana hanno acquisito posizioni di influenza in diverse grandi società tecnologiche, tra cui Google, Facebook, Microsoft e Amazon.   Si tratterebbe di ex agenti della famigerata Unità 8200, l’ufficio dell’Intelligence militare dello Stato ebraico dedicata alla guerra cibernetica. L’Unità 8200 è nota per «la sorveglianza della popolazione palestinese, accumulando kompromat su individui a scopo di ricatto ed estorsione» scrive MintPressNews. «Spiando i ricchi e famosi del mondo, l’Unità 8200 ha fatto notizia lo scorso anno, dopo lo scoppio dello scandalo Pegasus», cioè l’emersione dell’esistenza di uno spyware potentissimo in grado di penetrare qualsiasi telefono, una vera arma cibernetica che la società israeliana vendo per il mondo.   «Gli ex ufficiali dell’Unità 8200 hanno progettato e implementato un software che ha spiato decine di migliaia di politici e probabilmente ha contribuito all’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi» scrive il sito americano.  

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