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Epidemie

Fondamentalismo vaccinale: metafore di guerra nelle reazioni al COVID-19, nella politica vaccinale e nella sanità pubblica – Parte 1

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense.

 

 

La metafora della guerra fa parte della sanità pubblica da molto tempo. In risposta alla pandemia di COVID-19, le agenzie sanitarie mondiali si sono mobilitate e hanno bloccato interi settori della società allo scopo di arrestare la diffusione del COVID-19.

 

Quello che doveva essere un breve blocco delle attività si è trascinato per mesi; l’economia americana ha annaspato ed è affondata e i governatori degli stati americani hanno esteso i loro poteri, limitati al breve stato di emergenza, per prolungare le chiusure

In America hanno bloccato interi stati, sospeso scuole pubbliche e servizi pubblici governativi, chiuso aziende, mentre dipingevano oscuri scenari di morte, trasmettevano immagini di malati e moribondi attaccati a un respiratore e le discussioni sul «sovraffollamento» degli ospedali erano onnipresenti sui principali media. I giornali e i media hanno seguito la tendenza, diffondendo contenuti sui pericoli del COVID-19 e sulla necessità di prolungare le chiusure. Ogni opinione diversa è stata censurata dai social media.

 

Apparentemente, la reazione della sanità pubblica si è intensificata mentre emergevano nuovi dati che contraddicevano la gravità delle previsioni sul COVID-19. Quello che doveva essere un breve blocco delle attività si è trascinato per mesi; l’economia americana ha annaspato ed è affondata e i governatori degli stati americani hanno esteso i loro poteri, limitati al breve stato di emergenza, per prolungare le chiusure.

 

Gli stessi ufficiali sanitari diffondono la mentalità bellica ripetendo: «Siamo in guerra contro un nemico invisibile che deve essere eliminato». La mentalità di guerra enfatizza la necessità del sacrificio personale per arrestare la diffusione del COVID-19. E le armi di questa battaglia vengono esaltate. Le autorità sanitarie glorificano la loro arma principale: il vaccino.

 

Come in ogni guerra, esistono danni collaterali.

 

In questo caso, si tratta delle fondamenta dell’etica medica, il consenso informato, i diritti umani, le libertà civili, persino la scienza in sé.

 

La mentalità di guerra enfatizza la necessità del sacrificio personale per arrestare la diffusione del COVID-19. E le armi di questa battaglia vengono esaltate. Le autorità sanitarie glorificano la loro arma principale: il vaccino

Come è possibile fare vera scienza quando un unico obiettivo, «creare un vaccino alla velocità della luce», viene innalzato al di sopra di ogni legittimo scetticismo scientifico e discussione pubblica?

 

L’ultimo danno collaterale, ovviamente, è rappresentato da quelle persone danneggiate da decisioni fondate su una scienza errata. Un’ulteriore analisi della reazione della sanità pubblica al COVID-19 mostra un problema più serio: la metafora della guerra e il fondamentalismo vaccinale fanno parte della mentalità della sanità pubblica da molto tempo.

 

 

Fondamentalismo vaccinale – Nient’altro è importante?

La metafora bellica conduce a uno stile di pensiero riduzionista che sfocia in due risultati esclusivi. O 1) vinciamo, sradicando la malattia in questione, o 2) la pandemia continua e minaccia l’umanità intera. La coesistenza pacifica è considerata un atto di arresa. 

Il fondamentalismo vaccinale è la credenza che le vaccinazioni siano l’intervento più importante per la salute pubblica, al di sopra di ogni critica, e che lo scopo ultimo delle agenzie sanitarie sia aumentare il numero di vaccini

 

I cittadini hanno due finte scelte: o partecipano allo sforzo bellico o si alleano con il nemico. L’umiliazione psicologica viene usata per forzare gli oppositori a partecipare. Dopotutto, chi vuole essere «dalla parte della malattia»? Gli sforzi per distruggere la minaccia hanno la priorità. L’arma dei vaccini è cruciale e gode di una condizione di sacralità negli ambienti della sanità pubblica.

 

Il fondamentalismo vaccinale è la credenza che le vaccinazioni siano l’intervento più importante per la salute pubblica, al di sopra di ogni critica, e che lo scopo ultimo delle agenzie sanitarie sia aumentare il numero di vaccini. 

 

Un ufficiale della sanità pubblica dovrebbe difendere la pratica della vaccinazione ripetendo il dogma standard del fondamentalismo vaccinale: i vaccini hanno salvato milioni di vite, rappresentano un intervento di salute pubblica economico, e innumerevoli ricerche scientifiche hanno mostrato più e più volte che i vaccini sono sicuri ed efficaci. Per la loro importanza, i vaccini sono al di sopra di ogni biasimo e non è permesso metterli in discussione o criticarli.  Mentre la pratica della vaccinazione ha il suo spazio nel repertorio della salute pubblica, le ripercussioni di tale pensiero fondamentalista non possono essere ignorate e devono essere completamente comprese.

 

L’umiliazione psicologica viene usata per forzare gli oppositori a partecipare. Dopotutto, chi vuole essere «dalla parte della malattia»? Gli sforzi per distruggere la minaccia hanno la priorità. L’arma dei vaccini è cruciale e gode di una condizione di sacralità negli ambienti della sanità pubblica

La conseguenza principale del fondamentalismo vaccinale è che le politiche di sanità pubblica pongono eccessiva enfasi su un’unica metrica riduzionista: aumentare il numero di vaccini. E, di conseguenza, la corsa cieca verso questo scopo può portare altri risultati rovinosi che sono stati quasi interamente ignorati.

 

Charles Eisenstein nel suo libro Climate: A New Story, spiega che «Questo modello di pensiero è denominato fondamentalismo e le sue dinamiche sono molto simili a due istituzioni determinanti della nostra società: la guerra e il denaro. Il fondamentalismo riduce il complesso al semplice e richiede il sacrificio immediato, umano o personale in nome di un obiettivo globale più importante di tutto e tutti».

 

 

Tutte le strategie utilizzate dalle istituzioni di sanità pubblica per aumentare i vaccini si fondano su un assunto chiave: che il rifiuto dei vaccini si basa sull’ignoranza di chi li rifiuta della conoscenza scientifica e sull’accettazione della disinformazione offerta dagli oppositori ai vaccini

L’atteggiamento bellico nello sforzo di aumentare i vaccini

Mentre il fondamentalismo vaccinale è combinato alla metafora bellica, la sanità pubblica ripete il mantra di aumentare i vaccini per sconfiggere la malattia ad ogni costo. Il comportamento degli istituti di sanità pubblica per raggiungere questo scopo può condurre a conseguenze perverse che sono in apparenza l’opposto dell’obiettivo di tale politica.

 

Le istituzioni sanitarie hanno lamentato l’aumento di un sentimento anti-vaccinale. Per tutta risposta, hanno sviluppato strategie elaborate per gestire le esitazioni verso i vaccini. Tuttavia, hanno perso di vista il punto cruciale: che la sfiducia verso le istituzioni di sanità pubblica deriva dai loro obiettivi di aumentare i vaccini a qualunque costo. 

 

Tutte le strategie utilizzate dalle istituzioni di sanità pubblica per aumentare i vaccini si fondano su un assunto chiave: che il rifiuto dei vaccini si basa sull’ignoranza di chi li rifiuta della conoscenza scientifica e sull’accettazione della disinformazione offerta dagli oppositori ai vaccini.

 

C’è una divisione delle persone in due gruppi separati: chi si adegua e chi no. Questi ultimi vengono etichettati come scettici o negazionisti. La sanità pubblica implicitamente considera questi gruppi come una forma di deviazione che deve essere corretta tramite i buoni sforzi della sanità pubblica

L’atteggiamento bellico qui è evidente. C’è una divisione delle persone in due gruppi separati: chi si adegua e chi no. Questi ultimi vengono etichettati come scettici o negazionisti. La sanità pubblica implicitamente considera questi gruppi come una forma di deviazione che deve essere corretta tramite i buoni sforzi della sanità pubblica

 

Le autorità sanitarie inseriscono anche un’importante assunto: chi mette in discussione i vaccini non ha motivazioni valide. Le metafore belliche della sanità pubblica permettono un cinico rigetto di ogni preoccupazione e lamentela riguardo ai vaccini che avviene all’interno del sistema medico. Sminuire le preoccupazioni e le lamentele porta naturalmente a una maggior sfiducia del popolo verso le istituzioni sanitarie.

 

Ci sono molti problemi con la mentalità bellica che gli ufficiali sanitari ignorano. Charles Eisenstein sintetizza:

 

«La mentalità bellica rappresenta una sfortunata confluenza di ignoranza, paura, pregiudizio e profitto… L’ignoranza esiste di per sé e viene perpetrata dalla propaganda governativa. La paura è quella delle persone comuni spaventate dalla disinformazione, ma anche quella dei leader che dovrebbero sapere di più ma sono intimiditi dal costo politico di esporsi riguardo una questione morale ed estremamente delicata».

 

 

Le autorità sanitarie inseriscono anche un’importante assunto: chi mette in discussione i vaccini non ha motivazioni valide

Il fondamentalismo vaccinale erode la fiducia nella sanità pubblica

La mentalità bellica disumanizza il nemico e lo considera indegno di una battaglia ad armi pari. Similmente, gli ufficiali sanitari rifiutano di avviare un dialogo bidirezionale riguardo i problemi dei vaccini per paura di legittimare le preoccupazioni. Ad ogni modo, queste strategie si ritorcono contro di loro poiché queste preoccupazioni aumentano tra il pubblico.

 

Gli ufficiali sanitari non comprendono che il rifiuto di impegnarsi in un dialogo produttivo con chi ha queste preoccupazioni è una forma di violenza epistemica

 

 La filosofa Kristie Dotson definisce la violenza epistemica come il «rifiuto, intenzionale o involontario, di un ascoltatore di ricambiare comunicativamente uno scambio linguistico a causa di una ignoranza perniciosa. L’ignoranza perniciosa dovrebbe essere intesa come riferita a ogni ignoranza che, in un dato contesto, danneggia un’altra persona (o insieme di persone)».

Violenza epistemica: il «rifiuto, intenzionale o involontario, di un ascoltatore di ricambiare comunicativamente uno scambio linguistico a causa di una ignoranza perniciosa. L’ignoranza perniciosa dovrebbe essere intesa come riferita a ogni ignoranza che, in un dato contesto, danneggia un’altra persona (o insieme di persone)»

 

L’ignoranza perniciosa da parte delle autorità sanitarie si basa sul rifiuto di analizzare pienamente ogni critica contro il programma vaccinale. Invece, queste critiche vengono immediatamente bollate come disinformazione sui vaccini per ridurre la loro legittimità agli occhi del pubblico. Le autorità sanitarie rispondono celebrando le virtù dei vaccini. E le voci contrarie vengono messe a tacere con argomentazioni create appositamente: le virtù dei vaccini sono utilizzate come risposta per legittimare le preoccupazioni senza affrontarle direttamente.

 

Come risultato, si insinua una forma di pregiudizio confermatorio; la presunta ragione dei vaccini viene da un’analisi unidirezionale dal passato che non è mai stata rivista.

 

La strategia si ritorce contro di loro perché le persone che portano tali lamentele si sentono ignorate.

 

Le agenzie sanitarie, in collaborazione con le compagnie tecnologiche dei social media, hanno iniziato campagne di censura sulla disinformazione vaccinale, le agenzie di pubbliche relazioni hanno spinto per aumentare la visibilità negativa dei «no-vax» e istituzioni dapprima imparziali hanno iniziato a chiedere politiche sempre più draconiane sui vaccini.

In risposta alla sordità delle istituzioni sanitarie, queste persone devono gridare più forte. Si uniscono, formano coalizioni, danno inizio a campagne e sostengono i cambiamenti con i legislatori.

 

Come risultato, sono nate organizzazioni ben strutturate (Children’s Health Defense e ICAN) il cui scopo primario è sostenere le persone le cui preoccupazioni non vengono ascoltate e spingere il governo verso la riforma della sanità pubblica.

 

La metafora bellica, allora, incoraggia gli ufficiali sanitari a raddoppiare la forza delle loro attività per soffocare le infiltrazioni dei critici sui vaccini. Le agenzie sanitarie, in collaborazione con le compagnie tecnologiche dei social media, hanno iniziato campagne di censura sulla disinformazione vaccinale, le agenzie di pubbliche relazioni hanno spinto per aumentare la visibilità negativa dei «no-vax» e istituzioni dapprima imparziali hanno iniziato a chiedere politiche sempre più draconiane sui vaccini. 

 

Il paternalismo nella sanità pubblica è da sempre criticato, ma la metafora bellica lo enfatizza ancora di più. Le agenzie sanitarie hanno assunto una posizione ultra-paternalistica. Si sono poste come necessarie figure di polizia che difendono la società dalla minaccia delle pandemie, in grado di scavalcare le preoccupazioni dei cittadini, censurare la libertà di parola e utilizzare la violenza per raggiungere i loro scopi. 

 

La sanità pubblica diffonde un messaggio che è essenzialmente elitista in natura, chiedendo alle persone di avere fede negli esperti della sanità pubblica senza discutere. La sanità pubblica considera sé stessa come la principale autorità epistemica della società sulle questioni di salute pubblica e ogni critica alla sua autorità è considerata un’offesa. 

 

Le agenzie sanitarie hanno assunto una posizione ultra-paternalistica. Si sono poste come necessarie figure di polizia che difendono la società dalla minaccia delle pandemie, in grado di scavalcare le preoccupazioni dei cittadini, censurare la libertà di parola e utilizzare la violenza per raggiungere i loro scopi

La gente è consapevole di questi problemi e la sfiducia verso la sanità pubblica è cresciuta negli ultimi decenni. Il fondamentalismo vaccinale è pericoloso perché le stesse strategie usate dagli ufficiali sanitari per aumentare i vaccini, ironicamente, gettano le fondamenta per minare il buono su cui l’intero sistema sanitario pubblico si basa.

 

 

Il fondamentalismo vaccinale è una minaccia all’etica medica

Secondo il Codice Etico dell’American Medical Association, un precetto chiave dell’etica medica è che «un medico deve, nel curare un paziente, considerare la responsabilità verso il paziente come una priorità». Come può funzionare la responsabilità prioritaria verso il paziente quando è in contrasto con gli obiettivi statali di salute pubblica? Idealmente qui è contenuto l’assunto secondo cui quello che è buono per lo stato è buono per il paziente, ma non è sempre il caso. 

 

Il fondamentalismo vaccinale ha la perversa conseguenza in cui ai dottori viene inculcato di ignorare deliberatamente o sminuire le preoccupazioni dei pazienti secondo il mantra della salute pubblica di aumentare il numero di vaccini. 

Il fondamentalismo vaccinale ha la perversa conseguenza in cui ai dottori viene inculcato di ignorare deliberatamente o sminuire le preoccupazioni dei pazienti secondo il mantra della salute pubblica di aumentare il numero di vaccini

 

Mentre le agenzie sanitarie raccolgono e classificano le preoccupazioni dei genitori, queste attività vengono svolte per gestire le esitazioni sui vaccini; a causa del fondamentalismo vaccinale si crede che la migliore decisione per l’individuo sia fare il vaccino, a prescindere dalle circostanze personali. 

 

Invece di utilizzare i dati per facilitare un dialogo aperto, usano questa conoscenza per creare strategie contro le esitazioni sui vaccini. Ad esempio, il CDC ha creato del materiale formativo che insegna agli operatori sanitari ad ottenere una maggiore conversione degli individui da esitanti a vaccinati.

 

L’etica medica riconosce l’importanza del consenso informato nel preservare sia la dignità del paziente sia la fiducia nel sistema medico.

 

L’uso delle tecniche di modifica comportamentale attuate dagli operatori sanitari per aumentare il numero di vaccini è discutibile e ingannevole. Anche i medici non sono immuni dalle pressioni del fondamentalismo vaccinale poiché il peso della guerra ricade su di loro per assicurare che i loro pazienti ubbidiscano alle raccomandazioni vaccinali della sanità pubblica.

L’uso delle tecniche di modifica comportamentale attuate dagli operatori sanitari per aumentare il numero di vaccini è discutibile e ingannevole

 

Secondo una ricerca condotta dal Dr. Paul Offit, fornire informazioni sui vaccini per ottenere l’obbedienza è uno spreco di tempo. Si è scoperto che il 53% dei medici spende tra i 10 e i 19 minuti a discutere di vaccini con genitori preoccupati, e l’8% dei medici trascorre 20 minuti o più con questi genitori. Riporta anche che i pediatri si dichiarano meno soddisfatti del lavoro a causa del tempo trascorso con i genitori che hanno grandi preoccupazioni riguardo i vaccini.

 

Non può esserci un vero consenso informato se il paziente non è libero di rifiutare le cure né può esserci se le conseguenze del rifiuto includono potenziali ripercussioni o la cessazione della relazione medico-paziente. Certamente le linee guida dell’etica medica possono fare di meglio. 

Non può esserci un vero consenso informato se il paziente non è libero di rifiutare le cure

 

Secondo l’esperto di bioetica Nir Eyal, «La coercizione, l’inganno, la manipolazione e altre violazioni del consenso informato minano seriamente la fiducia».

 

Il valore del consenso informato non si mostra in nessun modello epidemiologico ma possiede un grande valore intangibile per tutte le persone coinvolte. Il fondamentalismo vaccinale è tanto importante da giustificare la distruzione della fiducia nel sistema medico? 

 

Il fondamentalismo vaccinale è tanto importante da giustificare la distruzione della fiducia nel sistema medico? 

 

Nate Doromal

Guest Contributor Children’s Health Defense

 

 

Traduzione di Alessandra Boni

 

© 13 agosto 2020, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

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Epidemie

Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump non celebreranno più la Giornata mondiale contro l’AIDS

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Per la prima volta dal 1988, l’amministrazione statunitense ha deciso di non proclamare il 1º dicembre come «Giornata mondiale contro l’AIDS». Lo riporta il

 

In una circolare indirizzata al personale, il Dipartimento di Stato ha esplicitamente vietato l’impiego di risorse pubbliche per onorare tale ricorrenza.

 

La misura si inquadra in una linea direttiva più ampia che impone di «evitare di veicolare comunicazioni in occasione di qualsivoglia giornata commemorativa, ivi inclusa quella dedicata alla lotta contro l’AIDS».

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Ai funzionari è stato ordinato di «rinunciare a qualsivoglia promozione pubblica della Giornata mondiale contro l’AIDS tramite canali di diffusione, inclusi social network, apparizioni mediatiche, orazioni o altri annunci rivolti all’opinione pubblica».

 

«Una giornata di sensibilizzazione non costituisce una strategia», ha dichiarato al quotidiano il portavoce del dipartimento di Stato Tommy Pigott. «Sotto la presidenza Trump, il Dipartimento opera in sinergia con governi esteri per preservare vite umane e promuovere maggiore accountability e compartecipazione agli oneri».

 

In una nota ad ABC News, il portavoce della Casa Bianca Kush Desai ha liquidato il Presidential Advisory Council on HIV/AIDS (PACHA) come un «ente prevalentemente simbolico i cui componenti sono immersi in un’inutile kermesse di relazioni pubbliche, svincolata dal concreto impegno dell’amministrazione Trump contro HIV e AIDS».

 

Dall’esordio dell’epidemia negli anni Ottanta, circa 300.000 uomini gay negli Stati Uniti hanno perso la vita per complicanze legate all’AIDS.

 

Negli ultimi quarant’anni, a livello globale, oltre 44 milioni di individui sono deceduti per AIDS; nel 2024, la malattia ha causato circa 630.000 morti. Le cure per l’AIDS furono inizialmente oggetto di feroci critiche da parte degli stessi omosessuali, che si scagliavano apertamente contro l’allora figura principale della lotta alla malattia Anthony Fauci.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Fauci, mentre proponeva farmaci altamente tossici e faceva esperimenti allucinanti con gli orfani di Nuova York, arrivò a dire in TV che l’HIV era trasmissibile per «contatti domestici».

 

 

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Ora il tema dell’AIDS è più raramente utilizzato dalla comunità omosessuale, dove una frangia – i cosiddetti bugchasers e gift givers – si impegna incredibilmente nell’infezione volontaria del morbo. Grindr, l’app per incontro gay, per un periodo presentava pazzescamente su ogni profilo la spunta sulla sieropositività dell’utente.

 

Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa studio avanzato sul vaccino contro l’HIV in Africa condotto dalla multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson era stato interrotto dopo che i dati hanno mostrato che le iniezioni offrivano solo una protezione limitata contro il virus. Lo studio era stato finanziato da Johnson & Johnson, dall’immancabile Bill and Melinda Gates Foundation e dal National Institutes of Health, la Sanità Nazionale USA dove il dominus (in realtà a capo del ramo malattie infettive) è Tony Fauci, che già in modo molto controverso – e fallimentare – si era occupato dell’AIDS allo scoppio dell’epidemia negli anni Ottanta.

 

Il premio Nobel Luc Montagnier sconvolse il mondo, attirandosi censure dei social tra fact checker e insulti, disse che analizzando al microscopio il SARS-nCoV-2 aveva notato delle strane somiglianze con il virus HIV – per la scoperta del quale Montagnier vinse appunto il Nobel. «Per inserire una sequenza HIV in questo genoma, sono necessari strumenti molecolari, e ciò può essere fatto solo in laboratorio» disse Montagnier in un’intervista per il podcast Pourquoi Docteur. Oltre a supportare l’allora screditatissima ipotesi del virus creato in laboratorio a Wuhan, Montagnier metteva sul piatto un’idea ancora più radicale: quella di un vaccino anti-AIDS come possibile origine del coronavirus.

 

Nel 2021 Moderna, azienda biotecnologica salita alla ribalta per il vaccino mRNA contro il COVID – il primo prodotto mai distribuito della sua storia aziendale – si era dichiarata pronta per iniziare la sperimentazione sugli esseri umani per il primo vaccino genico contro l’HIV. L’anno scorso era emerso che i test avevano riscontrato un effetto collaterale alla pelle, con una percentuale insolitamente alta di riceventi ha sviluppato eruzioni cutanee, pomfi o altre irritazioni cutanee.

 

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Epidemie

Solo 1 tedesco su 7 con test PCR positivo aveva l’infezione da COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Gli autori di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria che ha identificato un tasso di falsi positivi dell’86% per i test PCR per il COVID-19 hanno affermato che i loro risultati suggeriscono un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID-19 durante la pandemia. Entro la fine del 2021, il 92% dei tedeschi aveva già contratto un’infezione naturale, indicando un’immunità pressoché universale nella popolazione.   Secondo un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria, solo circa 1 test PCR positivo su 7 in Germania durante la pandemia di COVID-19 ha indicato un’effettiva infezione da coronavirus che ha innescato una risposta anticorpale.   Brian Hooker, Ph.D., direttore scientifico di Children’s Health Defense (CHD), ha definito «sbalorditivi» i risultati dello studio, che hanno evidenziato un tasso di falsi positivi dell’86%.   Lo studio ha inoltre rilevato che alla fine di dicembre 2020, quando sono stati distribuiti i vaccini contro il COVID-19 , circa il 25% dei tedeschi aveva già contratto l’infezione spontaneamente. Entro la fine del 2021, la percentuale è salita al 92%, indicando un’immunità pressoché universale nella popolazione.

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I test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID

Lo studio condotto da tre ricercatori tedeschi, pubblicato il mese scorso su Frontiers in Epidemiology, ha utilizzato due modelli matematici per analizzare quanto i risultati dei test PCR fossero allineati con i risultati degli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi SARS-CoV-2.   I risultati si basano sui dati ottenuti da laboratori accreditati in Germania che hanno gestito circa il 90% dei test PCR nel Paese da marzo 2020 all’inizio del 2023 e che hanno anche eseguito test del sangue per la ricerca di anticorpi (IgG) fino a maggio 2021.   I ricercatori, Michael Günther, Ph.D.Robert Rockenfeller, Ph.D., e Harald Walach, Ph.D., hanno affermato che i loro modelli hanno allineato i dati dei test PCR che rilevano «piccole porzioni di materiale genetico virale nel naso o nella gola» e i test sugli anticorpi che mostrano se il sistema immunitario di una persona «ha risposto a un’infezione reale settimane o mesi prima».   Hanno detto al Defender:   «Quando abbiamo confrontato il numero di positivi alla PCR con i risultati successivi degli anticorpi, solo circa 1 persona su 7 positiva alla PCR ha mostrato il tipo di risposta immunitaria che indica una vera infezione. Con ipotesi conservative, la percentuale potrebbe essere più vicina a 1 su 10».   La loro analisi ha anche mostrato che entro la fine del 2021, «quasi tutti» in Germania erano stati «contagiati, vaccinati o entrambi».   Secondo il modello matematico dello studio, il dato di 1 su 7 relativo al test PCR è «quasi perfettamente» in linea con un tasso di immunità dell’intera popolazione a fine anno del 92%.   I ricercatori hanno spiegato che i test sugli anticorpi «ci dicono che una persona è stata infettata in un momento qualsiasi dell’ultimo anno circa», mentre un risultato positivo al test PCR può indicare un’infezione, o «una breve esposizione senza infezione, frammenti virali residui o un rilevamento a livelli molto bassi che non portano mai alla malattia».   Hanno affermato che il loro studio ha dimostrato che solo circa il 14% dei test PCR positivi corrispondeva a infezioni reali che avevano attivato gli anticorpi IgG, il che suggerisce che i test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni.

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I test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi»

I critici delle politiche ufficiali sul COVID-19 hanno spesso citato la dipendenza dai test PCR e le incongruenze nelle soglie virali utilizzate per generare un risultato «positivo» del test.   Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso il CHD, ha affermato che i test PCR sono uno strumento inaffidabile per rilevare e tracciare le epidemie di malattie infettive. Ha citato un incidente del 2006 al Dartmouth-Hitchcock Medical Center, dove una presunta epidemia di pertosse ha portato a 134 risultati positivi ai test.   «Sono state distribuite oltre 1.300 prescrizioni di antibiotici e 4.500 persone sono state vaccinate profilatticamente», nonostante non ci fossero «casi confermati in laboratorio». L’ uso improprio dei test PCR ha portato le autorità sanitarie a dichiarare falsamente un’epidemia, ha affermato.   Un test PCR «non è un test diagnostico per una popolazione», ha affermato Jablonowski. «È meglio usarlo come test di conferma, essenzialmente per rispondere alla domanda “Quale virus ti ha infettato?” e non “Sei infetto?”».   I ricercatori tedeschi hanno affermato che i loro risultati non indicano che la tecnologia PCR sia «imperfetta come metodo di laboratorio». Tuttavia, lo studio dimostra che il modo in cui i test PCR sono stati utilizzati per i test di massa durante la pandemia «non ha indicato in modo affidabile quante persone siano state effettivamente infettate».   Hanno affermato che i test PCR rilevano in modo affidabile frammenti di DNA virale, anche in «quantità estremamente piccole» che «non rappresentano alcun rischio di infezione», ma non sono in grado di stabilire se il virus si sta replicando nell’organismo.   I risultati positivi non dovrebbero essere utilizzati «come indicatori di infezione», perché i test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi», hanno concluso i ricercatori.

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I test PCR di massa hanno causato «danni sociali, economici e personali non necessari»

L’affidamento dei governi ai risultati dei test PCR per monitorare i livelli di infezione da COVID-19 ha portato a restrizioni legate alla pandemia che hanno contribuito a «danni sociali, economici e personali non necessari», hanno affermato i ricercatori.   I governi hanno utilizzato i risultati dei test PCR per giustificare rigide restrizioni, nonostante le agenzie sanitarie pubbliche avessero accesso a dati di test sugli anticorpi di qualità superiore.   «Erano disponibili informazioni migliori di quelle comunicate pubblicamente», hanno affermato i ricercatori. Ciò ha sollevato «seri interrogativi sulla trasparenza e sul fatto che le politiche fossero basate sui dati più informativi disponibili».   Jablonowski ha affermato che nei primi giorni della pandemia, i test PCR hanno probabilmente fornito un quadro più accurato della diffusione dell’infezione, poiché i kit per i test erano scarsi e venivano quindi utilizzati su coloro che avevano maggiori probabilità di essere infettati.   Ma man mano che i test diventavano più facilmente disponibili, «venivano utilizzati su persone asintomatiche e obbligatori per i ricoveri ospedalieri, i viaggi aerei, i datori di lavoro e molte altre attività ad accesso controllato», ha affermato Jablonowski.   Gli autori dello studio tedesco hanno affermato che un approccio più scientificamente valido avrebbe incluso dati più accurati sui test PCR che mostravano i risultati in proporzione al numero di test eseguiti, un monitoraggio di routine dei livelli di anticorpi nella popolazione e una «comunicazione trasparente… che indicasse chiaramente cosa la PCR può e non può misurare».   «Questo insieme di pratiche… dovrebbe guidare le future politiche di sanità pubblica», hanno affermato i ricercatori.   Documenti del governo tedesco trapelati lo scorso anno suggerivano che la risposta ufficiale del Paese alla pandemia di COVID-19 si basava su obiettivi politici e che le contromisure e le restrizioni raccomandate dalla Germania spesso contraddicevano le prove scientifiche.   Durante un’intervista del 2022 al podcast «RFK Jr. The Defender Podcast» di Robert F. Kennedy Jr., il matematico Norman Fenton, Ph.D., ha affermato che i funzionari governativi di tutto il mondo hanno manipolato i dati dei test PCR per esagerare l’entità della pandemia.   Jablonowski ha affermato che «l’isteria dei test PCR obbligatori ha preparato la mentalità della popolazione alle vaccinazioni obbligatorie che sarebbero arrivate. I test non avevano nulla a che fare con la salute della popolazione, ma solo con il controllo della popolazione».   I test PCR per il COVID-19 sono molto meno diffusi oggi rispetto al picco della pandemia. Tuttavia, i ricercatori hanno affermato che il loro studio «è importante oggi perché l’errore strutturale che rivela – trattare i positivi alla PCR come infezioni – non è stato corretto».   «Dato che ci troviamo di fronte a nuovi agenti patogeni, come l’influenza aviaria , affidarci solo alla PCR rischia di ripetere gli stessi errori», hanno affermato i ricercatori.

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Risposta «polarizzata», poiché i risultati «mettono in discussione le ipotesi che hanno plasmato la politica pandemica»

I ricercatori hanno affermato di aver incontrato «notevoli difficoltà» nel pubblicare il loro articolo. Tra queste, il rifiuto da parte di altre sei riviste, di cui solo due hanno inviato il manoscritto per la revisione paritaria.   Queste riviste hanno cercato di «proteggere la narrativa prevalente, piuttosto che affrontare il nocciolo della nostra analisi», hanno affermato i ricercatori.   I ricercatori hanno affermato che due dei tre revisori originali di Frontiers in Epidemiology «si sono ritirati dai loro incarichi». Ciò ha costretto la redazione a reclutare un quarto revisore, ritardando la pubblicazione dell’articolo.   La risposta all’articolo è stata «polarizzata», hanno affermato. «Alcuni lettori hanno accolto con favore il confronto quantitativo dei dati PCR e IgG, ritenendolo in ritardo, mentre altri hanno messo in dubbio le implicazioni dello studio o hanno tentato di liquidarlo senza approfondire la metodologia di base».   Ciò non sorprende, «dato che i risultati mettono in discussione i presupposti che hanno plasmato la politica pandemica», hanno affermato.   Michael Nevradakis Ph.D.   © 26 novembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.  

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Epidemie

Il CDC chiude i laboratori con scimmie tra i timori della tubercolosi

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Il CDC, l’ente nazionale USA per il controllo epidemico, porrà fine a ogni indagine su primati non umani svolta nelle sue sedi, costituendo la prima occasione dal ritiro degli scimpanzé da parte dei National Institutes of Health nel 2015 in cui un’agenzia sanitaria federale di primo piano ha decretato la cessazione totale di un proprio protocollo interno sulle scimmie. Lo riporta la rivista Science.

 

Tale determinazione coinvolge approssimativamente 200 macachi alloggiati nel complesso di Atlanta dei CDC. Un portavoce dell’agenzia ha attestato a Bloomberg che si sta approntando un programma di smantellamento, pur astenendosi dal delineare scadenze precise o sul destino degli esemplari.

 

La scelta matura all’indomani di lustri di contestazioni da parte di associazioni per la tutela animale e taluni ricercatori, i quali lamentano che i paradigmi su scimmie abbiano generato un apporto traslazionale scarso, soprattutto nella elaborazione di sieri anti-HIV, ove decine d’anni di analisi su primati non hanno ancor prodotto un rimedio omologato. I CDC hanno invocato tanto sensibilità etiche quanto un viraggio tattico verso opzioni antropomorfe, come sistemi organ-on-a-chip, colture cellulari evolute e simulazioni algoritmiche, quali elementi cardine della risoluzione.

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In via distinta, i CDC hanno affrontato episodi di vulnerabilità biosicurezza legati a primati importati. Archivi interni scrutinati dall’organizzazione animalista PETA rivelano che, dal 2021 al 2024, i vagli di quarantena hanno smascherato 69 episodi di tubercolosi nei macachi in transito, con ulteriori 16 occorrenze scoperte post-liberazione verso i laboratori.

 

«La PETA ha allertato i CDC sin dal 2022 che il loro circuito di importazione di scimmie configura una mina vagante per la tubercolosi», ha dichiarato la dottoressa Lisa Jones-Engel, consulente scientifico per la sperimentazione sui primati della PETA. «Nondimeno, la loro ostinata miopia ha consentito a un pericolo biosicuro manifesto di infiltrarsi negli Stati Uniti. Invitiamo i CDC a interrompere l’afflusso di scimmie nei laboratori, a tutela della salute collettiva, della validità scientifica e degli stessi primati».

 

La dismissione progressiva si allinea a iniziative federali più estese per comprimere la sperimentazione su animali. Ratificato nel 2022, il Modernization Act 2.0 della Food and Drug Administration (FDA) ha soppresso l’esigenza di prove animali preliminari alla sperimentazione umana, mentre NIH, EPA e FDA hanno esteso gli stanziamenti per metodiche prive di impiego animale.

 

«Questa svolta è epocale. Per la prima volta, un ente statunitense opta per una scienza contemporanea e umana anziché per un apparato obsoleto di test su scimmie», ha esultato Janine McCarthy, direttrice facente funzioni delle politiche di ricerca al Physicians Committee for Responsible Medicine. «Ora i CDC dovrebbero destinare quei budget alla ricerca antropocentrica e assicurare che queste scimmie siano ricollocate in santuari per il resto dei loro giorni».

 

«I CDC hanno appena trasmesso un segnale all’intero ecosistema biomedico: l’epoca degli esperimenti su scimmie è conclusa», ha soggiunto McCarthy.

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