Connettiti con Renovato 21

Economia

Follia della crisi energetica: le aziende del settore energia raddoppiano il fatturato mentre l’industria collassa

Pubblicato

il

A fine novembre sul Sole 24 ore abbiamo letto un dato davvero impressionante: le aziende, italiane ed estere, nel settore dell’energia in Italia nel 2022 hanno fatturato 643,8 miliardi, praticamente raddoppiando (+84,1) quello del 2021, quando avevano fatturato 350 miliardi.

 

«Gli utili sono stati pari a 24,7 miliardi, in aumento di 8,7 miliardi sul 2021 e rappresentano il 3,8% sul fatturato, comunque in calo rispetto al 4,5% del 2021, anche per l’incidenza dei Decreti “extra-profitti”» scriveva il quotidiano di Confindustria. «Il margine operativo netto ha superato i 44,7 miliardi (+41,6%), mentre il rapporto tra margine operativo netto e fatturato si è attestato al 6,9%, in calo sul 9% precedente».

 

Ogni numero economico per le società energetiche sembra impennarsi: «cresce anche il fatturato per dipendente, attestatosi a 3,3 milioni pro capite, a fronte di 1,8 milioni nel 2021», continua il giornale confindustriale. I dati sono stati forniti dal Centro studi CoMar pubblicando il Rapporto sui bilanci delle società dell’energia 2014-2022.

 

Tali cifre possono dare da pensare il lettore – o sconvolgerlo completamente: come è possibile far collimare questi numeri con il quadro fosco dell’Italia, dell’Europa, in via di evidente de-industrializzazione? Come spiegarci tali profitti – di aziende spesso pubbliche o semipubbliche – a fronte non solo del crollo dell’industria italiane, ma anche dei sacrifici fatti dai cittadini alle prese con «bollette pazze»?

 

Abbiamo dunque posto qualche domanda a Mario Pagliaro, il chimico del CNR membro dell’Academia Europaea, docente di nuove tecnologie dell’energia al Polo Fotovoltaico della Sicilia, che nell’estate del 2021 proprio su Renovatio 21 aveva previsto l’imminente aumento – poi rivelatosi senza precedenti storici – dei prezzi del gas e dell’elettricità. Il professor Pagliaro, già in uscita dallo scorso inverno ci aveva fornito i dati dell’industria italiana in caduta libera a causa dei costi dell’energia, aggiornando quanto già appariva chiaro dalle sconvolgenti statistiche di due mesi fa.

 

Professor Pagliaro, a cosa è stato dovuto un simile aumento del fatturato delle industrie dell’energia nel 2022? 

All’effetto combinato del folle aumento del prezzo del gas sul mercato finanziario speculativo TTF dove a inizio 2022 quotava già ad oltre 80 euro a megawattora, per raggiungere i 240 eur/MWh ad agosto e chiudere l’anno comunque oltre i 70. Ed anche a quello del petrolio, cresciuto in un anno di oltre il 25%, passando dai 50 a 75 dollari al barile.

 

L’aumento fuori controllo del prezzo del gas, in un Paese come l’Italia dove, a causa degli investimenti nelle nuove centrali a turbogas degli anni Novanta, la gran parte della produzione termoelettrica si basava proprio sulla combustione del gas naturale, ha determinato l’aumento altrettanto fuori controllo del prezzo dell’elettricità.

 

Per avere un’idea, l’indice TTF nel decennio fra inizio 2010 e fine 2020 non supererà mai i 30 eur/MWh, e che nel luglio 2020, due mesi dopo la fine dei lockdown, quotava poco sopra gli 1,5 eur/MWh. Attualmente quota poco sotto i 40 eur/MWh.

Sostieni Renovatio 21

Ma con un fatturato simile pari quasi a 650 miliardi di euro, come fanno le altre industrie a prosperare? 

Infatti non possono. Per avere un’idea, si tratta del 33% del prodotto interno lordo italiano del 2022, pari a poco più di 1946 miliardi. Nessun Paese al mondo può pagare una bolletta energetica, che ovviamente include anche le famiglie e le pubbliche amministrazioni, pari ad un terzo della ricchezza generata, e mantenere un’offerta competitivo in termini di prezzo dei propri beni e servizi.

 

Per pagarla, ai clienti destinatari delle bollette di gas ed energia elettrica (imprese, famiglie e pubblica amministrazione) è stato necessario tanto l’intervento dello Stato – che ha speso oltre 200 miliardi euro – che la necessità di attingere al patrimonio finanziario depositato da famiglie e imprese sui loro conti correnti.

 

Per la precisione, lo Stato ha speso oltre 60 miliardi sotto forma di bonus ed esenzioni fiscali, mentre famiglie e imprese si sono accollate 91 miliardi di ulteriori spese sul 2021: 61 miliardi extra le imprese e 30 miliardi extra le famiglie.

 

Ma come hanno fatto simili aumenti a non riflettersi sulla produzione industriale?

Infatti si sono riflessi in un autentico ed immediato crollo dei consumi di gas: che nel 2022 sono scesi per la prima volta sotto i 70 miliardi di metri cubi, con una decrescita superiore all’8%, superiore ad oltre 6 miliardi di metri cubi in meno, che mai si era osservata da quando in Italia si consuma gas naturale per soddisfare parte del fabbisogno energetico della nazione.

 

Le imprese hanno provato in tutti i modi a contenere i consumi energetici. Hanno investito in efficienza energetica e in grandi impianti fotovoltaici per l’autoproduzione di parte del fabbisogno elettrico. Ma moltissime hanno dovuto diminuire la produzione.

 

Nel frattempo, l’enorme aumento dei costi energetici si è tradotto in un immediato forte aumento del prezzo di tutti i beni e servizi. L’inflazione energetica ha tagliato il potere di acquisto, e fatto crollare la domanda. Tanto quella interna che quella da tutti i Paesi comunitari, alle prese con gli stessi problemi.

 

Il risultato si è manifestato nel corso di tutto il 2023.

 

Cioè la produzione industriale nel 2023 è crollata?

Giocoforza. Con il -1,1% registrato ad ottobre sono nove i mesi consecutivi di calo della produzione industriale. Tolto il 2020 dei lockdown, bisogna tornare alla crisi finanziaria deflagrata a fine 2008 con il fallimento di una grande banca d’affari americana, per ritrovare valori simili. In pratica, nonostante il ritorno ad un costo ragionevole di gas ed elettricità, i consumi energetici non fanno che diminuire.

 

Nei primi dieci mesi del 2023, i consumi di energia elettrica in Italia sono calati del 3,2% rispetto allo stesso periodo del 2022, e quelli del compito industriale misurato dall’indice IMCEI creato allo scopo da Terna ancora di più: -4,6%. Calano anche i consumi petroliferi, già anemici, che perdendo un altro 1,4% sui primi dieci mesi del 2022, scendono abbondantemente sotto la soglia delle 50 milioni di tonnellate (47,9 milioni).

 

È appena il caso di ricordare che l’Italia grande potenza industriale nel 1991 consumava 100 milioni di tonnellate di petrolio in un anno. E che ancora nel 2002, l’Italia consumava oltre 93 milioni di tonnellate di petrolio.

 

Parlando anche con noi, lei ha proposto il ritorno dell’IRI e la rinascita dell’industria pubblica in Italia. Ne è ancora convinto?

Non esistono alternative. Prendiamo la produzione di acciaio da minerale ferroso della ex Ilva. Lo Stato ha già dovuto acquisire il 38% del capitale e investire molte centinaia di milioni. Alcuni sindacati già chiedono la completa nazionalizzazione.

 

Analogamente, già oggi lo Stato attraverso la Cassa depositi e prestiti è entrato nel capitale della maggiore azienda di costruzioni italiana, e con oltre il 16% del capitale ne è il secondo maggiore azionista. In questo caso, l’azienda utilizzata dallo Stato è una holding di investimenti controllata al 100% da Cassa depositi e prestiti, che controlla già Autostrade per l’Italia, Ansaldo Energia ed ha importanti partecipazioni in altre importanti aziende.

 

L’acuirsi della crisi delle relazioni internazionali, con la guerra fra le due maggiori repubbliche della ex URSS e il precipitare del conflitto israelo-palestinese in Medio Oriente, non farà che accelerare il trend di una situazione economica ed energetica che potrà essere fronteggiata solo con il pieno e definitivo ritorno all’industria di Stato e all’economia sociale di mercato.

 

Il tempo del liberismo economico, che in Europa ha dominato il trentennio successivo alla caduta dell’URSS (1991-2021), è concluso.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21



 

Economia

Trump grazia l’ex CEO del gigante delle cripto Binance

Pubblicato

il

Da

Il presidente statunitense Donald Trump ha concesso la grazia presidenziale a Changpeng Zhao, noto come «CZ», fondatore ed ex amministratore delegato di Binance, la principale piattaforma di scambio di criptovalute a livello globale. Lo riporta il Wall Street Journal.   L’annuncio, proveniente dalla Casa Bianca, giunge dopo mesi di vigorose attività di lobbying e rappresenta un cambiamento significativo nella politica americana verso il settore delle criptovalute, con chiare ripercussioni sugli interessi familiari di Trump.   La grazia corona una serie di iniziative prolungate da parte di Zhao e della sua azienda per ottenere indulgenza, tra cui il sostegno attivo a World Liberty Financial, la piattaforma crypto associata alla famiglia Trump. Questa iniziativa, promossa dai figli del presidente Eric e Donald Jr., ha registrato un’impennata di valore – valutata in oltre 5 miliardi di dollari di ricchezza teorica – grazie a collaborazioni con entità legate a Binance, come un’intesa da 2 miliardi di dollari con un fondo degli Emirati Arabi Uniti che ha impiegato lo stablecoin USD1 di World Liberty per investimenti azionari.

Iscriviti al canale Telegram

Zhao, un tempo tra i leader più influenti nel panorama degli asset digitali, era stato condannato nell’aprile 2024 a quattro mesi di detenzione dopo un accordo con il Dipartimento di Giustizia statunitense nel 2023. L’intesa prevedeva un’ammissione di responsabilità per violazioni antiriciclaggio, una sanzione record di 4,3 miliardi di dollari per Binance e una multa personale di 50 milioni per CZ, che aveva lasciato la carica di CEO.   Gli inquirenti federali avevano imputato alla piattaforma di aver favorito operazioni illecite con soggetti sanzionati, inclusi gruppi terroristici, e di non aver adottato misure sufficienti contro il riciclaggio di denaro. Il procedimento contro Zhao è stato uno dei casi più rappresentativi della campagna dell’amministrazione Biden contro le grandi exchange crypto, vista da molti come un’eccessiva stretta repressiva.   Completata la pena in una prigione federale a bassa sicurezza in California e poi in un centro di reinserimento, Zhao era stato liberato nel settembre 2024. Ci sono voluti quasi dodici mesi di sforzi per ottenere la grazia: all’inizio del 2025, l’azienda ha assunto il lobbista Ches McDowell, legato a Donald Trump Jr., per influenzare i decisori a Washington.   Fonti informate indicano che il team di Trump ha colto nel caso di Zhao l’occasione per avviare una «nuova era» nelle normative sulle criptovalute, favorendo l’innovazione anziché la repressione. Numerosi collaboratori del presidente considerano le imputazioni come motivazioni politiche, tipiche della più ampia «guerra alle crypto» promossa da Biden.   La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha giustificato la scelta con toni decisi: «il presidente Trump ha esercitato il suo potere costituzionale concedendo la grazia al signor Zhao, perseguitato dall’amministrazione Biden nella sua guerra alle criptovalute». E ha proseguito: «la guerra dell’amministrazione Biden contro le criptovalute è terminata». Interrogato dalla stampa, Trump ha sminuito l’importanza: «Molte persone sostengono che non avesse commesso alcun illecito. L’ho graziato su indicazione di persone affidabili, pur non conoscendolo di persona».   La decisione non manca di polemiche. Critici come la senatrice democratica Elizabeth Warren l’hanno bollata come un «evidente conflitto di interessi»: «Prima CZ si dichiara colpevole di riciclaggio, poi sostiene un’impresa crypto di Trump e fa lobbying per la grazia. Oggi Trump ricambia il favore».   Binance, che aveva visto prelievi per un miliardo dopo che CZ si era dichiarato colpevole, ha accolto la notizia come «incredibile» e ha espresso gratitudine a Trump per il suo impegno a trasformare gli Stati Uniti nella «capitale mondiale delle crypto».   Zhao, azionista di maggioranza di Binance fondata nel 2017, ha scritto sui social: «Profondamente grato per la grazia di oggi e al presidente Trump per aver difeso equità, innovazione e giustizia. Ci impegneremo al massimo per fare dell’America la capitale delle crypto».   Questa grazia non è solo una rivalsa personale per CZ, che ora potrebbe riprendere il controllo attivo di Binance, ma un segnale politico netto: l’amministrazione Trump mira a favorire il settore del Bitcoin e delle criptovalute, dissipando le ombre del passato.   In un contesto in cui Trump ha già graziato figure come Ross Ulbricht (come aveva promesso in campagna elettorale), ideatore della piattaforma di scambio del dark web Silk Road, il messaggio è inequivocabile: Washington è disposta a puntare sulle criptovalutea anche a costo di controversie.

Aiuta Renovatio 21

Come riportato da Renovatio 21, tre mesi fa la società Trump Media aveva investito 2 miliardi in bitcoini. Il bitcoin in quelle settimane toccava il record di 120.000 dollari.   In primavera i figli di Trump con il vicepresidente USA JD Vance avevano presenziato alla conferenza Bitcoin di Las Vegas esaltano le criptovalute. Eric Trump, figlio di Donald, ha avuto a dichiarare che con cripto e blockchain in dieci anni potremmo assistere all’estinzione degli istituti bancari.   Trump – che ha nominato le criptovalute come riserva strategica nazionale – aveva ospitato, sotto gli auspici del suo zar per l’AI e le crypto Davis Sacks, un grande evento per le monete elettroniche alla Casa Bianca praticamente appena insediatosi. Tra i primi decreti esecutivi firmati da Trump vi è quello che vieta le CBDC, cioè le valute digitali delle Banche centrali.  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di Web Summit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Continua a leggere

Economia

Picco del prezzo del petrolio dopo le sanzioni statunitensi alla Russia

Pubblicato

il

Da

I prezzi del petrolio sono aumentati notevolmente in seguito all’annuncio da parte degli Stati Uniti di sanzioni contro i colossi russi Rosneft e Lukoil.

 

I future sul greggio Brent, benchmark globale, sono saliti di oltre il 5% a 65,99 dollari al barile, mentre il West Texas Intermediate (WTI) statunitense è salito del 5,6% a 61,79 dollari giovedì.

 

Nonostante i prezzi siano leggermente scesi nelle prime contrattazioni di venerdì, entrambi i benchmark sono rimasti sulla buona strada per un aumento settimanale del 7%, il più grande dall’inizio di giugno.

 

La Casa Bianca ha descritto le ultime sanzioni come un passo per «incoraggiare Mosca ad accettare un cessate il fuoco». La Russia afferma di rimanere aperta alla diplomazia, ma insiste sul fatto che qualsiasi accordo di pace debba affrontare le cause profonde del conflitto. Ha accusato Kiev e i suoi sostenitori occidentali di rifiutarsi di negoziare in buona fede e di minare gli sforzi di pace attraverso le sanzioni.

Aiuta Renovatio 21

Secondo quanto riportato dai media, che citano fonti commerciali, le sanzioni hanno spinto le principali compagnie petrolifere statali cinesi a sospendere gli acquisti di greggio russo via mare a breve termine. Fonti del settore hanno inoltre avvertito che le raffinerie in India, il maggiore acquirente di petrolio russo via mare, e in Turchia, il terzo, potrebbero ridurre le importazioni nelle prossime settimane.

 

«I flussi verso l’India sono a rischio in particolare… le sfide per le raffinerie cinesi sarebbero più contenute, considerando la diversificazione delle fonti di greggio e la disponibilità delle scorte», ha detto a Reuters Janiv Shah, vicepresidente dell’analisi dei mercati petroliferi presso Rystad Energy.

 

Si prevede che le misure avranno ripercussioni sul mercato, poiché gli acquirenti di greggio russo cercheranno alternative finché non ci sarà chiarezza sull’applicazione delle misure, ha dichiarato al Wall Street Journal Richard Bronze, responsabile geopolitica di Energy Aspects. Bronze prevede che il Brent potrebbe avvicinarsi ai 70 dollari al barile nei prossimi giorni. «Solo la decisione di fare questo annuncio provocherà un’onda d’urto notevole sul mercato», ha affermato.

 

La Russia ha da tempo avvertito che le sanzioni sono illegali e si ritorcono contro chi le impone. Commentando le nuove restrizioni giovedì, il presidente Vladimir Putin le ha definite una «mossa ostile», ma ha affermato che non avrebbero avuto un impatto significativo sull’economia russa. Ha aggiunto che le sanzioni rappresentano un altro tentativo di Washington di fare pressione su Mosca, sottolineando che «nessun Paese che si rispetti agisce mai sotto pressione».

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

Continua a leggere

Economia

La Volkswagen affronta la crisi dei chip dopo chel’Olanda ha sequestrato la fabbrica cinese

Pubblicato

il

Da

La principale casa automobilistica tedesca, Volkswagen, rischia di sospendere la produzione in un importante stabilimento a causa della carenza di semiconduttori, provocata dal sequestro di un produttore di chip di proprietà cinese da parte dei Paesi Bassi. Lo riporta il tabloide tedesco Bild, citando fonti anonime.   A fine settembre, il governo olandese ha preso il controllo dello stabilimento Nexperia di Nimega, adducendo problemi legati alla proprietà intellettuale e alla sicurezza. La settimana scorsa, il New York Times, dopo aver esaminato documenti di un tribunale di Amsterdam, ha rivelato che la decisione è stata influenzata dalle pressioni di funzionari statunitensi.   Wingtech, la società madre di Nexperia, è stata inserita nella lista nera di Washington nel 2024, nell’ambito della guerra commerciale con la Cina.   All’inizio di ottobre, Pechino ha reagito vietando a Nexperia l’esportazione di chip finiti dalla Cina, componenti essenziali per le centraline elettroniche dei veicoli Volkswagen.   Mercoledì la Bild ha riferito che Volkswagen, proprietaria anche di Skoda, Seat, Audi, Porsche, Lamborghini e Bentley, non sembra avere attualmente alternative ai chip di Nexperia. Fonti interne hanno indicato che, a causa della carenza di semiconduttori, la produzione nello stabilimento di Volsburgo potrebbe essere interrotta a partire da mercoledì prossimo, iniziando con la Volkswagen Golf e poi estendendosi ad altri modelli.

Iscriviti al canale Telegram

Se la situazione non dovesse migliorare, la sospensione della produzione potrebbe riguardare anche gli stabilimenti di Emden, Hannover, Zwickau e altri, secondo una fonte informata.   Secondo il rapporto, Volkswagen ha avviato negoziati con le autorità tedesche per un programma di riduzione dell’orario di lavoro, sostenuto dallo Stato, per decine di migliaia di dipendenti.   Bild ha avvertito che la crisi dei chip potrebbe colpire anche altre case automobilistiche tedesche. Rappresentanti di BMW e Mercedes hanno dichiarato al giornale di stare monitorando la situazione. L’industria automobilistica tedesca è già in difficoltà a causa degli elevati costi energetici, legati alle sanzioni dell’UE contro la Russia per il conflitto in Ucraina, e all’aumento dei dazi americani.   Un portavoce dello stabilimento Volkswagen di Zwickau ha definito «errato» il rapporto di Bild, secondo quanto riferito all’agenzia AFP. Tuttavia, una lettera interna visionata dalla stampa ha ammesso che «non si possono escludere ripercussioni sulla produzione a breve termine» a causa della carenza di semiconduttori.   La tensione nelle relazioni Washington-Pechino, in ispecie con riguardo i microchip – che costituiscono, almeno per il momento, lo «scudo» contro l’invasione di Taiwan da parte dell’Esercito di Liberazione del Popolo della Repubblica Popolare Cinese – tocca sempre più apertamente non solo Cina e USA, ma l’intera economia mondiale, con effetti devastanti sull’Europa, che non è riuscita, nonostante i tentativi, di crearsi una sua autonomia sovrana sulla produzione di questo componente essenziale.   Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso era emerso che le fabbriche di semiconduttori con tecnologia avanzata olandese presenti a Taiwan potrebbero essere spente da remoto nel caso di invasione dell’isola da parte di Pechino. In particolare si tratterebbe delle fabbriche del colosso Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che impiega tecnologie ultraviolette di estrema precisione (chiamate in gergo EUV) fornite da un’azienda olandese, la ASML. Tali macchine, grandi come un autobus e dal costo di circa 217 milioni di dollari cadauna, utilizzano onde luminose ad alta frequenza per stampare i chip più avanzati al mondo.  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di Michael Barera via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
   
Continua a leggere

Più popolari