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Festa della Repubblica a sovranità limitata. Senza Silvio Berlusconi, le «sue» crocerossine e la Pax eurasiatica

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Oggi l’Italia celebra pomposamente la nascita della Repubblica. Sono 76 anni.

 

La «democrazia» nostrana è quindi giovane, giovanissima. Pensate che quella americana ha 246 anni – quasi un quarto di millennio. Alla faccia degli yankee senza storia: una forma sociale mantenuta integra per così tanto tempo fanno di Washington giustamente la Nazione guida delle cosiddette «democrazie» occidentali e non.

 

Cioè, vogliamo dire: la «sovranità limitata» – che mica è solo italiana, è tedesca, è giapponese, etc. – ce la meritiamo, visto che abbiamo non solo perso la Guerra, ma anche voluto giuocare al giuochino della democrazia.

 

Il lettore sa che Renovatio 21 porta avanti una visione storica precisa, abbastanza inedita a dire il vero, per cui il partito che si impossessò del Paese dopo il 1945 fu preparato, ideologicamente (con la diffusione delle idee di Jacques Maritain) e pragmaticamente da acute forze americane, che necessitavano di una qualche forma di Stato partitico che riuscisse a mettere radici presso un popolo che repubblicano e democratico non lo era stato mai: nacque così la Democrazia Cristiana, che per quanto ci riguarda è un ossimoro già nel nome, una contradictio in adecto, perché Cristianesimo e democrazia mai hanno avuto qualcosa a che fare se non negli alambicchi di chi ci ha inflitto il quadro presente.

 

Il lettore di Renovatio 21 sa pure che qui spingiamo assai per un riconoscimento definitivo a James Jesus Angleton, poetica altissima mente dei servizi americani, cui va riconosciuto l’enorme contributo alla creazione dell’Italia repubblicana – magari pure con qualche «spintarella» durante il referendum Monarchia versus Repubblica.

 

Purtroppo, ci troviamo con tanti viali Mazzini, piazze Mazzini, più oscuri e magari effettivamente impresentabili «eroi» del Risorgimento (c’est-à-dire, la conquista della Penisola da parte della massoneria), e neanche un accenno toponomastico all’Angletone.

 

È per pudicizia, immaginiamo. Questa cosa della sovranità limitata, che una volta, ai tempi del PCI, si poteva pure dire liberamente, deve ancora impensierire chi regge il teatrino: attenzione, che non si scopra che Roma è vassallo di Washington, di Foggy Bottom, di Langley, di Bruxelles – nel senso non solo della UE, ma soprattutto della NATO, che casualmente ha sede proprio nella capitale belga.

 

Non è che i vertici dello Stato stiano facendo qualcosa per farcelo dimenticare.

 

«Ad oltre un anno di distanza, la Repubblica Italiana, insieme alla comunità internazionale, è ancora impegnata a contrastare l’aggressione condotta dalla Federazione Russa al popolo ucraino» scrive il presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella in un messaggio inviato al Capo di Stato Maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone.

 

«L’Italia è fermamente schierata per la difesa della sua libertà, integrità territoriale e indipendenza, perché non vi sia un futuro nel quale la forza del diritto viene sostituita dal diritto del più forte. Una ordinata comunità internazionale non può che basarsi sul rispetto di questi principi».

 

Il 2 giugno come volano per la guerra di Zelens’kyj. Vabbè, forse non poteva andare diversamente.

 

Poi il messaggio va avanti. «Libertà, uguaglianza, solidarietà, rispetto dei diritti dei singoli e delle comunità sono pilastri fondamentali della nostra Carta costituzionale» scrive il presidente. È innegabile che quando sentiamo parlare di «diritti dei singoli» scivoliamo nel pensiero che ci stiano parlando di LGBT (o meglio, «2LGBTI+»), oppure, al massimo, del feticidio di Stato, o le masse importate dall’Africa, cose così.

 

Se ti parlano di «libertà, uguaglianza, solidarietà», stai tranquillo che non sta per partire un mea culpa sul green pass, l’apartheid biotica, le persone ridotte alla fame perché renitenti alla siringa mRNA e al suo sistema di sorveglianza cibernetico biosecuritario.

 

Ma vabbè anche qui. Non che ci aspettassimo altro. Del resto, quello è stato un apice della storia repubblicana, quello in cui si è dimostrato il valore degli organi della Repubblica, della Costituzione, delle forze dell’ordine e pure delle forze armate (memento generale Figliuolo!)

 

Poi però arriva lei. Sempre più fotogenica, sembra Emma Stone in una commedia hollywoodiana sbarazzina, è a tratti elegante, il tacco è portato con grande esperienza.

 

«Niente che si chiami pace può essere scambiata per invasione. C’è una Nazione aggredita ed un aggressore», ha detto il primo ministro Meloni a margine della parata ai Fori Imperiali.

 

Certo che c’è: c’è una pulizia etnica durata otto anni, quella contro i russi del Donbass, che evidentemente si è dimenticata anche donna Giorgia, come i tantissimi sottoposti al lavaggio del cervello occidentale.

 

C’è un’organizzazione, quella del Trattato del Nord Atlantico, che sta circondando la Russia – perfino, da dietro, nel Pacifico, con Giappone e Corea che stanno entrando) con la più grande forza militare della storia (Putin dixit), dotata di potenza termonucleare distribuita in vari Paesi.

 

C’è una dirigenza, quella USA, che non fa mistero della sua volontà di praticare un regime change a Mosca, anzi vuole proprio smembrare la Russia, fare uno spezzatino del più grande Paese del mondo (e il più ricco di ogni ben di Dio di risorsa), terminare lo Stato-civiltà millenario resistito ai mongoli e a Hitler – al prezzo di decine di milioni di morti.

 

Bisogna capire la giovane premier: quanto durerebbe, se non dicesse così? Quanto potrebbe andare avanti se dicesse la verità? La verità, diceva Nostro Signore, ci renderà liberi: e quindi, sentire vivere in una Nazione di menzogna ci fa capire che siamo schiavi, pardon, «a sovranità limitata».

 

Ci tocca tornare, ancora una volta, a rimpiangere quello che è tecnicamente ancora il leader di un partito impresentabile ed invotabile. Perché qui, alla fine, non c’entra la politica, c’entra la qualità intima dell’uomo, la sua anima, oseremmo dire.

 

Rammenta, o lettore, il tempo in cui la notizia della parata del 2 giugno non erano proclami di alleanza con un regime sanguinario e spietato: no, era il fatto che Silvio Berlusconi allungava gli occhi sulle crocerossine che sfilavano, e pure applaudiva felice rimirandone le forme.

 

Ricordate? Quanta innocenza. Quanta leggerezza, quanto umorismo, quanta vita c’era in quei momenti – che pure facevano schiumare di rabbia i giornali del gruppo De Benedetti (ora Agnelli), gli stessi che oggi cantano le gesta di Battaglione Azov ed affini e sbianchettano via da Internet i vecchi articoli sull’ucronazismo.

 

La sinistra, cioè l’opinione pubblica di intere classi parassite drogate dai loro circuiti mediatici, impazziva dall’ira: forse perché Silvio, implicitamente, sembrava non rivendicare un diritto LGBT, ma vivere secondo la legge naturale eterosessuata. (La questione è analizzata in varie battute e barzellette che circolavano, alcune fatte dallo stesso interessato e perfino da Vladimir Vladimirovich Putin)

 

E se proprio vogliamo vederci la politica, bisogna ricordare che con il Berlusconi si andava molto oltre alla politica, si volava verso la grande geopolitica, o addirittura la superpolitica, la metapolitica.

 

Berlusconi aveva posto le basi per quella che di fatto era un Pax eurasiatica: ogni conflitto con la Russia era stato neutralizzato da Pratica di Mare (un accordo Russia – NATO: fantascienza pura, oggi) e dall’amicizia innegabile fiorita con Vladimir Putin.

 

Si erano imbastite cooperazioni immense tra il nostro Paese e Mosca. C’era il gas, diligentemente consegnato dai russi a prezzo accessibile e senza sorprese. C’erano collaborazioni in ambito aerospaziale – un tema caro all’attuale ministro della Difesa Crosetto, quello che adesso è in prima fila nel ringhiare alla Russia (prendendosi, di conseguenza, qualche parola da Medvedev).

 

Il mondo, in quei due giugno delle crocerossine procaci, era diverso. Anche, e soprattutto perché erano ancora vivi decine, forse centinaia di migliaia di ragazzi ucraini, e russi, che sono stati sacrificati sull’altare del niente al fine di far crollare per sempre la pace in Eurasia.

 

Non ci resta che dirlo, e con immensa amarezza, e nostalgia.

 

Aridatece Silvio Berlusconi. Aridatece la Pax eurasiatica, lo sviluppo e la prosperità, la joie de vivre.

 

Ridateci la Vita contro la morte!

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Immagine della Presidenza della Repubblica Italiana via Wikimedia; fonte Quirinale.it

 

 

 

 

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Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.

 

L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.

 

Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.

 

Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.

 

Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.

 

Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.

 

Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.

 

Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.

 

Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.

 

Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.

 

Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.

 

I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.

 

Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».

 

Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.

 

Patrizia Fermani

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Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Le nazioni devono basarsi sulle proprie tradizioni storiche e spirituali, oltre che su una «visione sovrana del mondo», mentre plasmano il loro avvenire, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio scritto ai partecipanti del II Simposio Internazionale «Inventare il Futuro» a Mosca. L’evento, in programma il 7 e 8 ottobre, accoglierà oltre 7.000 partecipanti provenienti da quasi 80 Paesi.   Discussioni aperte e innovative sul futuro dell’umanità supportano i governi nel rispondere adeguatamente alle nuove sfide, ha osservato il presidente russo. «Le conclusioni e i risultati di un dialogo così profondo e sostanziale sono di grande valore», ha aggiunto Putin. «Sono fiducioso che dobbiamo creare il nostro futuro sulla base di una visione del mondo sovrana».   Promosso su iniziativa del presidente russo, il simposio comprende circa 50 eventi, organizzati in tre aree tematiche: società, tecnologia e cooperazione globale. Il forum ospiterà oltre 200 relatori provenienti da Russia, Cina, Stati Uniti, Italia e da Paesi di Africa, America Latina, Medio Oriente e Sud-est asiatico, che discuteranno di temi che spaziano dalle sfide demografiche all’intelligenza artificiale (IA) e all’esplorazione spaziale.

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Nel primo giorno del simposio si è svolta una tavola rotonda incentrata sul futuro delle tecnologie di intelligenza artificiale e sul loro potenziale di diventare non solo uno strumento professionale di nicchia, ma una base per un’infrastruttura globale e un nuovo «linguaggio della realtà» per governi e imprese private.   Un altro dibattito tenutosi martedì si è concentrato sulle prospettive di collaborazione tra Russia e Africa nei prossimi decenni, fino al 2063. Mosca mira a rafforzare i legami con il continente, promuovendo attivamente la condivisione di tecnologie con le nazioni africane, contribuendo a garantire la sicurezza regionale e sostenendo la sovranità degli attori locali, oltre a favorire un approccio più equo nelle relazioni internazionali.   Al forum del Club Valdai, a Sochi, giorni prima Putin aveva parlato dei «valori tradizionali» anche in merito alla «disgustosa atrocità» dell’assassinio di Charlie Kirk.   «Sapete, questa disgustosa atrocità, e ancora di più, dal vivo», ha detto Putin a un forum organizzato dal Valdai Discussion Club a Sochi, in Russia. «In effetti, l’abbiamo vista tutti, ma non so, è davvero disgustoso. Era orribile». «Prima di tutto, naturalmente, porgo le mie condoglianze alla famiglia del signor Kirk e a tutti i suoi cari», ha continuato il leader russo. «Siamo solidali e solidali, soprattutto perché ha difeso quei valori tradizionali».   Putin aveva aggiunto che la sparatoria mortale è il segno di una «profonda frattura nella società», secondo Reuters. «Negli Stati Uniti, non credo ci sia bisogno di aggravare la situazione all’esterno, perché la leadership politica del Paese sta cercando di ristabilire l’ordine a livello nazionale», ha affermato Putin.

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La questione di Heidegger

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Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».

 

Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».

 

Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.

 

Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.

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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.

 

Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.

 

L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.

 

Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.

 

 

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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

 

 

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