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Fedezzo ci ha ragione!

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Così, come se il biennio non ci avesse stupito abbastanza, ci è toccata l’altra sera anche questa realizzazione indicibile: Fedez, che chiamiamo Fedezzo perché anche perfino il suo nome d’arte ci ripugna, ha incredibilmente detto una cosa giusta.

 

Lo ha fatto attaccando, giustamente, i «cattolici» caduti che partecipano alla campagna di distrazione di massa chiamata ddl Zan.

Fedezzo ha incredibilmente detto una cosa giusta  attaccando, giustamente, i «cattolici» caduti che partecipano alla campagna di distrazione di massa chiamata ddl Zan.

 

Ma andiamo con ordine. Abbisogniamo di fare una piccola introduzione, anzi un disclaimer vero e proprio: per ciò che rappresenta il Fedezzo proviamo profondo disgusto e riprovazione. E non stiamo parlando di questioni ideologiche, anche perché il ragazzino di idee politiche proprio non pare averne (con probabilità proprio per questo è subito acclamato da Conte e dai grillisti). No, parliamo di dettagli più tecnici, umani.

 

Non sopportiamo il suo volto bullonato, i tatuaggi che deturpano l’anatomia umana (non si capisce mai bene dove abbia il collo, ad esempio), gli accenti che hanno certi bulli para-meridionali della periferia milanese. Perfino la dentatura e lo sguardo ci fastidiano, anzi è proprio tutto che non capiamo: il ragazzo non possiede in nessun modo l’avvenenza apollinea che un tempo dovevano avere i cantanti, né, con estrema probabilità, il talento di un virtuoso di uno strumento. Né bello, né bravo. È furbo? Se leggete sotto, capirete che non ci sembra neanche quello.

 

No, è solo uno di passaggio, che ha avuto la fortuna di sposare una tizia dotata di oggettiva beltà e innegabile valore imprenditoriale – anche se potete immaginarvi cosa possiamo pensare di una ragazza che a pochi giorni dalla nascita del primogenito mostra in un post una bella foto di latte artificiale (la cui promozione, in Italia, è vietata dalla legge).

Non sopportiamo il suo volto bullonato, i tatuaggi che deturpano l’anatomia umana (non si capisce mai bene dove abbia il collo, ad esempio), gli accenti che hanno certi bulli para-meridionali della periferia milanese

 

Della musica del Fedezzo non possiamo dire nulla, perché, sul serio, siamo riusciti a preservarci: nemmeno una nota, una sola, è stata da noi udita, perché crediamo di aver capito che faccia rap, cioè la musica dei criminale afroamericani, e copiare in Lombardia o in Lazio il folclore dei narcotrafficanti neri di Baltimora ci è sempre sembrato, nei decenni, il grado zero della creatività umana, qualcosa che andrebbe perseguito dalla legge.

 

Invece, rap, hi hop, trap e via spacciando sono generi orrendi che, come ha detto qualcuno, mettono in pericolo la stessa Civiltà: se il ragazzo nero vuole essere come Tupac o Jay-Z e non come Condoleeza Rice, non può che produrre un imbarbarimento della sua società, con effetti devastanti in termini di omicidi e crimini vari.

 

Il crollo dei valori morali di un popolo, quello afroamericano, è partito dall’esempio sbagliato dei suoi cantori dei ghetti. Figuriamoci i loro emuli dell’hinterland maranza, che razza di moralità possono portare alla Nazione.

 

Un esempio lo abbiamo visto ieri, prima della trasmissione, quando il ragazzino si è filmato mentre metteva in difficoltà i lavoratori RAI in una chiamata in cui annunciava che avrebbe attaccato la Lega Nord.

In pratica, poco prima del concerto per la festa del lavoro, il ricco e famoso, spingeva sulla graticola una serie di lavoratori della TV pubblica

 

In pratica, poco prima del concerto per la festa del lavoro, il ricco e famoso, spingeva sulla graticola una serie di lavoratori della TV pubblica (dirigenti o loro assistenti che fossero).

 

Li insultava, li mazzerava, li spingeva al silenzio. Il tutto con argomenti di stupidità belluina – sono un’artista e dico quello che voglio – l’idea infantile di qualcuno che non ha idea di cosa sia la responsabilità un editore nazionale: e gli scandali, e le querele, e la mossa falsa che ti fa l’ospite pazzo che ti distrugge l’azienda e la carriere per sempre… lui, il Fedezzo, cosa ne sa? Nulla, pure nato nella Milano dei terruncielli (quei personaggi portati avanti nei primi Ottanta da Abatantuono al cinema e nei tanti teatri di cabaret: arte sublime che sta ad anni luce dalle musichette automatiche del Ferragno), egli ha dimenticato cosa è la vita fuori dal proprio privilegio.

 

E giù, a urlare al telefono, a favore di videoclip da dare in pasto ai social, frasi deliranti contro i malcapitati: chiede loro se hanno verificato se quanto intende dire è falso (!?) e sostiene che non essendoci bestemmie (perché dovrebbero esserci?!?) non dovrebbero in alcun modo doverlo censurare. Dice che si vergogna per loro: ma siccome poi lo fa lo stesso, non capiamo perché debba arrabbiarsi, se non per indicare al ludibrio nazionale chi sta dall’altra parte del telefono e la RAI tutta (cioè, il piatto dove sta mangiando).

 

Sentire questo personaggio berciare a vuoto di «diritti civili» nel momento che tutti i nostri diritti costituzionali sono finiti giù per lo scarico, ci pone in uno stato di disperazione

Sentire questo personaggio berciare a vuoto di «diritti civili» nel momento che tutti i nostri diritti costituzionali sono finiti giù per lo scarico, ci pone in uno stato di disperazione. Davvero, la bassezza del ragionamento, la pochezza dell’esperienza professionale e della vita in generale, la cieca volontà di delazione (che sappiamo essere divenuta una virtù) ci lasciano basiti: anche perché tutta la politica penta-piddina e i loro scribi e influencer, da Mentana a Conte, hanno preso le difesa del divo che urla contro i lavoratori RAI.

 

Nessuno che si sia interrogato sul fatto che il video di maltrattamenti (stile reality alla Master chef, ci viene da dire) potrebbe essere stato solo una trovata per il semplice motivo che se vuoi davvero lanciarti in una cosa scandalosa al concerto sindacale del 1° maggio lo fai e basta. Ci sono esempi continui, come quello che ricorse alla blasfemia contro la Santa Eucarestia sostituendola con un preservativo (invece che di lavoro, da anni al mega-rave sindacale si parla di peni).

 

E poi c’è il modello supremo: Elio e le Storie Tese che nel 1991  improvvisano un pezzo lunghissimo che attacca l’intero arco della corruzione italiana facendo nomi e cognomi, compreso quello dei direttore della RAI Enrico Manca.

 

Lo ricordate? Il povero Vincenzo Mollica rimase lì con il cerino in mano.

Lo scandalo doveva essere, letteralmente, telefonato. Ci sono cascati tutti. Pazienza, a noi del resto di quel che accade in TV non importa davvero nulla: chi guarda Fedezzo crede ai TG e indossa la mascherina mentre guida in auto da solo. Non è il nostro pubblico, e ogni giorno che passa lo reputiamo sempre meno redimibile

 


No, lo scandalo doveva essere, letteralmente, telefonato. Ci sono cascati tutti. Pazienza, a noi del resto di quel che accade in TV non importa davvero nulla: chi guarda Fedezzo crede ai TG e indossa la mascherina mentre guida in auto da solo. Non è il nostro pubblico, e ogni giorno che passa lo reputiamo sempre meno redimibile.

 

Poi però è arrivata la parte di cui volevamo scrivervi: quella in cui il ragazzino ne ha davvero detta una giusta, anzi giustissima.

 

Sorvoliamo sui retroscena: ad esempio, la storia per cui il tizio sta lanciando una linea di smalto per trans (ma perché dovrebbero volere uno smalto diverso da quello delle donne? Non è che questo non abbia capito davvero una mazza del transessualismo? Mah)

Sorvoliamo sui retroscena: ad esempio, la storia per cui il tizio sta lanciando una linea di smalto per trans (ma perché dovrebbero volere uno smalto diverso da quello delle donne? Non è che questo non abbia capito davvero una mazza del transessualismo? Mah).

 

Sorvoliamo sulla presa di coscienza, che non sappiamo come le menti (?) progressiste abbiano esorcizzato da sé, che invece che parlare di lavoro si parli di omosessuali, e pure l’idea – che non capiamo come tollerabile per gli LGBT – che a difendere la categoria sia un etero che forse sotto i tatuaggi e bianco e viene pure da un mondo musicale, quello della musica dei neri americani, che in passato si è distinto per gravi e conclamate forme di omofobia.

 

Lo stesso problema di coscienza lo devono aver sentito i gay che a Milano guidano la moda. Sl contrario di quanto si possa pensare, essi, per lo meno quelli al comando e quelli sotto che vogliono prenderne il posto, sono veri tradizionalisti: l’arrivo della Ferragna, e la disruption che ha portato nella filiera (media, fotografi, sfilate, etc.) non sappiamo quanto sia loro piaciuta, e non sappiamo se piaccia il non raffinatissimo marito periferico, ora autoproclamatosi paladino dei loro diritti.

 

Sorvoliamo sui dettagli, per esempio i contenuti. Come abbiamo detto anche sopra, non è che possiamo pretendere che questo offra opere e pensieri di qualche spessore. Lui ha con probabilità degli «autori», una che gli dava mano sui social fu doxata dai giornali e da Dagospia.

 

Neanche loro sono esattamente sul pezzo: l’idea di fare Fedezzo vs. Salvini, nel momento il film del momento è Godzilla v. Kong, non era malaccio e stava funzionando (anche se l’ha già usata Saviano, e non è andata benissimo): loro però, invece che preparare un dossierino sul Capitano (i materiali glieli avrebbero portati volentieri anche certi partiti)  tirano fuori le parole di un candidato ad un consiglio comunale in Emilia. Dire «pretestuoso» è davvero un eufemismo.

 

Occasione sprecata. Va così, non potete farci niente.

«L’antibortista, però, non si è accorto che il Vaticano ha investito più di 20 milioni di euro in un’azienda farmaceutica che produce la pillola del giorno dopo. Quindi, cari anti-abortisti, caro Pillon, avete perso troppo tempo a cercare il nemico fuori e non vi siete accorti che il nemico ce l’avevate in casa. Che brutta storia»

 

Poi il colpo di scena per il piccolo mondo catto-antico. Il «musicista» cita a sorpresa un personaggio minoritario del circuito pro-life – forse gli autori si sono convinti che l’opposizione al dl Zan sia tutta lì, tra questo e Pillon, onorevole leghista sorridente bersaglio del mondo gay (un altro onorevole che con le sue manovre, a nostro giudizio, ha fatto più danno che altro).

 

Tuttavia, nonostante la bassezza di contenuto visibile anche qui, è a questo punto che il Fedezzo inanella una verità sacrosanta:

 

«L’antibortista, però, non si è accorto che il Vaticano ha investito più di 20 milioni di euro in un’azienda farmaceutica che produce la pillola del giorno dopo. Quindi, cari anti-abortisti, caro Pillon, avete perso troppo tempo a cercare il nemico fuori e non vi siete accorti che il nemico ce l’avevate in casa. Che brutta storia».

 

Mamma mia quanta verità tutta in un colpo.

 

Renovatio 21 lo aveva scritto qualche giorno fa. Report lo aveva rivelato ad inizio settimana: sì, il Vaticano finanziava farmaceutiche che producono pillole della morte, farmaci che i documenti stessi della Chiesa ritengono non contraccettivi ma abortivi – quindi non solo intrinsecamente sbagliati ma anche assassini stragisti.

Signore e signori cattolici e pro-life, è proprio così: il nemico ce lo avete in casa.

 

Abbiamo aggiunto: la Conferenza Episcopale tedesca possedeva il 100% di un editore di libri erotici. E altri fondi del Vaticano hanno finanziato il film biografico sulle prodezze dell’omosessuale affitta-uteri Elton John, oltre che le aziende di quell’esempio di virtù cattolica che è l’ebreo Lapo Elkhan.

 

Ecco, a saperlo, avremo portato noi al Fedezzo, anzi ai suoi sperduti «autori», tutto questo materiale, e anche oltre.

 

Perché, signore e signori cattolici e pro-life, è proprio così: il nemico ce lo avete in casa.

Il nemico vaticano, che dite di voler servire, in realtà da anni serve il dio dei massacri e della perversione

 

Il nemico vaticano, che dite di voler servire, in realtà da anni serve il dio dei massacri e della perversione – perché, oltre agli scandali finanziari e farmaceutici, ci sono quelli sessuali che sono pronti ad eruttare in ogni momento, magari coinvolgendo anche il vertice, come il caso rivoltante della Casita de Dios, accaduto nell’Argentina di Bergoglio.

 

Il nemico vaticano vi sta usando, cari pro-life, anche in questa partitella con il mondo moderno: vuole l’accordo, il compromesso, e bisogna che il dissenso cattolici ingenui o genuini (quello che dopo una vita a seguire il catechismo non può credere che una cosa del genere possa succedere) venga messo dentro un recinto allettante, di modo che il manovratore possa stipulare i suoi accordi senza la pressione di questo orpello inutile che è il popolo – quello strano ente per il quale il fondatore della Chiesa sacrificò la sua vita umana.

 

Se non lo avete capito: CEI e Sacro Palazzo vogliono solo arrivare ad emendamento, quello per il quale sarà concesso di leggere ancora San Paolo in chiesa, magari in versione edulcorata, magari omettendo il Deuteronomio e anche la Genesi (c’è quella cosa di Sodoma…). Un compromesso, e poi via, si riparte.

Il nemico vaticano vi sta usando, cari pro-life, anche in questa partitella con il mondo moderno: vuole l’accordo, il compromesso

 

La faccenda è persino più triste di così: non solo, a differenza del Fedezzo, non vi rendete conto che la gerarchia vi ha già venduti, ma siete così sciocchi da non vedere che, as usual, quella dei diritti omosessuali è solo una mascherata, un diversivo, un’arma di distrazione di massa: vi tengono inchiodati a battervi il petto in questa cosa stupida che si chiama identità («io sono cattolico!» «io sono di destra!» «io sono per la famiglia!») mentre, sotto il naso, stanno ricombinando il DNA delle vostre cellule.

 

Sbraitate contro Fedezzo per  la «libertà di parola», la «libertà di educazione», quando da sotto gli occhi vi hanno tolto la libertà di lavorare, muovervi, associarvi, parlare, mangiare, perfino respirare.

Sbraitate contro Fedezzo per  la «libertà di parola», la «libertà di educazione», quando da sotto gli occhi vi hanno tolto la libertà di lavorare, muovervi, associarvi, parlare, mangiare, perfino respirare

 

Parlate di «libertà di espressione» quando vi hanno tolto la libertà perfino dentro al nucleo delle vostre cellule, dove per legge ora sarà iniettato mRNA alieno.

 

Il saggio indica la Luna, l’idiota guarda il dito, dice il proverbio cinese. Ebbene, state tutti guardando il dito, e lo capiamo pure perché ci hanno messo a puntarlo dei neon identitari irresistibili, cartelloni con personaggi improbabili, perfino il concertazzo sindacale dei lavoratori divenuto trans-comizio tamarrissimo.

 

E continuate pure a rimirarlo, questo dito. Mica vi vogliamo impedire l’intrattenimento, per povero che sia.

 

Parlate di «libertà di espressione» quando vi hanno tolto la libertà perfino dentro al nucleo delle vostre cellule, dove per legge ora sarà iniettato mRNA alieno

Solo poi non lamentatevi se riesce a prendervi per il culo perfino uno come il Fedezzo.

 

«Avete perso troppo tempo a cercare il nemico fuori e non vi siete accorti che il nemico ce l’avevate in casa. Che brutta storia». Tutto vero.

 

Il Fedezzo ci ha ragione!

 

 

 

 

 

 

 

Immagine di Greta via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

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Lucerna annulla il concerto della Netrebko, Berlino la invita a cantare

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Il concerto in Svizzera della cantante lirica russa Anna Jur’evna Netrebko, previsto per il 1° giugno, è stato annullato su richiesta delle autorità locali, hanno riferito ai media i rappresentanti della sala da concerto della città di Lucerna.

 

In una dichiarazione al quotidiano Luzerner Zeitung, la direzione del KKL (Kultur und Kongresszentrum Luzern) ha spiegato che «la percezione pubblica del solista resta controversa», riferendosi alle accuse secondo cui Netrebko rimane vicino al presidente russo Vladimir Putin, avendo rifiutato di prendere le distanze da lui dopo l’avvio del conflitto in Ucraina.

 

La sede del KKL ha inoltre affermato che la vicinanza del concerto alla data e al luogo della prossima Conferenza di pace in Ucraina, prevista per il 15 giugno al Burgenstock, nella città di Nidvaldo, avrebbe causato «una minaccia all’ordine pubblico», secondo quanto affermato da un politico lucernese, riporta EIRN. Ci sarebbero stati «almeno un migliaio» di manifestanti all’esibizione di Netrebko.

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Anche il consigliere comunale di Lucerna, Armin Hartmann, ha dichiarato ai media che l’ufficio del sindaco ha chiesto esplicitamente al KKL di annullare l’esibizione di Netrebko, affermando che «non riteniamo appropriato che un artista russo presumibilmente fedele al regime si esibisca a Lucerna».

 

Il sindaco Beat Zusli ha anche affermato che «un artista che ha preso le distanze dalla guerra ma non ha mai rinunciato al regime russo, non dovrebbe apparire in città», per non causare «danni alla reputazione» della regione.

 

In risposta, gli uffici della Netrebko ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna l’annullamento unilaterale della sua esibizione «contrariamente agli obblighi contrattuali» degli organizzatori e sottolinea che la conferenza di pace in Ucraina si terrà due settimane dopo il concerto previsto.

 

I rappresentanti della cantante hanno sottolineato che «nessuna delle quasi 100 esibizioni di Anna Netrebko dal marzo 2022 ha portato a un disturbo dell’ordine pubblico».

 

Il management della cantante ha anche sottolineato che, dopo lo scoppio del conflitto ucraino nel 2022, Netrebko si è espressa pubblicamente contro i combattimenti e ha chiesto la pace in Ucraina. Da allora non è più tornata in Russia, poiché vive in Austria dal 2006.

 

La questione Netrebko ha portato giovedì anche il ministero degli Esteri ucraino a denunciare la decisione dell’Opera di Stato di Berlino di riportare indietro il soprano russo di fama mondiale, una grande artista che era stata precedentemente «cancellata» per essersi rifiutata di denunciare il suo Paese.

 

«La voce dell’Ucraina in Germania dovrebbe essere ascoltata più forte del soprano Anna Netrebko», ha affermato il ministero di Kiev in un post su Facebook, rivelando che il regime ucraino aveva compiuto sforzi per impedire alla cantante russa di esibirsi a Berlino, ma i suoi sforzi «non hanno avuto la risposta adeguata».

 

La Netrebko prenderà parte alla première di venerdì del Macbeth. L’Ucraina intende protestare contro la sua presenza inviando l’ambasciatore Oleksiy Makeev alla mostra anti-russa allestita accanto al teatro dell’opera, accompagnato dal senatore per la cultura di Berlino Joseph Chialo, ha detto il ministero. Makeev ha anche pubblicato un editoriale in cui denuncia Netrebko in diversi organi di stampa tedeschi.

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La Staatsoper Unter den Linden, come viene ufficialmente chiamata l’opera berlinese, ha annunciato alla fine di agosto che intende riprendere la collaborazione con la Netrebko, adducendo che non si è esibita in Russia di recente.

 

Come riportato da Renovatio 21, la battaglia dell’Ucraina contro la Netrebko in Germania è risalente, e non si tratta della sola Germania: lo scorso settembre era emerso che pure le autorità ceche, sotto pressione, hanno annullato l’esibizione programmata di Netrebko a Praga il mese scorso.

 

La musica classica – settore di eccellenza di tanti artisti russi, dall’opera al balletto e oltre – è sempre più teatro della guerra della russofobia, con le pretese allucinanti del regime di Kiev spesso assecondate dai Paesi occidentali, nonché episodi al limite del tollerabile come quello della nona di Beethoven, cioè L’Inno alla gioia, dove viene ora inserita la parola «Slava», che ricorda ovviamente da vicino lo slogan banderista, cioè neonazista, «Slava Ukraini».

 

Come riportato da Renovatio 21, la furia russofoba era tracimata anche in Italia, facendo saltare in provincia di Vicenza il balletto Il lago dei cigni di Tchaikovskij, compositore che ha la colpa di essere russo.

 

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Immagine di Manfred Werner via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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La nona di Beethoven trasformata nel canto banderista «Slava Ukraini»

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La direttrice Keri-Lynn Wilson, moglie del direttore generale del Metropolitan Opera di Nuova York Peter Gelb, ha annunciato che la sua «Ukrainian Freedom Orchestra» eseguirà la famosa nona sinfonia di Beethoven, quella ispirata all’ode Inno alla gioia (An die Freude) del drammaturgo tedesco Friedrich Schiller. Lo riporta EIRN.   Tuttavia, secondo quanto si apprende, la Wilson starebbe sostituendo la parola «Freude» nel testo con «Slava». «Slava ukraini» o «Gloria all’Ucraina» era il famigerato canto delle coorti ucraine di Hitler guidate dal collaborazionista Stepan Bandera durante la Seconda Guerra Mondiale. Da allora è stato conservato come canto di segnalazione dalle successive generazioni di seguaci di Bandera, i cosiddetti «nazionalisti integrali», chiamati più semplicemente da alcuni neonazisti ucraini o ucronazisti.   A causa di quanto accaduto nella prima metà del secolo, in Germania non si può cantare «Heil!» in tedesco senza invocare «Heil Hitler!», né si può dichiarare ad alta voce «Slava!» in Ucraina senza invocare lo «Slava Ukraini» canto dei sanguinari collaboratori locali del Terzo Reich, in particolare il Bandera.   La Wilson, che si vanta delle sue origini ucraine via nonna materna e della sua comunità ucraina di Winnipeg, Canada (Paese, come è emerso scandalosamente con il caso Trudeau-Zelens’kyj, pieno di rifugiati ucronazisti), ha rilasciato ieri il suo comunicato stampa.

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«La decisione di cantare il grande testo di Schiller per la Nona Sinfonia di Beethoven in ucraino è stata per noi un’importante dichiarazione artistica e culturale più ampia» ha dichiarato il direttore. «Putin sta letteralmente cercando di mettere a tacere una nazione. Non saremo messi a tacere. Il nostro unico emendamento a Schiller è che invece di cantare “Freude” (Gioia) canteremo “Slava” (Gloria), dal grido della resistenza ucraina di fronte alla spietata aggressione russa, Slava Ukraini! (Gloria all’Ucraina!)».   Notiamo l’interessante inversione in corso presso la sinistra e l’establishment: la «resistenza», oggi, la fanno i nazisti…       «Mentre l’Ucraina continua la sua lotta a nome del mondo libero, ha bisogno più che mai del nostro sostegno e porteremo con orgoglio il nostro messaggio in tutta Europa e negli Stati Uniti» ha continuato la Wilsona, che ha eseguito per la prima volta la sua versione banderizzata di Beethoven il 9 nel dicembre 2022 a Leopoli con la sua Ukraine Freedom Orchestra.   Nel 2023, l’importante casa discografica della classica Deutsche Grammophon ha registrato l’esecuzione del suo primo tour europeo a Varsavia, e quest’anno vi sarà la pubblicazione, proprio nel bicentenario dell’opera di Beethoven. Vi sarà quindi una tournée quest’estate che toccherà Parigi, Varsavia, Londra, Nuova York e Washington.   Secondo quanto riporta EIRN, «si dice inoltre che il prossimo progetto della Wilson coinvolga la sostituzione della parola “agape”» (cioè, in greco, amore disinteressato, infinito, universale), termine contenuto nella lettera di San Paolo ai Corinzi (capitolo 13), «con «agon» o «eris» (cioè, contesa, lotta, conflitto)».   Se fosse vero, sarebbe un altro tassello del quadro che si sta dipanando dinanzi ai nostri occhi. Dalla gioia alla guerra. Da Cristo a Nietzsche.   Va così, perfino nella musica classica.

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La Russia di Alessandro I e la disfatta di Napoleone, una lezione attuale

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Renovatio 21 ripubblica questo articolo comparso su Ricognizioni.

 

Ideatore della società filosofico-religiosa nella città di San Pietroburgo e della rivista «Novyj Put» (che tradotto significa «La via nuova»), padre riconosciuto del Simbolismo russo, Dmitrij Sergeevic Merežkovskij è stato uno dei più interessanti scrittori russi della prima metà del ‘900. Esule a Parigi dopo la Rivoluzione d’Ottobre, dove visse e morì nel 1941, spirito profondamente religioso passato anche per la massoneria durante il periodo zarista, viene finalmente tradotto e pubblicato in Italia dall’editore Iduna.

 

Lo Zar Alessandro I (pagine 450, euro 25) è un’avvincente biografia in forma di romanzo dello Zar che sfidò Napoleone, una figura leggendaria e romantica, uno dei più affascinanti personaggi della dinastia dei Romanov.

 

Il libro è stato curato da Paolo Mathlouthi, studioso di cultura identitaria, che per le case editrici Oaks, Iduna, Bietti ha curato già diversi volumi in cui ha indagato il complesso rapporto tra letteratura e ideologia lungo gli accidentati percorsi del Novecento, attraverso una serie di caustici ritratti dedicati alle intelligenze scomode del Secolo Breve. Ricognizioni lo ha intervistato.

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Paolo Mathlouthi, lei ha definito questo romanzo un’opera germogliata dalla fantasia titanica ed immaginifica di Merežkovskij. Cosa significa?

In una celeberrima intervista rilasciata nel 1977 ad Alberto Arbasino che, per spirito di contraddizione, lo incalzava sul tema del realismo, ipnotico mantra di quella che allora si chiamava cultura militante, Jorge Luis Borges rispondeva lapidario che la letteratura o è fantastica oppure, semplicemente, non è. «Il realismo – precisava – è solo un episodio. Nessuno scrittore ha mai sognato di essere un proprio contemporaneo. La letteratura ha avuto origine con la cosmogonia, con la mitologia, con i racconti di Dèi e di mostri».

 

La scellerata idea, oggi tanto in voga, che la scrittura serva a monitorare la realtà, con le sue contraddizioni e i suoi rivolgimenti effimeri è una stortura, una demonia connaturata al mondo moderno. Merezkovskij si muove nello stesso orizzonte culturale e simbolico tracciato da Borges. Sa che è la Musa a dischiudere il terzo occhio del Poeta e ad alimentare il sacro fuoco dell’ispirazione. Scrivere è per lui una pratica umana che ha una strettissima correlazione con il divino, è il riverbero dell’infinito sul finito come avrebbe detto Kant, il solo modo concesso ai mortali per intravedere Dio.

 

Erigere cattedrali di luce per illuminare l’oscurità, spargere dei draghi il seme, «gettare le proprie arcate oltre il mondo dei sogni» secondo l’ammonimento di Ernst Junger: questo sembra essere il compito gravido di presagi che lo scrittore russo intende assegnare al periglioso esercizio della scrittura. Opporre alle umbratili illusioni del divenire la granitica perennità dell’archetipo, attingere alle radici del Mito per far sì che l’Eterno Ritorno possa compiersi di nuovo, a dispetto del tempo e delle sue forme cangianti.

 

Merezkovskij si è formato nell’ambito della religiosità ascetica e manichea propria della setta ortodossa dei cosiddetti Vecchi Credenti, la stessa alla quale appartiene Aleksandr Dugin. Una spiritualità, la sua, fortemente condizionata dal tema dell’atavico scontro tra la Luce e le Tenebre. Quello descritto da Merezkovskij nei suoi romanzi è un universo organico, un mosaico vivente alimentato da una legge deterministica che, come un respiro, tende alla circolarità. Un anelito alla perfezione, riletto in chiave millenaristica, destinato tuttavia a rimanere inappagato poiché la vita, nella sua componente biologica calata nel divenire, è schiava di un rigido dualismo manicheo non passibile di risoluzione.

 

L’esistenza, per Merezkovskij, è dominata dalla polarità, dal conflitto inestinguibile tra due verità sempre equivalenti e tuttavia contrarie: quella celeste e quella terrena, ovvero la verità dello spirito e quella della carne, Cristo e l’Anticristo. La prima si manifesta come eterno slancio a elevarsi verso Dio rinunciando a se stessi, la seconda, al contrario, è un impulso irrefrenabile in senso inverso teso all’affermazione parossistica del propria volontà individuale.

 

Queste due forze cosmiche, dalla cui costante interazione scaturisce il corretto ordine delle cose, sono in lotta tra loro senza che mai l’una possa prevalere sull’altra.

 

Cielo e terra, vita e morte, libertà e ordine, Dio e Lucifero, l’uomo e le antinomie della Storia, l’Apocalisse e la funzione salvifica della Russia: come in uno scrigno, ecco racchiusi tutti i motivi fondanti del Simbolismo russo, gli stessi che il lettore non avrà difficoltà a rintracciare nella vita dell’illustre protagonista di questa biografia.

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Chi era veramente Alessandro I?

La formazione liberale ricevuta in gioventù dal precettore ginevrino Frédéric Cesar Laharpe, messogli accanto dalla nonna Caterina II perché lo istruisca sull’uso di mondo, diffonde tra i membri della corte, sempre propensi alla cospiratoria maldicenza, la convinzione che Alessandro sia un debole, troppo innamorato di Voltaire e Rousseau per potersi occupare dell’Impero con il necessario pugno di ferro.

 

Mai giudizio è stato più malriposto. Se la Russia non è crollata sotto l’urto della Grande Armée lo si deve innanzitutto alle insospettabili attitudini al comando rivelate dallo Zar di fronte al pericolo incombente. I suoi dignitari hanno in tutta evidenza sottovaluto la lezione di cui Alessandro I ha fatto tesoro durante gli anni trascorsi nella tenuta di Gatcina dove il padre Paolo I, inviso alla Zarina che lo tiene lontano dagli affari di governo, impone al figlio una rigida educazione di tipo prussiano: la vita di caserma con i suoi rigori e le sue privazioni, le marce forzate e la pratica delle armi fortificano il principe nel corpo e gli offrono l’opportunità di riflettere sulla reale natura del ruolo che la Provvidenza lo ha chiamato a ricoprire.

 

Matura in lui, lentamente ma inesorabilmente, la consapevolezza che le funamboliche astrazioni dei filosofi illuministi sono argomenti da salotto, utilissimi per intrattenere con arguzia le dame ma assai poco attinenti all’esercizio del potere e alle prerogative della maestà. La Svizzera e l’Inghilterra sono lontanissime da Carskoe Selo e per fronteggiare la minaccia rappresentata da Napoleone e impedire che l’Impero si frantumi in mille pezzi, allora come oggi alla Russia non serve un Marco Aurelio, ma un Diocleziano.

 

Dopo la vittoria a Bordino contro le truppe di Napoleone, non ebbe indugi nel dare alle fiamme Mosca, la città sacra dell’Ortodossia sede del Patriarcato, la Terza Roma erede diretta di Bisanzio dove gli Zar ricevono da tempo immemorabile la loro solenne investitura, pur di tagliare i rifornimenti all’ odiato avversario e consegnarlo così all’ inesorabile stretta del generale inverno. Un gesto impressionante…

 

Senza dubbio. Merezkovsij fa propria una visione della vita degli uomini e dei loro modi (Spengler avrebbe parlato più propriamente di «morfologia della Civiltà») segnata in maniera indelebile dall’idea della predestinazione. Un amor fati che si traduce giocoforza in un titanismo eroico tale per cui spetta solo alle grandi individualità il compito di «portare la croce» testimoniando, con il proprio operato, il compimento nel tempo del disegno escatologico in cui si estrinseca la Teodicea.

 

Per lo scrittore russo lo Zar è il Demiurgo, appartiene, come l’Imperatore Giuliano protagonista di un’altra sua biografia, alla stirpe degli Dèi terreni, che operano nel mondo avendo l’Eternità come orizzonte. Nella weltanschauung elaborata da Merezkovskij solo ai santi e agli eroi è concesso il gravoso privilegio di essere l’essenza di memorie future: aut Caesar, aut nihil, come avrebbe detto il Borgia. Ai giganti si confanno gesti impressionanti.

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Lei ha visto una similitudine tra l’aggressione napoleonica alla Russia di Alessandro a quanto sta avvenendo oggi…

Lo scrittore francese Sylvain Tesson, in quel bellissimo diario sulle orme del còrso in ritirata che è Beresina. In sidecar con Napoleone (edito in Italia da Sellerio) ha scritto che «davanti ai palazzi in fiamme e al cielo color sangue Napoleone comprese di aver sottovalutato la furia sacrificale dei Russi, l’irriducibile oltranzismo degli slavi». Questa frase lapidaria suona oggi alle nostre orecchie quasi come una profezia.

 

Quando l’urgenza del momento lo richiede, il loro fatalismo arcaico, l’innato senso del tragico, la capacità di immolare tutte le proprie forze nel rogo dell’istante, senza alcuna preoccupazione per ciò che accadrà, rendono i Russi impermeabili a qualunque privazione, una muraglia umana anonima e invalicabile, la stessa contro la quale, un secolo e mezzo più tardi, anche Adolf Hitler, giunto alle porte di Stalingrado, avrebbe visto infrangersi le proprie mire espansionistiche. Identico tipo umano, stesso nemico, medesimo risultato. Una duplice lezione della quale, come testimoniano le cronache belliche di questi mesi, i moderni epigoni di Napoleone, ormai ridotti sulla difensiva e prossimi alla disfatta nonostante l’impressionante mole di uomini e mezzi impiegata, non sembrano aver fatto tesoro.

 

«Ogni passo che il nemico compie verso la Russia lo avvicina maggiormente all’Abisso. Mosca rinascerà dalle sue ceneri e il sentimento della vendetta sarà la fonte della nostra gloria e della nostra grandezza». Sono parole impressionanti quelle di Merežkovskij.

 

A voler essere pignoli questa frase non è stata pronunciata da Merezkovskij, ma da Alessandro I in persona, a colloquio con il Generale Kutuzov poco prima del rogo fatale. Dostoevskij ci ricorda che «il cuore dell’anima russa è intessuto di tenebra». Quanto più intensa è la luce, tanto più lugubri sono le ombre che essa proietta sul muro. Ai nemici della Russia consiglio caldamente di rileggere queste parole ogni sera prima di coricarsi…

 

A quali scrittori si sentirebbe di accostare Merežkovskij?

L’editoria di casa nostra, non perdonando allo scrittore russo il fatto di aver salutato con favore, negli anni del suo esilio parigino, il passaggio delle divisioni della Wehrmacht lungo gli Champs Elysées, ha riservato alle sue opere una posizione marginale, ma in Russia Merezkovskij è considerato un nume tutelare, che campeggia nel pantheon del genio nazionale accanto a Tolstoj e al mai sufficientemente citato Dostoevskij che a lui sono legati, come i lettori avranno modo di scoprire, da profonda, intima consanguineità.

 

Paolo Gulisano

 

Articolo previamente apparso su Ricognizioni.

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Immagine: Adolph Northen, La ritirata di Napoleone da Mosca (1851)

Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia

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