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Facebook consente ai cartelli di pubblicizzare il traffico di esseri umani: parla l’ex direttore dell’Intelligence americana

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Un ex capo dell’Intelligence statunitense ha avvertito che Facebook sta consentendo ai cartelli di pubblicizzare i propri servizi di contrabbando di immigrati clandestini oltre confine.

 

«Ho appreso in Guatemala che i coyote fanno apertamente pubblicità su @facebook – 3 cercano di arrivare negli Stati Uniti per 10k dollari» ha scritto su Twitter Richard Grenell, che in precedenza era direttore ad interim dell’intelligence nazionale degli Stati Uniti sotto il presidente Trump. «A Biden e Zuckerberg non importa», ha aggiunto Grenell.

 

Il Grenell era in visita al presidente del Guatemala, Alejandro Giammattei, per discutere su come «arginare il flusso di immigrati clandestini negli Stati Uniti».

 

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Alcuni utenti in rete hanno detto di non crederci fino a che non vedranno gli screenshot.

 

Grenell ha anche accusato il Dipartimento di Stato di Biden di lavorare per «intimidire i guatemaltechi dal criticare le politiche di sinistra». «Non è americano e potrebbe essere illegale», ha esortato Grenell, chiedendo un’indagine:

 

La storia arriva sulla scia dell’accusa di Elon Musk secondo cui Zuckerberg avrebbe finanziato «furgoni elettorali illegali» durante le elezioni del 2020:

 

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Come riportato da Renovatio 21, secondo un’indagine di due anni fa fatta dal Wall Street Journal, i narcos userebbero impunemente i social per il reclutamento. Secondo il quotidiano, «un cartello della droga messicano stava usando Facebook per reclutare, addestrare e pagare sicari… l’azienda non ha impedito al cartello di pubblicare su Facebook o Instagram».

 

Secondo il «Federal Human Trafficking Report» («rapporto federale sulla tratta di esseri umani») del 2020 redatto dall’Istituto sulla tratta di esseri umani collega le piattaforme di social media – la più importante delle quali è Facebook – al reclutamento online nei casi di traffico sessuale attivo.

 

Il rapporto utilizzava i dati di ogni caso criminale e civile di tratta di esseri umani, rivelando che il 30% di tutte le vittime identificate nei casi federali di traffico sessuale a partire dal 2000 sono state adescate online. Nel 2020, il 59% di questi è avvenuto proprio su Facebook. Anche il 65% delle vittime di traffico sessuale di minori identificate e reclutate sui social media è da attribuire a Facebook.

 

I bambini rappresentano il 53% delle vittime nel 2020, afferma il rapporto, e una «grande maggioranza» di loro sono di sesso femminile.

 

Facebook aveva dichiarato in risposta alla CBS che «il traffico sessuale e lo sfruttamento dei bambini sono ripugnanti e non li permettiamo su Facebook (…) abbiamo politiche e tecnologie per prevenire questo tipo di abusi e rimuovere qualsiasi contenuto che vìoli le nostre regole. Collaboriamo anche con gruppi di sicurezza, organizzazioni anti-tratta e altre società tecnologiche per affrontare questo problema e segnaliamo tutti i casi apparenti di sfruttamento sessuale dei minori al Centro nazionale per i bambini scomparsi e sfruttati»».

 

Come riportato da Renovatio 21, nemmeno due anni dopo vari scoop dei giornali hanno attestato la persistente presenza di pedofili sulle piattaforme Meta, con articoli del Wall Street Journal che hanno sostenuto che gli algoritmi in uso consentono ai molestatori di bambini di sfruttare i siti e connettersi fra loro.

 

Il senatore americano Hawley è arrivato a dire durante un’udienza che pare che i social di Zuckerberg abbiano censurato i conservatori mentre hanno ignorato le reti pedofile.

 

Nelle scorse ore è emersa la notizia che dopo 12 anni Sheryl Sandberg, considerata il braccio destro di Marco Zuckerberg, ha lasciato il CDA di Meta. In passato aveva dichiarato che una volta dimessasi si sarebbe concentrata sulla promozione dell’aborto nel mondo.

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Immagine di Solen Feyissa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

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L’UE attacca le piattaforme che si rifiutano di censurare la libertà di parola: il fondatore di Telegram

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L’Unione Europea sta ingiustamente prendendo di mira le piattaforme social che tollerano discorsi dissidenti o critici, ha dichiarato Pavel Durov, fondatore di Telegram.   La sua affermazione è arrivata in risposta a un post del 2024 di Elon Musk, proprietario di X, che accusava la Commissione Europea di aver proposto alla piattaforma un patto segreto per eludere sanzioni in cambio della censura di certi contenuti. Il giorno precedente, l’UE aveva inflitto a X una multa da 120 milioni di euro (circa 140 milioni di dollari).   Durov ha spiegato che Bruxelles sta applicando alle società tech norme severe e impraticabili proprio per colpire quelle che rifiutano di praticare una moderazione occulta dei contenuti.   «L’UE impone regole impossibili per poter punire le aziende tecnologiche che si oppongono a una censura silenziosa della libertà di espressione», ha postato Durov sabato su X.   Il Pavel ha inoltre richiamato la sua detenzione in Francia dell’anno scorso, che ha descritto come motivata da ragioni politiche. Secondo lui, in quel frangente il capo dei servizi segreti francesi gli avrebbe chiesto di «bannare le voci conservatrici in Romania» in vista delle elezioni – un’ipotesi smentita dalle autorità transalpine. Durov ha aggiunto che gli agenti di Intelligence gli avrebbero offerto assistenza in cambio della rimozione discreta dei canali legati alle elezioni in Romania.

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Queste stesse accuse sono state ribadite nel suo intervento recente, in cui ha qualificato l’inchiesta come «un’indagine penale priva di fondamento», seguita da tentativi di pressione per limitare la libertà di parola in Romania e Moldavia.   Più tardi, sempre sabato, Durov ha aggiunto: «L’UE prende di mira esclusivamente le piattaforme che ospitano discorsi scomodi o dissenzienti (Telegram, X, TikTok…). Le piattaforme che, tramite algoritmi, mettono a tacere le persone rimangono sostanzialmente intatte, nonostante problemi ben più gravi di contenuti illegali».   L’anno scorso, Elon Musk aveva rivelato che la Commissione Europea aveva proposto a X «un accordo segreto illegale» per censurare i contenuti in modo discreto. «Se avessimo censurato silenziosamente i contenuti senza dirlo a nessuno, non ci avrebbero multato. Le altre piattaforme hanno accettato quell’accordo. X no», aveva scritto.   Venerdì, il portavoce della Commissione Europea Tom Rainier ha precisato che la sanzione a X ammontava a 120 milioni di euro per violazioni del Digital Services Act, sottolineando che non aveva legami con la censura e che si trattava della prima applicazione concreta della normativa. Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha aspramente criticato la decisione, definendola «un attacco a tutte le piattaforme tech americane e al popolo statunitense da parte di governi stranieri».   Tanto Durov quanto Musk hanno subito pressioni da parte dei regolatori UE in base al DSA, in vigore dal 2023. Questa legge obbliga le piattaforme a eliminare celermente i contenuti illegali, sebbene i detrattori sostengano che possa essere impiegata per reprimere opinioni legittime.

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L’UE multa X di Musk per 120 milioni di euro. Gli USA: «attacco al popolo americano»

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Gli Stati Uniti hanno accusato Bruxelles di aver «attaccato» gli americani dopo che l’Unione Europea ha inflitto alla piattaforma social X di Elon Musk una multa da 120 milioni di euro (circa 140 milioni di dollari) per violazione delle norme di moderazione dei contenuti previste dal Digital Services Act (DSA).

 

La Commissione europea ha reso nota la sanzione venerdì, precisando che si tratta della prima decisione formale di non conformità emessa in base al DSA.

 

La misura si inserisce in una più ampia offensiva regolatoria dell’UE contro i grandi colossi tecnologici statunitensi: in passato Bruxelles ha già comminato multe da diversi miliardi a Google per abuso di posizione dominante nella ricerca e nella pubblicità, ha sanzionato Apple in base al DSA e alle norme antitrust nazionali e ha penalizzato Meta per il modello pubblicitario «pay-or-consent». Queste azioni hanno ulteriormente inasprito le divergenze tra Washington e l’UE in materia di regolamentazione del digitale.

 

Secondo la Commissione, le violazioni commesse da X riguardano la progettazione ingannevole del sistema di spunta blu verificata, che «espone gli utenti a truffe», la mancanza di trasparenza nella libreria pubblicitaria e il rifiuto di fornire ai ricercatori l’accesso ai dati pubblici richiesto.

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Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha reagito duramente, scrivendo su X che la multa non rappresenta solo un attacco alla piattaforma, ma «un attacco a tutte le piattaforme tecnologiche americane e al popolo americano da parte di governi stranieri». «I giorni in cui gli americani venivano censurati online sono finiti», ha aggiunto.

 

Elon Musk ha rilanciato i commenti del commissario FCC Brendan Carr, secondo il quale l’UE prende di mira X semplicemente perché è un’azienda americana «di successo» e «l’Europa sta tassando gli americani per sovvenzionare un continente soffocato dalle sue stesse normative oppressive».

 

Anche il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance è intervenuto, sostenendo che l’UE sta punendo X «per non aver adottato misure di censura» e che gli europei dovrebbero «difendere la libertà di espressione invece di aggredire le aziende americane per questioni di poco conto».

 

L’amministrazione del presidente Donald Trump si oppone da anni alle leggi digitali europee, accusandole di essere «progettate per danneggiare la tecnologia americana» e minacciando dazi di ritorsione in risposta a tasse digitali e regolamenti sulle piattaforme.

 

Bruxelles ribatte che le proprie regole valgono allo stesso modo per tutte le imprese che operano nel mercato unico e riflettono semplicemente un approccio più severo su privacy, concorrenza e sicurezza online.

 

Le relazioni tra Washington e Bruxelles restano tese su numerosi fronti – commercio, sussidi industriali, standard ambientali e controlli tecnologici – con gli Stati Uniti che accusano l’UE di protezionismo e i leader europei che criticano le misure unilaterali americane in materia di dazi e tecnologia.

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Come riportato da Renovatio 21 il tema delle euromulte contro Musk è risalente.

 

Brusselle aveva valutato l’ipotesi di multe contro X da quando l’ex commissario alla tecnologia UE, Thierry Breton, aveva accusato la piattaforma di non aver controllato adeguatamente i contenuti illegali e di aver violato il Digital Services Act (DSA) dell’UE del 2022. La decisione se penalizzare X spetta ora alla commissaria UE per la concorrenza, Margrethe Vestager.

 

Come noto al lettore di Renovatio 21, Elone per qualche ragione è assai inviso all’oligarchia europea e a tanta politica continentale, come hanno dimostrato i discorsi del presidente italiano Sergio Mattarella, che pareva attaccare proprio Musk e le sue ambizioni sui social e nello spazio.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Google nega di aver scansionato le email e gli allegati degli utenti con il suo software AI

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Google, colosso tecnologico, nega categoricamente i resoconti diffusi all’inizio di questa settimana da vari media autorevoli, affermando che non impiega e-mail e loro allegati per addestrare il suo nuovo modello di intelligenza artificiale Gemini.   Questa settimana, testate come Fox News e Breitbart hanno pubblicato articoli che illustravano ai lettori come «bloccare l’accesso dell’IA di Google alla propria posta su Gmail».   «Google ha annunciato il 5 novembre un aggiornamento che permette a Gemini Deep Research di sfruttare il contesto di Gmail, Drive e Chat», ha riferito Fox News, «consentendo all’IA di estrarre dati da messaggi, allegati e file archiviati per supportare le ricerche degli utenti».   Il sito di informazione statunitense Breitbart ha sostenuto in modo simile che «Google ha iniziato a scandagliare in silenzio le e-mail private e gli allegati degli utenti Gmail per addestrare i suoi modelli IA, imponendo un opt-out manuale per evitare l’inclusione automatica».   Il sito ha citato un comunicato di Malwarebytes, che accusava l’azienda di aver implementato il cambiamento senza notifica agli utenti.   In risposta al clamore, Google ha emesso una smentita ufficiale. «Queste notizie sono fuorvianti: non abbiamo alterato le impostazioni di nessuno. Le funzionalità intelligenti di Gmail esistono da anni e non utilizziamo i contenuti di Gmail per addestrare Gemini. Siamo sempre trasparenti sui cambiamenti ai nostri termini di servizio e alle policy», ha dichiarato un portavoce al giornalista di ZDNET Lance Whitney.

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Malwarebytes ha in seguito rivisto il suo post sul blog, ammettendo di aver «contribuito a una tempesta perfetta di incomprensioni» e precisando che la sua affermazione «non sembra essere» corretta.   Tuttavia, il blog ha riconosciuto che Google «analizza i contenuti delle e-mail per potenziare le sue “funzionalità intelligenti”, come il rilevamento dello spam, la categorizzazione e i suggerimenti di composizione. Ma questo è parte del funzionamento ordinario di Gmail e non equivale ad addestrare i modelli IA generativi».   Questa replica di Google difficilmente placherà gli utenti preoccupati da tempo per le pratiche di sorveglianza delle Big Tech e i loro legami con le agenzie di intelligence.   «Penso che l’aspetto più allarmante sia stato il flusso costante e coordinato di comunicazioni tra FBI, Dipartimento della Sicurezza Interna e le principali aziende tech del Paese», ha testimoniato il giornalista Matt Taibbi al Congresso USA nel dicembre 2023, in un’udienza su come Twitter collaborasse con l’FBI per censurare utenti e condividere dati con il governo.   L’11 novembre, presso la Corte Distrettuale USA per il Distretto Settentrionale della California, è stata depositata una class action contro Google. La vertenza accusa l’azienda di aver violato l’Invasion of Privacy Act della California attivando in segreto Gemini AI per analizzare messaggi di Gmail, Google Chat e Google Meet nell’ottobre 2025, senza notifica o consenso esplicito degli utenti.  

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Immagine di Sundar Pichai via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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