Bizzarria
Ecco il vescovo leopardato
La rete è impazzita per le foto uscite di una messa tenuta a Ruvo di Puglia (provincia di Bari) celebrata lo scorso 4 settembre da monsignor Nicola Girasoli, nunzio apostolico in Slovacchia, che ha svolto la funzione con una casula leopardata.
Si trattava di una messa fatta in occasione dei 40 anni di sacerdozio di un parroco locale. Il vescovo di Molfetta ha concelebrato.
Le foto della messa, riporta il Corriere della Sera, sarebbero state pubblicate e poi rimosse sulla pagina Facebook della cattedrale.
#MiL Novus Horror Missae a Ruvo di Puglia: il vescovo Girasoli in pianeta leopardata, sdogana l'animalier liturgico per "San Tarzan"? ; #mtl Per leggere il post di #Messainlatino, cliccare su:https://t.co/SynTJzuZ35 pic.twitter.com/NIk24hQAWG
— MiL_MessainLatino.it (@messainlatino) September 14, 2023
I commenti della rete si sono sprecati, alcuni inviperiti, altri invece ironici: tra questi ultimi segnaliamo «della serie Crudelia Demon levati», «e il prete tigre combatte contro il male», ma anche «novus horror missae» non è male.
L’immagine del discendente degli apostoli che celebra con casula animalier spinge il collezionista di orrori postconciliari (avete presente: presbiteri vestiti da clown, messe sul materassino sul bagnasciuga, etc.) ad interrogarsi se mai si era vista una cosa del genere. Al momento, non ci pare, anche se elementi di leopardamento si erano già visti durante le visite apostoliche in Mozambico di papa Giovanni Paolo II e di papa Francesco.
Il significato della veste leopardata sarebbe stato chiarito più tardi della stessa pagina della cattedrale.
«Date le interpretazioni particolari e sui generis, si precisa che la casula indossata per la celebrazione fa parte della liturgia ufficiale dei popoli poveri africani di cui il celebrante (monsignor Girasoli, ndr) si è sempre interessato nel suo mandato pastorale ed è stata indossata per ringraziare il Signore in merito alla costruzione di una casa per i più bisognosi di quei territori».
«Ci rendiamo conto che i commenti irrispettosi sono dovuti alla non conoscenza» prosegue il messaggio «e vi preghiamo di rettificare le interpretazioni non consone».
Non ci permetteremmo mai interpretazioni non consone della vesta episcopale e del suo significato, e ci mancherebbe: il foro interiore nostro si fa guidare dai post di una pagina Facebook pugliese gestita, dice, «da alcuni collaboratori della parrocchia».
Tuttavia, vogliamo, così per esercizio gnoseologico, aggiungere un paio di cose, senza mancar mai di rispetto al nunzio e alle sue scelte in fatto di vestiario liturgico.
Monsignor Girasoli era stata nunzio apostolico in Zambia e Malawi, due Paesi africani che, tutto sommato, non stanno malissimo.
In Zambia vi è un luogo, lungo la vallata del fiume Luangwa, chiamato «valle del Leopardo», dove, a differenza di altre parti del Paese, vi è la presenza del leopardo. Tra i turisti ha accumulato una certa notorietà il leopardo Alice, che si fa fotografare narcisamente con i propri cuccioli.
In Malawi, invece, il leopardo non è così presente, al punto da essere stato oggetto di un programma di ripopolazione, non dissimile da quello degli orsi in Trentino.
The Facebook page of the Ruvo Cathedral has posted a clarification of the much-maligned image of the Italian Archbishop Nicola Girasoli celebrating Mass in an animal-print chasuble. 1/https://t.co/WkgGm3KCBv pic.twitter.com/dz0FMGOYlU
— Mike Lewis (@mfjlewis) September 17, 2023
La storia del tessuto leopardato è piuttosto ricca in termini di antropologia e spiritualità, non sempre benevola.
In Sud Africa, le pelli maculate in passato contrassegnavano l’aristocrazia Zulu e ancora oggi svolgono un ruolo importante nelle tradizioni della Chiesa Shembe, un mix di cristianesimo e culti zulù.
In diverse regioni del continente africano, la pelliccia a macchie del felino è associata al potere maschile, e in fotografie scattate all’uomo forte di Kinshasa, in Congo, ne troviamo diverse troviamo in cui il leopardo è indossato dall’ex dittatore Joseph Mobutu, il cui regno durò più di trent’anni, accusato, come altri colleghi dell’area, di essere un cannibale.
Più tenue, ma presente, il legame tra il leopardo e la framassoneria. Secondo alcuni, sulla costa occidentale dell’Africa, sarebbero esistite «fraternità del Leopardo» che si sarebbero poi evolute fuori dal Continente Nero in un ordine afro-cubano-massonico detto Ordine dei Caribali, detto anche Abacuà, che pure non avendo origine in logge europee, sarebbe ora in molti casi sovrapponibile all’appartenenza massonica classica.
In Norvegia esiste una Loggia San Olaus al Leopardo bianco, una loggia massonica dell’Ordine dei Massoni Norvegesi. Fu fondata il 24 giugno 1749 sull’isola di Ladegaard. Il canuto felino nello stemma, tuttavia, non pare avere macchie, che pure avrebbero senso all’interno del pensiero dialogico-dualista massonico sempre rappresentato dai pavimenti a scacchiera.
L’idea di un nesso tra il tessuto leopardato e forme di aggregazione para-massoniche è stata diffusa internazionalmente dal telefilm Happy Days, nel quale il pater familias di casa Cunningham spesso si assentava per riunioni presso una misteriosa «loggia del leopardo», indossando un fez maculato.
Met a delightful elderly lady at Woolworths wearing triple leopard print: slacks, jacket and a Howard Cunningham-style leopard print fez. I told her I loved her hat and she looked disappointed. “I thought you were going to say you loved *me*…!” pic.twitter.com/bOkiymbk5N
— Stephen Downes (@TheNewDownesy) April 9, 2019
Vi è, infine, la questione della donna leopardata e della sua moda.
Cappotti in pelle di leopardo e altri capi di abbigliamento e accessori divennero particolarmente popolari negli anni ’20, dopo che star del cinema come Joan Crawford si pavoneggiavano nei film di Hollywood indossando la pelle maculata del maestoso felino. Christian Dior, mantenne la tendenza per le donne più glamour: «se sei giusta e dolce, non indossarlo» avrebbe detto il modista francese.
Negli anni ’50 e ’60, tale significato lasciò il posto all’idea che una donna che indossava il leopardo fosse una moglie trofeo. In altre parole, la stampa rappresentava una donna piuttosto «selvaggia». Leoparderie varie sarebbero divenuta la cifra di maison odierne come Roberto Cavalli e Dolce&Gabbano.
E quindi, cosa ci riserva il futuro? Una chiesa selvaggia e animale? Una chiesa chic? Una chiesa africanizzata, oppure para-massonizzata, oppure femminilizzata?
Bizzarria
Adolf Hitler vince ma cambia nome
Adolf Hitler Uunona, 59 anni, consigliere regionale namibiano da venti anni in carica, ha annunciato che rinuncerà ufficialmente al secondo nome «Hitler» dopo essere stato rieletto per il quinto mandato consecutivo nel distretto di Ompundja (regione di Oshana).
Membro del partito al potere Swapo, Uunona ha sempre goduto di un largo consenso locale nonostante il nome che, a livello internazionale, genera inevitabilmente sconcerto. Gli elettori della sua circoscrizione lo hanno costantemente premiato per il suo impegno nella lotta anti-apartheid e per i risultati concreti ottenuti sul territorio.
«Ho già provveduto a cancellare “Hitler” dai miei documenti ufficiali», ha dichiarato ai media namibiani. «D’ora in poi voglio essere chiamato semplicemente Adolf Uunona».
Il lettore di Renovatio 21 sa che la faccenda dell’Hitler negro è risalente.
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L’ex Hitler ha spiegato che ilpadre gli impose quel nome decenni fa senza conoscerne il peso storico né i crimini associati al dittatore nazista; per lui, all’epoca, era semplicemente un nome tedesco abbastanza diffuso nell’ex colonia dell’Africa sud-occidentale tedesca (1884-1915). Solo crescendo il consigliere prese coscienza del macabro retaggio e cominciò a dissociarsene pubblicamente.
«Ho sempre chiarito di non condividere in alcun modo l’ideologia nazista», ha ribadito il già Hitler. «Il mio impegno politico è radicato nella liberazione della Namibia e nello sviluppo delle nostre comunità rurali». In privato, familiari e collaboratori lo chiamano da tempo soltanto «Adolf», un’abitudine che ora desidera estendere a ogni contesto ufficiale.
Il caso richiama la complessa eredità coloniale tedesca in Namibia, dove nomi di origine teutonica restano relativamente comuni. Proprio in quel periodo (1904-1908) le truppe tedesche perpetrarono il genocidio degli Herero e dei Nama, un capitolo storico ancora poco noto a livello globale. Tuttavia, il fatto che esistano nel Paese africani bambini chiamati come il famigerato dittatore nazionalsocialista prova che forse la storia degli orrori coloniali non è esattamente conosciuta, o sentita, dalle popolazioni indigine.
Nonostante l’attenzione mediatica internazionale, lo Hitler namibiano continua a dominare le urne: nelle recenti elezioni locali ha nuovamente stravinto a Ompundja con un margine schiacciante. Per i suoi elettori, il curriculum di vent’anni di servizio concreto – strade, acqua, scuole e sostegno alle famiglie – pesa infinitamente più di un nome che il consigliere ha deciso di lasciarsi definitivamente alle spalle.
Renovatio 21 ritiene che si tratti di un caso in cui qualcuno potrebbe gridare alla frode elettorale: uno vota Hitler, e poi si trova uno qualsiasi, anzi un Uunona. È giusto?
Il cittadino sincero-democratico deve porsi a questo punto la domanda: se la democrazia vuole Hitler, perché toglierlo? Cioè, non è che lo si toglie, semplicemente, gli si cambia nome…
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Immagine dell’Oshana Regional Country
Bizzarria
L’enigma dell’italofonia delle bici giapponesi
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Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo
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Arte
Bibita col DNA di Ozzy Osbourne disponibile con pagamento a rate
Una nuova partnership kitsch tra John «Ozzy» Osbourne e Liquid Death, il marchio di acqua in lattina, ha lanciato sul mercato una serie limitata di lattine di tè freddo infuso con il DNA del «reverendo rock».
Ovviamente il prodotto è andato subito a ruba ed è esaurito. Le lattine sono state tutte tracannate e schiacciate da Osbourne in persona, lasciando «tracce di DNA della sua saliva che ora potete possedere», secondo il sito web di Liquid Death.
Ma diciamoci la verità, non si compra lo scarto salivare di una rockstar per dissetarsi: lo si compra per fare necro-collezionismo probabilmente. Le leggende attorno al personaggio sono molteplici: si diceva che Ozzy fosse un mutante genetico, capace di resistere a secchiate di droga, alla rabbia per aver morso un pipistrello vivo e a un incidente quasi mortale in quad.
«Ozzy Osbourne è 1 su 1», recita il testo pubblicitario del sito, «ma stiamo vendendo il suo vero DNA così potrete riciclarlo per sempre».
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Ogni lattina viene consegnata in un «barattolo per campioni sigillato in laboratorio», etichettato con il nome del donatore, il numero del campione (su dieci) e la data del prelievo. Ozzy ha persino firmato il contenitore, apparentemente dando un assegno in bianco per qualsiasi futura clonazione.
«Ora, quando la tecnologia e la legge federale lo consentiranno, potrete replicare Ozzy Osbourne e godervi la sua musica per centinaia di anni nel futuro», si legge sul sito web. I pezzi disponibili sono solo 10 e sono stati venduti a 450 dollari ciascuno, anche in comode rate.
Vista la rarità del prodotto, il «bagarinaggio online» non poteva mancare: su eBay ce ne sono state due in vendita, ciascuna a migliaia di dollari.
Sui social media, i fan erano entusiasti della partnership di Ozzy con il suo brand, anche se il prezzo ha fatto storcere il naso a qualcuno. «Accidenti, avrei dovuto salvare il tuo DNA quando mi hai sputato addosso nell’84 durante un concerto alla LB Arena», ha scritto un fan su X.
Ozzy Osbourne, che da giovane sul palco aveva pure mangiato un pipistrello, è perito quattro mesi fa. Il fatto che fosse stato iniettato col vaccino COVID, che ci dicono venire da un chirottero di Wuhano, lo rende in qualche modo un personaggio simbolico della pandemica, e non solo di quella: alcuni hanno ipotizzato che la morte, avvenuta dopo una «lunga battaglia» (in genere dicono per qualche ragione così) contro il morbo di Parkinson, potrebbe costituire un caso di eutanasia.
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Carlos Varela via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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