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Ddl Scalfarotto Zan: un attacco al sistema giuridico

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Il ddl Scalfarotto Zan si avvia a realizzare un capolavoro di diabolica astuzia politica e giuridica. Dove nulla è stato affidato al caso, ma anzi, tutto dimostra la ammirevole acribia impiegata nello studio della teoria, insieme alla consumata conoscenza del meccanismo politico e dei fenomeni mediatici. Mentre anche i tempi di realizzazione sono stati studiati con precisione cronometrica.

 

Possiamo affermare, senza pericolo di smentite, che questa coppia di fatto legislativa abbia realizzato un’arma perfetta, capace di minare un intero ordinamento giuridico e scardinarne senza troppo clamore tutte le colonne portanti in vista della sua distruzione definitiva, mentre la gravità della cosa per certi versi arriva ad essere sottovalutata persino da chi si oppone con forza a questo ultimo parto abortivo della sedicente democrazia rappresentativa.

 

Possiamo affermare, senza pericolo di smentite, che questa coppia di fatto legislativa abbia realizzato un’arma perfetta, capace di minare un intero ordinamento giuridico e scardinarne senza troppo clamore tutte le colonne portanti in vista della sua distruzione definitiva

Infatti si stanno levando le ultime voci non rassegnate alla introduzione nell’ordinamento di questo monstrum giuridico che è destinato a produrre enormi sconquassi etici e sociali e una degenerazione ulteriore degli assetti culturali e dei rapporti di potere. Tuttavia ormai ci si concentra soprattutto sull’annichilimento del diritto alla libera manifestazione del pensiero garantito dalla Costituzione, e sull’attacco obliquamente portato alla famiglia e al diritto naturale che la sostiene.

 

Ma il ddl Scalfarotto Zan va combattuto con tutte le forze anche da un diverso punto di vista e per ragioni che vanno addirittura più in profondità, perché riguardano lo stravolgimento di principi basilari su cui si regge l’ordinamento giuridico, e in particolare quello penale. Un ordinamento che, pur varato in tempi di dittatura, ha un impianto garantista e nella sua intelaiatura concettuale riflette una statura culturale, propria dei giuristi che l’hanno elaborato, imparagonabile a quella che affligge l’attuale cosiddetto legislatore.

 

La legge penale, come è noto, presidia le condizioni essenziali etico sociali di coesistenza degli individui all’interno di una comunità organizzata. Dunque si prefigge di difendere questa, sanzionando i comportamenti che vanno a ledere i beni sentiti come fondamentali per una ordinata vita comunitaria e per la sua naturale sopravvivenza.

 

Il ddl Scalfarotto Zan va combattuto con tutte le forze anche da un diverso punto di vista e per ragioni che vanno addirittura più in profondità, perché riguardano lo stravolgimento di principi basilari su cui si regge l’ordinamento giuridico, e in particolare quello penale

Il reato tutela la vita, come la proprietà, l’onore come la libertà personale, la famiglia come la incolumità pubblica etc., ovvero quelli che sono considerati come «beni giuridici», cioè valori e interessi comuni meritevoli di una tutela giuridica, appunto, che risponde ad esigenze profonde della collettività.

 

D’altra parte, poiché il potere statuale di applicare la pena può trasformarsi anche in uno strumento di arbitrio tirannico, il cittadino delle società cosiddette democratiche è tutelato contro il suo abuso dal principio per cui possono essere puniti come reato soltanto i comportamenti materiali, cioè i fatti che possano essere oggettivamente accertati. Principio che pone al riparo sia dall’arbitrio del legislatore come da quello del giudice. Non per nulla tutti i regimi cosiddetti totalitari, quelli che il Novecento ha conosciuto in modo esemplare, hanno previsto la punizione anche dell’atteggiamento interiore, delle intenzioni ostili al partito, all’ideologia del regime, alla persona del comandante supremo etc.

Il cittadino delle società cosiddette democratiche è tutelato contro il suo abuso dal principio per cui possono essere puniti come reato soltanto i comportamenti materiali, cioè i fatti che possano essere oggettivamente accertato.

 

Il reato deve avere quale elemento costitutivo un «fatto», mentre gli elementi psicologici, i motivi che corredano l’azione lesiva, possono soltanto aumentarne o attenuarne la gravità e vanno a incidere solo sulla quantità della pena da infliggere in concreto.

 

Dunque un disegno di legge come quello della accoppiata in questione istituisce figure di reato che contraddicono principi giuridici fondamentali di civiltà, e a rigore, non avrebbe dovuto neppure arrivare alla discussione parlamentare, pur nel degrado che colpisce attualmente tutte le istituzioni repubblicane.

 

Ma i suoi estensori non sono sprovveduti, non sono dediti all’improvvisazione incosciente. Hanno cercato l’ariete per penetrare nella cittadella del sistema. E l’hanno trovato bell’e fatto nella legge Mancino, che un parlamento già minato ideologicamente e culturalmente aveva approvato in anni passati senza porsi il problema della sua anomalia e della sua pericolosità. Infatti quella legge ha introdotto il reato determinato da motivi razziali, trasformando appunto il «motivo» nell’elemento costitutivo del «fatto» che deve essere punito, sicché il fatto ricava la propria specifica identità proprio dal motivo che ha mosso l’autore.

Non per nulla tutti i regimi cosiddetti totalitari, quelli che il Novecento ha conosciuto in modo esemplare, hanno previsto la punizione anche dell’atteggiamento interiore, delle intenzioni ostili al partito, all’ideologia del regime, alla persona del comandante supremo etc.

 

In altre parole, è stata creata una figura autonoma di reato, caratterizzata dal motivo, accanto a quella ordinaria, cioè al reato comune, che di norma viene punito indipendentemente dai motivi che l’hanno determinato: accanto all’omicidio commesso per qualunque motivo, viene previsto l’omicidio commesso per determinati motivi qualificanti. Ed è evidente che, così, il contenuto dei motivi individua il bene giuridico violato.

 

Così, ad esempio, l’omicidio commesso per un motivo qualunque si configura diversamente rispetto a quello commesso per quel motivo «qualificato», con una conseguenza paradossale: anche la vita umana offesa, che dovrebbe rimanere l’unico valore in gioco, acquista un peso diverso a seconda dei motivi che hanno mosso chi l’ha distrutta.

 

La legge Mancino ha introdotto anche la surreale figura del reato di atti di discriminazione compiuta sempre per certi motivi qualificati.

Il reato deve avere quale elemento costitutivo un «fatto», mentre gli elementi psicologici, i motivi che corredano l’azione lesiva, possono soltanto aumentarne o attenuarne la gravità e vanno a incidere solo sulla quantità della pena da infliggere in concreto

 

E qui la distorsione giuridica diventa surreale, quasi metafisica.

 

Infatti discriminare vuol dire scegliere, esercitare la facoltà di giudizio, applicare criteri di valutazione a una qualunque scelta naturalmente libera.

 

Infatti ogni scelta operata nella vita quotidiana implica una discriminazione, che si tratti del bar sotto casa, della scuola dei propri figli, del voto politico, di uno spettacolo, di una squadra del cuore. Appartiene alle facoltà degli esseri viventi non ridotti in schiavitù, quella di scegliere tra possibilità diverse, con le conseguenze che ogni scelta comporta. Ogni diritto di libertà è esso stesso un diritto di scelta.

 

Invece il principio di non discriminazione riguarda e può riguardare soltanto la legge, come prescrive articolo dall’articolo 3 della Costituzione che, proclamando appunto l’uguaglianza di fronte alla legge, impone a questa di non riservare ai cittadini trattamenti disuguali a parità di condizioni, e pur sempre secondo un criterio di ragionevolezza.

 

Appartiene alle facoltà degli esseri viventi non ridotti in schiavitù, quella di scegliere tra possibilità diverse, con le conseguenze che ogni scelta comporta. Ogni diritto di libertà è esso stesso un diritto di scelta

Il privato invece è naturalmente libero di operare le proprie scelte lecite indipendentemente dai motivi da cui sono indotte. Confondere i due piani significa non soltanto alimentare un errore grossolano, significa mettere in piedi una truffa inaudita ai danni di chi non vede il pericolosissimo equivoco.

 

Infine sono previste come reato quelle manifestazioni di pensiero in cui si riflettono sentimenti che nessuno deve osare coltivare in se stesso. Anche se per tanto tempo si è ritenuto che solo l’occhio di Dio fosse abilitato a guardare dentro ai pensieri umani.

 

La legge Mancino nasce fra l’altro quale distorta applicazione di pregressi impegni internazionali, mal interpretati e mal digerirti. E diventa come un corpo estraneo inserito nell’ordinamento vigente. Ma sopravvive curiosamente, sia perché non viene abrogata, sia perché, non avendo mai trovato applicazione, nessun giudice ha potuto sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale.

 

Ecco allora l’idea folgorante che ha illuminato la mente di Scalfarotto e compagni, guidati dalla lobby omosessualista ben radicata nei palazzi delle istituzioni nazionali e internazionali. L’idea di sfruttare la ancora vigente legge Mancino per innestarvi il piano di imposizione manu militari della ideologia omosessualista e genderista. È bastato estendere i motivi «omofobici» a quelli già previsti, che avevano a che fare con l’odio razziale, e creare una nuova serie di reati capaci di incidere sulla tenuta etica dell’intera società.

L’idea di sfruttare la ancora vigente legge Mancino per innestarvi il piano di imposizione manu militari della ideologia omosessualista e genderista. È bastato estendere i motivi «omofobici» a quelli già previsti, che avevano a che fare con l’odio razziale, e creare una nuova serie di reati capaci di incidere sulla tenuta etica dell’intera società

Con la differenza che, se la legge Mancino non ha mai trovato applicazione perché riguardava un problema di fatto inesistente, oggi la macchina dell’omosessualismo ha creato il problema, imponendo in via mediatica e istituzionale il modello omoerotico e genderista con la invasione inarrestabile nel terreno della educazione e della scuola, con la perversione dei criteri valutativi, con la penetrazione in ogni ganglio vitale della società.

 

Il tutto, dopo che i mezzi di comunicazione hanno creato giorno dopo giorno, attraverso una propaganda martellante, la normalizzazione di ciò che normale non è. Dopo che la manipolazione del linguaggio ha introdotto concetti fasulli, parole vuote di senso come quella di discriminazione o quella di diritto che, usate a vanvera, creano però suggestioni e inducono convinzioni senza contenuto di senso, al pari di realtà inesistenti come una presunta minoranza oppressa, ancorché gaia.

 

Ma nonostante questa ben riuscita eversione culturale, occorre ora annichilire sul nascere ogni forma di opposizione soprattutto per portare a termine il progetto di indottrinamento alla religione omosessualista e genderista nelle scuole, specie della prima infanzia, dato che dopo è più difficile deviare le tendenze naturali.

 

Ecco dunque la minaccia della pena per chi osi intralciare la marcia trionfale di un canone etico rovesciato che l’opportunismo politico, laico o chierico, senza scrupoli e senza cervello, non esita ad avallare. Ecco il ddl Scalfarotto Zan.

Occorre ora annichilire sul nascere ogni forma di opposizione soprattutto per portare a termine il progetto di indottrinamento alla religione omosessualista e genderista nelle scuole, specie della prima infanzia, dato che dopo è più difficile deviare le tendenze naturali

 

Un’operazione che, da spericolata qual era, ha guadagnato astutamente terreno secondo un piano orchestrato ad ampio raggio. Che ha battuto il passo soltanto quando motivi di tattica politica suggerivano di non dare troppo nell’occhio e ha una portata addirittura più devastante di quanto non vedano anche i suoi valorosi e accorati oppositori.

 

Come dicevamo, qui non è in gioco soltanto la libertà di manifestazione del pensiero e l’attacco aperto al valore etico della famiglia e della legge naturale che la regola.

 

Da una simile novità normativa deriva tecnicamente che l’omosessualità e la famosa libertà di genere entrano di diritto nella rosa dei «beni giuridici» tutelati dalla legge penale, con quel che ne segue sul piano interpretativo e quindi sui futuri, anzi, già presenti, orientamenti giurisprudenziali.

 

Ecco dunque la minaccia della pena per chi osi intralciare la marcia trionfale di un canone etico rovesciato che l’opportunismo politico, laico o chierico, senza scrupoli e senza cervello, non esita ad avallare

Ne deriva che non viene più punito il fatto, ma l’intenzione.

 

Che tutti dovremmo censurare pensieri parole e omissioni.

 

Che dovremmo condizionare la scelta di uomini e cose solo dopo avere cancellato dalla nostra mente ogni pregiudizio «omofobico».

 

Sicché in virtù del divieto di discriminazione, un genitore si vedrà punito per avere licenziato il maestro di musica che riservava all’allievo attenzioni troppo particolari.

 

Qui non è in gioco soltanto la libertà di manifestazione del pensiero e l’attacco aperto al valore etico della famiglia e della legge naturale che la regola

Dunque la carica distruttiva che verrà attivata riguarda l’intero sistema penalistico di cui si vanno ad erodere principi inderogabili e in cui si aprono falle destinate a prepararne il crollo totale.

 

Un sistema penale è il barometro che misura l’evoluzione di una civiltà giuridica, e di un’etica comunitaria, come può diventare la spia di ogni degenerazione del potere verso l’arbitrio.

 

In esso confluiscono correnti di pensiero, si rispecchiano contingenze storiche, si determinano le condizioni per un affinamento della sensibilità sociale o del suo ottundimento.

Un sistema penale è il barometro che misura l’evoluzione di una civiltà giuridica, e di un’etica comunitaria, come può diventare la spia di ogni degenerazione del potere verso l’arbitrio

 

Non si identifica con la morale, ma può condizionarne gli andamenti nel bene e nel male, a seconda che i valori difesi dalla legge siano quelli su cui si costruisce una società sana e vitale, o siano meri interessi di parte mossi da un pensiero distruttivo. Cesare Beccaria non è passato invano e oggi guardiamo con orrore a strumenti giudiziari che sono stati cancellati anche grazie a quel pensiero.

 

Ma la pena rimane sempre l’arma insidiosa di cui può impadronirsi il potere. Se la legge penale non assolve il compito di incoraggiare un’etica costruttiva e di garantire l’individuo dalle insidie del potere, essa si trasforma in una forza irresistibile che precipita la società verso il caos.

 

L’omosessualità e la famosa libertà di genere entrano di diritto nella rosa dei «beni giuridici» tutelati dalla legge penale

Qui la posta in gioco è lo scardinamento di un sistema giuridico e l’apertura verso l’arbitrio di forze ormai dominanti quanto deviate.

 

Intanto, contro il diritto positivo e il diritto naturale hanno puntato le proprie degenerate batterie anche gli agonici e miserabili lacerti di quella che è stata per duemila anni la Chiesa di Cristo, e che ha finito per chiamare un magniloquente esecutore fallimentare ad avviare la relativa procedura. Senza che il popolo di Dio, annichilito, sembri avere il coraggio di liberarsi di usurpatori e collaborazionisti.

 

Se la legge penale non assolve il compito di incoraggiare un’etica costruttiva e di garantire l’individuo dalle insidie del potere, essa si trasforma in una forza irresistibile che precipita la società verso il caos

Sorvoliamo sulle festività che si intendono istituire per celebrare questi nuovi valori collettivi, come sul programma di pene rieducative. La democrazia del nuovo millennio è troppo nostalgica per non essere anche commovente, oltre che commossa.

 

La pericolosità di questo astuto marchingegno legislativo forse non poteva non sfuggire agli ottusi rappresentanti di una democrazia in dissoluzione e a quella chiesa che le fa vergognosamente da spalla. Ma non deve sfuggire a chiunque senta il dovere di difendere l’oggi e il domani delle nuove inermi generazioni.

 

 

Patrizia Fermani

 

 

 

 

Articolo precedentemente apparso su Ricognizioni

 

 

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Civiltà

Tutti contro lo spot con l’Eucarestia sostituita da una patatina. Ma il vero scandalo è il Concilio e la caduta della civiltà cristiana

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Circola da ieri in rete l’indignazione per il nuovo spot pubblicitario di un noto marchio di patatine.

 

La storia è raccontata con il linguaggio tipico della pubblicità TV: mentre sullo sfondo odiamo la melodia dell’Ave Maria di Schubert, vediamo un gruppo di novizie di un convento che si allinea per ricevere la comunione dalle mani del parroco. Tuttavia, la prima a ricevere l’ostia consacrata si ritrova a masticare una patatina. Scopriamo quindi una suora ai margini del gruppo fa lo stesso direttamente dalla busta.

 

In pratica, una suora ha sostituito la Santa Eucarestia con delle patatine fritte prodotto industrialmente. La voce fuori capo è di una femmina che con voce languida dice «Il divino quotidiano».

 

 

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Il canale YouTube della casa di produzione specializzata in pubblicità, che sul sito dice di essere il marchio di una società a responsabilità limitata con sede in una località termale austriaca, ha caricato il video ieri. Al momento è ancora visibile.

 

È segnato il nome del regista, Dario Piana, che spiega il linguaggio classico, qualcuno direbbe un po’ antiquato, del filmato: si tratta di uno dei più grandi nomi della pubblicità TV italiana, certo forse conosciuto poco oltre la cerchia dei pubblicitari milanesi e della loro filiera, uno specialista ultrasettantenne con decenni di esperienza fatti negli anni d’oro dell’ascesa delle réclame nelle TV berlusconiane, una firma-garanzia vista per qualche ragione come il pinnacolo cui aspirare per chi vuole fare uno spottone per un’aziendona.

 

La pubblicità, scrivono i giornali, sarebbe visibile nei canali social dell’azienda, che ricordiamo è nota per aver fatto in passato spot con l’attore pornografico Rocco Siffredi, e polemiche per lo slogan scelto per la campagna pubblicitaria – «la patata tira».

 

Era inevitabile che i cattolici si incazzassero. Ha chiesto l’immediata sospensione dello spot che «offende la sensibilità religiosa di milioni di cattolici praticanti» una sigla chiamata AIART (Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione), che mai avevamo sentito prima e che dicono sia di ispirazione cattolica.

 

Secondo l’associazione dei catto-ascoltatori cui sarebbe oltraggioso «banalizzare l’accostamento tra la patatina e la particola consacrata», e si potrebbe parlare di un vero ricorso alla blasfemia: «strappare un applauso ad un pubblico compiacente con riferimenti blasfemi, è degradante per chi fa, o pretende di fare, pubblicità», dicono.

 

«Ci si appella al politically correct e alla cancel culture, ma solo contro la religione cristiana (ma solo quella) ci si sente autorizzati a qualsiasi obbrobrio?».

 

Notiamo che siamo davanti ad una posizione moderata. Quanto mostrato è gravissimo: perché la Santa Eucarestia è il centro della religione cristiana, o meglio è Cristo stesso, è Dio stesso.

 

L’Eucarestia è il miracolo fondamentale della fede cattolica. Insultare la Santa Comunione è offendere la Fede, e direttamente Dio in persona. Quei cattolici che credono si tratti di un atto perfettamente equivalente alla bestemmia, ragionano con logica basica, inevitabile.

Non per scandalizzarci, tuttavia, che scriviamo, aggiungendosi a quanti ora si battono il petto. Ricordiamo che qualche anno fa un gruppo di avvocati denunciò un cantante del concerto dei sindacati – quello del 1° maggio, dove ora si tifa per armi ucraine e vaccini – per aver simulato l’atto di consacrazione dell’Eucarestia con un preservativo – grande provocazione, davvero… se poi un giorno ci spiegano pure perché uno deve rivendicare felice di coprirsi la parte più sensibile del suo corpo con un pezzo di gomma sintetica che per soprammercato lo sterilizza). Non sappiamo quanta strada abbia fatto quella denunzia…

 

Non è la blasfemia ad essere rilevante qui, ma il come possa, contro ogni logica, essere prodotta. Perché c’è un grosso problema in tutta la storiella dello spot raccontato.

 

La trama è palesemente incongrua ed irreale, per il motivo semplice che prima di venire data ai fedeli, l’eucarestia viene consacrata. Che vuol dire, perfino nel rito postconciliare, innalzata dal sacerdote che pronuncia le formule necessarie a che avvenga la transustanziazione. Cioè: il prete della finzione pubblicitaria, avrebbe dovuto accorgersi che stava consacrando delle patatine. E nel caso il sacerdote fosse orbo od ubriaco, se ne sarebbero accorti i chierichetti, i fedeli, tutti.

 

In pratica: chi ha scritto e girato e mandato in giro lo spot, sembra ignorare come funziona una Messa, come funziona la Comunione. Ciò potrebbe includere una discreta quantità di persone che vanno dai geniali pubblicitari che l’hanno pensata, ai committenti che l’hanno accettata, ai produttori, al regista, alle maestranze presenti, agli attori, ai montatori, all’ufficio marketing dell’azienda, etc. Tanta gente. Nessuno a cui sia venuto il dubbio: ma non è che questa storia della pisside piena di patatine non tiene? Non è che qualcuno si può accorgere di questo errore narrativo gigantesco – quello che in gergo cinematografico è chiamato «buco di sceneggiatura»?

 

Qui, secondo noi, sta il vero scandalo. La società è talmente decristianizzata che pure nella blasfemia non c’è conoscenza della tradizione cattolica che si va a negare, o deridere, o anche solo a criticare. Non hanno idea di come sia fatta, eppure vogliono usare la chiesa cattolica e le sue forme, ci si avvicinano appena possono – un fenomeno che appare chiaro anche nel mondo LGBT, dove alla prima fessura che si apre gli attivisti omotransessualisti si ficcano nelle cattedrali, come visto nel caso di San Patrizio a Nuova York usato per le celebrazioni blasfeme di un transessuale argentino.

 

Va detto che gli LGBT, tuttavia, hanno in qualche modo presente cosa sia la chiesa, e questo spiega perché ne sono ossessionati. I pubblicitari, invece, non è detto che lo sappiano.

 

Quindi se non sanno quello che fanno, ci si chiede se si può parlare davvero di intenzioni blasfeme. Ma di questo non ci importa. Rileva realizzare come blasfema sia l’intera società post-cristiana dove, in mancanza di fede e pure di conoscenza basilare, cose come questa posson saltar fuori.

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La causa dell’abisso di bestemmia, sciatteria ed ignoranza in cui è caduta la società umana ha un nome ed un cognome: si chiama Concilio Vaticano II, la più grande catastrofe vissuta dall’umanità negli ultimi secoli, l’alterazione profonda del sistema operativo spirituale e personale di miliardi di persone, con conseguente sabotaggio dell’intera civiltà.

 

Prima del Concilio, lo scandalo dello spottino patatino era impensabile: non solo perché la gente non avrebbe mai accettato un’offesa del genere, non solo perché non gli sceneggiatori nemmeno l’avrebbero concepita, ma perché quasi tutti erano stati almeno una volta a Messa, e sapevano che l’Ostia, prima di essere distribuita, va consacrata pubblicamente (cosa perfino evidente nel nuovo rito, dove si fa ad populum, cioè rivolti ai fedeli).

 

Lo scandalo vero, dunque, non è la pubblicità blasfema, ma il Concilio che ci ha portato dove siamo ora, dove l’attacco a Dio pare scritto nel codice stesso dello Stato moderno.

 

E quindi: cari cattolici, cari telespettatori, cari cittadini sincero-democratici, cari democristiani, cari post-cristiani, avete voluto il Paese laico, adesso beccatevi la patatina ignorante, e tutta la sua filiera di lavoratori intellettuali strapagati.

 

Avete voluto detronizzare Cristo al punto da accostare il suo corpo ad una patata fritta, al punto da dimenticare perfino il rito centrale degli ultimi millenni; adesso proseguite pure con la cancellazione delle statue con donne che allattano e le vacanze scolastiche pel Ramadan.

 

Blasfemie a parte, lo scandalo è qui: nella decadenza del consorzio umano, nella caduta della civiltà cristiana.

 

Roberto Dal Bosco

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«Vediamo i sommi sacerdoti prostrarsi dinanzi agli idoli infernali del Nuovo Ordine Mondiale»: omelia di mons. Viganò nella Domenica di Pasqua

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Carlo Maria Viganò per la domenica di Pasqua 2024.  

ADHUC TECUM SUM

Omelia nella Domenica di Pasqua

 

Resurrexi, et adhuc tecum sum. Sono risorto, e sono ancora con te.

Salmo 138

  Hæc dies, quam fecit dominus. Questo è il giorno che ha fatto il Signore. Sono le parole che la divina Liturgia ripeterà durante tutta l’Ottava di Pasqua, per celebrare la Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, trionfatore della morte. Permettetemi tuttavia di fare un passo indietro, al Sabato Santo, ossia al momento in cui le spoglie del Salvatore giacciono nel Sepolcro senza vita e la Sua anima scende negl’inferi per liberare dal Limbo coloro che morirono sotto l’Antica Legge aspettando il Messia promesso.    Una settimana fa il Signore era acclamato Re d’Israele ed entrava trionfalmente in Gerusalemme. Pochi giorni dopo, appena celebrata la Pasqua ebraica, le guardie del tempio Lo arrestavano e con un processo farsa convincevano l’autorità imperiale a metterLo a morte per esserSi proclamato Dio.   Abbiamo accompagnato il Signore nel pretorio; abbiamo assistito alla fuga dei Discepoli, alla latitanza degli Apostoli, al rinnegamento di Pietro; Lo abbiamo visto flagellare e coronare di spine; Lo abbiamo visto esposto agli insulti e agli sputi della folla sobillata dal Sinedrio; Lo abbiamo seguito lungo la via che porta al Calvario; abbiamo contemplato la Sua crocifissione, ascoltato le Sue parole sulla Croce, udito il grido con cui spirava; abbiamo visto oscurarsi il cielo, tremare la terra, strapparsi il velo del Tempio; abbiamo pianto con le Pie Donne e San Giovanni la Sua Morte e la deposizione dalla Croce; abbiamo infine osservato la pietra sepolcrale chiudere la Sua tomba e la guarnigione delle guardie del tempio sorvegliare che nessuno vi si avvicinasse per rubarne il corpo e dire che Egli era risorto dai morti. Tutto era già scritto, profetato, annunciato.

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Le parole dei Profeti non erano bastate, nonostante esse annunciassero – insieme alla dolorosissima Passione del Salvatore – anche la Sua gloriosa Resurrezione. Sembrava tutto finito, tutto vano: le speranze di tre anni di ministero pubblico, di miracoli, di guarigioni sembravano dissolversi dinanzi alla cruda realtà di una morte tremenda e infame, con cui veniva a chiudersi definitivamente la vita del figlio di un falegname della Galilea.    Questo è ciò che abbiamo dinanzi in questa fase cruciale della Storia dell’umanità: un mondo che per secoli ha costruito una civiltà – anzi: la civiltà – sulle parole di Cristo, riconoscendoLo Re come fece il popolo di Gerusalemme, e che nell’arco di qualche generazione Lo rinnega, Lo tortura, Lo uccide con il più infame dei supplizi e Lo vuole seppellire per sempre.   E se non siamo ancora giunti alla fine di questa passio Ecclesiæ – ossia al completamento della Passione di Cristo nelle Sue membra, il Corpo Mistico – sappiamo che questo è comunque ciò che presto accadrà, perché il servo non è superiore al padrone.   Il mondo contemporaneo ha assistito alle manovre del Sinedrio, che in tre secoli ha compiuto sulla Santa Chiesa ciò che in tre giorni aveva fatto al suo Fondatore; in quel Sinedrio abbiamo potuto annoverare non solo re e principi, ma anche sacerdoti e scribi, per i quali la Redenzione minacciava un’usurpazione ai danni di un popolo ingannato dai suoi stessi capi. Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia (Mt 27, 18).    Noi stiamo osservando: increduli che tutto questo possa accadere di nuovo, questa volta coinvolgendo l’intero corpo ecclesiale e non solo il suo Capo divino.   Alcuni con il timore di vedere fallito un programma politico di rivolta, altri sgomenti e incapaci di comprendere come le parole del Signore possano realizzarsi, quando tutto lascia temere il peggio.   Alcuni si svelano nel loro considerare il Signore come un’opportunità per trarne un vantaggio personale e quindi pronti a tradirLo, altri continuano a credere, apparentemente contro ogni ragionevolezza.    Vediamo i sommi sacerdoti inchinarsi al potere temporale, prostrarsi dinanzi agli idoli del globalismo e della Madre Terra – infernale simulacro del Nuovo Ordine Mondiale – per quello stesso terrore di vedersi sottrarre un potere usurpato, di essere scoperti nelle loro menzogne, nei loro inganni. Tradimenti, fornicazioni, perversioni, omicidi, corruzione mettono a nudo un’intera classe politica e religiosa indegna e traditrice. E quello che gli scandali portano alla luce è ancora nulla rispetto a ciò che presto verremo a conoscere: l’orrore di un mondo sommerso, in cui coloro che dovrebbero esercitare l’autorità di Cristo Re nella sfera civile e di Cristo Pontefice in quella religiosa sono in realtà adoratori e servi del Nemico, né più né meno di ciò che erano i sacerdoti mostrati dal Signore al profeta Ezechiele (Ez 8), nascosti nei penetrali del Tempio e intenti ad adorare Baal.   Su di loro la collera di Dio si scatena mediante l’azione punitrice dei nemici: ieri Nabucodonosor o Antioco Epifane, Diocleziano o Giuliano l’Apostata; oggi le orde dell’Islam invasore, i Black Lives Matter, i seguaci dell’ideologia LGBTQ, i tiranni del Nuovo Ordine Mondiale e dell’OMS. E come i precursori dell’Anticristo hanno creduto di poter vincere Cristo e sono morti, così moriranno anche i servi dell’Anticristo e l’Anticristo stesso, sterminati dalla destra di Dio.    Quanto sangue sparso! Quante vite innocenti stroncate, quante anime perdute per sempre, quanti Santi strappati al Cielo! Ma quanti Martiri silenziosi, quante conversioni sconosciute, quanto eroismo in tante persone senza nome. E tra costoro non possiamo non annoverare i Dottori della Chiesa – ossia quei Vescovi rimasti fedeli all’insegnamento del Signore – e i dottori del popolo, ossia quei campioni della Verità cattolica contro l’Anticristo. Sì, cari amici e fratelli, perché ci saranno anche loro: E i dottori del popolo illumineranno molta gente, e correranno incontro alla spada, e alle fiamme, e alla schiavitù, e allo spogliamento delle sostanze per molti giorni (Dan XI, 33).   Questo titolo di dottore, giusta ricompensa dell’ingegno unito al lavoro, lo Spirito Santo lo attribuisce egualmente, e con infinita giustizia, a poveri popolani che la grandezza della loro Fede ha trasformati in apostoli. Apostoli intrepidi delle Verità cristiane, essi le faranno risuonare nelle officine, nelle botteghe, nelle strade, per le campagne, su internet.   Anche l’Anticristo li avrà in odio, considerandoli come uno dei più grandi ostacoli all’instaurazione del suo regno tirannico e li perseguiterà ferocemente; perché proprio quando egli crederà di aver sotto controllo i pulpiti e i parlamenti, sarà anche grazie ad essi se la fiamma della Fede non si spegnerà e se il fuoco della Carità accenderà tanti cuori sino ad allora tiepidi.   Guardiamoci attorno: la furia montante di tanti crimini esecrandi e di tante menzogne sta svegliando molte anime, scuotendole dal loro torpore per farne anime eroiche pronte a combattere per il Signore.   E quanto più nelle ultime fasi, la battaglia si farà feroce e spietata, tanto più determinata e coraggiosa sarà la testimonianza di persone sconosciute e umili. 

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In questa grande Parasceve dell’umanità, che volge ormai al termine e prelude alla vittoria della Resurrezione, le grida oscene e le vili crudeltà della folla ci atterriscono e ci fanno pensare che tutto sia perduto, specialmente nel contemplare quanti Hosanna si sono mutati in Crucifige.   Ma così non è, cari fratelli!   Al contrario: se siamo giunti al Venerdì di Passione, sappiamo che è imminente il silenzio del Sabato, che presto sarà squarciato dal suono non più delle campane a festa, ma dalle trombe del Giudizio, dal ritorno trionfale del Signore glorioso.    A chi per primo si mostra il Salvatore risorto?   Non si mostra a Erode, né a Caifa, né a Pilato, ai quali pure avrebbe potuto dare una bella lezione apparendo sfolgorante nella Sua veste candida come la neve.   Non si mostra agli Apostoli, fuggiti e ancora nascosti nel Cenacolo.   Non si mostra a Pietro, che ancora piange amaramente il suo rinnegamento.   Si mostra invece alla Maddalena, che inizialmente crede si tratti di un ortolano: a colei che la mentalità del mondo di allora avrebbe considerato insignificante, ma che era stata – con la Maria Santissima e le Pie Donne – ad accompagnare il Signore al Calvario, e che ora si preoccupava di lavarne e imbalsamarne il corpo.   Questa delicatezza del Redentore verso la Maddalena sia dunque una promessa per il giorno glorioso del Suo ritorno, quando saranno altri Cattolici senza nome, rimasti fedeli nell’ora della Passione, a meritare di veder sorgere ad Oriente il Sole di Giustizia che non conoscerà tramonto.   E così sia.   + Carlo Maria Viganò, Arcivescovo 31 Marzo 2024 Dominica Paschatis, in Resurrectione Domini SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine: Jacopo Robusti detto Tintoretto (1518-1594), La resurrezione, Gallerie dell’Accademia, Venezia  Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia   
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Civiltà

Putin: le élite occidentali si oppongono a tutti i popoli della Russia

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Il presidente russo Vladimir Putin ha messo in guardia dai tentativi occidentali di seminare divisione fra le genti russe e dai tentativi di frammentare il suo territorio secondo linee etniche. Lo riporta il sito governativo RT.

 

Intervenendo alla sessione plenaria del Consiglio internazionale del popolo russo, Putin ha lanciato un appassionato appello alla solidarietà tra i diversi popoli del Paese. Tali sforzi mirano non solo a danneggiare il popolo russo stesso, ma contro tutti i gruppi che compongono il paese, ha dichiarato Putin.

 

«La russofobia e altre forme di razzismo e neonazismo sono diventate quasi l’ideologia ufficiale delle élite dominanti occidentali. Sono diretti non solo contro i russi, ma contro tutti i popoli della Russia: tartari, ceceni, avari, tuvini, baschiri, buriati, yakuti, osseti, ebrei, ingusci, mari, altaiani. Siamo tanti, non li nominerò tutti adesso, ma, ripeto, questo è diretto contro tutti i popoli della Russia», ha dichiarato il Presidente.

 

«L’Occidente non ha bisogno di un Paese così grande e multinazionale come la Russia», ha continuato il presidente, aggiungendo che la diversità e l’unità della Russia «semplicemente non si adattano alla logica dei razzisti e dei colonizzatori occidentali».

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Ecco perché, secondo Putin, l’Occidente ha iniziato a suonare «la vecchia melodia» di chiamare la Russia una «prigione di nazioni», descrivendo il popolo russo come «schiavi» e arrivando addirittura a chiedere la «decolonizzazione» della Russia.

 

«Abbiamo già sentito tutto questo», ha detto, aggiungendo che ciò che gli oppositori della Russia vogliono veramente è smembrare e saccheggiare il paese, se non con la forza, almeno seminando discordia all’interno dei suoi confini.

 

Putin ha continuato avvertendo che qualsiasi interferenza esterna o provocazione volta a provocare conflitti etnici o religiosi nel Paese sarà considerata un «atto aggressivo» e un tentativo di utilizzare ancora una volta il terrorismo e l’estremismo come strumento per combattere la Russia.

 

«Reagiremo di conseguenza», ha dichiarato.

 

Il presidente ha sottolineato che l’attuale lotta della Russia per la sovranità e la giustizia è «senza esagerazione» di «natura di liberazione nazionale» perché è una lotta per la sicurezza e il benessere dei suoi cittadini.

 

Putin ha anche osservato che il popolo russo, come già fatto in passato, è diventato ancora una volta un ostacolo per coloro che lottano per il dominio globale e cercano di portare avanti la loro «eccezionalità».

 

«Oggi lottiamo non solo per la libertà della Russia, ma per la libertà del mondo intero», ha detto il presidente, precisando che Mosca è ora «in prima linea nella creazione di un ordine mondiale più equo» e che «senza un governo sovrano, una Russia forte, non è possibile alcun ordine mondiale duraturo e stabile».

 

Come riportato da Renovatio 21, all’ultima edizione del Club Valdai Putin aveva tenuto un denso discorso dove lasciava intendere una concezione della Russia come Stato-civiltà.

 

Riguardo alle élite occidentali, parlando di forniture di gas, il presidente russo aveva lamentato due mesi fa la mancanza di «persone intelligenti». Considerando le bollette, è davvero difficile dargli qui torto.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

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