Epidemie
Coronavirus, simulazione finanziata da Bill Gates prevede 65 milioni di morti

Lo scienziato e studioso Eric Toner, in un’intervista di venerdì con il canale di notizie economiche CNBC, ha spiegato che gli sforzi della Cina per contenere l’attuale focolaio di una malattia delle vie respiratorie in rapido movimento sono «probabilmente poco efficaci».
«Probabilmente, il gatto è già fuori dal sacco» ha detto Toner.
Gli sforzi della Cina per contenere l’attuale focolaio di una malattia delle vie respiratorie in rapido movimento sono «probabilmente poco efficaci»
Event 201: una simulazione di pandemia, intrapresa in collaborazione con il World Economic Forum e la Bill & Melinda Gates Foundation, che ha ipotizzato che una tale malattia potrebbe uccidere 65 milioni di persone entro 18 mesi
La CNBC ha riferito inoltre che la leader di Hong Kong Carrie Lam ha dichiarato un’emergenza virale nella città di 7,3 milioni, prolungando la chiusura delle scuole fino al 17 febbraio e vietando le visite nella Cina continentale.
Paul Martin, un ex corrispondente straniero ora residente a Hong Kong, ha parlato all’eurodeputato inglese dello stato dell’epidemia di Coronavirus accusando la Lam di mentire. Il giornalista racconta che «accade spesso che questo terribile virus conduca al colpo apoplettico molto rapidamente (a riguardo cita il caso di due importanti medici di un ospedale di Wuhan e Farage annuisce..). Stanno cercando di coprirlo».
Nigel Farage quindi domanda «(qual è) la tua sensazione Paul, è peggio di quello che stanno dicendo?».
Paul Martin risponde: «Molto peggio. Non c’è alcun dubbio».
«È quasi come un esperimento di laboratorio che si è scatenato, sai, come una cosa militare. Ora, non sono melodrammatico. Come te, sono stato nei Media per tutta la vita. Qualcuno deve dire la verità, io sono inglese e voglio dire a te ed al popolo inglese la verità».
Ma torniamo al dottor Toner. Toner, medico e ricercatore presso il Johns Hopkins Center for Health Security, ha preso parte lo scorso anno a una simulazione, intrapresa in collaborazione con il World Economic Forum e la Bill & Melinda Gates Foundation, che ha ipotizzato che una tale malattia potrebbe uccidere 65 milioni di persone entro 18 mesi.
In pratica, la simulazione finanziata da Bill Gates e dall’OMS ha previsto che senza vaccini si arriverà ad un’apocalisse epidemica.
La grande simulazione di pandemia globale ha nome Event 201.
Chris Elias, presidente dello sviluppo globale della Gates Foundation, ha dichiarato nel comunicato stampa congiunto che «Event 201 e le simulazioni precedenti come Clade X sono strumenti cruciali per comprendere non solo ciò che è necessario per rispondere efficacemente alle crisi globali della salute pubblica, ma anche le conseguenze di ciò che accade quando non siamo preparati».
Per il Coronavirus la Fondazione Gates ha donato milioni di dollari per «accelerare lo sviluppo di trattamenti e vaccini»
È notizia di oggi che la Fondazione Gates, che da sempre sostiene anche economicamente l’uso dei vaccini su scala planetaria, ha donato 10 milioni di dollari per la questione del Coronavirus
«In particolare, la Bill & Melinda Gates Foundation in Cina “sta già collaborando con una serie di partner del settore pubblico e privato per accelerare la cooperazione nazionale e internazionale in aree di necessità critica, compresi gli sforzi per identificare e confermare i casi, isolare e curare in sicurezza i pazienti e accelerare lo sviluppo di trattamenti e vaccini». Mettiamo l’accento sull’ultima parola, vaccini.
Il disegno attorno a questa epidemia pare sempre più apocalittico e contorto
È risaputo il ruolo ostinato di Gates nei vaccini, come la sua ricca partecipazione alla GAVI Alliance (già nota come «Alleanza Mondiale per Vaccini e Immunizzazione») che «è una partnership di soggetti pubblici e privati con lo scopo di migliorare l’accesso all’immunizzazione per la popolazione umana in paesi poveri. L’Alleanza raccoglie governi di paesi in via di sviluppo e paesi donatori, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, UNICEF, la Banca Mondiale, l’industria di vaccini in paesi industriali e in via di sviluppo, la società civile, la Fondazione Bill & Melinda Gates e altri benefattori privati».
La GAVI è altresì al centro del programma dei vaccine bonds, una sorta di obbligazioni legate al finanziamento della diffusione dei vaccini.
Il disegno attorno a questa epidemia pare sempre più apocalittico e contorto.
Epidemie
L’RNA virale può persistere per 2 anni dopo il COVID-19: studio

Un nuovo studio potrebbe spiegare perché alcune persone che contraggono il COVID-19 non tornano mai alla normalità e sperimentano invece nuove condizioni mediche come malattie cardiovascolari, disfunzioni della coagulazione, attivazione di virus latenti, diabete mellito o quello che è noto come «Long COVID» dopo l’infezione di SARS-CoV-2. Lo riporta Epoch Times.
In un recente studio preliminare pubblicato su medRxiv, i ricercatori hanno condotto il primo studio di imaging con tomografia a emissione di positroni (PET) sull’attivazione delle cellule T in individui che in precedenza si erano ripresi da COVID-19 e hanno scoperto che l’infezione da SARS-CoV-2 può provocare un’attivazione persistente delle cellule T in una varietà di tessuti corporei per anni dopo i sintomi iniziali.
Anche nei casi clinicamente lievi di COVID-19, questo fenomeno potrebbe spiegare i cambiamenti sistemici osservati nel sistema immunitario e in quelli con sintomi COVID di lunga durata.
Va segnalato, ad ogni modo, la maggior parte dei partecipanti era stata vaccinata e lo studio non ha indagato il legame tra l’esistenza dell’RNA virale e la vaccinazione.
Per effettuare lo studio, i ricercatori hanno condotto scansioni PET di tutto il corpo di 24 partecipanti che erano stati precedentemente infettati da SARS-CoV-2 e guariti dall’infezione acuta in momenti che vanno da 27 a 910 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi di COVID-19.
Una scansione PET è un test di imaging che utilizza un farmaco radioattivo chiamato tracciante per valutare la funzione metabolica o biochimica di tessuti e organi e può rivelare un’attività metabolica sia normale che anormale. Il tracciante viene solitamente iniettato nella mano o nella vena del braccio e si raccoglie in aree del corpo con livelli più elevati di attività metabolica o biochimica, che possono rivelare la sede della malattia.
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Utilizzando un nuovo agente radiofarmaceutico che rileva molecole specifiche associate a un tipo di globuli bianchi chiamati linfociti T, i ricercatori hanno scoperto che l’assorbimento del tracciante era significativamente più elevato nei partecipanti alla fase post-acuta di COVID-19 rispetto ai controlli pre-pandemia nel tronco cerebrale, nella colonna vertebrale midollo osseo, tessuto linfoide nasofaringeo e ilare, tessuti cardiopolmonari e parete intestinale.
Tra maschi e femmine, i partecipanti maschi tendevano ad avere un assorbimento maggiore nelle tonsille faringee, nella parete rettale e nel tessuto linfoide ilare rispetto ai partecipanti femmine.
I ricercatori hanno specificatamente identificato l’RNA cellulare del SARS-CoV-2 nei tessuti intestinali di tutti i partecipanti con sintomi da Long COVID che si erano sottoposti a biopsia in assenza di reinfenzione, con un range da 158 a 676 giorni dopo essersi inizialmente ammalati di COVID.
Ciò suggerisce che la persistenza del virus nel tessuto potrebbe essere associata a problemi immunologici a lungo termine.
Sebbene l’assorbimento del tracciante in alcuni tessuti sembrasse diminuire con il tempo, i livelli rimanevano comunque elevati rispetto al gruppo di controllo di volontari sani pre-pandemia.
«Questi dati estendono in modo significativo le osservazioni precedenti di una risposta immunitaria cellulare duratura e disfunzionale alla SARS-CoV-2 e suggeriscono che l’infezione da SARS-CoV-2 potrebbe portare a un nuovo stato stazionario immunologico negli anni successivi a COVID-19», scrivono i ricercatori.
I risultati hanno mostrato un «assorbimento leggermente più elevato» dell’agente nel midollo spinale, nei linfonodi ilari e nella parete del colon/retto nei soggetti con sintomi COVID prolungati.
Nei partecipanti con COVID lungo che hanno riportato cinque o più sintomi al momento dell’imaging, i ricercatori hanno osservato livelli più elevati di marcatori infiammatori, «comprese le proteine coinvolte nelle risposte immunitarie, nella segnalazione delle chemochine, nelle risposte infiammatorie e nello sviluppo del sistema nervoso».
Rispetto sia ai controlli pre-pandemia che ai partecipanti che avevano avuto il COVID-19 e si erano completamente ripresi, le persone con Long COVID hanno mostrato una maggiore attivazione delle cellule T nel midollo spinale e nella parete intestinale.
I ricercatori attribuiscono i loro risultati all’infezione da SARS-CoV-2, sebbene tutti i partecipanti tranne uno avessero ricevuto almeno una vaccinazione COVID-19 prima dell’imaging PET.
Per ridurre al minimo l’impatto della vaccinazione sull’attivazione delle cellule T, l’imaging PET è stato eseguito a più di 60 giorni da qualsiasi dose di vaccino, ad eccezione di un partecipante che ha ricevuto una dose di vaccino di richiamo sei giorni prima dell’imaging. Sono stati esclusi gli altri che avevano fatto un vaccino COVID-19 entro quattro settimane dall’imaging, scrive Epoch Times.
I ricercatori hanno affermato che il loro studio presentava diversi altri limiti, tra cui dimensioni ridotte del campione, studi correlati limitati, varianti in evoluzione, lancio rapido e incoerente dei vaccini COVID-19, che hanno richiesto loro di modificare i protocolli di imaging, utilizzando individui pre-pandemici come controlli e l’estrema difficoltà di trovare persone che non fossero mai state infettate dal SARS-CoV-2.
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«In sintesi, i nostri risultati forniscono prove provocatorie dell’attivazione del sistema immunitario a lungo termine in diversi tessuti specifici in seguito all’infezione da SARS-CoV-2, compresi quelli che presentano sintomi COVID lunghi», concludono i ricercatori. «Abbiamo identificato che la persistenza del SARS-CoV-2 è un potenziale motore di questo stato immunitario attivato e mostriamo che l’RNA del SARS-CoV-2 può persistere nel tessuto intestinale per quasi 2 anni dopo l’infezione iniziale».
Come riportato da Renovatio 21, già un anno fa la stampa mainstream aveva cominciato ad ammettere che forse «i vaccini potrebbero non prevenire molti sintomi del Long COVID, come ha scritto il Washington Post.
Nella primavere 2022 il professor Harald Matthes dell’ospedale di Berlino Charité aveva dichiarato di aver registrato 40 volte più «effetti collaterali gravi» delle vaccinazioni contro il COVID -19 rispetto a quanto riconosciuto da fonti ufficiali tedesche.
Matthes aveva delle strutture che sarebbero chiamate a curare i pazienti con complicazioni vaccinali: «Abbiamo già diversi ambulatori speciali per il trattamento delle conseguenze a lungo termine della malattia COVID», spiega il prof. Matthes. «Molti quadri clinici noti da “Long COVID” corrispondono a quelli che si verificano come effetti collaterali della vaccinazione».
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Variante COVID, il governo israeliano ordina agli ospedali test PCR su tutti i nuovi pazienti

Il Ministero della Sanità israeliano ha ordinato agli ospedali di condurre test COVID su tutti i nuovi pazienti, mentre anche nello Stato Ebraico si rincorrono le voci di nuovi lockdown in arrivo.
Secondo un rapporto del Jerusalem Post, il Ministero della Sanità ha dato l’ordine di effettuare test PCR obbligatori a causa dell’aumento del numero di infezioni da COVID-19 e per «monitorare in modo più efficace i tassi di infezione».
Secondo quanto riferito, i funzionari sanitari sono preoccupati per la cosiddetta variante BA.2.86 o «Pirola» che potrebbe diffondersi più rapidamente del previsto. Si suppone che la variante sia «in grado di eludere gran parte dell’immunità fornita da precedenti infezioni e vaccinazioni».
Il Jerusalem Post cita Shay Fleishon, direttore esecutivo dell’organizzazione affiliata al governo BioJerusalm, il quale sostiene che la percezione della diffusione relativamente lenta della variante BA.2.86 potrebbe essere dovuta a «scarsi sforzi di sorveglianza in tutto il mondo e non all’insuccesso della variante».
L’autore dell’articolo del Jerusalem Post, Tzvi Joffre, afferma che la «diminuzione della sorveglianza ha anche reso difficile giudicare con precisione la velocità con cui BA.2.86 si sta diffondendo e sta ponendo difficoltà nel catturare varianti future».
Il ricercatore Ben Murrell del Karolinska Institute di Stoccolma ha fatto eco a questo sentimento, affermando: «il fatto, tuttavia, che si sia verificato un altro evento di emergenza simile a Omicron, con quel ramo a lungo inosservato e la successiva diffusione, dovrebbe metterci in guardia dal rinunciare alla nostra infrastruttura di sorveglianza genomica».
All’inizio della crisi COVID, Israele è stato uno dei primi paesi a introdurre misure restrittive, compresi lockdown su larga scala. In questi mesi sono emersi dati impressionanti sulla pandemia, come il fatto che zero adulti sani sono morti di COVID nel Paese. Anche i dati sulle reazione avverse ai vaccini, che lo Stato Ebraico ha inoculato in massa per tutte le varianti alla popolazione emarginando totalmente i non vaccinati, sono stati definiti «allarmanti e scioccanti».
La reintroduzione dei test PCR obbligatori, che si sono rivelati imperfetti e producono risultati imprecisi, così come le richieste di «maggiore sorveglianza», arrivano tra le voci di lockdown e di obblighi di mascherine che torneranno questo autunno.
Mentre in rete si diffonde lo slogan «we will not comply» («non obbediremo»), molte figure pubbliche, incluso l’ex presidente Donaldo Trump, stanno esortando i cittadini a non rispettare potenziali nuovi lockdown, nuovi obblighi di mascherina, nuovi obblighi vaccinali..
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