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Come le cose si decompongono: il film

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Un cortometraggio di Joel Penner e Anna Sigrithur utilizza filmati in time-lapse (cioè, che accelerano il tempo scattando un fotogramma ogni dato intervallo fisso di minuti o secondi) per rivelare come minuscoli organismi rovinano il cibo, altri lo rendono più gustoso attraverso la fermentazione.

 

Il filmato mostra in dettaglio anche il compostaggio e abbattere le cose morte per fertilizzare la Terra per una nuova vita.

 

Il lettore cinéphile ricorderà che simili time-lapse, con creature che andavano in decomposizione, era usato, con sottostante la musica di Michael Nyman, dal regista britannico Peter Greenaway nel suo film del 1985 (in originale, A Zed and two noughts).

 

Avvertenza: il video qui sotto contiene luci stroboscopiche quindi soggetti epilettici o fotosensibili è meglio che non lo guardino.


 

Immagine screenshot da Vimeo

 

 

 

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Attrici giapponesi che si vestono da uomini bullizzano collega fino a spingerla al suicidio

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Dal Giappone arriva l’eco di un episodio di bullismo e violenza sistematica sfociati in un suicidio all’interno di una struttura esclusivamente femminile. Una sorta di suicidio femminicida, ma ad opera di femmine.

 

Teatro della vicenda è per  il corpo teatrale Takarazuka, un’istituzione più che secolare nel mondo dello spettacolo giapponese. Il concetto alla base del corpo teatrale è che sono soltanto attrici a salire in scena, interpretando anche i ruoli maschili. Tale  idea, di per sé spiazzante, inverte completamente la tradizione del teatro tradizionale Kabuki, dove sono gli attori maschi a ricoprire tutti i ruoli.

 

Gli spettacoli del Takarazuka sono tuttavia distanti anni luce dal rigido formalismo del Kabuki: qui si tratta di musical che attingono dalle fonti più disparate, da West Side Story all’Evgenij Onegin, spesso spingendo a tavoletta su elementi che qualche anno fa si definivano camp o kitsch, in italiano lo si potrebbe semplicemente chiamare «pacchianeria», benché estremamente professionale e ben fatta.

 

 

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Il seguito che hanno questi spettacoli nel contesto nipponico è impressionante, ancora di più perché per la grandissima maggioranza femminile: lo scrivente ricorda di essersi imbattuto in una lunghissima coda in attesa di entrare nel teatro di Tokyo – in zona centralissima, vicino al palazzo imperiale – dove si esibisce la compagnia. Si poteva constatare che gli uomini tra la folla erano appena una manciata.

 

Un ambiente quindi quasi completamente femminile, al sicuro da patriarcato e maschilismo tossico.

 

E allora, come si spiegano allora vessazioni di gruppo, ustioni procurate con le piastre per i capelli, carichi di lavoro insostenibili assegnati al solo scopo di umiliare e di lasciare soltanto tre ore di sonno al giorno? È questa l’ordalia che ha portato la 25enne Aria Kii a gettarsi nel vuoto per porre fine alla sua vita nel settembre del 2023.

 

La vicenda era stata prontamente insabbiata dall’azienda che gestisce la compagnia teatrale ma è stata riportata a galla dall’ineffabile Shuukan Bunshun, testata con una lunga e gloriosa tradizione di caccia agli scheletri negli armadi. Nella primavera di quest’anno i dirigenti dell’azienda in questione hanno pubblicamente ammesso la loro responsabilità nel non essere stati in grado di vigilare adeguatamente l’ambiente lavorativo delle attrici.

 

Duole dire che per la società giapponese uno scenario così è tutto fuorché inconsueto: il proverbio «il chiodo che sporge verrà martellato» illustra ancora con una certa fedeltà le dinamiche sociali che si formano all’interno delle istituzioni giapponesi – siano esse scuole, aziende, partiti.

 

Negli ultimi tempi c’è un evidente cambiamento in atto soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro, ma il bullismo allo scopo di creare coesione all’interno di un gruppo è una pratica a cui i giapponesi ricorrono abitualmente e che non sembra soffrire di particolare disapprovazione sociale.

 

Dal Giappone ci chiediamo con sincerità come un giornalista italiano – di area woke, ma anche solo attento a seguire i dettami del politicamente corretto elargiti ai corsi di deontologia dell’Ordine – potrebbe riportare la notizia della triste morte di Aria, con lo stuolo di angherie subite in un contesto esclusivamente femminile.

 

Taro Negishi

Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo

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Lucerna annulla il concerto della Netrebko, Berlino la invita a cantare

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Il concerto in Svizzera della cantante lirica russa Anna Jur’evna Netrebko, previsto per il 1° giugno, è stato annullato su richiesta delle autorità locali, hanno riferito ai media i rappresentanti della sala da concerto della città di Lucerna.   In una dichiarazione al quotidiano Luzerner Zeitung, la direzione del KKL (Kultur und Kongresszentrum Luzern) ha spiegato che «la percezione pubblica del solista resta controversa», riferendosi alle accuse secondo cui Netrebko rimane vicino al presidente russo Vladimir Putin, avendo rifiutato di prendere le distanze da lui dopo l’avvio del conflitto in Ucraina.   La sede del KKL ha inoltre affermato che la vicinanza del concerto alla data e al luogo della prossima Conferenza di pace in Ucraina, prevista per il 15 giugno al Burgenstock, nella città di Nidvaldo, avrebbe causato «una minaccia all’ordine pubblico», secondo quanto affermato da un politico lucernese, riporta EIRN. Ci sarebbero stati «almeno un migliaio» di manifestanti all’esibizione di Netrebko.

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Anche il consigliere comunale di Lucerna, Armin Hartmann, ha dichiarato ai media che l’ufficio del sindaco ha chiesto esplicitamente al KKL di annullare l’esibizione di Netrebko, affermando che «non riteniamo appropriato che un artista russo presumibilmente fedele al regime si esibisca a Lucerna».   Il sindaco Beat Zusli ha anche affermato che «un artista che ha preso le distanze dalla guerra ma non ha mai rinunciato al regime russo, non dovrebbe apparire in città», per non causare «danni alla reputazione» della regione.   In risposta, gli uffici della Netrebko ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna l’annullamento unilaterale della sua esibizione «contrariamente agli obblighi contrattuali» degli organizzatori e sottolinea che la conferenza di pace in Ucraina si terrà due settimane dopo il concerto previsto.   I rappresentanti della cantante hanno sottolineato che «nessuna delle quasi 100 esibizioni di Anna Netrebko dal marzo 2022 ha portato a un disturbo dell’ordine pubblico».   Il management della cantante ha anche sottolineato che, dopo lo scoppio del conflitto ucraino nel 2022, Netrebko si è espressa pubblicamente contro i combattimenti e ha chiesto la pace in Ucraina. Da allora non è più tornata in Russia, poiché vive in Austria dal 2006.   La questione Netrebko ha portato giovedì anche il ministero degli Esteri ucraino a denunciare la decisione dell’Opera di Stato di Berlino di riportare indietro il soprano russo di fama mondiale, una grande artista che era stata precedentemente «cancellata» per essersi rifiutata di denunciare il suo Paese.   «La voce dell’Ucraina in Germania dovrebbe essere ascoltata più forte del soprano Anna Netrebko», ha affermato il ministero di Kiev in un post su Facebook, rivelando che il regime ucraino aveva compiuto sforzi per impedire alla cantante russa di esibirsi a Berlino, ma i suoi sforzi «non hanno avuto la risposta adeguata».   La Netrebko prenderà parte alla première di venerdì del Macbeth. L’Ucraina intende protestare contro la sua presenza inviando l’ambasciatore Oleksiy Makeev alla mostra anti-russa allestita accanto al teatro dell’opera, accompagnato dal senatore per la cultura di Berlino Joseph Chialo, ha detto il ministero. Makeev ha anche pubblicato un editoriale in cui denuncia Netrebko in diversi organi di stampa tedeschi.

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La Staatsoper Unter den Linden, come viene ufficialmente chiamata l’opera berlinese, ha annunciato alla fine di agosto che intende riprendere la collaborazione con la Netrebko, adducendo che non si è esibita in Russia di recente.   Come riportato da Renovatio 21, la battaglia dell’Ucraina contro la Netrebko in Germania è risalente, e non si tratta della sola Germania: lo scorso settembre era emerso che pure le autorità ceche, sotto pressione, hanno annullato l’esibizione programmata di Netrebko a Praga il mese scorso.   La musica classica – settore di eccellenza di tanti artisti russi, dall’opera al balletto e oltre – è sempre più teatro della guerra della russofobia, con le pretese allucinanti del regime di Kiev spesso assecondate dai Paesi occidentali, nonché episodi al limite del tollerabile come quello della nona di Beethoven, cioè L’Inno alla gioia, dove viene ora inserita la parola «Slava», che ricorda ovviamente da vicino lo slogan banderista, cioè neonazista, «Slava Ukraini».   Come riportato da Renovatio 21, la furia russofoba era tracimata anche in Italia, facendo saltare in provincia di Vicenza il balletto Il lago dei cigni di Tchaikovskij, compositore che ha la colpa di essere russo.  

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  Immagine di Manfred Werner via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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La nona di Beethoven trasformata nel canto banderista «Slava Ukraini»

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La direttrice Keri-Lynn Wilson, moglie del direttore generale del Metropolitan Opera di Nuova York Peter Gelb, ha annunciato che la sua «Ukrainian Freedom Orchestra» eseguirà la famosa nona sinfonia di Beethoven, quella ispirata all’ode Inno alla gioia (An die Freude) del drammaturgo tedesco Friedrich Schiller. Lo riporta EIRN.

 

Tuttavia, secondo quanto si apprende, la Wilson starebbe sostituendo la parola «Freude» nel testo con «Slava». «Slava ukraini» o «Gloria all’Ucraina» era il famigerato canto delle coorti ucraine di Hitler guidate dal collaborazionista Stepan Bandera durante la Seconda Guerra Mondiale. Da allora è stato conservato come canto di segnalazione dalle successive generazioni di seguaci di Bandera, i cosiddetti «nazionalisti integrali», chiamati più semplicemente da alcuni neonazisti ucraini o ucronazisti.

 

A causa di quanto accaduto nella prima metà del secolo, in Germania non si può cantare «Heil!» in tedesco senza invocare «Heil Hitler!», né si può dichiarare ad alta voce «Slava!» in Ucraina senza invocare lo «Slava Ukraini» canto dei sanguinari collaboratori locali del Terzo Reich, in particolare il Bandera.

 

La Wilson, che si vanta delle sue origini ucraine via nonna materna e della sua comunità ucraina di Winnipeg, Canada (Paese, come è emerso scandalosamente con il caso Trudeau-Zelens’kyj, pieno di rifugiati ucronazisti), ha rilasciato ieri il suo comunicato stampa.

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«La decisione di cantare il grande testo di Schiller per la Nona Sinfonia di Beethoven in ucraino è stata per noi un’importante dichiarazione artistica e culturale più ampia» ha dichiarato il direttore. «Putin sta letteralmente cercando di mettere a tacere una nazione. Non saremo messi a tacere. Il nostro unico emendamento a Schiller è che invece di cantare “Freude” (Gioia) canteremo “Slava” (Gloria), dal grido della resistenza ucraina di fronte alla spietata aggressione russa, Slava Ukraini! (Gloria all’Ucraina!)».

 

Notiamo l’interessante inversione in corso presso la sinistra e l’establishment: la «resistenza», oggi, la fanno i nazisti…

 

 

 

«Mentre l’Ucraina continua la sua lotta a nome del mondo libero, ha bisogno più che mai del nostro sostegno e porteremo con orgoglio il nostro messaggio in tutta Europa e negli Stati Uniti» ha continuato la Wilsona, che ha eseguito per la prima volta la sua versione banderizzata di Beethoven il 9 nel dicembre 2022 a Leopoli con la sua Ukraine Freedom Orchestra.

 

Nel 2023, l’importante casa discografica della classica Deutsche Grammophon ha registrato l’esecuzione del suo primo tour europeo a Varsavia, e quest’anno vi sarà la pubblicazione, proprio nel bicentenario dell’opera di Beethoven. Vi sarà quindi una tournée quest’estate che toccherà Parigi, Varsavia, Londra, Nuova York e Washington.

 

Secondo quanto riporta EIRN, «si dice inoltre che il prossimo progetto della Wilson coinvolga la sostituzione della parola “agape”» (cioè, in greco, amore disinteressato, infinito, universale), termine contenuto nella lettera di San Paolo ai Corinzi (capitolo 13), «con «agon» o «eris» (cioè, contesa, lotta, conflitto)».

 

Se fosse vero, sarebbe un altro tassello del quadro che si sta dipanando dinanzi ai nostri occhi. Dalla gioia alla guerra. Da Cristo a Nietzsche.

 

Va così, perfino nella musica classica.

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