Cina
Cina, in lockdown anche Dongguan. Timori per l’economia locale (e mondiale)

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews
Test di massa nel grande centro industriale per arrestare una nuova infezione da Covid-19. Ancora congestionati i porti della provincia, colpita anche da frequenti black-out. Il Guangdong produce il 10% del PIL nazionale: un suo rallentamento è pericoloso per il Paese, già alle prese con una forte disoccupazione giovanile.
Le autorità del Guangdong hanno esteso il lockdown ad alcuni quartieri di Dongguan. Dopo la scoperta nel weekend di due casi di COVID-19, il grande centro industriale ha lanciato una campagna di massa per testare la popolazione; intere comunità sono in isolamento e i residenti non possono lasciare la città: un danno enorme per l’economia locale.
Le autorità del Guangdong hanno esteso il lockdown ad alcuni quartieri di Dongguan
La provincia meridionale cinese è alle prese da fine maggio con una recrudescenza del coronavirus. A preoccupare è soprattutto la variante Delta, apparsa per la prima volta in India.
Ieri le autorità sanitarie hanno conteggiato solo sette nuovi casi di contagio; la media dell’ultima settimana è di 11 infezioni giornaliere. Dal 28 maggio in tutto il Guangdong si sono registrate 168 infezioni, il 90% nella capitale provinciale Guangzhou.
Le rigide misure di quarantena e disinfezione hanno causato la congestione del terminal marittimo di Yantian, uno dei porti più trafficati della Cina, che serve l’hub tecnologico di Shenzhen.
Almeno 50 mercantili sono ancorati al largo dello scalo in attesa di attraccare. Secondo la Reuters, le navi cargo interessate dal blocco sono in realtà più di 160: molti esportatori cinesi hanno preferito spostare le proprie merci in Europa con camion merci
Almeno 50 mercantili sono ancorati al largo dello scalo in attesa di attraccare. Secondo la Reuters, le navi cargo interessate dal blocco sono in realtà più di 160: molti esportatori cinesi hanno preferito spostare le proprie merci in Europa con camion merci.
Le operazioni a Yantian potrebbero tornare alla normalità a fine giugno. Anche Shekou e Nansha, gli altri grandi porti della provincia, hanno problemi a decongestionare il traffico marittimo.
Il nuovo focolaio di coronavirus crea ulteriori pericoli all’economia locale. Nell’ultimo periodo la provincia è colpita da frequenti black-out che minacciano la produzione industriale. Le interruzioni di energia elettrica sono dovute alle scarse piogge, con le centrali idroelettriche costrette a lavorare sotto regime, l’impennata del prezzo del carbone (che copre il 60% della produzione elettrica del Paese) e la continua estensione delle aree industriali.
Il Guangdong produce il 10% del PIL nazionale; un suo eventuale rallentamento economico è un pericolo per tutta la Cina.
La mancanza di opportunità nel terziario mantiene alto il livello di disoccupazione giovanile: il 13,8%, secondo l’Ufficio nazionale di statistica, più del doppio di quello generale registrato nelle città, sceso in maggio al 5%
La ripresa dalla crisi del COVID è stata trainata proprio dalla produzione manifatturiera e dalla sua vendita all’estero. Il Paese si trova a fronteggiare una crescita sbilanciata, con le industrie dei servizi che faticano a tornare ai livelli pre-emergenza.
La mancanza di opportunità nel terziario mantiene alto il livello di disoccupazione giovanile: il 13,8%, secondo l’Ufficio nazionale di statistica, più del doppio di quello generale registrato nelle città, sceso in maggio al 5%.
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Immagine di Pau Colominas via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Cina
Cina, dietro a un cancello i 40 anni di Messa di mons. Guo

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nel Fujian il vescovo che ha rinunciato alla carica di ausiliare nel 2020 per non registrarsi negli organismi ufficiali, ha festeggiato l’anniversario dell’ordinazione sacerdotale segregato nella sua residenza. Sigillata anche la cappella, alcuni video giunti da fonti locali ad AsiaNews lo mostrano incontrare i fedeli e amministrare la comunione attraverso le sbarre di un cancello
Nel maggio 2020 aveva deciso di «abbandonare tutte le cariche della diocesi e di ritirarsi a vivere in preghiera», dichiarandosi «incapace di stare al passo coi tempi e con lo stile della Chiesa in Cina e specificamente della nostra diocesi di Mindong».
Cinque anni dopo, l’ex vescovo sotterraneo mons. Vincenzo Guo Xijing – che ai sensi dell’Accordo provvisorio tra Roma e Pechino sulla nomina dei vescovi, nel 2018 era stato indicato dalla Santa Sede nel ruolo di vescovo ausiliare, lasciando la guida di questa Chiesa locale al vescovo «ufficiale» mons. Vincenzo Zhan Silu, riaccolto in comunione con il papa – si trova oggi recluso nella sua residenza, dietro a un cancello con una vistosa catena che gli impedisce di ricevere visite dai fedeli.
A rivelarlo sono alcuni video ricevuti da AsiaNews in concomitanza con una giornata particolare: la ricorrenza dei 40 anni dall’ordinazione sacerdotale che l’oggi sessantasettenne mons. Guo Xijing ha festeggiato il 25 gennaio. Come si può vedere dalle immagini, il presule lo ha fatto da dietro a questo ingresso forzatamente chiuso. Agli amici che gli hanno fatto visita ha potuto offrire una fetta di torta fatta passare tra le sbarre. Ma è anche l’unico modo che ha a disposizione per distribuire la comunione, dal momento che pure la cappella della sua residenza è stata sigillata dalle autorità per impedire ai fedeli delle comunità sotterranee (storicamente molto forti nel nord del Fujian) di partecipare alle sue celebrazioni.
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Come mostra il video la gente non manca lo stesso di portare rosari e oggetti religiosi da far benedire al presule, anche questi fatti passare e poi restituiti attraverso il solito cancello.
Secondo quanto riferito da alcune fonti locali ad AsiaNews questa nuova stretta nei confronti di mons. Guo Xijing andrebbe avanti da Natale, parallelamente a ulteriori pressioni nei confronti dei sacerdoti locali affinché si decidano a registrarsi negli «organismi ufficiali» imposti dal Partito comunista alla Chiesa in Cina.
Cosa che il presule e altri preti del nord del Fujian non hanno mai voluto fare. Va anche aggiunto che tutto questo sarebbe avvenuto proprio nelle settimane successive alla partecipazione di mons. Zhan Silu, il vescovo di Mindong, al Sinodo in Vaticano, tenutosi a ottobre.
I video sulla situazione di mons. Guo Xijing arrivano anche a pochi giorni dal trasferimento – approvato dalla Santa Sede – del vescovo di Xiamen mons. Cai Bingrui alla diocesi di Fuzhou, il capoluogo del Fujian, che è una delle sedi storicamente più importanti per la Chiesa in Cina.
Una cerimonia presieduta dallo stesso mons. Zhan Silu, in un’altra diocesi dove – lo ricordavamo in quest’articolo – l’unità tra «ufficiali» e «sotterranei» resta un cantiere aperto. E i pesanti cancelli imposti dalle autorità non aiutano certo a realizzarla.
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Cina
Alle porte di Pechino un comando militare 10 volte più grande del Pentagono

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Cina
Cina, un nuovo vescovo a Luliang nel quadro dell’Accordo

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Mons. Antonio Ji Weizhong, 51 anni, si è insediato oggi alla guida della diocesi, che nel nome e nei confini canonici prende il posto di quella istituita da Pio XII con il nome di Fenyang. La nomina era stata approvata da papa Francesco il 28 ottobre. In settimana novità in arrivo anche nel Fujian.
Le nomine dei vescovi nel quadro dell’Accordo provvisorio tra Roma e Pechino ripartono dalla provincia dello Shanxi, nella Cina settentrionale.
Questa mattina nella cattedrale del Sacro Cuore di Gesù a Fenyang, un distretto dell’odierna città di Luliang, si è svolta la cerimonia di ordinazione del nuovo vescovo mons. Antonio Ji Weizhong, un sacerdote di 51 anni che era già il vicario generale di questa Chiesa locale. Si è così insediato su una cattedra vacante da quando due anni fa morì all’età di 96 anni l’ultimo predecessore, mons. Giovanni Huo Cheng, presule che aveva trascorso 14 anni in carcere durante la Rivoluzione culturale e che dal 1991 aveva guidato la Chiesa di Fenyang in comunione con la Santa Sede.
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La cerimonia di consacrazione di mons. Ji Weizhong è stata presieduta dal vescovo Taiyuan, mons. Meng Ningyou, che è anche vicepresidente dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, assistito da mons. Ding Lingbin, vescovo di Changzhi, mons. Liu Genzhu, vescovo di Linfen, e mons. Ma Cunguo, vescovo di Shuozhou. Alla cerimonia di consacrazione hanno partecipato circa 130 sacerdoti provenienti dalle diocesi di tutto il Paese, oltre a suore, seminaristi e laici, per un totale di circa 450 persone.
La Santa Sede ha confermato che l’ordinazione è avvenuta ai sensi dell’Accordo e che papa Francesco aveva già approvato questa candidatura lo scorso 28 ottobre, cioè pochi giorni dopo il terzo rinnovo dell’intesa provvisoria tra Roma e Pechino, estesa a una durata di altri quattro anni. Il Vaticano ha anche reso noto che in occasione di questa nomina sono state mutate la denominazione e i confini della diocesi, che d’ora in poi prenderà il nome di Luliang, la città capoluogo della prefettura in cui si trova.
Anche in questa nomina, dunque, si conferma la scelta vaticana di acconsentire al ridisegno della geografia delle Chiese locali seguendo i confini amministrativi, perseguita da tempo dalle autorità di Pechino. Ora «il territorio della diocesi di Luliang – riferisce la sala stampa vaticana – è conforme a quello della città capoluogo di Luliang, con una superfice totale di 21mila kmq e una popolazione totale di 3.346.500 abitanti, di cui circa 20mila cattolici, serviti da 51 sacerdoti e 26 suore».
Il vescovo Ji Weizhong è nato il 3 agosto 1973 nella contea di Wenshui, a Luliang. Dal 1995 al 2001 ha studiato teologia e filosofia presso il seminario cattolico nazionale di Pechino ed è stato ordinato sacerdote nell’ottobre 2001 per la diocesi di Fenyang. Dal 2005 al 2010 ha conseguito la licenza in teologia dogmatica presso l’Università di Sankt Augustin dei Verbiti in Germania. Rientrato nella sua diocesi è stato prima vice-parroco, poi responsabile del Centro pastorale e infine vicario generale. Il 19 luglio scorso era avvenuta la sua elezione come vescovo, poi confermata dalla nomina di papa Francesco.
La sua è la prima nomina episcopale dall’ultimo rinnovo dell’Accordo (quella del vescovo coadiutore di Pechino mons. Matteo Zhen Xuebin, pur annunciata a fine ottobre, era in realtà avvenuta in agosto) e l’undicesima dall’avvio di questa modalità nelle relazioni tra Roma e Pechino nel 2018. Probabilmente – come già avvenuto recentemente – già nei prossimi giorni potrebbero arrivare anche altre notizie di nomine per la Chiesa in Cina: per la mattina di giovedì 23, infatti, anche la diocesi di Fuzhou nella provincia del Fujian, ha già annunciato la cerimonia di insediamento del suo nuovo vescovo.
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Questa sede – in una delle comunità storicamente più importanti del cattolicesimo cinese – è vacante dalla morte nell’aprile 2023 di mons. Pietro Lin Jashian, che era uno dei vescovi «clandestini» riconosciuti ufficialmente dalle autorità di Pechino nell’ambito dell’Accordo.
A differenza di quanto accade solitamente, l’invito diffuso dalla diocesi non indica il nome del successore; fonti locali parlano di un possibile trasferimento di un vescovo da un’altra diocesi della provincia del Fujian.
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Immagine da AsiaNews.
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