Spirito
Chiesa tedesca, «la confessione è praticamente morta»
Padre Andreas Wollbold, dal 2003 professore di teologia pastorale all’Università Ludwig Maximilian di Monaco, ha recentemente condotto un’intervista a Die Tagespost, in cui lamenta che «il sacramento della penitenza gioca solo un ruolo marginale nell’identità della maggior parte dei sacerdoti».
L’abate Wollbold è autore di numerose opere, in particolare su Santa Teresa di Lisieux; quello più recente, pubblicato lo scorso aprile, tratta del celibato sacerdotale, risalendo alle fonti e ai testi dei primi cinque secoli.
Sul suo blog, il professore di pastorale critica duramente la dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede del 18 dicembre 2023. Così commenta: «in particolare, la formula “l’essenziale è che la benedizione non può confondersi con il matrimonio in chiesa” mi sembra errato e fuorviante».
E aggiunge: «non si può fare a meno di pensare che la venerabile Congregazione per la Dottrina della Fede semplicemente non esiste più, visto il suo antico livello teologico. In questo senso il cambio di nome e il declassamento dell’importanza di questo dicastero hanno forse più significato di quanto si potesse pensare inizialmente». Una critica feroce, ma purtroppo giusta.
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«In Germania la confessione è morta»
Nella sua intervista a Die Tagespost ha affermato che «in Germania la confessione è semplicemente morta». E aggiunge che, «per conquistare i fedeli alla riscoperta di questo sacramento, «è necessario forare grandi assi». Ciò può essere fatto solo in modo molto mirato e con molta perseveranza».
Ciò che è particolarmente preoccupante è l’affermazione del sacerdote secondo cui «il sacramento della penitenza gioca solo un ruolo marginale nell’identità della maggior parte dei sacerdoti». Die Tagespot spiega che «il teologo di Monaco ha detto testualmente: questo non va bene, perché accanto alla potenza dell’Eucaristia, quella del perdono dei peccati è la grande caratteristica unica del sacerdote».
È anche attraverso una particolare cerimonia, al termine della messa di ordinazione – nel rito tradizionale, ovviamente – che viene significato questo potere, mentre il pontefice pronuncia la formula: «ricevi lo Spirito Santo: a coloro che a cui li perdonerai, e saranno trattenuti da coloro ai quali li tratterrai», aprendo il fondo posteriore della casula, fino ad allora piegata.
Padre Wollbold aggiunge, un po’ disilluso: «ma è probabile che per questo gli ecclesiastici debbano prima riscoprire loro stessi la potenza di questo sacramento», dimostrando così la scarsa considerazione che hanno per se stessi.
Il sacerdote insiste nell’intervista sulla «confessione devozionale o confessione regolare, divenuta ormai quasi esclusivamente la pratica di chi vive seriamente sul piano spirituale». Lo vede come «un elemento essenziale della crescita spirituale, ma anche del superamento delle inclinazioni profondamente peccaminose».
In passato, ha ricordato, «solo i sacerdoti che, attraverso gli studi e la formazione regolare, erano all’altezza dei requisiti del sacramento della penitenza, avrebbero ricevuto un’ampia autorizzazione a confessare». C’erano anche esami regolari per garantire questa formazione.
Oggi, spiega, tra molti ecclesiastici c’è «un misto di psicologia popolare, spiritualità prediletta e pia consolazione». E non può che esprimere «il suo scetticismo riguardo a questo sviluppo».
Questo sviluppo – che non è frutto solo della Germania – è legato alla profonda decadenza dello spirito sacerdotale, alla perdita dello spirito di sacrificio, e soprattutto dello spirito missionario, che implicitamente indica: «tutti sono salvi». Allora, che senso ha confessare?
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Immagine di Ivonna Nowicka via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine modificata
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Partita autunnale tra Santa Sede e Pechino
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Spirito
Due nuovi «santi» venezuelani riaccendono le tensioni tra Chiesa e Stato
Tralasciando il dubbio valore delle nuove procedure di canonizzazione, una doppia canonizzazione in Venezuela è diventata rapidamente una questione di Stato, rivelando le profonde fratture tra una Chiesa cattolica fortemente coinvolta nell’arena politica, a rischio di apparire come una forza di opposizione, e il potere chavista detenuto dal presidente Nicolas Maduro.
Per comprendere la storia, dobbiamo fare un passo indietro. Il 19 ottobre 2025, papa Leone XIV proclamò «santi» i primi due venezuelani nella storia del Paese: José Gregorio Hernández Cisneros, il «medico dei poveri», e María del Carmen Rendiles Martínez, fondatrice della comunità delle Serve di Gesù. L’evento divenne rapidamente un affare politico.
Nicolás Maduro, al potere dal 2013, non ha perso tempo a sfruttare la canonizzazione. Dopo la cerimonia nella casa-museo di José Gregorio Hernández, circondato da fedeli e autorità governative, il capo dello Stato ha rilasciato una serie di dichiarazioni sui social media: «Siamo felici per i nostri santi. Sono entrambi grandi! Il papa ha agito giustamente!», ha dichiarato, esprimendo «immensa, eterna gratitudine» al pontefice, che ha definito un «amico» e un «fratello».
E presentare l’evento come un gesto provvidenziale di fronte alle «minacce» che la «più grande potenza militare della storia» rappresenterebbe nei Caraibi, vale a dire gli Stati Uniti, che da diversi anni cercano invano di far cadere il regime chavista.
Il chavismo ha una lunga storia con la religione: Hugo Chavez ha invocato la cosiddetta Teologia della Liberazione per la sua «Rivoluzione Bolivariana». Il processo di canonizzazione, guidato con grande entusiasmo dal defunto Papa Francesco, è visto da Nicolas Maduro come una forma di benedizione per il regime.
Ma l’opposizione non è rimasta indietro. Maria Corina Machado, vincitrice del premio Nobel per la Pace 2025, un premio altamente politico, ed Edmundo Gonzalez, il candidato presidenziale fallito, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui José Hernández e Carmen Rendiles vengono descritti come «due santi per 30 milioni di ostaggi venezuelani», riferendosi al destino di 800.000 prigionieri «politici» e migliaia di esuli.
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«Questi santi esemplari, che hanno dedicato la loro vita al servizio degli altri, offrono speranza e consolazione in mezzo all’oscurità», scrivono, invocando un «miracolo imminente»: la caduta del regime chavista.
Temendo che la messa papale del 19 ottobre potesse suggerire una forma di approvazione per Maduro, il giorno seguente, durante una messa di ringraziamento a San Pietro, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede ed ex nunzio in Venezuela dal 2009 al 2013, ha pronunciato un’omelia in cui ha chiesto «di aprire le prigioni ingiuste, di spezzare le catene dell’oppressione, di liberare gli oppressi, di spezzare tutte le catene».
Il caso torna di attualità a Caracas: la «Festa della Santità», prevista per il 25 ottobre 2025 allo stadio Monumental Simon Bolívar , davanti a 50.000 fedeli e alla presenza di tutti i vescovi venezuelani, è stata annullata il 22 ottobre, ufficialmente per «problemi di sicurezza e capienza» – erano state registrate più di 80.000 iscrizioni mentre la capienza non supera i 40.000 posti: «È una questione di sicurezza, sarebbero stati necessari circa tre stadi», spiega uno dei portavoce dell’arcidiocesi.
Nell’arcidiocesi di Caracas si vociferava addirittura che il regime chavista intendesse noleggiare autobus per migliaia di sostenitori, trasformando l’evento in una dimostrazione di forza pro-Maduro. Il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo emerito di Caracas, ha denunciato il 17 ottobre una situazione «moralmente inaccettabile»: «crescente povertà, militarizzazione come forma di governo, corruzione, mancanza di rispetto per la volontà popolare» e ha chiesto il rilascio dei prigionieri.
Nicolas Maduro rispose quattro giorni dopo: «Baltazar Porras ha dedicato la sua vita a cospirare contro José Gregorio Hernández (uno dei neo-canonizzati). È stato sconfitto da Dio, dal popolo». L’accesa discussione tra Chiesa e Stato – in un Paese in cui l’80% della popolazione è cattolica – arriva mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione contro il regime chavista.
Lo schieramento di una grande flotta al largo delle coste del Paese, accompagnata da un sottomarino nucleare d’attacco, da caccia F-35 e dalla CIA ufficialmente autorizzata da Donald Trump a operare sul territorio venezuelano: si intensifica la pressione su un Paese economicamente rovinato dal bolivarianismo e che – per fortuna o per sfortuna? – è uno dei più dotati in termini di risorse petrolifere. Abbastanza da suscitare cupidigia.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di Guillermo Ramos Flamerich via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Spirito
Omelia relativista di Papa Leone XIII: «nessuno possiede tutta la verità»
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