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Politica

Assad for president

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Il Capo dello Stato italiano si gode ben 4 minuti di applausi sul palco reale della Scala di Milano. Chi si manifesta alla prima della Scala raramente è alieno all’establishment, quasi sempre gli è caro: vale tanto per chi è osannato, quanto per chi si spella le mani. La serata milanese è l’istantanea perfetta dell’Occidente sazio e disperato, stordito e smidollato, che balla ebbro a bordo del Titanic.

 

Noi invece, da alieni, vorremmo riservare non 4, ma almeno i proverbiali 92 minuti di applausi, con standing ovation, al Capo dello Stato siriano Bashar al Assad, un uomo al comando di una piccola nazione in guerra ininterrotta da nove anni. Nove lunghissimi anni. Perché l’intervista che ha reso a fine novembre all’ex presidente Rai Monica Maggioni è stata impeccabile: limpida, sincera, potente. A tratti commovente, come quando si è definito, alla pari di tutti i siriani, un sopravvissuto. «In una guerra nazionale come questa, in cui quasi tutte le città sono state danneggiate dal terrorismo o dai bombardamenti esterni, allora puoi parlare di tutti i siriani come sopravvissuti…Faccio parte di quei siriani, non posso essere disconnesso da loro». Del resto, nessuno più di lui incarna oggi il bersaglio del potere omicida dell’impero occidentale e della correlativa mistificazione mediatica che ad esso tenta di fare da scudo.

 

La storia della mancata messa in onda dell’intervista sui palinsesti nazionali è nota, ed è francamente incredibile. Che 24 minuti di materiale giornalistico di primissima scelta, su tema così scottante e con attori di tanto calibro, siano rigettati dalla Tv di stato è qualcosa che, con ogni evidenza, ha a che fare con la parola “censura”. Non è un passaggio difficile da comprendere, considerata l’immagine adamantina che dal servizio esce di un preteso dittatore sanguinario, capo – secondo la narrazione mainstream da lui stesso evocata – di un «cattivo governo che uccide la brava gente».

 

È più difficile comprendere, piuttosto, perché i vari inviati di guerra italiani – tra cui Micalessin, che con la Maggioni ha il trascorso di «un lungo legame sentimentale» – minimizzino la vicenda, imputando l’oscuramento a beghe, personali e sindacali, interne alla azieda. Foa intanto, come sempre, appare disperso.

 

Assad, con olimpica serenità, accusa l’Europa (oltre agli Stati Uniti) di avere sostenuto il terrorismo, e di essere dalla prim’ora il principale responsabile della creazione del caos in Siria. Ma come, mamma UE, quella che vuole il nostro benessere e la nostra pace, quella che vuole a tutti i costi aiutarci coll’imposizione del MES, sarebbe complice delle stragi siriane? Non va bene, no.

 

«La situazione – spiega il Presidente – non era quella che ha tentato di mostrare la narrativa occidentale; la narrativa occidentale cercava di mostrare i siriani in lotta l’uno contro l’altro, in quella che hanno chiamato una “guerra civile”, e ciò è fuorviante. La situazione non era di guerra civile». E continua: «Non c’è una guerra settaria, non c’è una guerra etnica, non c’è una guerra politica: erano terroristi, sostenuti da potenze estere che avevano denaro e armamenti e occupavano quelle aree».

 

Ma come, non c’è mai stata una “guerra civile” in Siria? Assad lo spiega incontrovertibilmente: No, l’unica cosa che c’è stata, è il terrorismo. E il terrorismo è stato spinto e armato dall’Europa, dagli USA, dalla Turchia. E nemmeno questo va a genio, ovviamente, ai padroni del vapore. Proprio no.

 

Decisamente intollerabile, poi, che Assad, pure con delicatezza, ridimensioni uno degli esponenti più in vista della cupola mondiale, e definisca con eleganza Bergoglio “male informato” sui fatti siriani in quanto vittima pure lui della narrazione dominante. Chi altri ha il coraggio di parlare così? Non c’è il rischio che si apra una breccia nella diga, per cui potremmo cominciare a dire anche noi che Bergoglio è “male informato” per esempio su immigrazione, culti tribali, omosessualismo, genderismo, dottrina cristiana?

 

Possiamo davvero fare a meno del Vaticano? Assad sembra dire, e in modo convincente, di sì: io sono qua e ho difeso il mio popolo comunque, anche contro il Vaticano “disinformato”. A Bergoglio che gli dà lezioni di umanità risponde con una lezione di logica, spiegando come «senza il sostegno del popolo non puoi avanzare politicamente, militarmente, economicamente e in ogni aspetto. Non avremmo potuto sostenere questa guerra per nove anni senza il sostegno pubblico. E non avremmo potuto avere sostegno pubblico mentre si stavano uccidendo civili. Questa è una equazione, una equazione evidente, nessuno può smentirla».

 

Ma gli manda a dire qualcosa di più: gli spiega che, siccome il Vaticano è uno Stato sovrano, come qualsiasi altro Stato che si preoccupi della sorte dei civili, ha il dovere di risalire alle ragioni del problema, e «la ragione principale è il ruolo occidentale nel sostenere i terroristi e le sanzioni contro il popolo siriano che hanno peggiorato la situazione». Il Vaticano, anzi, se davvero facesse il proprio dovere, dovrebbe «convincere molti stati a smettere di immischiarsi nella questione siriana, a smettere di violare il diritto internazionale». Infatti «abbiamo solo bisogno che le persone seguano il diritto internazionale: i civili saranno al sicuro, l’ordine tornerà e tutto andrà bene. Nient’altro».

 

Ma poi, diciamola tutta: impressiona che il Presidente pronunci più volte nell’intervista la parola “wahabita” (egli parla di ideologia oscurantista, wahabita, estremista, islamista). Che è poi un altro modo per dire: saudita. Il wahabismo è quella versione dell’islam, estremo ed iconoclasta, che regge il regno saudita. Come noto, i miliardi arabi negli ultimi 50 anni sono serviti per wahabizzare, cioè estremizzare, gli imam sunniti di tutto il pianeta, dal Pakistan a Viale Jenner, da Bruxelles a Finsbury Park, dal Kosovo (capitale mondiale di foreign fighters pro capite) alla Cecenia.

 

Con i sauditi, e con il loro attuale dominus de facto, il principe Mohammed bin Salman (che ha ammesso le proprie responsabilità nello squartamento del connazionale giornalista del Washington Post Adnan Khashoggi), l’Italia ha rapporti cordialissimi: per il petrolio, per l’economia (prodotti di lusso, armi) e per questioni militari (ancora armi, addestramenti). Vale solo la pena di ricordare come l’Arabia Saudita non sia una repubblica laica, tipo la Siria, ma un regno teocratico, dove vige la sharia, con punizioni corporali e pena di morte, un regno che ha i famosi “diritti delle donne” in cima ai propri pensieri. Vale la pena di ricordare anche come, durante il regno dell’ISIS, nelle sue scuole erano adottati testi scolastici provenienti dall’Arabia Saudita. In breve – lo ha scritto icasticamente il New York Times – l’Arabia Saudita è un ISIS che ce l’ha fatta.

 

Considerato tutto questo, colpisce che l’influenza saudita in Italia si prenda oggi, sfacciatamente, un pezzo della sinistra, e del governo. Matteo Renzi, pur avendo fardelli famigliari e giudiziari piuttosto pesanti, ha trovato il tempo di andare e venire dall’Arabia Saudita e, tra l’altro, di presenziare al convegno annuale degli investitori globali iper-miliardari indetto dal succitato Mohammed bin Salman lo squartatore, che con il suo regno sta per affrontare oggi la prova più difficile: portare in Borsa la Saudi Arabian American Company (ARAMCO), cioè l’industria nazionale – id est: famigliare – dei petroli (per la cronaca, l’operazione è andata finalmente in porto proprio in queste ore, totalizzando una capitalizzazione pari al PIL italiano, cioè 1,88 trilioni di dollari).

 

Il principe vuole modernizzare il Paese, vuole ridurre la dipendenza dal petrolio, vuole creare NEOM, una città nel deserto abitata da androidi, ricconi ed artisti. È abbastanza comprensibile, allora, che ogni parola non conforme al gergo del geopoliticamente corretto – come per esempio una intervista ad Assad che ripete la parola magica “wahabita”, quella che apriti sesamo ci porta nella grotta del fondamentalismo – possa creare un vulnus economico non da poco in questo momento cruciale di trapasso saudita in borsa. Equivale a mostrare che i nemici di Riyadh sono in buona forma…sono sopravvissuti. Nonostante i tentativi di assassinio, nonostante le balle sulle armi chimiche (spiegate stupendamente dal grande accusato), nonostante lo sputtanamento internazionale continuo, nonostante un decennio di guerra contro la più infame e sanguinaria potenza terrorista mai apparsa sulla terra.

 

È noto che in questo momento i Sauditi hanno rotto gli indugi mostrando senza veli la collaborazione con un altro paese limitrofo, Israele. Col risultato che, tra il Regno wahabita, lo Stato ebraico e i residui dello Stato Islamico, l’unico soggetto non-teocratico del gruppo è proprio la Siria.

 

Ora, dopo queste brevi constatazioni, non è peregrino immaginare che qualcuno non abbia gradito i contenuti dell’intervista ad Assad di Monica Maggioni, pure frequentatrice occasionale del Bilderberg (ma nessuno è perfetto).

 

Forse la cosa giusta da fare sarebbe cercare di capire chi possa avere fatto la telefonata per bloccare la messa in onda. Di chi sia, cioè, la cornetta fumante. Di certo, la versione dimessa degli inviati di guerra, che vorrebbero liquidare l’incidente diplomatico come una banale ricaduta, solo un po’ imbarazzante, di beghe d’ufficio interne alla Rai, è quantomeno riduttiva, se da fonti mediorientali giunge notizia che Facebook e Twitter pare abbiano chiuso il canale/pagina della presidenza della repubblica siriana durante la messa in onda della intervista. Altro che beghe d’ufficio…

 

Ma è anche vero che non vale nemmeno la pena di lambiccarsi il cervello, perché oramai ogni schifezza del potere, ogni aberrazione della propaganda, ogni crimine delle istituzioni, tutto quanto viene compiuto alla luce del sole, condito da una hybris sconvolgente, che è pura pornografia politica, geopolitica, diplomatica, giornalistica.

 

In questo mondo putrescente, in questo tempo sconfortante, noi ora vogliamo solo alzarci in piedi e applaudire, con o senza Tosca, il presidente Bashar al-Assad. Uno che difende «l’integrità e la sovranità» del suo paese. Uno che afferma «usciremo da questa guerra più forti». Uno che dice e ripete: «il mio lavoro non è quello di essere contento di quello che sto facendo o di non essere felice o altro, non riguarda i miei sentimenti, riguarda gli interessi della Siria, quindi ovunque andranno i nostri interessi, lì andrò anch’io». Uno che sa cos’è l’onore.

 

Uno che, peraltro, con l’Italia vantava pure un trascorso significativo: l’11 marzo 2010 Giorgio Napolitano gli assegnava l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone al merito della Repubblica Italiana, «eccezionalmente conferita per altissime benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, dell’economia e nell’espletamento di cariche pubbliche e di attività svolte a fini sociali, filantropici e umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari». Finché un paio di anni dopo, il 28 settembre 2012, errata corrige, l’onorificenza fu revocata per indegnità. Ma basta guardare e ascoltare pochi minuti dell’intervista proibita per capire che l’indegnità abita altrove.

 

 

Roberto Dal Bosco

Elisabetta Frezza

 

 

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

 

 

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Politica

Il candidato pro-UE vince la ripetizione delle elezioni presidenziali in Romania

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Secondo il conteggio ufficiale, il sindaco pro-UE di Bucarest Nicusor Dan ha sconfitto il candidato euroscettico George Simion alle elezioni presidenziali in Romania.

 

Con oltre il 99% delle schede scrutinate, Dan ha ottenuto il 54% dei voti al ballottaggio di domenica, mentre Simion ne ha ricevuti il ​​46%.

 

Dan ha ringraziato i suoi sostenitori per una «mobilitazione senza precedenti».

 

«Da domani iniziamo la ricostruzione della Romania: una Romania unita e onesta, fondata sul rispetto della legge e di tutto il suo popolo», ha scritto su X.

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Simion, leader del partito di destra Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR), non ha ammesso subito la sconfitta. In un post su X di domenica sera, ha dichiarato di essere «il nuovo presidente». Ha ammesso la sconfitta diverse ore dopo e si è congratulato con Dan. «Era la volontà del popolo rumeno. Andremo fino in fondo, anche se è difficile sopportare il sapore amaro della sconfitta», ha dichiarato in un videomessaggio lunedì. «Potremmo aver perso una battaglia, ma di certo non perderemo la guerra».

 

La presidente pro-UE della vicina Moldavia, Maia Sandu, si è congratulata con Dan. «Moldavia e Romania sono unite, si sostengono a vicenda e lavorano fianco a fianco per un futuro pacifico, democratico ed europeo per tutti i nostri cittadini», ha affermato.

 

 

I due Paesi condividono profondi legami storici e culturali, con circa il 30% della popolazione moldava in possesso della doppia cittadinanza moldava-rumena. Il partito di Simion ha affermato che le autorità moldave e i media moldavi hanno condotto una campagna illegale per mobilitare il sostegno a Dan tra gli elettori residenti in Moldavia. Chișinău ha negato qualsiasi interferenza nelle elezioni.

 

La ripetizione delle elezioni è stata ordinata dopo che la Corte Costituzionale rumena ha annullato i risultati delle elezioni di novembre, in cui il candidato indipendente di destra Calin Georgescu è arrivato primo con il 23%. Le autorità hanno citato «irregolarità» nella sua campagna, insieme a rapporti di intelligence che presumono interferenze russe, affermazioni che Mosca ha smentito.

 

Simion ha condannato l’annullamento dei risultati delle elezioni del 2024 definendolo un «colpo di Stato» e ha affermato che, se eletto, potrebbe nominare Georgescu come primo ministro.

 

Al primo turno, il 4 maggio, Simion ha ricevuto il 41% dei voti, mentre Dan e l’ex senatore Crin Antonescu ne hanno ottenuti circa il 20%.

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Politica

Bangladesh, vietato il partito dell’ex premier

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Il governo ad interim del Bangladesh ha deciso di mettere al bando il partito Awami League dell’ex primo ministro Sheikh Hasina e di impedirgli di candidarsi alle prossime elezioni generali, affermando che è necessario per proteggere la sicurezza e la sovranità nazionale.   Il divieto è stato imposto in base alla revisione della legge antiterrorismo, introdotta nella notte di lunedì.   Shafiqul Alam, addetto stampa del consigliere capo ad interim Muhammad Yunus, ha difeso il divieto e ha dichiarato all’agenzia di stampa statale Bangladesh Sangbad Sangstha (BSS) che le elezioni nel Paese erano una questione interna e che gli altri Paesi avrebbero dovuto rispettare la volontà sovrana del popolo bengalese.

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Le dichiarazioni di Alam di martedì erano rivolte alla vicina India, che sostiene l’Awami League da anni.   Il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Randhir Jaiswal, ha descritto il divieto come uno «sviluppo preoccupante» imposto senza un giusto processo.   La Lega Awami, guidata dall’ex premier Hasina, è stata estromessa dal potere il 5 agosto dello scorso anno da una rivolta studentesca. La Hasina è fuggita in India e il Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus ha assunto la guida di un governo ad interim. Da allora, i rapporti tra i due vicini dell’Asia meridionale sono tesi, con attacchi alla minoranza induista del Paese. Il golpe ha gettato anche la comunità cristiana nell’incertezza.   Nuova Delhi ha ripetutamente chiesto la rapida celebrazione di elezioni libere, eque e inclusive in Bangladesh.  
  Non è ancora stata fissata una data definitiva per le prossime elezioni generali in Bangladesh, che potrebbero svolgersi tra dicembre 2025 e giugno 2026.   A margine del sesto vertice BIMSTEC (Bay of Bengal Initiative for Multi-Sectoral Technical and Economic Cooperation) tenutosi a Bangkok ad aprile, il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha incontrato Yunus e gli ha espresso il desiderio di Nuova Delhi di «instaurare un rapporto positivo e costruttivo con il Bangladesh basato sul pragmatismo». Ha tuttavia sottolineato che «è meglio evitare la retorica che danneggia l’ambiente».   Durante l’incontro con Modi, Yunus ha sollevato la questione dell’estradizione dell’ex primo ministro.   Il governo ad interim ha chiesto l’estradizione di Hasina e dei membri del suo governo per essere processati con accuse di omicidio, tortura, rapimento, crimini contro l’umanità e genocidio. Nuova Delhi non ha commentato pubblicamente la richiesta.

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Politico progressista svedese accusato di molestie sessuali su minori

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Gustav Hemming, ex consigliere regionale e membro di lunga data del Partito di Centro svedese, è stato accusato di molestie sessuali su minore dopo essersi – secondo le accuse – toccato i propri genitali di fronte a un ragazzo di 13 anni su un treno di pendolari nell’agosto 2024. Lo riporta Remix News.

 

L’incidente fu ripreso dalle telecamere di sorveglianza e portò alle dimissioni di Hemming dalla vita politica a dicembre.

 

Nelle trascrizioni dell’interrogatorio della polizia, a cui ha avuto accesso l’agenzia di stampa svedese SVT, Hemming avrebbe ammesso di essere l’uomo visto nel video, ma ha negato l’intento criminale. Ha descritto l’atto come un momento «mal valutato» di quella che percepiva come attrazione reciproca.

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«Non credo di aver deliberatamente preso di mira un minore», ha detto Hemming alla polizia. «Mi sono guardato un po’ intorno e ho percepito un qualche tipo di contatto… Ho percepito una reciprocità che può essere sessualmente eccitante in un ambiente anonimo».

 

La vittima tredicenne, tuttavia, ha raccontato alla polizia di aver guardato il telefono durante il viaggio in treno e di aver alzato lo sguardo, scoprendo un uomo che si stava masturbando. «È stato davvero strano», ha detto il ragazzo. «Ho pensato: “Che diavolo sta facendo?”»

 

Allarmato dall’incontro, il ragazzo ha chiamato i genitori una volta sceso dal treno, temendo di essere seguito. In una testimonianza successiva, ha espresso preoccupazione all’idea di rivedere l’uomo.

 

 

Lo Hemming ha detto agli investigatori di credere che il ragazzo fosse più grande, citando quello che ha descritto come lo «stile di abbigliamento consapevole» dell’adolescente e «una certa sicurezza di sé», affermando che, poiché l’incidente si era verificato nel pomeriggio sui mezzi pubblici, presumeva che la maggior parte dei passeggeri fosse in età da scuola superiore o più grande.

 

Il politico progressista ha ammesso, tuttavia, un grave errore di valutazione. «Penso che questa persona mi abbia denunciato, il che significa che ho commesso un errore di valutazione molto grave sul suo atteggiamento».

 

Riguardo alla reazione del pubblico, lo Hemming ha affermato che il caso ha avuto un effetto devastante sulla sua vita personale e professionale. «Certo, mi vergogno molto. È anche una notizia che è diventata di dominio pubblico, raggiungendo tutti quelli che conosco e un pubblico più vasto. Non è qualcosa a cui vorresti mai partecipare».

 

Il Partito di Centro si è rifiutato di commentare pubblicamente l’incidente avvenuto in seguito alle dimissioni di Hemming. L’accusato è stato vicepresidente dell’Associazione per l’istruzione superiore del Partito di Centro dal 1994 al 1996. Era stato inoltre vice consigliere della contea di Stoccolma per la Sanità dal 2006 al 2010.

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Lo Hemming è attualmente in attesa di processo.

 

Nella politica della contea della capitale lo Hemming si è occupato di i suoi ambiti di responsabilità come consigliere di contea per il mandato 2006-2010 erano l’assistenza odontoiatrica (di cui ha sostenuto la privatizzazione), l’arcipelago e le questioni ambientali. È stato uno dei firmatari della lettera aperta al gruppo parlamentare del Partito di Centro sull’assistenza sanitaria gratuita per gli immigrati clandestini e nascosti.

 

Lo Hemming è stato anche vicepresidente dell’Associazione per l’Istruzione superiore del Partito di Centro tra il 1994 e il 1996 ed è stato presidente della rete LGBT del Partito di Centro.

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