Geopolitica
Ammissione a sorpresa di Netanyahu: Israele «non è riuscito» a ridurre al minimo le vittime civili
Negli ultimi giorni il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lanciato un blitz sui media USA, in un momento in cui l’opinione pubblica americana è diventata sempre più divisa sull’azione militare israeliana a Gaza e sul crescente numero di vittime civili.
Generando una certa sorpresa, in un’intervista con la CBS, ha fatto un’ammissione sorprendente – soprattutto dopo che le istituzioni internazionali, compreso un gruppo di esperti delle Nazioni Unite hanno accusato Israele di aver condotto «genocidio» e «crimini di guerra».
Netanyahu, in pratica, ha riconosciuto dinanzi alle telecamere che Israele non è riuscita a ridurre al minimo le vittime civili tra i civili.
In an exclusive with @norahodonnell, Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu says Israel had "concrete evidence" of terrorists at Al-Shifa hospital. Plus, what he said about a potential hostage deal. https://t.co/sRyyTbIOOq pic.twitter.com/lY0WFoBDU8
— CBS Evening News (@CBSEveningNews) November 17, 2023
Alla fine ha incolpato Hamas per le stragi civili, promettendo che l’esercito israeliano «cercherà di portare a termine il lavoro» di sradicare il gruppo terroristico islamico.
Ma ha sottolineato con parole sorprendentemente schiette: «questo è quello che stiamo cercando di fare: ridurre al minimo le vittime civili. Ma sfortunatamente, non ci siamo riusciti».
Il primo ministro dello Stato Ebraico ha presentato il contesto come quello in cui Hamas stava impedendo ai civili di lasciare il nord di Gaza «sotto la minaccia delle armi», sostenendo che l’organizzazione islamista palestinese «ha sparato contro i corridoi sicuri che abbiamo fornito ai palestinesi».
Nelle ultime settimane Israele ha lanciato centinaia di migliaia di volantini su Gaza, avvertendo i civili di uscire dal nord di Gaza, che comprende la popolosa Gaza City, e di spostarsi verso sud. Tuttavia proprio questa settimana Israele ha detto anche alle aree del sud di evacuare. I palestinesi hanno affermato di non avere nessun posto dove andare, anche perché il valico di Rafah verso l’Egitto rimane chiuso a tutti tranne che ai titolari di passaporto straniero.
«Ogni morte di civile è una tragedia. E non dovremmo averne, perché stiamo facendo tutto il possibile per togliere i civili dal pericolo, mentre Hamas sta facendo di tutto per mantenerli in pericolo», ha spiegato Netanyahu.
Nel frattempo, il rappresentante della Palestina all’ONU ha cercato di confutare la narrazione israelo-americana della crisi di Gaza all’ONU, attaccando l’intero mito della «civiltà» occidentale dominata dal Complesso Militare Industriale degli Stati Uniti
La Casa Bianca ha iniziato molto tardi ad avvertire Israele che deve esercitare moderazione quando si tratta di «obiettivi» come l’ospedale Al-Shifa, di cui ora le forze israeliane ora ne ha il controllo militare, ma molti palestinesi sono rimasti all’interno.
In less than 2 minutes, the representative for the State of Palestine at the UN, eviscerates the entire myth of Western "civilization" under the US Military Industrial Complex. This should be mandatory viewing in schools and universities throughout the Western world, if we do… pic.twitter.com/nSN5wBXtJs
— Robin Monotti (@robinmonotti) November 16, 2023
Secondo l’emittente qatariota Al Jazeera, almeno 22 pazienti, per lo più in terapia intensiva, sarebbero morti durante la notte. Un articolo di venerdì cita il direttore di Al-Shifa Muhammed Abu Salmiya che afferma che «7000 persone – pazienti, medici e altri civili in cerca di rifugio – sono intrappolate nell’ospedale e il complesso rimane tagliato fuori da acqua, elettricità e comunicazioni».
Come riportato da Renovatio 21, da settimane oramai Israele continua a bombardare campi profughi, scuole e ospedali a Gaza, nonostante le presunte pressioni degli Stati Uniti per «pause umanitarie». Immagini sempre più brutali, con spari su auto civili e persone travolte da bulldozer continuano ad emergere dalla Palestina.
Un video di un elicottero d’attacco israeliano Apache che spara su persone che fuggono nel giorno dell’attacco di Hamas (7 ottobre 2023) stanno facendo discutere nello Stato Ebraico e nel mondo: alcuni sostengono che i piloti, forse disorientati mentre ricevevano ordini via Whatsapp, avessero iniziato ad aprire il fuoco contro gli stessi partecipanti del rave di Re’im messi in fuga da Hamas.
Geopolitica
Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati
Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.
In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».
Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.
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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.
Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.
L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.
«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».
Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».
Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.
«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.
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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato
Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.
L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.
Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.
Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.
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Geopolitica
Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine
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Geopolitica
L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.
Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.
«Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.
Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in Israele.
L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.
La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.
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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.
Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.
Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.
Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.
Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».
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Immagine di duma.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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