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Allattano i figli per mostrare il seno su Instagram come su Onlyfans

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Gli utenti di Instagram hanno iniziato a lamentarsi dell’algoritmo della piattaforma che mostra un numero crescente di video di «allattamento al seno» nei feed consigliati, sottolineando che molte delle donne in queste clip sembrano essere modelle OnlyFans che cercano di pubblicizzare i loro contenuti a pagamento.

 

Sebbene Meta, proprietaria di Instagram e Facebook, non consenta contenuti espliciti o nudità sulle sue piattaforme, le linee guida della community fanno un’eccezione per immagini e video relativi a «momenti dell’allattamento al seno, del parto e del dopo-parto, situazioni legate alla salute (ad esempio, post-mastectomia, consapevolezza del cancro al seno o intervento chirurgico per la conferma del genere) o un atto di protesta».

 

Tuttavia, gli utenti di Instagram hanno segnalato un recente afflusso di «contenuti disturbanti» pubblicati nei loro feed, come video fetish e modelle OnlyFans che promuovono i loro canali mentre «allattano» quelli che sembrano essere bombolotti.

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«Non ci sono filmati educativi» in questi video, ha detto un utente di Reddit, riferendo di aver bloccato circa 20 account promozionali di OnlyFans in un solo giorno.

 

 

Anche altri utenti hanno condiviso esperienze simili, descrivendo video di donne che allattano bambole e bambini finti con didascalie come «allattamento al seno di 18 anni» o «tutorial sull’allattamento al seno».

 

Un utente di Reddit ha affermato di aver contattato uno dei creatori di questi video, criticandola per aver pubblicato video sull’allattamento al seno, a cui la modella avrebbe risposto affermando che «le persone stanno reagendo in modo completamente esagerato».

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«Non è un bambino vero ed è semplicemente un oggetto di scena utilizzato per smascherare la scappatoia di Instagram. Infine, nella settimana in cui ho iniziato a pubblicare questi video, i miei guadagni OnlyFans sono saliti a 60.000 al mese, quindi chiaramente non tutti sono d’accordo con te”, avrebbe detto il modello OnlyFans senza nome.

 

Molti utenti hanno inoltre affermato che la segnalazione di tali contenuti o l’utilizzo della funzione «non interessato» di Instagram non sembra avere alcun effetto sull’algoritmo, che continua a consigliare video indesiderati.

 

Una soluzione per evitare che questi video compaiano nel feed, come raccomandato da diversi utenti, è stata quella di regolare le impostazioni sulla privacy dell’app per mostrare contenuti meno sensibili, inserire nella lista nera determinate parole chiave in «parole e frasi specifiche» e mettere «Mi piace» e cercare contenuti divertenti per addestrare l’algoritmo.

 

L’atto dell’allattamento è perfettamente tollerato nella società occidentale, in ogni luogo, ed anzi, è considerato problematico, inaccettabile, che qualcuno si lamenti di una madre che allatti il bambino in pubblico. Tuttavia in altre società non è così.

 

I colossi dei social in passato hanno censurato immagini di seni perfino in opere d’arte come la Venere di Botticelli.

 

Il carattere turgido ed ipertrofico dei seni delle donne durante l’allattamento dovrebbe a molte donne l’idea che la forma superiore di bellezza che pare attirare i maschi – generando la filiera della chirurgia mastoplastica da miliardi di dollari – viene esattamente dalla maternità, culmine assoluto della femminilità, anche da un punto di vista di estetica biologica.

 

Era tra gli aneddoti del sistema della moda e dello spettacolo la storia per cui alcune modelle approfittano del periodo di allattamento per scattare servizi fotografici di intimo ed affini – una sorta di doping per il lavoro di modella (beninteso, non di mannequin per la moda milanese, dove gli stilisti paiono imporre donne prive di forme femminili, con le classiche conseguenti polemiche sull’anoressia).

 

Vi sono, tuttavia, anche casi contrari, dove invece la donna cessa, per qualche ragione, l’allattamento. È il caso di Chiara Ferragni, che nel 2018 in un’intervista a Vanity Fair disse: «io avrei voluto allattare il più lungo possibile ma, già dopo due settimane, su consiglio del medico, ho dovuto inserire il latte artificiale. Sapendo che avrei dovuto tornare presto a lavorare, in capo a due mesi ho rinunciato del tutto all’allattamento naturale. L’idea di maternità che ho io è che non ci si deve annullare per un figlio».

 

La polemica per queste parole fu, strano a pensarsi, inferiore a quella sul pandoro che ha, dicono alcuni, forse concluso la carriera dell’influencer cremonese.

 

Secondo quanto riportato dai media, la secondogenita sarebbe stata invece allattata al seno.

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Google nega di aver scansionato le email e gli allegati degli utenti con il suo software AI

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Google, colosso tecnologico, nega categoricamente i resoconti diffusi all’inizio di questa settimana da vari media autorevoli, affermando che non impiega e-mail e loro allegati per addestrare il suo nuovo modello di intelligenza artificiale Gemini.   Questa settimana, testate come Fox News e Breitbart hanno pubblicato articoli che illustravano ai lettori come «bloccare l’accesso dell’IA di Google alla propria posta su Gmail».   «Google ha annunciato il 5 novembre un aggiornamento che permette a Gemini Deep Research di sfruttare il contesto di Gmail, Drive e Chat», ha riferito Fox News, «consentendo all’IA di estrarre dati da messaggi, allegati e file archiviati per supportare le ricerche degli utenti».   Il sito di informazione statunitense Breitbart ha sostenuto in modo simile che «Google ha iniziato a scandagliare in silenzio le e-mail private e gli allegati degli utenti Gmail per addestrare i suoi modelli IA, imponendo un opt-out manuale per evitare l’inclusione automatica».   Il sito ha citato un comunicato di Malwarebytes, che accusava l’azienda di aver implementato il cambiamento senza notifica agli utenti.   In risposta al clamore, Google ha emesso una smentita ufficiale. «Queste notizie sono fuorvianti: non abbiamo alterato le impostazioni di nessuno. Le funzionalità intelligenti di Gmail esistono da anni e non utilizziamo i contenuti di Gmail per addestrare Gemini. Siamo sempre trasparenti sui cambiamenti ai nostri termini di servizio e alle policy», ha dichiarato un portavoce al giornalista di ZDNET Lance Whitney.

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Malwarebytes ha in seguito rivisto il suo post sul blog, ammettendo di aver «contribuito a una tempesta perfetta di incomprensioni» e precisando che la sua affermazione «non sembra essere» corretta.   Tuttavia, il blog ha riconosciuto che Google «analizza i contenuti delle e-mail per potenziare le sue “funzionalità intelligenti”, come il rilevamento dello spam, la categorizzazione e i suggerimenti di composizione. Ma questo è parte del funzionamento ordinario di Gmail e non equivale ad addestrare i modelli IA generativi».   Questa replica di Google difficilmente placherà gli utenti preoccupati da tempo per le pratiche di sorveglianza delle Big Tech e i loro legami con le agenzie di intelligence.   «Penso che l’aspetto più allarmante sia stato il flusso costante e coordinato di comunicazioni tra FBI, Dipartimento della Sicurezza Interna e le principali aziende tech del Paese», ha testimoniato il giornalista Matt Taibbi al Congresso USA nel dicembre 2023, in un’udienza su come Twitter collaborasse con l’FBI per censurare utenti e condividere dati con il governo.   L’11 novembre, presso la Corte Distrettuale USA per il Distretto Settentrionale della California, è stata depositata una class action contro Google. La vertenza accusa l’azienda di aver violato l’Invasion of Privacy Act della California attivando in segreto Gemini AI per analizzare messaggi di Gmail, Google Chat e Google Meet nell’ottobre 2025, senza notifica o consenso esplicito degli utenti.  

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Meta avrebbe chiuso un occhio sul traffico sessuale: ulteriori documenti del tribunale

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Ulteriori documenti giudiziari appena desecretati rivelano che Meta, la casa madre di Facebook, avrebbe tollerato per anni la presenza di account coinvolti nel traffico sessuale di minori, applicando una politica incredibilmente permissiva che permetteva fino a 17 violazioni prima di sospendere un profilo.

 

L’accusa emerge da una maxi-causa intentata in California da oltre 1.800 querelanti – tra cui distretti scolastici, minori, genitori e procuratori generali di vari Stati – che imputano ai colossi dei social (Meta, YouTube, TikTok e Snapchat) di aver perseguito «una crescita a ogni costo», ignorando deliberatamente i danni fisici e psicologici inflitti ai bambini dalle loro piattaforme.

 

L’ex responsabile della sicurezza di Instagram, Vaishnavi Jayakumar, ha testimoniato sotto giuramento di essere rimasta sconcertata nello scoprire la regola interna dei «17 avvertimenti»: un account poteva violare fino a 16 volte le norme su prostituzione e adescamento sessuale prima di essere sospeso alla diciassettesima infrazione. «È una soglia altissima, fuori da ogni standard di settore», ha dichiarato.

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I documenti dimostrano che Meta era pienamente consapevole di milioni di contatti tra adulti sconosciuti e minori, dell’aggravamento dei problemi mentali negli adolescenti e della presenza diffusa (ma raramente rimossa) di contenuti su suicidio, disturbi alimentari e abusi sessuali su minori.

 

Solo dopo le denunce Meta ha annunciato a USA Today di aver abbandonato la politica dei 17 avvertimenti, passando a una regola di «una sola segnalazione» con rimozione immediata degli account coinvolti nello sfruttamento umano.

 

L’azienda è sotto pressione crescente negli Stati Uniti: all’inizio dell’anno, dopo le rivelazioni sui chatbot AI di Meta che intrattenevano conversazioni sessuali con minori, sono state introdotte nuove restrizioni per gli account adolescenti, consentendo ai genitori di bloccare le interazioni con i bot.

 

A livello globale la situazione è altrettanto critica: la Russia ha bollato Meta come «organizzazione estremista» nel 2022; nell’UE l’azienda affronta una raffica di procedimenti, tra cui una multa antitrust da 797 milioni di euro per Facebook Marketplace e numerose cause per violazione di copyright, protezione dati e pubblicità mirata in Spagna, Francia, Germania e Norvegia.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli anni si sono accumulate varie accuse e rivelazioni su Facebook, tra cui accuse di uso della piattaforma da parte del traffico sessuale, fatte sui giornali ma anche nelle audizioni della Camera USA.

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Due anni fa durante un’audizione al Senato americano era stato denunciato da senatori e testimoni come i social media ignorano le reti pedofile che operano sulle loro piattaforme.

 

Secondo il Wall Street Journal, che già in passato aveva trattato l’argomento, Meta avrebbe un problema con i suoi algoritmi che consentono ai molestatori di bambini sulle sue piattaforme. La cosa stupefacente è il fatto che ai pedofili potrebbe essere stato concesso di connettersi sui social, mentre agli utenti conservatori no,

 

Le accuse sono finite in una storia udienza a Washington di Mark Zuckerberg, che è stato indotto dal senatore USA Josh Holloway a chiedere scusa di persona alle famiglie di bambini danneggiati dal social. Lo Stato del Nuovo Messico ha fatto causa a Meta allo Zuckerberg per aver facilitato il traffico sessuale minorile.

 

L’ultima tornata di documenti del tribunale aveva mostrato anche che Meta avrebbe insabbiato le ricerche sulla salute mentale degli utenti Facebook.

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Immagine di Minette Lontsie via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Meta ha insabbiato la ricerca sulla salute mentale di Facebook: documenti in tribunale

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Documenti giudiziari recentemente declassificati rivelano che Meta, la casa madre di Facebook, ha occultato i risultati di uno studio interno sugli effetti dannosi per la salute mentale derivanti dall’uso della piattaforma social.   Le comunicazioni interne dell’azienda sono state rese pubbliche venerdì nell’ambito di una causa di lunga data e di alto profilo promossa da vari distretti scolastici USA contro diverse società di social media. L’accusa principale è che le loro piattaforme abbiano provocato dipendenza e danni psicologici tra minori e adolescenti.   In un’indagine del 2020, nota come «Project Mercury», Meta ha invitato un campione di utenti a sospendere l’uso di Facebook per una settimana, confrontandoli con un gruppo di controllo che ha proseguito normalmente. I risultati, a sorpresa dell’azienda, hanno indicato che i partecipanti disattivati hanno segnalato «minori livelli di depressione, ansia, solitudine e confronto sociale».   Invece di approfondire o divulgare i dati, Meta ha interrotto lo studio, attribuendo i feedback dei partecipanti all’«influenza della narrazione mediatica negativa» sull’azienda.

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Nonostante le evidenze interne sul legame causale tra Facebook e i danni psicologici, «Meta ha mentito al Congresso su ciò che sapeva», accusano i documenti.   Negli ultimi mesi, il gigante dei social è al centro di un’attenzione crescente negli USA. A ottobre, Meta ha introdotto nuove protezioni per gli «account adolescenti», permettendo ai genitori di bloccare le interazioni con i chatbot AI dell’azienda, dopo rivelazioni su conversazioni romantiche o sensuali con minori.   L’azienda affronta inoltre le pressioni della Federal Trade Commission, che la accusa di monopolio sui social network.   La scorsa settimana, tuttavia, un tribunale distrettuale di Washington ha dato ragione a Meta nella vertenza antitrust, stabilendo che la FTC non ha provato l’esistenza attuale di un monopolio, «indipendentemente dal fatto che Meta abbia goduto o meno di un potere monopolistico in passato».   Come riportato da Renovatio 21, in passato era stata segnalato che un numero crescente di prove scientifiche suggerisce che potrebbe esserci un legame tra l’uso dei social media e la depressione. Uno studio del 2022 parlava invece di «stato dissociativo» indotto dai social.   Nonostante negli USA vi siano state udienze in Senato sui pericoli dei social – dalla presenza di predatori pedofili alle questioni legate all’anoressia al traffico di esseri umani – in Italia nessun politico sembra voler intraprendere una discussione sulla questione: temono probabilmente che l’algoritmo, che certo contribuisce alla somma dei voti che li fa eleggere e rieleggere, potrebbe punirli.

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