Geopolitica
Seymour Hersh: l’Iran ha spostato l’uranio arricchito prima degli attacchi americani

Gli attacchi statunitensi del mese scorso contro gli impianti nucleari iraniani non sono riusciti a colpire le riserve di uranio altamente arricchito del Paese. Lo afferma il giornalista vincitore del premio Pulitzer Seymour Hersh, citando funzionari statunitensi.
L’attacco, che ha coinvolto sette bombardieri statunitensi B-2 Spirit dotati di missili bunker buster da 30.000 libbre, non avrebbe nemmeno dovuto «annientare» il programma nucleare iraniano, ha ammesso una delle fonti del giornalista.
«Le centrifughe potrebbero essere sopravvissute e mancano 400 libbre di uranio arricchito al 60%», ha affermato uno dei funzionari, aggiungendo che non si poteva garantire che le bombe statunitensi «penetrassero la camera della centrifuga… troppo in profondità».
L’assenza di radioattività nei siti nucleari iraniani presi di mira – in particolare Fordow e Isfahan – a seguito dell’attacco suggerisce che le scorte di uranio arricchito fossero state spostate in anticipo, ha affermato un funzionario statunitense a conoscenza della questione. Fordow, un complesso sotterraneo costruito nelle profondità di una montagna che molti ritenevano ospitasse le scorte, era un obiettivo specifico dell’attacco.
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I funzionari statunitensi citati da Hersh ritengono tuttavia che l’ubicazione delle scorte e il loro destino siano «irrilevanti» a causa dei gravi danni che l’attacco avrebbe causato a un altro sito nucleare iraniano vicino alla città di Isfahan.
L’obiettivo dell’operazione era «impedire agli iraniani di costruire un’arma nucleare nel breve termine – un anno circa – con la speranza che non ci riprovino», ha detto un funzionario statunitense a Hersh. Questo potrebbe tradursi in «un paio d’anni di tregua e futuro incerto», ha aggiunto il funzionario.
Dopo gli attacchi, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che l’attacco ha «completamente e totalmente annientato» il programma nucleare iraniano. Anche il direttore della CIA John Ratcliffe ha dichiarato ai legislatori che diversi siti chiave sono stati completamente distrutti e che ci vorranno anni per ricostruirli.
Tuttavia, secondo quanto riportato dal Washington Post, le comunicazioni intercettate suggerivano che Teheran si aspettava un impatto peggiore dagli attacchi e che i danni reali erano limitati.
Gli attacchi facevano parte di una campagna militare coordinata tra Stati Uniti e Israele, lanciata a metà giugno. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno bombardato obiettivi iraniani, sostenendo che Teheran fosse prossima a costruire un’arma nucleare.
Hersh ritiene che Israele sia stato il «beneficiario immediato» dell’attacco statunitense. Lo Stato degli ebrei non riconosce ufficialmente il possesso di armi nucleari. Secondo un recente rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), lo Stato ebraico potrebbe ancora disporre di fino a 90 testate nucleari.
Come riportato da Renovatio 21, si è fatta larga l’idea in vari analisti che il bombardamento ordinato da Trump avesse solo un aspetto cosmetico, simbolico, forse perfino in un contesto di accordo con Teheran, atto a disinnescare, più che il programma iraniano – al quale ora Trump offre 30 miliardi di dollari per lo sviluppo – la bellicosità di Israele.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Il governo olandese sequestra il produttore di chip cinese Nexperia, la Cina risponde con un divieto di esportazione

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Geopolitica
Banca francese dichiarata complice di genocidio

Una giuria federale degli Stati Uniti ha giudicato la banca francese BNP Paribas colpevole di aver contribuito al genocidio in Sudan, riconoscendo che le sue attività hanno sostenuto il governo durante un conflitto che ha causato migliaia di morti e milioni di sfollati nel Paese africano.
La sentenza, pronunciata venerdì a Manhattan, conclude anni di contenzioso relativo alle operazioni della banca che hanno violato le sanzioni statunitensi contro il Sudan. La causa civile, avviata nel 2016 da rifugiati sudanesi negli Stati Uniti, si è concentrata sulle transazioni effettuate da BNP Paribas tra il 2002 e il 2008, che hanno trasferito miliardi di dollari attraverso il sistema finanziario statunitense per conto di enti statali sudanesi. Ciò ha permesso al regime dell’ex presidente Omar al-Bashir di mantenere le entrate petrolifere e importare rifornimenti mentre le forze di sicurezza e le milizie alleate perpetravano violenze di massa.
Il caso si è incentrato sul Darfur, dove dal 2003 le forze governative e le milizie Janjaweed hanno colpito le comunità non arabe. Secondo le Nazioni Unite, il conflitto ha causato oltre 300.000 morti e circa 2,5 milioni di sfollati.
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Il tribunale ha ordinato a BNP Paribas di versare 20,45 milioni di dollari di risarcimento a tre querelanti sudanesi.
«Questo verdetto rappresenta una vittoria per la giustizia e la responsabilità… I nostri clienti hanno perso tutto a causa di una campagna di distruzione alimentata dai dollari americani, che BNP Paribas ha facilitato e che avrebbe dovuto bloccare», ha dichiarato Bobby DiCello, avvocato dei querelanti.
Un portavoce di BNP Paribas, seconda banca europea, ha contestato la sentenza, sostenendo che il Sudan disponeva di altre fonti di finanziamento e che le azioni della banca non hanno direttamente favorito gli abusi. «Questo esito è chiaramente errato e ci sono solide basi per fare ricorso, poiché il verdetto distorce la legge svizzera di riferimento e ignora prove rilevanti che la banca non ha potuto presentare», ha dichiarato il portavoce, secondo Reuters.
Nel 2014, BNP Paribas si era già dichiarata colpevole negli Stati Uniti per accuse penali legate a transazioni per Sudan, Iran e Cuba in violazione delle sanzioni, pagando una multa di circa 8,97 miliardi di dollari.
Il verdetto giunge nel contesto di un conflitto brutale tra le forze armate sudanesi e dei paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (RSF), che nel 2019 hanno deposto il Bashir con un colpo di stato, guidando un fragile governo di transizione prima di entrare in conflitto nell’aprile 2023.
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Come riportato da Renovatio 21, due anni fa Global Witness, una ONG, in un rapporto aveva accusato sessanta tra le principali banche e investitori dell’UE di alimentare la violenza in Sud Sudan, dove l’ONU ha ripetutamente denunciato omicidi diffusi, stupri sistematici e sfollamenti forzati di civili.
Secondo le accuse le banche europee, tra cui le tedesche Allianz e Deutsche Bank, nonché l’italiana Intesa Sanpaolo, avrebbero investito oltre 700 milioni di euro in due società legate a violazioni dei i diritti umani nel paese africano senza sbocco sul mare, ha affermato in un rapporto l’organizzazione internazionale no-profit Global Witness.
La ONG aveva inoltre elencato la società bancaria internazionale francese Crédit Agricole Group tra i principali finanziatori accusati. Global Witness ha quindi sostenuto che, nonostante le sanzioni statunitensi, le due maggiori compagnie petrolifere internazionali che operano in Sud Sudan, la China National Petroleum Corporation (CNPC) e la società statale malese Petronas, continuano a essere finanziate da investitori dell’UE.
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Immagine di Steve Evans via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0
Geopolitica
Kushner: Hamas sta agendo in buona fede, Gaza sembra «nuclearizzata», Trump crede che Israele sia «fuori controllo»

Exclusive: Jared Kushner, President Trump’s son-in-law, and special envoy Steve Witkoff give a behind-the-scenes look at the tense moments leading up to the ceasefire and hostage deal after an Israeli bombing threatened to derail the agreement.
“[Trump] felt like the Israelis… pic.twitter.com/WtZpJcYHTG — 60 Minutes (@60Minutes) October 17, 2025
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