Nucleare
Il mondo sull’orlo di una nuova corsa agli armamenti nucleari – rapporto SIPRI
Il mondo rischia di precipitare in una «nuova pericolosa corsa agli armamenti» mentre la maggior parte delle potenze nucleari cerca di modernizzare ed espandere i propri arsenali, ha avvertito lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) nella sua revisione annuale.
Il ritmo del disarmo sta rallentando poiché gli stati dotati di armi nucleari stanno avviando programmi di modernizzazione «intensiva» dell’arsenale, ha affermato il centro di ricerca in un documento pubblicato lunedì.
Russia e Stati Uniti, che insieme possiedono circa il 90% di tutte le armi nucleari al mondo, vedranno scadere nel febbraio 2026 l’ultimo trattato bilaterale sul controllo degli armamenti nucleari, il New START, ha osservato il SIPRI. L’accordo limita il numero di testate nucleari strategiche schierate simultaneamente.
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Mosca ha sospeso la sua partecipazione al trattato nel 2023, adducendo l’impraticabilità del regime di ispezioni a causa del profondo coinvolgimento occidentale nel conflitto ucraino. Tuttavia, ha sostenuto di rimanere aperta al dialogo sulla questione, qualora fossero stati presi in considerazione anche gli arsenali degli alleati NATO di Washington.
Washington, nel frattempo, insiste per includere la Cina in qualsiasi nuovo accordo. Secondo il SIPRI, la Cina possiede l’arsenale nucleare in più rapida crescita al mondo e potrebbe rivaleggiare «sia con la Russia che con gli Stati Uniti» per numero di missili balistici intercontinentali entro la fine del decennio.
Anche Regno Unito e Francia stanno modernizzando le loro forze nucleari, concentrandosi sui sottomarini con missili balistici a propulsione nucleare, si legge nel rapporto. Parigi punta inoltre a sviluppare una nuova testata missilistica balistica.
«L’era della riduzione del numero di armi nucleari nel mondo, che durava dalla fine della Guerra Fredda, sta volgendo al termine», ha affermato Hans M. Kristensen, Associate Senior Fellow del Programma sulle Armi di Distruzione di Massa del SIPRI. «Assistiamo a una chiara tendenza alla crescita degli arsenali nucleari, a una retorica nucleare più incisiva e all’abbandono degli accordi sul controllo degli armamenti».
L’istituto di ricerca ha anche elencato Israele tra le nazioni «che si ritiene stiano modernizzando il proprio arsenale nucleare». Sebbene lo Stato degli ebrei non riconosca ufficialmente il possesso di armi nucleari, il SIPRI ha indicato i test di nuovi sistemi di propulsione missilistica e presunti aggiornamenti presso il sito del reattore di produzione di plutonio di Dimona.
Israele potrebbe avere a disposizione fino a 90 testate nucleari, afferma il rapporto. Le conclusioni giungono mentre lo Stato Giudaico conduce raid aerei contro le strutture nucleari e militari iraniane, sostenendo che la Repubblica Islamica si sta avvicinando alla creazione di una bomba nucleare.
Teheran, che sostiene che il suo programma nucleare sia pacifico, non viene menzionata nel rapporto del SIPRI.
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Immagine di Steve Jurvetson via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Nucleare
L’ex vertice dell’esercito ucraino vuole le armi nucleari
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Nucleare
Il think tank del CFR chiede che Giappone, Germania e Canada diventino potenze nucleari
Un articolo pubblicato il 19 novembre su Foreign Affairs – la rivista di punta del Council on Foreign Relations, il think tank dell’establishment dello Stato profondo USA– rappresenta una provocazione senza precedenti. Il titolo è inequivocabile: «Gli alleati dell’America dovrebbero passare al nucleare. Una proliferazione selettiva rafforzerà l’ordine globale, non lo distruggerà».
Gli autori, i professori di relazioni internazionali Moritz S. Graefrath e Mark Raymond dell’Università dell’Oklahoma, sostengono che gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare il dogma della non proliferazione e incoraggiare Canada, Germania e Giappone ad armarsi di ordigni atomici. Secondo loro, questo renderebbe il mondo «più stabile».
«Washington farebbe bene a riconsiderare la sua rigida opposizione alla proliferazione e a spingere un ristretto gruppo di alleati – Canada, Germania e Giappone – verso il nucleare», scrivono. Per gli USA significherebbe scaricare parte del peso della difesa regionale su questi partner e ridurre la loro dipendenza militare; per Berlino, Tokyo e Ottawa significherebbe ottenere la deterrenza definitiva contro Russia e Cina, oltre a proteggersi da un eventuale disimpegno americano dalle alleanze tradizionali.
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«Lungi dall’inaugurare un’era di instabilità globale, una proliferazione selettiva contribuirebbe a sostenere l’ordine post-1945», aggiungono, difendendo così il cosiddetto «ordine basato su regole» con cui l’asse anglo-americano cerca di tenere sotto controllo la maggioranza globale, nonostante il sistema finanziario transatlantico sia al collasso. In particolare, «una Giappone nucleare contribuirebbe enormemente al principale obiettivo statunitense in Asia orientale: contenere la Cina attraverso alleanze locali forti».
Gli autori sembrano ignorare deliberatamente la storia: uno dei motivi principali dietro i negoziati del Trattato di Non Proliferazione (TNP) negli anni Sessanta e il programma di condivisione nucleare NATO fu proprio impedire alla Germania di dotarsi di armi atomiche. Riarmare Berlino in chiave anti-russa con ordigni nucleari evoca sinistri precedenti storici.
Quanto al Giappone, la Costituzione pacifista imposta da MacArthur nel dopoguerra è stata concepita proprio per scongiurare il ritorno del militarismo nipponico – una carta che Washington e Londra stanno cercando di stracciare da anni, come dimostrano le recenti dichiarazioni del primo ministro Sanae Takaichi, pronta a riesaminare la dottrina dei «tre no» sulle armi nucleari (che ne vieta il possesso, la fabbricazione e l’introduzione su suolo nipponico) e a coinvolgere Tokyo in un eventuale conflitto su Taiwan.
Graefrath e Raymond omettono questi precedenti e presentano Germania e Giappone come «membri responsabili della comunità internazionale». In realtà, autorizzare la loro proliferazione nucleare in difesa di un ordine mondiale in disfacimento accelererebbe la corsa verso un conflitto atomico.
L’articolo porta inoltre i segni evidenti del tentativo britannico di «blindare» l’establishment globale contro un secondo mandato Trump: «una forza nucleare tedesca indipendente proteggerebbe Berlino dalla possibilità di un ritiro improvviso degli Stati Uniti dall’Europa». In altre parole: se Trump dovesse davvero ridurre l’impegno americano, meglio che Berlino abbia le sue bombe.
Il discorso non è nuovo neanche in Europa.
Come riportato da Renovatio 21, l’eurodeputata SPD Katarina Barley aveva ipotizzato mesi fa il riarmo atomico dell’Europa – e quindi per una Germania rimilitarizzata, un concetto che si dice fosse uno dei motivi della creazione della NATO («Tenere l’Europa dentro, i russi fuori, i tedeschi sotto») e un vero incubo per lo statista italiano Giulio Andreotti («la Germania mi piace così tanto che ne voglio due»).
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Come riportato da Renovatio 21, il neocancelliere Federico Merz ha promesso, appena eletto, di escludere le armi atomiche, ma non è facile credergli. Credere ad un cancelliere tedesco, in una Germania che ripudia le centrali atomiche ma invoca le bombe atomiche, potrebbe essere difficilissimo.
Bizzarramente, in un’intervista pubblicata a luglio per un giornale polacco il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi ha dichiarato che Germania potrebbe sviluppare le proprie armi nucleari entro pochi mesi, se lo desiderasse, affermando che Berlino possiede già il materiale nucleare, il know-how e l’accesso alla tecnologia necessari.
Secondo Grossi, la Germania potrebbe costruire una bomba nucleare nel giro di «qualche mese», anche se il direttore generale dell’AIEA ha sottolineato che «si tratta di ipotesi puramente ipotetiche» e che i Paesi europei continuano a ribadire il loro impegno nei confronti del Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari (TNP).
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Putin promette un sostegno a lungo termine alla prima centrale nucleare egiziana
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