Politica
Il riconteggio della Georgia inizia con la richiesta di Trump per lo spoglio completo manuale di ogni voto
Il membro del Congresso della Georgia Doug Collins, che guida il processo di riconteggio di Trump nello Stato, ha annunciato martedì mattina le tre richieste per il riconteggio:
«Mentre iniziamo il processo di riconteggio, ci sono tre cose che chiediamo formalmente oggi al Segretario di Stato Brad Raffensperger. Innanzitutto ci deve essere un confronto completo tra le schede espresse da assenti e quelle di persona in tutto lo Stato».
«Innanzitutto ci deve essere un confronto completo tra le schede espresse da assenti e quelle di persona in tutto lo Stato»
«In secondo luogo, deve essere effettuato un controllo sui criminali e altre persone non ammissibili che potrebbero aver votato».
«In terzo luogo, e soprattutto, il Segretario di Stato dovrebbe annunciare un conteggio completo manuale di ogni scheda elettorale in ogni contea a causa di accuse diffuse di irregolarità degli elettori, problemi con le macchine per il voto e accesso ai seggi».
In Georgia Biden sarebbe in testa con 12.651 voti, pari allo 0,2%. Il riconteggio automatico è stato innescato dalla differenza inferiore allo 0,5%.
Non è chiaro se le cifre della Georgia abbiano ancora raccolto tutte le schede elettorali militari e fuori dal Paese
Inoltre, non è chiaro se le cifre della Georgia abbiano ancora raccolto tutte le schede elettorali militari e fuori dal Paese.
Un nuovo scandalo riguarda la votazione del martedì sera nella contea di Fulton, dove i funzionari elettorali hanno annunciato che erano finiti per la sera del 3 novembre alle 22:30 e la maggior parte degli addetti alle elezioni sono stati rimandati a casa, insieme a chi doveva monitorare le elezioni. Un piccolo gruppo ha continuato a elaborare le schede elettorali fino all’1 del 4 novembre, senza la presenza degli osservatori repubblicani.
Un nuovo scandalo riguarda la votazione del martedì sera nella contea di Fulton
Il funzionario elettorale non nega l’evento, ma afferma semplicemente che i repubblicani avevano il diritto di restare e osservare.
Politica
«Volevo evitare che ci picchiassero, ma lo hanno già fatto». Renovatio 21 intervista il senatore Claudio Borghi su euro e pandemia
Renovatio 21 ha incontrato il senatore Claudio Borghi Aquilini la sera di domenica 19 maggio a Perugia, dove l’onorevole della Lega Nord ci ha concesso un’intervista.
Vorremmo partire da qualche anno fa. Lei si espresse fortemente dubbioso sin dall’inizio del periodo pandemico. Si ricordano dei suoi interventi già nel marzo 2020 dove lei metteva in evidenza dubbi su quello che poi sarebbe successo da lì a pochi giorni con la chiusura totale dell’Italia e tutto quello che ne è conseguito.
Io partivo dai dati, perché non sono un matto, nel senso che se ci fosse stata una pandemia mortale tale per cui effettivamente stando in casa si guariva e ci si proteggeva, sarei stato il primo a dire «sì, facciamo così». Non sono un medico, però sono uno che sa leggere i dati, ed era abbastanza evidente che la maggior parte delle cose che ci facevano fare non avevano nessun effetto.
Bastava vedere gli altri Paesi che non le facevano e stavano meglio: primo fra tutti la Svezia, ma anche la Svizzera stessa. Sapete, io sono di Como, e mentre noi stavamo in casa a cantare e dall’altra parte [in Svizzera, ndr] erano in piazza a bere il caffè e stavano meglio.
Per cui, leggendo i dati, mi son detto: «ragazzi, una cosa così grave come togliere le libertà alle persone di poter uscire di casa o addirittura di non farle lavorare, tutto ciò fatto senza nessun dato che dimostri in modo incontrovertibile che fosse una cosa utile per salvare vite, è una follia».
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Anche oggi continua ad esprimersi in maniera critica riguardo quello che abbiamo subìto in questi anni tra restrizioni, divieti di ogni tipo e via dicendo. Oggi sembra che qualcosa si stia muovendo, ma ancora rimane una questione spinosa e diradare la coltre che copre tutto la vicenda COVID non è semplice. Cercare la verità sarà un percorso lungo…
Io credo che ci siano molti interessi che hanno paura di essere disvelati, mettiamola così, e molte paure di chi probabilmente, rendendosi conto di aver sbagliato tutto, ha paura di dover pagare le conseguenze delle sue azioni. Motivo per cui c’è tanta difficoltà nel far partire la Commissione d’inchiesta sul COVID.
I partiti dell’allora governo vogliono evitare, non danno i nomi e così via, perché pensano di rallentarla il più possibile. Noi lo dobbiamo ai cittadini un po’ di verità su questa cosa.
Che futuro vede per la Commissione d’inchiesta sul COVID?
Dipenderà molto da che presidente verrà scelto. Se il nome, come sembra, è quello di una persona motivata, che conosco, sarà un buon inizio.
Nella scorsa legislatura ho visto che le commissioni d’inchiesta di solito non portano a niente, ma se vengono gestite bene – come è stata per esempio la commissione per la morte di David Rossi [capo della comunicazione della banca Monte dei Paschi di Siena, trovato il 6 marzo 2013 morto sulla strada su cui si affacciava il suo ufficio presso Rocca Salimbeni, ndr] – fanno scoprire verità che magari non si pensava.
Da lì a dire che ci sarà tutta la verità o come molta gente spera, che ci siano persone che vadano in prigione, dico no, perché la Commissione non è la magistratura, però un po’ più di verità potrebbe esserci.
La Lega entrò nel governo Draghi il 13 febbraio 2021. Molti vostri elettori, e non solo, furono spiazzati da questa scelta. Alcuni sostennero che l’entrata in quel governo fosse un boccone amaro da ingoiare, però stando all’interno di quella compagine il vostro partito poteva essere un argine ad una deriva di leggi liberticide in nome della pandemia. Di fatto poi, non è stato proprio così, perché è stato un argine estremamente debole. Avete subìto critiche dure per quella vostra scelta. Come ricorda quel periodo?
È stato un periodo pessimo. Chi mi ha seguito sa che ho cercato di combattere, per quanto possibile, prima la deriva dei lockdown, poi la deriva dell’obbligo vaccinale. Perché se il lockdown è da attribuire tutto a Conte, l’obbligo vaccinale è da attribuire tutto a Draghi.
Qualche cosa siamo riusciti a ottenere, però è stato molto complicato. Entrare in quel governo è stato un male necessario, perché all’epoca molti sostenevano che Mario Draghi fosse il migliore, e forse vederlo all’opera ci ha salvato da mali peggiori. Uno di questi mali poteva essere eleggerlo Presidente della Repubblica.
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Cambiando argomento, anni fa ricordo le sue posizioni molto ragionate, ma allo stesso tempo critiche, riguardo l’euro. Oggi sembra che la moneta unica sia un dogma inscalfibile e oltretutto pare si vada verso quell’euro digitale che in molti a Bruxelles auspicano. Lei cosa ne pensa e l’attuale governo cosa potrebbe fare?
Le critiche all’euro sono ancora tutte lì. Io ho scritto un libretto che s’intitola Basta Euro e consiglio a tutti di rileggerlo, perché secondo me buona parte delle cose dette lì sono ancora corrette. Non è di immediata urgenza come in passato, perché oramai le sofferenze che volevo evitare all’Italia ce le siamo prese, come la mancata crescita, la recessione e similari. Le abbiamo subìte, e allora, come dire, non ho più quell’urgenza, perché oramai ci hanno picchiato. Volevo evitare che ci picchiassero, ma lo hanno già fatto.
Però i problemi si riproporranno e sono ancora tutti lì. Diciamo che qualche correzione è stata messa, anche perché si son resi conto che le cose non funzionavano e sono convinto che ci sarà tempo per andare avanti. La mia idea del «meno Europa» passa anche da questo. L’euro digitale è un altro passo avanti potenzialmente pericoloso, ma non credo che verrà fatto, perché significherebbe espropriare le banche. E la banca è una lobby più forte, nel far sentire i propri interessi, rispetto ai cittadini.
Chiudendo con un’altra potenziale insidia per il nostro Paese, l’Organizzazione Mondiale della Sanità vorrebbe imporre agli stati sovrani le «sue leggi», con l’approvazione del cosiddetto «Trattato Pandemico». Arginare i diktat dell’OMS si può?
Secondo me si può, se il nostro governo non fa scherzi. Io sono lì, molto severo, a ricordare al ministro Schillaci che sta arrivando la scadenza e spero proprio che diremo di no!
Una domanda: senatore, conosce il nostro sito?
Si, ci sono stato a visitarlo.
La ringraziamo.
Grazie a voi.
Francesco Rondolini
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Immagine di GeoFede88 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Politica
Botte, caos e leggi «rubate» nel Parlamento di Taiwano
تدافع النواب التايوانيون واشتبكوا وضربوا بعضهم بعضا في البرلمان بعد نزاعهم بشأن بعض الإصلاحات، وانتهى الأمر بأحد النواب وهو ينتزع أوراق الاقتراع بالقوة من رئيس الجلسة والهرب بها خارج البرلمان..#Taiwan lawmakers exchange blows in bitter dispute over parliament reforms pic.twitter.com/zd9DjBusv6
— Belkisse Rym Ennada khettache بلقيس ريم الندى ختاش (@Belkissek) May 17, 2024
There were chaotic scenes as lawmakers shoved, tackled and hit each other in a day-long brawl in Taiwan’s parliament on Friday over a controversial reform bill. pic.twitter.com/sG3JPHyxNE
— Al Jazeera English (@AJEnglish) May 17, 2024
Lawmakers in Taiwan clashed in parliament over chamber reform disputes.
A ruling DPP member, trying to stop the bill from passing, snatched the voting papers and ran out of parliament. The scuffle left at least one lawmaker hospitalized with a head injury. Videos of the brawl… pic.twitter.com/HmwYItmjSN — BoreCure (@CureBore) May 17, 2024
Taiwanese politicians shoved, tackled and hit each other in parliament in a bitter dispute about reforms to the chamber.https://t.co/w9psHgzV9j pic.twitter.com/MzS72GViJ6
— Sky News (@SkyNews) May 17, 2024
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Ieri il DPP ha detto che almeno otto dei suoi membri sono rimasti feriti negli scontri, tra cui il segretario generale Rosalia Wu, che ha subito «gravi contusioni alla gabbia toracica». Altri legislatori hanno riportato lesioni tra cui una commozione cerebrale, una frattura del coccige e una mano lussata. Il partito ha promesso di andare in tribunale per quelle che definisce «atrocità» commesse dai suoi rivali politici. Il DPP ha accusato il Kuomintang e il TPP di «un abuso incostituzionale» della loro posizione nel tentativo di far passare proposte senza un consueto processo di consultazione. L’opposizione, tuttavia, insiste sul fatto che il partito di Lai sta cercando di «monopolizzare il potere» sull’isola resistendo ai cambiamenti. Proteste spontanee degli elettori sono scoppiate fuori dal Parlamento.A member of Taiwan’s parliament stole a bill and ran off with it to prevent it from being passed pic.twitter.com/FZCOdpEAFe
— Historic Vids (@historyinmemes) May 18, 2024
After repeated scuffles between lawmakers in #Taiwan’s parliament, where opposition parties are trying to push through a bill that will expand their power to scrutinize the government, there is an impromptu protest of hundreds of people outside the legislature at 11 pm. pic.twitter.com/HOJd9Zx13J
— William Yang (@WilliamYang120) May 17, 2024
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Politica
Il ministro del gabinetto di guerra Gantz minaccia di far crollare il governo israeliano
Benny Gantz, il membro centrista del gabinetto di guerra israeliano formato da tre persone, ha promesso di dimettersi dal governo se questo non si impegnerà in un nuovo piano d’azione per Gaza, che include la fine del dominio di Hamas, entro l’8 giugno. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha respinto l’ultimatum, descrivendolo come «parole infondate».
Parlando in un discorso televisivo sabato, Gantz – rivale politico di lunga data di Netanyahu e generale in pensione il cui partito si è unito alla coalizione di Unità Nazionale del Primo Ministro dopo l’attacco di Hamas – ha chiesto che il governo approvi un piano in sei punti per raggiungere «obiettivi strategici».
Tra questi ci sono il riportare a casa gli ostaggi, il rovesciamento del governo di Hamas, la smilitarizzazione dell’enclave palestinese e l’istituzione di «un meccanismo internazionale di governo civile per Gaza, che includa elementi americani, europei, arabi e palestinesi» che non includa Hamas e non sia sotto l’autorità del presidente palestinese Mahmoud Abbas.
Il piano prevede anche la normalizzazione delle relazioni con l’Arabia Saudita.
«Se tu [Netanyahu] metti la questione nazionale al di sopra del personale… troverai in noi dei partner nella lotta», ha dichiarato il Gantz. «Ma se scegliamo la strada dei fanatici e portiamo l’intera nazione nell’abisso, saremo costretti a lasciare il governo».
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Netanyahu ha risposto dicendo che il Gantz ha scelto di «lanciare un ultimatum al primo ministro invece di lanciare un ultimatum a Hamas».
Le condizioni che ha posto «sono parole inutili il cui significato è chiaro: la fine della guerra e la sconfitta di Israele, l’abbandono della maggior parte degli ostaggi, il mantenimento di Hamas intatto e la creazione di uno Stato palestinese», ha affermato l’ufficio del Primo Ministro, in una dichiarazione citata dai media.
Gantz ha fatto i suoi commenti pochi giorni dopo che il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant – il terzo membro del gabinetto di guerra istituito nei primi giorni dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre – ha criticato il fallimento del governo Netanyahu nell’affrontare la questione di una strategia postbellica per Gaza.
Domenica, i deputati di Unità Nazionale Matan Kahana e Pnina Tamano-Shata hanno dichiarato alla testata online Ynet che l’ultimatum dell’8 giugno dato dal leader del partito Gantz «non è una data scolpita nella pietra».
«Se capiamo già prima che il primo ministro Benjamin Netanyahu è determinato, come al solito, a non prendere decisioni su questioni critiche, non aspetteremo fino ad allora», ha detto Kahana. «Il primo ministro si è astenuto dal prendere decisioni per ragioni di sopravvivenza politica. Tutto questo deve finire».
Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir aveva minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.
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Immagine di IDF Spokesperson’s Unit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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