Spirito
La Chiesa contro la meccanica del caos nella RDC
Mentre la capitale del Sud Kivu (RDC) è appena caduta nelle mani dei ribelli tutsi dell’M23, a meno di un mese dalla caduta di Goma, la Chiesa cattolica raddoppia gli sforzi per evitare massacri e un’internazionalizzazione del conflitto. La RDC è infatti un’area strategica per via delle terre rare in essa contenute, che stuzzicano l’appetito di molte potenze straniere.
Nulla sembra poter fermare la loro avanzata: dal 16 febbraio 2025, il capoluogo della provincia del Sud Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), è caduto nelle mani dei ribelli del Movimento 23 Marzo (M23) con il supporto logistico dell’esercito ruandese: «Tra venerdì 14 e sabato 15, ho assistito a spari e scene di saccheggio; «I miliziani dell’M23 e i ruandesi sono entrati in città in fila, accolti da alcuni residenti con grida di gioia», racconta a Fides un abitante di Bukavu .
La Chiesa cattolica, che ha grande influenza nella RDC, ha scelto di impegnarsi in un tentativo di mediazione: la presa di Bukavu arriva a pochi giorni dall’incontro tra i responsabili della Conferenza episcopale del Congo (Cenco) e quelli dell’M23: «l’obiettivo era convincere che la lotta armata non è la soluzione; stiamo portando una proposta che può contribuire alla costruzione di una pace duratura», ha dichiarato al termine dell’incontro mons. Donatien Nshole, Segretario generale della Cenco.
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La Conferenza episcopale non risparmia sforzi per raggiungere una tregua, cercando il sostegno del presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa, che presiede anche la SADC (Southern African Development Community), nonché di William Ruto, presidente del Kenya e dell’AEC (East African Community).
Il compito urgente è soprattutto quello di evitare che si ripetano i massacri perpetrati durante la presa di Goma, capoluogo del Nord Kivu, caduta nelle mani dei ruandesi e dell’M23 poche settimane prima: nella caduta della città hanno perso la vita almeno 2.900 persone, afferma un rappresentante della missione ONU nella RDC. Le cifre sono probabilmente sottostimate.
Al momento – senza dubbio grazie alla mediazione dell’episcopato – il peggio sembra essere stato evitato a Bukavu: «I negozi sono ancora chiusi, vediamo ancora gente camminare per le strade; «Solo l’Arcivescovo François-Xavier Maroy Rusengo si è fatto sentire per chiedere che Bukavu non subisca la stessa sorte di Goma», racconta all’Agenzia Fides un abitante della capitale del Sud Kivu.
Un altro pericolo allerta i vescovi cattolici della RDC: l’internazionalizzazione del conflitto attraverso il coinvolgimento del vicino Ruanda, che minaccia l’equilibrio della regione. Ufficialmente, l’aiuto di Kigali all’M23, una milizia ribelle formata da Tutsi, ben radicata in Ruanda, è una lontana replica del genocidio del 1994. Ma entra in gioco l’appetito del Ruanda per i metalli rari, che abbondano nella RDC orientale.
Da parte loro, Uganda e Burundi guardano con sospetto alla spettacolare avanzata dell’M23: questi due Paesi hanno infatti schierato truppe nella RDC nell’ambito di accordi bilaterali e desiderano proteggere quella che considerano una delle loro zone di influenza nella regione.
Da parte sua, il Parlamento europeo ha votato il 13 febbraio per congelare ogni sostegno finanziario diretto al Ruanda finché non romperà i legami con l’M23. Inoltre, l’Unione Europea (UE) ha deciso di sospendere il protocollo di accordo commerciale e di sviluppo economico con il Ruanda.
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Da parte sua, il vescovo Mario Crociata, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (COMECE), ha condannato fermamente il sostegno del Ruanda all’M23, chiedendo «maggiore trasparenza nelle pratiche minerarie che alimentano i conflitti, in particolare rafforzando il monitoraggio delle filiere legate ai minerali congolesi, cobalto, coltan e oro».
Tuttavia, la voce dell’Europa non è più realmente udibile in Africa, e quella della Chiesa ha più difficoltà a farsi sentire in Ruanda, dove non si esita a generalizzare frettolosamente l’atteggiamento deplorevole di alcuni membri del clero – condannati dalla gerarchia – al momento del genocidio del 1994, una vera e propria epurazione compiuta per motivi etnici e non religiosi, è bene ricordarlo.
Inutile dire che i vescovi della RDC hanno ancora molto lavoro da fare per far progredire tutte le parti sulla via della ragione e della pace.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Spirito
Due nuovi «santi» venezuelani riaccendono le tensioni tra Chiesa e Stato
Tralasciando il dubbio valore delle nuove procedure di canonizzazione, una doppia canonizzazione in Venezuela è diventata rapidamente una questione di Stato, rivelando le profonde fratture tra una Chiesa cattolica fortemente coinvolta nell’arena politica, a rischio di apparire come una forza di opposizione, e il potere chavista detenuto dal presidente Nicolas Maduro.
Per comprendere la storia, dobbiamo fare un passo indietro. Il 19 ottobre 2025, papa Leone XIV proclamò «santi» i primi due venezuelani nella storia del Paese: José Gregorio Hernández Cisneros, il «medico dei poveri», e María del Carmen Rendiles Martínez, fondatrice della comunità delle Serve di Gesù. L’evento divenne rapidamente un affare politico.
Nicolás Maduro, al potere dal 2013, non ha perso tempo a sfruttare la canonizzazione. Dopo la cerimonia nella casa-museo di José Gregorio Hernández, circondato da fedeli e autorità governative, il capo dello Stato ha rilasciato una serie di dichiarazioni sui social media: «Siamo felici per i nostri santi. Sono entrambi grandi! Il papa ha agito giustamente!», ha dichiarato, esprimendo «immensa, eterna gratitudine» al pontefice, che ha definito un «amico» e un «fratello».
E presentare l’evento come un gesto provvidenziale di fronte alle «minacce» che la «più grande potenza militare della storia» rappresenterebbe nei Caraibi, vale a dire gli Stati Uniti, che da diversi anni cercano invano di far cadere il regime chavista.
Il chavismo ha una lunga storia con la religione: Hugo Chavez ha invocato la cosiddetta Teologia della Liberazione per la sua «Rivoluzione Bolivariana». Il processo di canonizzazione, guidato con grande entusiasmo dal defunto Papa Francesco, è visto da Nicolas Maduro come una forma di benedizione per il regime.
Ma l’opposizione non è rimasta indietro. Maria Corina Machado, vincitrice del premio Nobel per la Pace 2025, un premio altamente politico, ed Edmundo Gonzalez, il candidato presidenziale fallito, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui José Hernández e Carmen Rendiles vengono descritti come «due santi per 30 milioni di ostaggi venezuelani», riferendosi al destino di 800.000 prigionieri «politici» e migliaia di esuli.
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«Questi santi esemplari, che hanno dedicato la loro vita al servizio degli altri, offrono speranza e consolazione in mezzo all’oscurità», scrivono, invocando un «miracolo imminente»: la caduta del regime chavista.
Temendo che la messa papale del 19 ottobre potesse suggerire una forma di approvazione per Maduro, il giorno seguente, durante una messa di ringraziamento a San Pietro, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede ed ex nunzio in Venezuela dal 2009 al 2013, ha pronunciato un’omelia in cui ha chiesto «di aprire le prigioni ingiuste, di spezzare le catene dell’oppressione, di liberare gli oppressi, di spezzare tutte le catene».
Il caso torna di attualità a Caracas: la «Festa della Santità», prevista per il 25 ottobre 2025 allo stadio Monumental Simon Bolívar , davanti a 50.000 fedeli e alla presenza di tutti i vescovi venezuelani, è stata annullata il 22 ottobre, ufficialmente per «problemi di sicurezza e capienza» – erano state registrate più di 80.000 iscrizioni mentre la capienza non supera i 40.000 posti: «È una questione di sicurezza, sarebbero stati necessari circa tre stadi», spiega uno dei portavoce dell’arcidiocesi.
Nell’arcidiocesi di Caracas si vociferava addirittura che il regime chavista intendesse noleggiare autobus per migliaia di sostenitori, trasformando l’evento in una dimostrazione di forza pro-Maduro. Il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo emerito di Caracas, ha denunciato il 17 ottobre una situazione «moralmente inaccettabile»: «crescente povertà, militarizzazione come forma di governo, corruzione, mancanza di rispetto per la volontà popolare» e ha chiesto il rilascio dei prigionieri.
Nicolas Maduro rispose quattro giorni dopo: «Baltazar Porras ha dedicato la sua vita a cospirare contro José Gregorio Hernández (uno dei neo-canonizzati). È stato sconfitto da Dio, dal popolo». L’accesa discussione tra Chiesa e Stato – in un Paese in cui l’80% della popolazione è cattolica – arriva mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione contro il regime chavista.
Lo schieramento di una grande flotta al largo delle coste del Paese, accompagnata da un sottomarino nucleare d’attacco, da caccia F-35 e dalla CIA ufficialmente autorizzata da Donald Trump a operare sul territorio venezuelano: si intensifica la pressione su un Paese economicamente rovinato dal bolivarianismo e che – per fortuna o per sfortuna? – è uno dei più dotati in termini di risorse petrolifere. Abbastanza da suscitare cupidigia.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di Guillermo Ramos Flamerich via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Spirito
Omelia relativista di Papa Leone XIII: «nessuno possiede tutta la verità»
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