Politica
Un cristiano prende in mano le redini del Libano
Il generale Joseph Aoun divenne il quattordicesimo presidente della Repubblica libanese. Finora capo delle forze armate, il cristiano maronita è stato eletto grazie al sostegno di Stati Uniti e Francia, mentre il Medio Oriente è in piena riorganizzazione.
«Elezioni presidenziali o caos», aveva avvertito il leader della Chiesa cattolica di rito maronita il 28 dicembre 2024. Mons. Bé chara Boutros Raï aveva pronunciato parole forti, ritenendo che il Libano rischiasse di cadere nel caos in mancanza di consenso per le elezioni presidenziali.
L’avvertimento del Patriarca maronita sembra aver dato i suoi frutti, poiché pochi giorni dopo, il generale Joseph Aoun è stato eletto dal Parlamento – lo scorso 9 gennaio – alla guida del Paese del cedro dopo aver raccolto 99 voti su 128 totali. deputati, ponendo fine a un posto vacante di oltre due anni nell’ufficio presidenziale.
Va detto che la Chiesa cattolica gioca un ruolo centrale nella politica libanese, «in particolare nel processo di selezione del presidente, funzione tradizionalmente riservata a un cristiano maronita secondo il patto nazionale», come rileva il sito di informazione Lebanese Libnanews.
Mons. Raï, noto per le sue posizioni a favore della sovranità nazionale, ha spesso consentito di sbloccare situazioni politiche complesse, comuni in Oriente.
La partita, però, è lungi dall’essere vinta, a causa delle profonde divisioni che attraversano un Paese devastato dalla guerra, dalla crisi economica, scosso dalla caduta della vicina Siria e dalla sconfitta degli Hezbollah filo-iraniani, due attori finora essenziali in Libano.
Joseph Aoun aveva ottenuto solo 71 voti al primo turno di votazioni della mattina, i 30 deputati del gruppo filo-iraniano Hezbollah e del suo alleato, il movimento sciita Amal, avevano votato scheda bianca, «ma un incontro in Parlamento tra rappresentanti di due formazioni e il comandante in capo dell’esercito al Parlamento, tra i due turni, ha cambiato la situazione, assicurandogli la maggioranza necessaria per vincere», riferisce il quotidiano Le Monde.
L’avvertimento del patriarca maronita è tutt’altro che esagerato, perché è necessario a tutti i costi eleggere al più presto un nuovo presidente: il 27 gennaio 2025 segnerà la fine del periodo di 60 giorni durante il quale l’esercito israeliano dovrebbe ritirarsi dal Libano meridionale, nella misura in cui i miliziani sciiti di Hezbollah cederanno all’esercito libanese tutte le posizione tenute sinora al Sud del fiume Litani.
A questo contesto altamente instabile si aggiunge il lavoro titanico volto a risolvere una crisi economica e finanziaria rimasta irrisolta per più di cinque anni, e il fabbisogno di ricostruzione stimato in miliardi di euro.
Dopo l’attacco terroristico mortale in Israele il 7 ottobre 2023, la regione ha vissuto un grande cambiamento geopolitico con il duro colpo inferto all’Iran dalla sconfitta congiunta di Hamas e Hezbollah, la caduta del clan al-Assad in Siria, e il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, mentre l’attore americano si afferma sempre più in Medio Oriente:
«Siamo certamente entrati in una nuova era americana. Gli avversari dell’America nella regione si sono ritirati dal gioco. Il loro alleato (Elian Israel) ha sconfitto Hezbollah e Assad è caduto. Non vedo nessuno che si opponga a loro in Libano», riassume un deputato libanese.
Articolo previamente pubblicato su FSSPX.News
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Politica
Trump: Zelens’kyj deve indire le elezioni
Il presidente statunitense Donald Trump ha invitato l’Ucraina a convocare elezioni, mettendo in dubbio le autentiche prerogative democratiche del Paese in un’intervista a Politico diffusa martedì.
Trump ha lanciato una nuova provocazione a Volodymyr Zelens’kyj, il cui quinquennio presidenziale è terminato a maggio 2024, ma che ha declinato di indire consultazioni elettorali presidenziali, invocando la legislazione di emergenza bellica.
Lo Zelens’kyj era stato scelto alle urne nel 2019 e, a dicembre 2023, ha annunciato che Kiev non avrebbe proceduto a elezioni presidenziali o legislative fintantoché perdurasse lo stato di guerra. Tale regime è stato decretato in seguito all’acutizzazione dello scontro con la Russia a febbraio 2022 e, da allora, è stato prorogato più volte dall’assemblea nazionale.
Trump ha dichiarato a Politico che la capitale ucraina non può più addurre il perdurante conflitto come pretesto per rinviare il suffragio. «Non si tengono elezioni da molto tempo», ha dichiarato Trump. «Sai, parlano di democrazia, ma poi si arriva a un punto in cui non è più una democrazia».
Rispondendo a un quesito esplicito sull’opportunità di un voto in Ucraina, Trump ha replicato «è il momento» e ha insistito che si tratta di «un momento importante per indire le elezioni», precisando che, pur «stiano usando la guerra per non indire le elezioni», gli ucraini «dovrebbero avere questa scelta».
Come riportato da Renovatio 21, il presidente della Federazione Russa Vladimiro Putin ha spesse volte dichiarato di considerare illegittimo il governo di Kiev, sostenendo quindi per cui firmare un accordo di pace con esso non avrebbe vera validità.
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Politica
Tentativo di colpo di Stato in Benin
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— Gouvernement du Bénin 🇧🇯 (@gouvbenin) December 7, 2025
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Politica
Studenti polacchi pestano i compagni di classe ucraini
Alcuni studenti polacchi di un istituto tecnico di Słupsk, nel nord della Polonia, hanno aggredito e picchiato diversi compagni ucraini dopo che un docente li aveva apostrofati come «feccia», ha riferito martedì il portale Onet.
L’episodio si è verificato in una scuola professionale dove sono iscritti numerosi adolescenti ucraini in corsi di formazione. L’avvocato Dawid Dehnert, contattato dai familiari delle vittime, ha citato una registrazione in cui l’insegnante avrebbe definito gli ucraini «feccia» e li avrebbe minacciati di farli bocciare «perché vi farò vedere cosa significa essere polacchi».
I genitori dei ragazzi aggrediti hanno raccontato ai media che uno studente polacco era solito riprodurre in aula il rumore di bombe e razzi, rivolgendosi ai compagni ucraini con frasi come «è ora di nascondervi», senza che il docente intervenisse. «L’atteggiamento del professore ha non solo danneggiato gli studenti ucraini, ma ha anche incoraggiato e tollerato atteggiamenti xenofobi negli altri», ha commentato Dehnert.
Brutalny atak na Ukraińców w Słupsku?
Świadkowie relacjonują, że 17.11.2025 r. w pobliżu szkoły „Budowlanka” kilku starszych chłopaków miało brutalnie pobić ukraińskich nastolatków, krzycząc w ich kierunku obraźliwe hasła. Atak przerwała dopiero kobieta wzywająca policję #słupsk pic.twitter.com/GigFwc4tYv
— Aktualny Spotted Słupsk (@ASpottedSlupsk) November 30, 2025
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La situazione è precipitata al termine delle lezioni, quando i giovani ucraini sono stati assaliti fuori dall’edificio da coetanei polacchi più grandi. «Uno degli aggressori ha prima sputato in faccia a un ragazzo ucraino gridando “in testa, puttana ucraina” e poi lo ha colpito con pugni», ha riferito l’avvocato.
A seguito del pestaggio, un sedicenne ucraino ha riportato la frattura della clavicola e un altro una sospetta commozione cerebrale. Un video circolato sui social riprende parzialmente la rissa, mostrando tre studenti che infieriscono su uno di loro fino a scaraventarlo a terra.
L’aggressione si è interrotta solo quando una passante ha minacciato di chiamare la polizia. Una madre ha dichiarato a Onet di essersi recata immediatamente alla stazione più vicina per denunciare i fatti, ma di essere stata respinta perché «non c’era nessun agente disponibile» e di aver potuto formalizzare la querela solo il giorno successivo.
L’episodio si colloca in un contesto in cui la Polonia resta una delle principali mete UE per gli ucraini in fuga dal conflitto: secondo Statista, quasi un milione di cittadini ucraini risultano registrati nel Paese sotto regime di protezione temporanea.
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