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Quale sarà la politica estera del prossimo presidente degli Stati Uniti?

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire con traduzione di Rachele Marmetti. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

I programmi dei candidati Donald Trump e Joe Biden si discostano da quelli dei predecessori. La posta in gioco non è adattare gli Stati Uniti ai cambiamenti del mondo, ma definire quale sarà la fisionomia del Paese. La questione è esistenziale, sicché c’è davvero la possibilità che le contrapposizioni degenerino e sfocino in violenza. Per gli uni, il Paese dev’essere una nazione al servizio dei cittadini, per gli altri deve recuperare lo status imperiale precedente.

La campagna presidenziale statunitense 2020 vede contrapposti due modi radicalmente diversi di concepire il Paese: impero o nazione?

 

 

 

 

La campagna presidenziale statunitense 2020 vede contrapposti due modi radicalmente diversi di concepire il Paese: impero o nazione?

 

Da un lato, la pretesa di Washington di dominare il mondo arginando (containment) i concorrenti potenziali − strategia annunciata da George Kennan nel 1946 e seguita da tutti i presidenti fino al 2016; dall’altro la ricusazione dell’imperialismo e la volontà di favorire la ricchezza degli statunitensi in generale – strategia enunciata dal presidente Andrew Jackson (1829-1837) e ripresa soltanto dal presidente Trump (2017-2020).

Da un lato, la pretesa di Washington di dominare il mondo arginando (containment) i concorrenti potenziali − strategia annunciata da George Kennan nel 1946 e seguita da tutti i presidenti fino al 2016; dall’altro la ricusazione dell’imperialismo e la volontà di favorire la ricchezza degli statunitensi in generale – strategia enunciata dal presidente Andrew Jackson (1829-1837) e ripresa soltanto dal presidente Trump (2017-2020).

 

Entrambi i campi mascherano le proprie vere intenzioni con la retorica.

 

Democratici e Repubblicani si atteggiano ad alfieri del «mondo libero», che deve essere difeso dai «dittatori»; ad accaniti oppositori delle discriminazioni razziali, nonché delle discriminazioni di genere e orientamento sessuale; infine a campioni della lotta al «riscaldamento globale».

 

I jacksoniani denunciano ora la corruzione, ora la perversità e, alla fin fine, l’ipocrisia di chi li ha preceduti, nonché esortano a lottare per la nazione, invece che per l’impero.

 

I due schieramenti hanno in comune unicamente il culto della forza: Democratici e Repubblicani la vogliono al servizio dell’impero, i jacksoniani al servizio della nazione.

 

Il fatto che i jacksoniani siano inaspettatamente diventati maggioranza nel Paese e controllino il Partito Repubblicano genera confusione, ma si deve distinguere il trumpismo dall’ideologia repubblicana che seguì la seconda guerra mondiale.

 

Democratici e Repubblicani appartengono alla classe agiata o sono professionisti delle nuove tecnologie, i jacksoniani sono invece – come i Gilet Gialli in Francia – piuttosto poveri, professionalmente legati alla terra, da cui non riescono a svincolarsi. (1)

Sin dall’inizio del mandato, Trump ha (…) annunciato l’intenzione di riportare a casa le truppe impegnate nella «guerra senza fine»

 

Secondo il mio parere, i contrasti più rilevanti non vengono dichiarati, ma costantemente sottintesi.

 

 

Il programma dei jacksoniani

Sin dall’inizio del mandato, Trump ha rimesso in discussione la strategia Rumsfeld/Cebrowsky di annientamento delle strutture statali di tutti i Paesi del Medio Oriente Allargato, nessuno escluso, e annunciato l’intenzione di riportare a casa le truppe impegnate nella «guerra senza fine». Obiettivo prioritario anche nella campagna 2020 («Basta con le guerre senza fine e riportiamo a casa le nostre truppe» – Stop Endless Wars and Bring Our Troops Home).

Il presidente ha escluso dalle riunioni ordinarie del Consiglio per la Sicurezza Nazionale il direttore della CIA e il presidente del comitato dei capi di stato-maggiore, sottraendo così ai fautori dell’imperialismo il principale strumento di conquista

 

In seguito il presidente ha escluso dalle riunioni ordinarie del Consiglio per la Sicurezza Nazionale il direttore della CIA e il presidente del comitato dei capi di stato-maggiore, sottraendo così ai fautori dell’imperialismo il principale strumento di conquista. (2)

 

Ne è seguita una battaglia per la presidenza del Consiglio Nazionale per la Sicurezza, con l’incriminazione del generale Michael T. Flynn, sostituito dal generale H. R. McMaster, a sua volta sostituito dall’eccezionalista John R. Bolton e infine da Robert C. O’Brien.

 

− A maggio 2017 Trump ingiunse agli alleati degli Stati Uniti di cessare immediatamente il sostegno agli jihadisti che nel Medio Oriente Allargato attuavano la strategia Rumsfeld/Cebrowski. Fu il discorso di Riad ai capi di Stato sunniti e ai capi di governo della NATO. Il presidente Trump dichiarò obsoleta la NATO, ma dovette ricredersi. Tuttavia, se non ottenne l’abbandono della politica di contenimento (containment) della Russia, ottenne il dimezzamento degli stanziamenti per il perseguimento della strategia Rumsfeld/Cebrowski e l’utilizzo dei fondi risparmiati per la lotta allo jihadismo. Così facendo ha in parte ricondotto la NATO da strumento dell’imperialismo ad alleanza difensiva. Ha perciò preteso che i membri dell’Alleanza partecipassero in maniera più sostanziosa al budget. I partigiani dell’imperialismo hanno però continuato a sostenere lo jihadismo con mezzi privati, in particolare con i fondi KKR. (3)

Ha in parte ricondotto la NATO da strumento dell’imperialismo ad alleanza difensiva

 

Da qui le parole d’ordine di Trump: «Estirpiamo i terroristi mondiali che minacciano di nuocere agli americani» (Wipe Out Global Terrorists Who Threaten to Harm Americans) e «Chiediamo che gli alleati paghino la loro parte» (Get Allies to Pay their Fair Share).

 

− Fissato, come Democratici e Repubblicani, sul culto della forza, il jacksoniano Trump ha deciso di ripristinare la potenza delle forze armate statunitensi («Mantenere e sviluppare l’ineguagliata forza militare degli Stati Uniti», Maintain and Expand America’s Unrivaled Military Strenght). A differenza dei predecessori, non ha cercato di trasformare la gestione delirante del Pentagono privatizzandone i servizi uno dopo l’altro, ma ha elaborato un piano di reclutamento di ricercatori per poter di nuovo rivaleggiare tecnologicamente con russi e cinesi. (4)

A differenza dei predecessori, non ha cercato di trasformare la gestione delirante del Pentagono privatizzandone i servizi uno dopo l’altro, ma ha elaborato un piano di reclutamento di ricercatori per poter di nuovo rivaleggiare tecnologicamente con russi e cinesi

 

− Democratici e Repubblicani sostengono Trump solo nella volontà di riconquistare il primato in campo missilistico, benché non siano d’accordo su come riuscirvi («Costruire un eccellente sistema di difesa di cybersicurezza e un sistema di difesa antimissilistico», Build a Great Cybersecurity Defense System and Missile Defense System): l’inquilino della Casa Bianca vuole che gli USA, ed essi soltanto, si dotino di queste armi, che potranno eventualmente essere dispiegate sul territorio degli alleati; gli oppositori vogliono invece coinvolgere gli alleati, in modo da continuare a controllarli. Per Democratici e Repubblicani, il problema non è evidentemente ritirarsi dai trattati di disarmo della guerra fredda per costruire un nuovo arsenale, ma non perdere i mezzi di pressione diplomatica sulla Russia.

 

Il programma di Democratici e Repubblicani fuori dall’ufficialità del partito

Biden propone di focalizzarsi su tre obiettivi: 1. rinvigorire la democrazia; 2. formare la classe media per fronteggiare la globalizzazione; 3. riprendersi la leadership globale.

 

Democratici e Repubblicani sostengono Trump solo nella volontà di riconquistare il primato in campo missilistico, benché non siano d’accordo su come riuscirvi

1. Fortificare la democrazia, ossia fondare, secondo termini da egli stesso usati, l’azione pubblica sul «consenso consapevole» (informed consent) degli statunitensi. Biden riprende la terminologia usata nel 1922 da Walter Lipmann, secondo cui la democrazia presuppone la «fabbricazione del consenso» (manufacturing consent). Una teoria a lungo discussa nel 1988 da Edward Herman e Noam Chomsky e che non ha alcun rapporto con la definizione del presidente Abraham Lincoln: «La democrazia è il governo del popolo, dal popolo, per il popolo».

 

Biden ritiene di poter raggiungere l’obiettivo ristabilendo la moralità dell’azione pubblica attraverso la pratica del «politicamente corretto». Per esempio, Biden condanna «l’orribile prassi [del presidente Trump] di separare le famiglie degli immigrati e collocarne i figli in prigioni private», omettendo però di dire che Trump si è limitato ad applicare una legge democratica allo scopo di dimostrarne l’inutilità; Biden annuncia inoltre di voler riaffermare la condanna della tortura, giustificata invece dal presidente Trump, omettendo però di dire che quest’ultimo, come il presidente Obama, ne ha già vietato il ricorso, senza tuttavia abolire la reclusione a vita senza processo a Guantanamo.

 

Biden ha annunciato l’intenzione di organizzare un summit sulla democrazia per vincere la corruzione(…)Questo vertice lancerà un appello al settore privato affinché le nuove tecnologie non possano essere utilizzate da Stati autoritari per sorvegliare i cittadini (gli USA e la loro NSA potranno però continuare a farlo nell’interesse, beninteso, del “mondo libero”)

Biden ha annunciato l’intenzione di organizzare un summit sulla democrazia per vincere la corruzione, difendere il «mondo libero» contro i regimi autoritari e far avanzare i «diritti dell’uomo». Alla luce della definizione di democrazia di Biden, si tratterebbe di coinvolgere gli Stati alleati nell’additare capri espiatori come responsabili di quel che non funziona («i corrotti») e promuovere i «diritti dell’uomo», nel senso anglosassone della locuzione − certamente non in quello francese. Ossia mettere fine alle violenze della polizia, ma non favorire la partecipazione dei cittadini al momento decisionale. Questo vertice lancerà un appello al settore privato affinché le nuove tecnologie non possano essere utilizzate da Stati autoritari per sorvegliare i cittadini (gli USA e la loro NSA potranno però continuare a farlo nell’interesse, beninteso, del “mondo libero”).

 

Biden conclude il capitolo sottolineando il proprio ruolo in seno alla Commissione transatlantica per l’integrità elettorale, a fianco di amici quali l’ex segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, che rovesciò la Jamahiriya Araba Libica, nonché l’ex segretario USA per la Sicurezza della Patria, che mise sotto sorveglianza l’intera popolazione USA. Non dimentichiamo John Negroponte, che organizzò i Contras in Nicaragua e Daesh in Iraq.

 

2. Formare la classe media per fronteggiare la globalizzazione. Preso atto che la politica successiva allo scioglimento dell’URSS ha comportato la rapida sparizione delle classi medie, Biden è convinto che si potrà prevenire la delocalizzazione di posti di lavoro formando quanto resta della classe media alle nuove tecnologie.

 

3. Rinnovare la leadership statunitense. Si tratta di fermare, in nome della democrazia, l’avanzamento di «populisti, nazionalisti e demagoghi». Una formula che fa capire quanto, secondo Biden, la democrazia non sia soltanto fabbricazione di consenso, ma anche soppressione della volontà popolare. Infatti, i demagoghi corrompono le istituzioni democratiche, mentre i populisti sono al servizio della volontà popolare e i nazionalisti della collettività.

 

Preso atto che la politica successiva allo scioglimento dell’URSS ha comportato la rapida sparizione delle classi medie, Biden è convinto che si potrà prevenire la delocalizzazione di posti di lavoro formando quanto resta della classe media alle nuove tecnologie

Biden precisa poi che metterà «per sempre» fine alle guerre; una formula che sembra sostenere lo stesso scopo dei jacksoniani, ma che tuttavia differisce nella terminologia. Si tratta in realtà di validare l’adeguamento del sistema attuale ai limiti imposti dal presidente Trump: perché far morire i soldati USA all’estero, quando si può perseguire la strategia Rumsfeld/Cebrowski usando gli jihadisti, che tra l’altro costano meno? Tanto più che quando era senatore dell’opposizione, Biden diede il proprio nome al piano di divisione dell’Iraq, che il Pentagono cercò d’imporre.

 

Segue una tirata sull’allargamento della NATO agli alleati latino-americani, africani e del Pacifico. Lungi dall’essere obsoleta, la NATO tornerà a essere il nucleo dell’imperialismo USA.

 

Biden auspica infine il rinnovo dell’accordo 5+1 con l’Iran e dei trattati di disarmo con la Russia. L’accordo con il presidente iraniano Hassan Rohani mira alla canonica divisione dei Paesi mussulmani in sunniti e sciiti; i trattati di disarmo mirano invece a confermare che l’amministrazione Biden non punta allo scontro planetario, bensì al contenimento (containment) del rivale.

 

I trattati di disarmo mirano invece a confermare che l’amministrazione Biden non punta allo scontro planetario, bensì al contenimento (containment) del rivale

Il programma del candidato del Partito Democratico e dei Repubblicani, fuori dall’ufficialità del partito, si conclude con la convinzione di dover aderire all’Accordo di Parigi e di assumere la leadership della lotta al riscaldamento globale. Biden precisa che non farà sconti alla Cina, che delocalizza le proprie industrie più inquinanti lungo la via della seta. Omette però di dire che il suo amico Barack Obama prima di entrare in politica redasse gli statuti della borsa di Chicago degli scambi dei diritti di emissione di carbone. La lotta al riscaldamento climatico è un affare di banchieri più che questione ecologica.

 

 

Conclusione

È giocoforza constatare che tutto ostacola la chiarificazione. Quattro anni di sconvolgimento del presidente Trump sono riusciti soltanto a sostituire le «guerre senza fine» con una guerra privata di debole potenza: ci sono certamente meno morti, ma sempre di guerra si tratta.

Le élite beneficiarie dell’imperialismo non sono pronte a rinunciare ai propri privilegi.

 

Le élite beneficiarie dell’imperialismo non sono pronte a rinunciare ai propri privilegi.

 

Bisogna perciò temere che gli Stati Uniti siano costretti a un conflitto interno, a una guerra civile, e finiscano con lo sfasciarsi, come già accadde all’Unione Sovietica.

Thierry Meyssan

Bisogna perciò temere che gli Stati Uniti siano costretti a un conflitto interno, a una guerra civile, e finiscano con lo sfasciarsi, come già accadde all’Unione Sovietica

 

NOTE

(1) Nella campagna 2020 Democratici e Repubblicani costituiscono un blocco unico, schierato con l’ex vicepresidente Biden. Quest’ultimo e i suoi sostenitori sono estremamente volubili nell’enunciazione delle proprie intenzioni:
- “The Power of America’s Example”, by Joseph R. Biden Jr., Voltaire Network, 11 July 2019.
- “Why America Must Lead Again. Rescuing U.S. Foreign Policy After Trump”, by Joseph R. Biden Jr., Foreign Affairs, March/April 2020.
E, in particolare, la dichiarazione di alti funzionari repubblicani della Sicurezza Nazionale, che si sono schierati con il democratico Biden:
- “A Statement by Former Republican National Security Officials”, Voltaire Network, 20 August 2020.

- “Donald Trump Second Term Agenda”, by Donald Trump, Voltaire Network, 24 August 2020 (alla politica estera è dedicato soltanto l’ultimo breve paragrafo).

 

(2) Si veda: - “Presidential Memorandum: Organization of the National Security Council and the Homeland Security Council”, by Donald Trump, Voltaire Network, 28 January 2017. «Donald Trump smantella l’organizzazione dell’imperialismo statunitense», Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 31 gennaio 2017, traduzione di Rachele Marmetti.

 

(3) Si veda: - “Presidential Memorandum: Plan to Defeat the Islamic State of Iraq and Syria”, by Donald Trump, Voltaire Network, 28 January 2017.
- “Donald Trump’s Speech to the Arab Islamic American Summit”, by Donald Trump, Voltaire Network, 21 May 2017.
- “Remarks by Donald Trump at NATO Unveiling of the Article 5 and Berlin Wall Memorials”, by Donald Trump, Voltaire Network, 25 May 2017.

 

(4) Si veda: - “National Security Strategy of the United States of America”, December 2017. «Il National Security Strategy di Trump», Thierry Meyssan, Sa Defenza (Italia), Rete Voltaire, 27 dicembre 2017.

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Fonte: «Quale sarà la politica estera del prossimo presidente degli Stati Uniti», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 settembre 2020

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Geopolitica

Trump non esclude il taglio degli aiuti a Israele, attacca Netanyahu e rivela dettagli sull’assassinio di Soleimani

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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rifiutato di escludere il ritiro degli aiuti militari a Israele per forzare la fine della guerra a Gaza se verrà rieletto. Un tempo strenuo difensore del primo ministro Benjamin Netanyahu, Trump ha sostenuto che il leader israeliano e il suo esercito hanno «pasticciato» la guerra con Hamas.

 

In un’intervista con la rivista Time pubblicata questa settimana, il candidato alla Casa Bianca ha confermato la sua insistenza del mese scorso sul fatto che Israele dovrebbe «porre fine alla guerra» prima di perdere ulteriore sostegno internazionale.

 

«Penso che Israele abbia fatto molto male una cosa: le pubbliche relazioni», ha detto Trump al quotidiano, aggiungendo che secondo lui l’esercito israeliano non dovrebbe «inviare ogni notte immagini di edifici che crollano e vengono bombardati».

 

Alla domanda se escluderebbe di negare o applicare condizioni agli aiuti militari statunitensi a Israele per portare la guerra a una conclusione, Trump ha risposto «no», prima di lanciarsi in una feroce critica a Netanyahu.

 

«Ho avuto una brutta esperienza con Bibi», ha detto, riferendosi a Netanyahu con il suo soprannome. Trump ha ricordato come Netanyahu avrebbe promesso di prendere parte all’attacco aereo statunitense che ha ucciso il comandante militare iraniano Qassem Soleimani nel gennaio 2020, prima di ritirarsi all’ultimo minuto.

 

«È stato qualcosa che non ho mai dimenticato», ha detto Trump al Time, aggiungendo che l’incidente «mi ha mostrato qualcosa».

 

Come riportato da Renovatio 21, secondo rivelazioni dello scorso anno dell’ex capo dell’Intelligence israeliana, sarebbe stato lo Stato Ebraico a convincere la Casa Bianca ad uccidere il generale iraniano.

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Netanayhu, ha detto The Donald, «è stato giustamente criticato per ciò che è accaduto il 7 ottobre», riferendosi all’attacco di Hamas contro Israele. «E penso che abbia avuto un profondo impatto su di lui, nonostante tutto. Perché la gente diceva che non sarebbe dovuto succedere».

 

Israele ha, proseguito «le attrezzature più sofisticate», ha continuato. «Tutto era lì per fermarlo. E molte persone lo sapevano, migliaia e migliaia di persone lo sapevano, ma Israele non lo sapeva, e penso che sia stato fortemente incolpato per questo».

 

Trump non è la prima persona ad affermare che l’esercito e il governo israeliani non hanno risposto agli avvertimenti di un imminente attacco di Hamas. Secondo quanto riportato dai media israeliani, diversi membri del personale militare e dell’Intelligence hanno cercato di avvertire i loro superiori che era in corso un attacco, mentre i funzionari egiziani hanno riferito all’Associated Press di aver trasmesso avvertimenti alle loro controparti israeliane nelle settimane precedenti il ​​7 ottobre.

 

Trump è stato uno stretto alleato di Netanyahu durante il suo mandato alla Casa Bianca e si è descritto come «il presidente degli Stati Uniti più filo-israeliano della storia». Ha imposto sanzioni all’Iran su richiesta di Netanyahu, ha spostato l’ambasciata americana in Israele a Gerusalemme ovest e ha mediato gli accordi di Abramo, che hanno visto Israele normalizzare le relazioni con il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, il Marocco e il Sudan.

 

Alla domanda se potrebbe lavorare meglio con il principale rivale politico di Netanyahu, Benny Gantz, se dovesse tornare alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali di novembre, Trump non ha dato una risposta diretta. Tuttavia, ha osservato che «Gantz è bravo» e che ci sono «alcune persone molto brave che ho conosciuto in Israele che potrebbero fare un buon lavoro».

 

Benjamin Netanyahu è stato sostenuto negli anni dalla famiglia del genero di Trump Jared Kushner, il cui padre – controverso immobiliarista ebreo ortodosso finito in galera per una squallida storia di ricatti perfino a famigliari – era uno dei primi finanziatori di Bibi, il quale, si dice, quando era a Nuova York dormisse nella camerette del Jared.

 

Il personaggio si è fatto notare di recente per aver detto che «è un peccato» che l’Europa non accolta più profughi palestinesi in fuga da Gaza, per poi fare dichiarazioni entusiastiche sul valore delle proprietà immobiliari future sul lungomare della Striscia.

 

Il Jared – che è sospettato da molti di essere una «talpa» contro Donald, perfino nel caso del raid FBI a Mar-a-Lago –  e la moglie, l’adorata figlia di Trump Ivanka, sarebbero stati lasciati fuori dalla nuova campagna per esplicita richiesta dell’ex presidente.

 

Trump, in uno degli ultimissimi atti della sua presidenza, diede la grazia al traditore (e spia israeliana) Jonathan Pollard, analista dell’Intelligence USA artefice di una delle più grandi falla di segreti militari della storia degli apparati statunitensi.

 

Nei primi giorni del 2021, agli sgoccioli della presenza di Trump alla Casa Bianca, Pollard arrivò in Israele, dove lo attendevano ali di folla a festeggiarlo come un eroe (per aver tradito il loro principale alleato: incomprensibile fino al grottesco, a pensarci), tramite un jet privato messo a disposizione dal controverso magnate dei casino di Las Vegas – e finanziatore di quasi tutto il Partito Repubblicano USA come del Likud israeliano –  Sheldon Adelson, morto poche ore dopo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump il mese scorso ha dichiarato che il comportamento di Israele a Gaza ha causato un danno enorme alla percezione dello Stato ebraico nel mondo, mettendoli «nei guai» e incoraggiando l’antisemitismo.

 

Attacchi pubblici di Trump a Netanyahu si sono registrati già a fine 2021, mossa che gli valse uno screzio con i fondamentalisti protestanti americani, cioè i cristiano-sionisti che sostengono Israele per la profezia apocalittica secondo cui gli ebrei, ricostruendo il Terzo Tempio, genereranno il loro messia che sarà l’anticristo dei cristiani, accelerando la venuta di Cristo.

 

Tale teologia escatologica è in azione anche in questi giorni, come visibile nel caso della giovenca rossa, e di altri animali da sacrificio che hanno tentato di trafugare sul Monte del Tempio di Gerusalemme.

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Geopolitica

Israele colpisce ancora in Siria

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Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno colpito un edificio utilizzato dalle forze di sicurezza siriane fuori Damasco, ha riferito Reuters giovedì sera, citando una fonte della sicurezza allineata con il governo siriano.   L’agenzia di stampa statale siriana SANA ha citato una propria fonte di sicurezza che ha affermato che otto soldati sono stati uccisi. Ha segnalato “danni materiali” a terra, senza specificare l’obiettivo. Secondo SANA, i missili sono stati lanciati dalle alture di Golan occupate da Israele.   Le autorità israeliane non si sono ancora pronunciate sulla questione. Gerusalemme Ovest raramente ha riconosciuto gli attacchi al di fuori del suo territorio.    

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L’attacco segnalato ha avuto luogo nel contesto delle continue tensioni tra Israele e Iran, nonché della guerra di Israele con Hamas a Gaza, che entrerà nel suo settimo mese la prossima settimana. Israele ha accusato l’Iran di armare e guidare Hamas e le milizie filo-palestinesi con sede in Siria, Iraq e Libano. Teheran, tuttavia, sostiene che Hamas e i gruppi allineati agiscono in modo indipendente.   Il 1° aprile, Israele aveva bombardato un complesso diplomatico iraniano a Damasco, uccidendo diversi ufficiali militari, tra cui due generali del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica.   Poco più di una settimana dopo, l’Iran ha risposto con una raffica di droni e missili lanciati contro Israele. Secondo l’IDF, la maggior parte dei proiettili sono stati intercettati e l’attacco non ha causato vittime.   Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi due anni oltre a Damasco (bombardata anche in raid diurni) gli aeroporti della capitale e di Aleppo sono ripetutamente colpiti. Nel 2022, la Russia, che ha truppe presenti sul territorio siriano, dopo l’ennesimo raid emise una rara, molto inusuale condanna pubblica degli attacchi israeliani all’aviosuperficie della capitale.   È emerso negli scorsi giorni che le forze armate israeliane utilizzerebbero l’Intelligenza Artificiale negli attacchi aerei.

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Geopolitica

Ancora botte dentro e fuori il Parlamento della Georgia. Ma la legge sugli «agenti stranieri» passa

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Mercoledì i deputati georgiani si sono scontrati in parlamento in vista della sessione plenaria in cui verrà deciso il destino di un controverso disegno di legge sugli «agenti stranieri» che ha scatenato violente proteste.

 

La legislazione, ufficialmente nota come disegno di legge «Sulla trasparenza dell’influenza straniera», è una nuova versione di un disegno di legge simile proposto lo scorso anno dal partito al potere K’art’uli Ots’neba, «Sogno Georgiano», che richiede alle organizzazioni e agli individui con più del 20% di finanziamenti esteri di registrarsi come «agenti stranieri» e rivelare i propri donatori.

 

Il disegno di legge è stato ripresentato in parlamento con piccole modifiche all’inizio del mese scorso, e da allora è stato approvato in due letture. L’opposizione considera la legislazione autoritaria e si oppone fermamente ad essa.

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Mercoledì un video pubblicato online dalla deputata dell’opposizione Salome Samadashvili mostrava diversi suoi colleghi che si afferravano e urlavano nella sala conferenze principale del parlamento. Non è chiaro cosa si sia detto esattamente durante l’alterco, ma si può sentire una voce che grida «istigatore!», secondo quanto riportato da RT.

 

La stessa Samadashvili non sembra aver preso parte all’alterco ma, secondo quanto riportato dai media, le è stato successivamente chiesto di lasciare la sessione plenaria.

 


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Si tratta del secondo incidente questa settimana in cui le discussioni parlamentari sulla nuova legislazione sono diventate violente. Lunedì la deputata dell’opposizione Khatia Dekanoidze ha colpito con una bottiglia d’acqua Guram Macharashvili, un deputato del partito al governo.

 

Due settimane prima, in un’altra sessione dedicata al disegno di legge era scoppiata una rissa dopo che il deputato dell’opposizione Aleko Elisashvili aveva dato un pugno in faccia a Mamuka Mdinaradze, un forte sostenitore della legislazione.

 

La proposta di legge ha scatenato proteste di massa anche fuori dal parlamento. I filmati girati negli ultimi giorni mostrano manifestanti dell’opposizione che si scontrano con agenti di polizia, che vengono visti usare spray al peperoncino, gas lacrimogeni e idranti per disperdere la folla.

 

Gli stati occidentali, inclusi Stati Uniti e Unione Europea, hanno criticato la proposta di legge, sostenendo che complicherebbe il lavoro di molte ONG straniere nel paese. Bruxelles ha persino avvertito la Georgia, alla quale è stato recentemente concesso lo status di candidata all’UE, che l’adozione della legislazione potrebbe mettere a repentaglio la candidatura del paese all’adesione.

 

Tuttavia, la scorsa settimana il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha insistito sul fatto che il disegno di legge è una «condizione necessaria per andare avanti» nel percorso verso l’adesione all’UE perché renderebbe la Georgia più trasparente.

 

Ieri il Parlamento georgiano ha approvato la seconda lettura del disegno di legge. Il ministero della Sanità georgiano, in un bollettino citato dai media georgiani, ha detto che 11 persone, tra cui sei agenti di polizia, hanno ricevuto cure ospedaliere dopo gli scontri seguiti all’approvazione del disegno di legge.

 


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Il vice ministro dell’Interno Aleksandre Darakhvelidze, citato dai media georgiani, ha affermato che i manifestanti hanno tentato di entrare in parlamento utilizzando vari oggetti e hanno attaccato i poliziotti. Darakhvelidze ha detto che l’azione della polizia martedì ha provocato 63 arresti e il ferimento di sei agenti di polizia.

 

La Georgia ad inizio degli anni 2000 è stata teatro di una «rivoluzione colorata», la cosiddetta «rivoluzione delle rose», guidata da Mikheil Saakashvili, personaggio politico ora in carcere, dopo essere fuggito in Ucraina dove il presidente Poroshenko lo aveva fatto governatore dell‘oblast’ di Odessa.

 

Secondo quanto riportato, all’epoca l’Open Society Institute (OSI), finanziato da George Soros, sosteneva Mikheil Saakashvili e una rete di organizzazioni filo-democratiche. L’OSI ha inoltre pagato un certo numero di studenti attivisti affinché andassero in Serbia e imparassero dai serbi che avevano contribuito a rovesciare Slobodan Milosevic nel 2000.I promotori della democrazia occidentale hanno anche diffuso sondaggi di opinione pubblica e analizzato i dati elettorali in tutta la Georgia.

 

Una significativa fonte di finanziamento per la Rivoluzione delle Rose fu quindi la rete di fondazioni e ONG associate al finanziere miliardario ungherese-americano George Soros. La Fondazione per la Difesa delle Democrazie riporta il caso di un ex parlamentare georgiano che ha sostenuto che nei tre mesi precedenti la Rivoluzione delle Rose, «Soros ha speso 42 milioni di dollari per rovesciare Shevardnadze».

 

«Queste istituzioni sono state la culla della democratizzazione, in particolare la Fondazione Soros… tutte le ONG che gravitano attorno alla Fondazione Soros hanno innegabilmente portato avanti la rivoluzione. Tuttavia, non si può concludere la propria analisi solo con la rivoluzione e si vede chiaramente che, in seguito, la Fondazione Soros e le ONG sono state integrate al potere» ha dichiarato alla rivista dell’Istituto Francese per la Geopolitica Herodote l’ex ministro degli Esteri Salomé Zourabichvili, ora presidente della Georgia.

 

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