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Spirito

Ricordo di mons. Tissier de Mallerais

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Affrontare la biografia di Mons. Bernard Tissier de Mallerais significa ripercorrere, in poche righe, tutta la storia della Fraternità Sacerdotale San Pio X, di cui egli fu fin dalle origini attore e testimone privilegiato.

 

A lui dobbiamo un’immensa gratitudine per aver trasmesso, attraverso la sua magnifica biografia di monsignor Lefebvre e attraverso le sue innumerevoli conferenze a seminaristi, sacerdoti e fedeli, la conoscenza e l’amore del nostro venerato Fondatore e dell’opera da lui costruita, attraverso la quale irradiava il suo amore profondo per la Chiesa Romana, la fede cattolica, la Messa di sempre, il sacerdozio e Cristo Re.

 

Significa anche tratteggiare l’esile sagoma di questo vescovo, che poteva apparire vacillante, ma il cui instancabile zelo per la salvezza delle anime aveva come teatro i cinque continenti dove la Fraternità si è insediata. Le nostre cronache raccontano gli incessanti viaggi da un continente all’altro e il numero di cresime e ordinazioni che ha conferito dopo la sua consacrazione, come del resto gli altri nostri vescovi.

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Gli inizi della Fraternità

Bernard Tissier de Mallerais nasce il 14 settembre 1945 a Sallanches, in Alta Savoia. Consegue una laurea in biologia. Lavora per diversi anni nello scoutismo poiché, quando Dom Guillou diventa cappellano del gruppo tradizionale degli scout nel 1969, lo troviamo al suo fianco, in compagnia di padre Cottard. Si unisce a monsignor Marcel Lefebvre nell’ottobre 1969, a Friburgo, e partecipa alla fondazione della Fraternità San Pio X.

 

La prima visita che fa a monsignor Lefebvre avviene in rue Lhomond a Parigi, nel vasto ufficio del Superiore Generale dei Padri dello Spirito Santo, nel corso dell’anno 1967. È accompagnato da Padre Luc Lefèvre. Da quel momento in poi sa di aver trovato un padre per il futuro. Due anni dopo, il 13 ottobre 1969, scende dal treno a Friburgo, dove trova i padri Aulagnier e Piqué, i quali si stanno ugualmente recando al numero 106 della route de Marly, dove Monsignore accoglie i primissimi candidati al sacerdozio, nove in totale. Nella primavera del 1970 ne sarebbero rimasti solo quattro!

 

Il 1° novembre di quello stesso anno, il giovane don Tissier de Mallerais è tra i seminaristi che vedono monsignor Lefebvre ritornare raggiante dall’episcopio di Friburgo, dove ha ottenuto da Mons. Charrière l’atto canonico di nascita della Fraternità Sacerdotale San Pio X. I seminaristi si passano di mano in mano la lettera per leggere il testo ed esaminare la firma e il timbro.

 

«Ricordo che alla vigilia della prima domenica di Avvento del 1969, due mesi dopo il mio ingresso nel seminario di monsignor Lefebvre a Friburgo, in Svizzera, il nostro Fondatore riunì per uno speciale convegno spirituale noi, i suoi primi nove seminaristi, e ci disse gravemente: “Domani entra in vigore il Novus Ordo Missæ, la nuova messa istituita da Papa Paolo VI, e questo in tutte le parrocchie di Friburgo, della Svizzera, della Francia e altrove. Che facciamo?” Dopo un attimo di silenzio, con la sua voce delicata, quasi timida, aggiunse: “Manteniamo la vecchia messa, no?” Sono le parole storiche con cui monsignor Lefebvre ha salvato il sacrificio della messa».

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Gli anni eroici

Don Tissier de Mallerais vive quindi gli anni eroici di Écône tra il 1971 e il 1972. I seminaristi sono ventiquattro e la casa è troppo piccola. Devono addirittura essere alloggiati in una stanza della fabbrica elettrica sotto il seminario, di cui è direttore il signor Guy Fellay. Il giovane Bernard Tissier ha il piacere di soggiornare nella camera annessa, detta «dei celibi».

 

L’allestimento del seminario è minimale, il refettorio e la lavatrice si trovano nella vecchia cantina per le botti! Ma il 22 marzo 1972 i seminaristi hanno il piacere di trasferirsi nei nuovissimi locali dell’edificio Saint-Pie X.

 

Ancora suddiacono, don Tissier de Mallerais viene nominato da monsignor Lefebvre segretario generale della Fraternità il 14 settembre 1974, incarico che manterrà inizialmente fino al 1979.

 

Le prove

L’11 novembre 1974 scoppia la tempesta perché, all’improvviso, due visitatori apostolici arrivano per indagare sul seminario, su disposizione del Santo Padre. Iniziano senza presentare il protocollo della loro visita a monsignor Lefebvre.

 

Ecco come Mons. Tissier de Mallerais racconta il resto di questa visita nel suo libro: «monsignor Lefebvre parte il 16 novembre per Roma. Il 21, mentre si recava in una delle Congregazioni che stava visitando, una guardia svizzera, fino a quel momento impassibile, gli si rivolse improvvisamente: “Monsignore, lei si aspetta ancora qualcosa da questa gente? ” Sbalordito, l’arcivescovo non disse nulla, si ricordò della visita canonica, capì che non c’era più nulla da aspettarsi dalle Congregazioni e, ritornato ad Albano, “in un moto di indignazione”, come dirà lui, scrisse di getto, senza cancellature, un’ammirevole posizione di principio che ha presentò, il 2 dicembre, alla comunità di Écône».

 

Il 6 maggio successivo, monsignor Mamie ritira l’approvazione data da monsignor Charrière. Viene lanciata una campagna di stampa contro Écône e vengono organizzate delle manovre intimidatorie. Due giovani entrano addirittura nel seminario e fanno irruzione nella stanza di un seminarista, le cui voci svegliano il suo vicino, don Tissier de Mallerais, che subito accorre in suo aiuto e li insegue nel chiostro, da dove riescono a fuggire. Possiamo immaginare che scena incredibile!

 

Ma la campagna di stampa trova eco nelle parrocchie della diocesi di Sion. Padre Epiney, parroco di Riddes, viene convocato per celebrare la nuova messa. Rifiuta questa ingiunzione ed è costretto a lasciare la sua chiesa. Don Tissier de Mallerais sarà tra la ventina dei seminaristi presenti alla serata di adorazione a Riddes, domenica 22 giugno 1975, quando padre Epiney, espulso dalla sua chiesa a causa della sua fedeltà alla messa di sempre, trasporta il Santissimo Sacramento dalla sua vecchia chiesa alla cappella della sua canonica.

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Il 29 giugno di quell’anno, insieme a Pierre Blin e Donald Sanborn, Bernard Tissier de Mallerais viene ordinato sacerdote. All’inizio dell’anno scolastico, nel settembre 1975, diventa professore di Apologetica, corso tenuto fino ad allora da padre de La Presle.

 

Un anno dopo, il 29 giugno 1976, durante la prima ordinazione sotto la tenda-cattedrale, apprende le parole di monsignor Lefebvre: «se, in tutta obiettività, cerchiamo di scoprire quale sia il vero motivo che spinge coloro che chiedono di non fare queste ordinazioni, è perché ordiniamo questi preti, affinché dicano la messa di sempre… E porto come prova solo che, sei volte in tre settimane, sei volte, ci è stato chiesto di ristabilire normali rapporti con Roma, e di dare testimonianza di aver accolto il nuovo rito e di celebrarlo io stesso. Sono arrivati ​​al punto di mandarmi qualcuno che si è offerto di concelebrare con me, nel nuovo rito, per dimostrare che accettavo di buon grado questa nuova liturgia e che, di conseguenza, tutto si sarebbe appianato tra noi e Roma… Allora è chiaro, è chiaro, che è sul problema della messa che si gioca tutto il dramma tra Écône e Roma». È questa la prima predica di quella che sarà chiamata l’Estate Calda, seguita dalla sanzione a divinis per mons. Lefebvre.

 

Poi, alla fine della primavera del 1977, una dura prova colpisce il seminario. Monsignor Lefebvre chiede a tre professori di dimettersi e altri tre, tra cui il direttore, il canonico Berthod, lasciano il seminario. Ma Écône continua! Da professore, don Tissier de Mallerais diviene direttore del seminario all’inizio dell’anno scolastico 1978, carica che manterrà fino al 1983. È responsabile, tra l’altro, del collegamento tra i seminari per l’unità del programma, dell’unione dei docenti, gli scambi studenteschi e i collegamenti con Albano (1).

 

Le consacrazioni

Nel 1983 viene nominato cappellano delle suore di Saint-Michel-en-Brenne. L’anno successivo diventa nuovamente segretario generale della Fraternità, con sede a Rickenbach, assicurando anche un ministero abbastanza regolare a Colmar, fino al 1992.

 

Intorno all’aprile 1987, monsignor Lefebvre chiede a don Tissier de Mallerais di andarlo a trovare: «Mi ha mandato da Rickenbach a Écône. Nel suo ufficio mi ha parlato del suo desiderio. Gli ho risposto: Monsignore, ho fatto tanti errori, non mi sento capace di fare il vescovo”. Poi ha risposto: “Anch’io ho commesso degli errori! ” Mi ha semplicemente rassicurato. E mi sono detto: “Lui ha pensato a questa cosa, sa quello che deve fare, molto meglio di me, ha fatto la sua scelta, devo solo accettarla”. Certo, pensavo alla scomunica in cui sarei incorso, non che la credessi valida, ma sociologicamente era un’infamia da sopportare. L’ho accettata, per grazia di Dio. Come ha detto un mio confratello sacerdote, anch’io ho detto a me stesso: “Monsignore ha la grazia per decidere, io ho la grazia per seguirlo”».

 

Poi, il 29 agosto 1987, monsignor Lefebvre indirizza la sua famosa lettera ai quattro sacerdoti della Fraternità, tra cui don Tissier de Mallerais, in vista delle consacrazioni episcopali: «Carissimi amici, vengo con questa lettera per chiedervi di ricevere la grazia dell’episcopato cattolico, come l’ho già conferita ad altri sacerdoti in altre circostanze… Vi scongiuro di rimanere legati alla Sede di Pietro, alla Chiesa Romana, Madre e Maestra di tutte le Chiese, nella fede cattolica integrale, espressa nei simboli della fede, nel catechismo del Concilio di Trento, secondo quanto vi è stato insegnato nel vostro Seminario. Rimanete fedeli nel trasmettere questa fede affinché arrivi il Regno di Nostro Signore».

 

L’anno successivo, nel 1988, si svolgono dei colloqui a Roma, e monsignor Lefebvre sceglie un teologo e un canonista, nelle persone di don Tissier de Mallerais e don Patrice Laroche. Monsignor Lefebvre spinge al massimo le possibili concessioni, apponendo la sua firma sul documento che gli viene presentato il 5 maggio 1988, ma ritrattando quella stessa firma il giorno dopo, di fronte alle palesi prevaricazioni di Roma. Consacrerà quindi dei vescovi, qualunque cosa accada, per la famosa «operazione sopravvivenza» della Fraternità. È così che don Tissier de Mallerais diventa Mons. Bernard Tissier de Mallerais il 30 giugno 1988, con monsignor Richard Williamson, monsignor Alfonso de Galarreta e monsignor Bernard Fellay.

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L’apostolato di vescovo ausiliare della Fraternità

Da allora in poi, i nostri vescovi, e quindi monsignor Tissier de Mallerais, si dedicheranno anima e corpo alla loro missione, il cui scopo principale indicato da Mons. Lefebvre nella sua lettera ai futuri vescovi è quello di «conferire la grazia del sacramento della cresima ai bambini e ai fedeli che lo chiedono», e naturalmente le ordinazioni agli ordini maggiori e minori.

 

È impossibile ripercorrere qui tutte le peregrinazioni di Mons. Tissier de Mallerais nel mondo, ma ne ricorderemo alcune notevoli, e alcune altre riguardanti soprattutto il Distretto svizzero della Fraternità.

 

Il Giovedì Santo del 1989 Monsignore ha la gioia di celebrare la prima Messa Crismale nella storia del seminario di Zaitzkofen.

 

Il 13 ottobre 1990 è lui a consacrare la prima chiesa costruita dalla Fraternità in Svizzera, la Chiesa dello Spirito Santo, a Delémont. Tutto il seminario di Écône andrà ad arricchire questa solenne cerimonia.

 

Due anni dopo, il nostro venerato Fondatore ci lascia. È monsignor Tissier de Mallerais ad avere l’onore di celebrare la Messa pontificale di requiem il 2 aprile 1991, mentre il Superiore Generale, Padre Schmidberger, si occupa della predica.

 

Il 3 aprile successivo, il Consiglio generale decide di fondare una commissione canonica, come aveva suggerito Mons. Lefebvre, e tocca a Mons. Tissier de Mallerais il compito di presiedere tale commissione.

 

Il 28 luglio 1991, dopo la chiamata a Dio di Mons. de Castro Mayer, sarà il principale consacratore di monsignor Licinio Rangel, suo successore alla guida dell’unione Saint-Jean-Marie-Vianney nella diocesi di Campos in Brasile.

 

Monsignor Tissier de Mallerais rimane Segretario generale della Fraternità fino al 1996. Si occupa poi di preparare una biografia sul nostro Fondatore. È un lungo lavoro di ricerca che lo porta sulle orme del grande missionario e dà vita all’eccellente libro Marcel Lefebvre: una vita, uscito nelle librerie nel 2002.

 

Nel 1996, dal 14 al 18 agosto, si svolge a Lourdes il primo Congresso mariano organizzato dalla Fraternità. È monsignor Tissier de Mallerais a presiederlo. Nello stesso anno, don Arnaud Sélégny sostituisce mons. Tissier de Mallerais come segretario generale. Monsignore rimane domiciliato a Menzingen e può così dedicare tutto il suo tempo alla sua missione di vescovo ausiliare della Fraternità.

 

Dal 2000, è residente nel seminario di Écône che è come il cuore della Fraternità, con grande gioia di tutti e in particolare dei seminaristi, ai quali trasmette, attraverso vivaci conferenze spirituali, tutta la sua conoscenza di monsignor Lefebvre e della Fraternità.

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Sabato 2 ottobre 2004, monsignor Tissier de Mallerais consacra la chiesa di Wil, insieme ai seminaristi di Écône, cerimonia alla quale partecipano più di 600 fedeli. Benedice anche la posa della prima pietra della chiesa di Oberriet, che sostituirà la vecchia cappella del priorato, diventata troppo piccola.

 

Nel 2012 si trasferisce al Priorato di Our Lady Immaculate a Chicago. La vicinanza dell’aeroporto è una base ideale per i suoi viaggi apostolici e missionari.

 

Poi, nel settembre 2015, monsignor Tissier approfitta della sua permanenza al seminario di La Reja per iniziare un ciclo di conferenze sulla fondazione della Fraternità, al fine di trasmettere ai più giovani lo spirito di monsignor Lefebvre e la sua opera. Lo stesso farà dal 9 al 17 ottobre presso il seminario di Zaitzkofen. I nuovi seminaristi hanno così l’opportunità di scoprire il modo in cui la divina Provvidenza ha guidato con chiarezza gli eventi e benedetto la Fraternità. Ripeterà questa predicazione durante un soggiorno nel nuovo seminario di Dillwyn nel 2017, con grande gioia della comunità.

 

Nel marzo 2019, monsignor Tissier de Mallerais diventa residente nel seminario di Dillwyn, negli Stati Uniti. Poi, nel 2020, torna nelle terre svizzere, a Écône.

 

Si trema per la sua salute nel dicembre 2020, quando si diffonde la notizia del contagio da COVID. Ma se il caro fra’ Gabriel non sopravvive a questa malattia, Mons. Tissier de Mallerais si riprende molto bene. Sarà lui, del resto, a celebrare, il 22 dicembre, i funerali di fra’ Gabriel a Écône, dove era entrato quarantasei anni prima, proprio quel giorno.

 

Mons. Tissier de Mallerais mostrerà negli ultimi tempi qualche segno di debolezza, preoccupando anche i fedeli, in particolare per la difficoltà nell’equilibrio durante la celebrazione delle messe. E il giorno segnato dalla divina Provvidenza arriva il 28 settembre. Monsignore, dopo l’Angelus mattutino, cade dalle scale mentre si reca all’oratorio dove deve celebrare la messa. Vittima di una frattura al cranio e di emorragia, riceve il sacramento dell’Estrema Unzione prima di essere trasportato in ospedale. Dopo diversi giorni di coma, la sera dell’8 ottobre consegna l’anima al suo Creatore e Salvatore, alla presenza del direttore del seminario, di alcuni seminaristi e di suo fratello. Requiescat in pace.

 

Scritti

2002: Marcel Lefebvre: una vita.

2012: La strana teologia di Benedetto XVI. Ermeneutica della continuità o della rottura.

2022: Marcel Lefebvre, raconté par ses proches. Une vie dialoguée pour les jeunes.

Oltre a numerosi articoli, conferenze e interviste per diverse riviste.

 

Don Philippe Lovey

 

NOTE

1) Casa nel distretto d’Italia, vicino Roma, che per un certo periodo ha ospitato parte della formazione dei seminaristi, per permettere loro di scoprire la Città Eterna e di mettervi radici.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine da FSSPX.news

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Pensiero

Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale

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Ho un argomento molto metafisico, e al contempo concretissimo, per combattere l’abominio dell’ora legale. Un argomento che sono persino in grado di visualizzare.   Ci sono, certo i numeri: ci dicono che risparmieremo 300 gigawattora. Quando stanotte mi sono svegliato ad un orario innaturale, nella confusione inevitabile di non sapere se è troppo presto o troppo tardi, ho ripensato ad un altro dato: quante persone, in questi giorni, moriranno negli incidenti stradali dovuti ai colpi di sonno? Non credo che nessuno abbia mai fatto questo calcolo, che sarebbe più importante che qualsiasi discorso sparagnino.   Ma a chi importa? L’ora legale, teorizzata da Beniamino Franklin che, democraticamente, voleva piazzare un cannone in ogni via per svegliare la popolazione all’ora che diceva lui per risparmiare in candele, in Italia fu adottata nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale: i nostri ragazzi andavano verso l’inutile strage, il potere pensava a cambiargli l’orologio. Non sono in grado di calcolare l’effetto che l’ora legale può aver avuto sulle trincee, e non ho voglia nemmeno di chiedermelo.   Tuttavia non è questo pensiero di morte – diligente e terminale conseguenza dell’azione dello Stato moderno, che è macchina antiumana – che mi spinge a vedere nell’ora legale un’aberrazione satanica.

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Ho, negli occhi, e nel cuore, un’immagine invincibile, quella della chiesetta dove assisto alla Santa Messa, ovviamente in rito tridentino. Molti lettori già la conoscono, perché ho usato la sua foto in vari articoli.   Andò più o meno così: oramai sette anni fa, trovammo questa chiesetta – dell’estrema nobiltà della proprietà che ce la concesse parlerò altrove. Si tratta di un oratorio che risale al XII secolo, ma notizie certe in merito non si hanno, e mi piace pensare che vi sia davvero un millennio di storia lì.   La chiesa sta fuori dalla città, sopra un borghetto che sa ancora di medioevo, su una collina di boschi e pareti di roccia. L’oratorio stesso sembra posato su un’enorme roccia, anzi sembra esservi stato scolpito, sottratto una scalpellata dopo l’altra da quantità di mani laboriose e fedeli vissute in secoli dimenticati.   Arrivati al nostro secolo, arrivati a noi, c’era pronto tutto quello che serviva: il luogo era stato restaurato, nessuno vi aveva introdotto il tavolone-alare conciliare, a poca distanza c’era tanto parcheggio… per i tanti che, non solo dalla provincia, finalmente potevano avere a portata la Messa in latino.   Iniziarono così le celebrazioni del rito antico, tuttavia ottenemmo dai sacerdoti, impegnati a dire Messe in tanta parte della regione ed oltre, un orario pre-serale, alle 18.   D’inverno, a quell’ora è il buio. Nella scala di pietra mettevamo delle candeline, e lo facciamo ancora oggi in caso di celebrazione notturna. L’effetto è abbastanza magico, tuttavia nulla ha a che fare con quanto avremmo scoperto più avanti.  

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Anni dopo, a fronte di una comunità di fedeli sempre più vasta e persistente (unita davvero, come dimostrò la solidarietà in pandemia…) aumentarono il numero di Sante Messe, e fu concessa quindi una celebrazione la domenica mattina, alle 11:00.   Saltò così fuori il fenomeno che ancora mi stupisce, mi commuove. Ci accorgemmo che, precisamente a mezzogiorno – ora nella quale si ha, con la messa iniziata alle 11, la consacrazione eucaristica, un raggio di luce entra dalla finestra a lato e colpisce esattamente il centro dell’altare, dove è posato il tabernacolo.   L’incenso aiuta a vederlo, tuttavia a volte può capitare di notarlo anche in assenza di fumo. È impressionante. Tendo a sospettare di quanti vedono questa cosa e non restano sbalorditi. Le immagini che vedete qui sotto non sono ritoccate in nessun modo. Anzi, ad occhio nudo l’effetto è ancora più forte.    

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È interessante notare che lo abbiamo riscoperto noi a Messa, ma da qualche parte l’eco di questo miracolo luminoso risuonava ancora. Una signora della Pro Loco, che ha stampato un libro sulla chiesetta, mi aveva domandato se mai fosse vera una leggenda locale secondo cui nel giorno del Santo patrono dell’oratorio un raggio di luce colpisce l’altare. Ho risposto invitandola a Messa la domenica successiva, dove ha fatto tante foto con il telefonino, e compreso che la leggenda conteneva una realtà ancora più stupefacente: quel raggio si produce ogni giorno.   Il fenomeno impone tanti pensieri. Il primo, è che le mani che hanno eretto questa chiesa sapevano fare cose che i moderno non sono in grado di fare. Di più: chi l’ha costruita, l’ha basata su principi che sono sconosciuti all’architettura moderna. Per fare una chiesa, bisogna orientarla, cioè l’abside deve dare ad orientem (come il sacerdote prima del Concilio), ma non solo.   Ho l’idea che chi ha costruito la chiesetta lo abbia fatto proprio a partire da quel raggio, alla faccia di quanti ne osservino gli elementi (scala esterna, portone, altare) e li considerino disallineati. Ossia, l’intera chiesa è concepita a partire dal rapporto del Cielo con la Terra, cioè di Dio con l’uomo – questo è un senso ultimo della religione cristiana, quella della divinità che si fa essere umano, del Dio del Cielo che scende sulla Terra, del Cielo che nutre la Terra con la sua luce, il suo calore la sua grazia.  

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Quel raggio, che casca durante la Santa Messa esattamente nel momento più alto, significa in maniera incontrovertibile l’armonia tra il Cielo e la Terra. L’accordo, nella bellezza, accordato all’uomo da un Dio buono, un Dio che è luce, che è amore.   Questo è l’ordine celeste, infinito, stupendo. Questo è il logos. Questo è il cosmos.   Non ci sono voluti tanti mesi per capire che, a parte il cattivo tempo, c’era solo una cosa in grado di distruggere il nostro raggio divino: l’ora legale. Come a marzo si cambia l’ora, quella luce svanisce, si fa più tenue, fino a sparire, facendo capolino, forse, solo dopo la Messa, quando qualcuno si attarda ad una confessione fuori tempo ed altri (io) rassettano prima di chiudere.   Di fatto, poi, il fascio luminoso scompare del tutto, dalla vista come dai cuori. Fine della magia, per ordine dello Stato moderno.  

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Ho sempre preso questo fatto come la prova definitiva della nequizia dell’ora legale – del suo essere un invento contronatura, e quindi contro Dio.   Solo il mondo moderno poteva pensare di alterare persino il tempo: l’uomo si sente in grado di modificare l’immutabile, l’uomo introduce il suo artificio in un sistema la cui complessità ha milioni di anni. Non è diverso per tante altre questioni: ad esempio, i vaccini, la fecondazione in vitro, la bioingegneria…   L’uomo-dio crede di poter mettere mano su qualsiasi cosa, devastando le leggi stesse della creazione, disintegrando quindi l’equilibrio del Cielo e della Terra – una realtà conosciuta dalla saggezza cinese: «l’uomo si conforma alla Terra / La Terra si conforma al Cielo / il Cielo si conforma al Tao» (Tao Te King, XXV). Era chiaro, agli antichi cinesi, che il Cielo è legato alla morale: «Sotto il cielo tutti / sanno che il bello è bello, / di qui il brutto, sanno che il bene è bene, / di qui il male» (Tao Te King, II).   Ora, nel Cristianesimo l’armonia tra la Terra e il Cielo è in realtà una vera alleanze tra persone, cioè tra gli uomini e Dio – e questa nuova alleanza è il Cristo risorto.   Alterare il tempo significa frantumare la relazione naturale con il Cielo. Adulterare la luce del sole significa quindi andare contro il divino, contro la legge naturale, contro Dio.   Non poteva essere altrimenti: il mondo moderno odia, più ancora dell’uomo, Nostro Signore, che vuole sostituire con l’essere umano ubriacato di hybris satanica, l’umanità onnipotente che, apoteosi del non serviam, si crede capace di cambiare le leggi del cosmo.   Ecco perché combatto l’ora legale: perché, ve ne rendiate conto o no, fa parte della macchina in atto per distruggere la presenza di Dio sulla Terra.   E quel raggio magnifico me lo ha ricordato anche domenica scorsa: sì, tornata l’ora del Sole, l’ora vera, è tornato. E con lui è venuta ancora da noi questa immagine potente di reincanto del mondo, di bellezza divina, di armonia cosmica, questa visione sacra che vale più di qualsiasi risparmio.   Vale tutto. Vale il senso vero dell’esistenza e dell’universo.   Roberto Dal Bosco

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Spirito

Cristo Re, il cosmo divino contro il caos infernale. Omelia di Mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Cristo Re dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

 

 

 

Israël es tu Rex

Omelia nella festa di Cristo Re

 

 

 

Israël es tu Rex,
davidis et inclyta proles;
nomine qui in Domini,
Rex benedicte, venis.

D’Israele Tu sei il Re,
di David la nobile prole;
Tu che vieni, Re benedetto,
nel Nome del Signore.

Teodolfo di Orléans,
Inno Gloria laus et honor.

 

Gloria, laus et honor tibi sit, Rex Christe Redemptor. Al canto di questo inno antichissimo, intonato nella Domenica delle Palme dinanzi alle porte serrate della chiesa, la processione del clero e dei fedeli entra solennemente nella nuova Gerusalemme, spalancandone i robusti battenti con il triplice colpo della Croce astile.

 

La suggestiva cerimonia della seconda Domenica di Passione rievoca l’ingresso trionfale di Nostro Signore nella Città santa, di cui era figura l’ingresso di Salomone (1Re 1, 32-40). Essa ha dunque un’indole eminentemente regale, perché con questa presa di possesso del Tempio, Egli è riconosciuto e osannato come Dio, come Messia e come Re dei Giudei: il Cristo, Χριστός, l’Unto del Signore. La Sua divina Regalità era già stata testimoniata e onorata dai Magi, nella grotta di Betlemme: con l’oro al Re dei Re, l’incenso al Dio Vivo e Vero, la mirra al Sacerdote e Vittima.

 

Poco meno di cent’anni fa, l’11 Dicembre 1925, il grande Pontefice lombardo Pio XI promulgò l’immortale Enciclica Quas primas, nella quale è definita la dottrina della universale Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo: Egli è Re in quanto Dio, in quanto discendente della stirpe regale della tribù di Davide e per diritto di conquista mediante la Redenzione.

 

L’istituzione di questa festa non ha in verità introdotto nulla di nuovo. Essa è stata voluta da Pio XI per contrastare e combattere la peste del liberalismo laicista, il massonico Libera Chiesa in libero Stato e la folle presunzione di estromettere Gesù Cristo dalla società civile. Pio XI non fu il solo a ribadire solennemente la dottrina cattolica: prima di lui Clemente XII, Benedetto XIV, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XIV, Pio IX, Leone XIII e San Pio X avevano severamente condannato le logge segrete, la carboneria, la Massoneria e tutti gli errori che i nemici di Cristo avevano sparso e alimentato nel corso degli ultimi due secoli.

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Dopo la grande frattura del Protestantesimo nel Cinquecento, i tre secoli successivi hanno visto affrontarsi in una serie di terribili battaglie la Chiesa Cattolica e l’Antichiesa, cioè la Massoneria: da una parte, il Principe della Pace e le Sue schiere angeliche e terrene; dall’altra, la scelesta turba, la folla sciagurata, aizzata dai mercanti asserviti a Lucifero.

 

Il mito del «popolo sovrano» ha sepolto sotto le rovine della Rivoluzione secoli di civiltà cristiana, mostrando sino a quali aberrazioni l’uomo potesse giungere. I Martiri di questi secoli di violenze inaudite e di eccidi ancora impuniti ci guardano dai loro scranni in cielo, chiedendo giustizia per il sangue che essi hanno versato, e con il loro silenzio – quasi di notte oscura per la Chiesa, alla vigilia della sua passione – essi osservano increduli i papi di questi ultimi decenni deporre le armi spirituali e cooperare con i nemici di Cristo.

 

Da quegli scranni ci guardano anche i Pontefici guerrieri che – anche a costo della propria vita, come Pio VI, imprigionato da Napoleone e morto di stenti in carcere – seppero affrontare a testa alta i più feroci attacchi contro Dio, contro il Papato, contro la Gerarchia Cattolica, contro i fedeli. Se la Storia non fosse stata falsificata dai momentanei vincitori di questa guerra – come avviene ancora oggi – nelle scuole i nostri figli studierebbero non la presa della Bastiglia, non le menzogne dell’epopea del Risorgimento, non le gesta di mercenari cospiratori o di ministri corrotti, ma le fasi del genocidio contro i Cattolici delle Nazioni un tempo cristiane.

 

Quando venne istituita la festa di Cristo Re, la Chiesa Cattolica non poteva più avvalersi della cooperazione dei Sovrani cattolici, che nelle leggi civili e penali avevano fatto osservare i principi del Vangelo e della Legge naturale. La prima autorità dell’ancien régime a cadere fu infatti la Monarchia di diritto divino, che attinge alla Regalità di Cristo la potestà vicaria nelle cose temporali.

 

La seconda autorità cadde pochi decenni dopo, e fu quella dei pontefici asserviti alla Rivoluzione. Con la deposizione della tiara papale, Paolo VI suggellò l’abdicazione della potestà di Cristo nelle cose spirituali e la resa alle ideologie anticristiche e anticattoliche della Sinagoga di Satana. «Anche noi, più di ogni altro abbiamo il culto dell’uomo», disse Montini alla chiusura del Vaticano II (1). E sotto le volte della Basilica Vaticana echeggiarono queste parole: «La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità», parole che solo pochi anni prima avrebbero scandalizzato qualsiasi Cattolico.

 

Paolo VI – e con lui il predecessore Giovanni XXIII – furono gli iniziatori del processo di liquidazione della Chiesa di Cristo e su di essi incombe la responsabilità di aver disarmato la Cittadella e averne spalancate le porte per meglio farvi entrare il nemico, salvo poi ipocritamente denunciare che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (2). E nulla si salvò da quell’operazione di disarmo: né la dottrina, né la morale, né la liturgia, né la disciplina.

 

Così venne sfigurata anche la festa di Cristo Re, la cui data fu spostata alla fine dell’anno liturgico, assumendo una valenza escatologica: Cristo Re del mondo a venire, non delle società terrene. Perché la Signoria del Verbo Incarnato non doveva rappresentare un ostacolo al dialogo con «l’uomo contemporaneo» e con l’idolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

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I fautori di questo smantellamento suicida ebbero a rallegrarsi che finalmente si fosse posto fine al trionfalismo postridentino di una Chiesa che voleva convertire il mondo a Cristo, e non adattare la divina Rivelazione all’antievangelo dell’Antichiesa; di una Chiesa che onorava il proprio Signore come Re universale e a Lui voleva condurre tutte le anime, perché nel regnum Christi esse potessero vivere nella pax Christi.

 

Scelesta turba clamitat: regnare Christum nolumus (3) – cantiamo nel magnifico inno della festa odierna – La folla scellerata schiamazza: Non vogliamo che Cristo regni! Questa bestemmia è il grido di battaglia delle orde di Lucifero, dei figli delle tenebre; lo stesso grido che risuonò quando lo spirito ribelle e orgoglioso di Satana vomitò il suo Non serviam. Un grido che sovverte il κόσμος divino, fondato in Nostro Signore Gesù Cristo, nel Dio incarnato per obbedienza all’Eterno Padre, e per obbedienza morto sulla Croce propter nos homines et propter nostram salutem.

 

Alla fine dei tempi, ormai prossima, l’Anticristo contenderà a Cristo proprio la Sua universale Signoria, cercando di sedurre i popoli con prodigi e falsi miracoli, addirittura simulando la propria resurrezione. Affascinante, seducente, simulatore, orgoglioso, pieno di sé, l’Anticristo combatterà la Santa Chiesa senza esclusione di colpi, ne perseguiterà i Ministri e i fedeli, ne adultererà la dottrina, ne corromperà i chierici facendone dei propri servi.

 

Quello che vediamo accadere nella sfera civile e religiosa da almeno da due secoli, in un continuo crescendo, è la preparazione di questo piano infernale, volto a spodestare Nostro Signore, a rifiutarLo come Dio, come Re e come Sommo Sacerdote, a calpestare empiamente l’Incarnazione e l’opera della Redenzione.

 

Con la festa di Cristo Re noi cooperiamo al ripristino dell’ordine, del κόσμος divino contro il χαός infernale. Restituiamo a Cristo la corona che già Gli appartiene, lo scettro che Gli ha strappato la Rivoluzione. Non perché stia a noi rendere possibile la restaurazione dell’ordine, di cui sarà artefice unico Nostro Signore, ma perché non è possibile prendere parte a questa restaurazione senza che noi vi contribuiamo.

 

Ai tempi della prima Venuta del Salvatore, il regno di Israele e il tempio non avevano né un Re legittimo, né legittimi Sommi Sacerdoti: l’autorità civile e religiosa era ricoperta da personaggi di nomina imperiale. Nella seconda Venuta alla fine del mondo questa vacanza dell’autorità sarà ancora più evidente, perché Nostro Signore ricomporrà in Sé tutte le cose – Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10) – in un momento storico in cui sarà il Male a dominare in tutti gli ambiti della vita quotidiana, in tutte le istituzioni, in tutte le società.

 

E sarà una vittoria trionfale, schiacciante, totale, inesorabile, su tutte le menzogne e i crimini dell’Anticristo e della Sinagoga di Satana.

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Facciamo nostra la preghiera dell’inno Te sæculorum Principem:

 

O Christe, Princeps Pacifer,
Mentes rebelles subjice:
Tuoque amore devios,
Ovile in unum congrega.

 

O Cristo, Principe che porti la vera Pace: sottometti le menti ribelli e riunisci in un solo ovile quanti si sono allontanati dal Tuo amore. E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

26 Ottobre MMXXV
D.N.J.C. Regis
Dominica XX post Pent., ultima Octobris

 

 

NOTE
1) Cfr. Discorso di Paolo VI alla IX Sessione Pubblica del Concilio Vaticano II, 7 Dicembre 1965.

2) Paolo VI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972.

3) Inno Te sæculorum Principem nella festa di Cristo Re.

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Spirito

Fraternità San Pio X: ingressi al Seminario 2025

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L’ingresso al seminario della Fraternità inizia a settembre nell’emisfero settentrionale, mentre nell’emisfero meridionale, presso il Seminario Nuestra Señora Corredentora situato a La Reja, in Argentina, ha luogo all’inizio di marzo. Un articolo recente è già stato dedicato all’ingresso a Flavigny.   Il Seminario Herz Jesu – Seminario del Sacro Cuore – è lieto di accogliere nove nuovi seminaristi. Dopo aver trascorso una settimana a Jaidhof, in Austria, per il ritiro di rientro, i seminaristi sono finalmente arrivati. Sono stati accolti con la celebrazione della Solennità di San Pio X, come ogni anno.   Per quanto riguarda la provenienza dei nuovi arrivati, i paesi di lingua tedesca possono rallegrarsi. Mentre l’anno scorso a Zaitzkofen non erano arrivati ​​tedeschi, quest’anno ce ne sono quattro. Con due svizzeri, il seminario ha di nuovo tra le sue fila dei cittadini della Confederazione. Due polacchi e uno sloveno completano questo nuovo anno di spiritualità.   All’inizio di quest’anno accademico, il seminario conta un totale di 54 seminaristi, superando di uno il record dell’anno scorso. Con un’età media di soli 21,9 anni, il primo anno contribuirà a un notevole ringiovanimento della comunità seminaristica.  

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