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Bergoglio e il Grande Imam indonesiano chiedono un’azione interreligiosa per combattere il “cambiamento climatico”

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Nuovi episodi di sincretismo bergogliano durante il viaggio apostolico indonesiano.

 

Firmando una dichiarazione congiunta con il Grande Imam musulmano dell’Indonesia, Papa Francesco ha esortato all’«unità e all’armonia» interreligiosa, mettendo in guardia contro la «disumanizzazione e il cambiamento climatico».

 

 

All’inizio del suo ultimo giorno intero in Indonesia nell’ambito del suo viaggio in Asia, Papa Francesco si è unito al Grande Imam Nasaruddin Umar per quello che è stato definito il momento culminante della sua permanenza nel Paese: l’incontro interreligioso presso la moschea Istiqlal di Giacarta e la firma congiunta di un documento con l’Imam Umar.

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La dichiarazione chiede un’azione congiunta tra i leader religiosi per affrontare «due gravi crisi: la disumanizzazione e il cambiamento climatico».

 

L’87enne Pontefice ha visitato per la prima volta il famoso «Tunnel dell’amicizia», una galleria sponsorizzata dal governo di Giacarta ​​che collega la moschea alla cattedrale cattolica di Nostra Signora dell’Assunzione.

 

L’Indonesia è una nazione musulmana all’87% e cattolica al 3%, ma fino a tempi recenti le relazioni tra le due religioni sono state per lo più pacifiche e il concetto di coesistenza e armonia è molto diffuso nella società.

 

Francesco si è congratulato con tutti i presenti per aver mantenuto il tunnel come «un luogo di dialogo e incontro», aggiungendo come «le diverse tradizioni religiose abbiano un ruolo da svolgere nell’aiutare tutti ad attraversare i tunnel della vita con gli occhi rivolti verso la luce».

 

Il suo discorso principale è stato pronunciato pochi minuti dopo, quando era seduto accanto a Umar in una tenda adiacente alla moschea. Dopo aver ascoltato i brani cantati dal Corano e letti dal Vangelo, Umar ha accolto calorosamente il Papa.

 

Sottolineando la moschea come luogo di culto islamico ma anche «una grande casa per l’umanità», l’Umar ha affermato che «chiunque è benvenuto a cercare il bene dell’umanità attraverso questa moschea».

 

I temi della tolleranza religiosa, dell’armonia e della coesistenza pacifica hanno già dominato le giornate del Papa in Indonesia, durante le quali ha incontrato leader politici e religiosi in numerosi appuntamenti, sia pubblici che privati.

 

Francesco ha ripreso questi temi nel suo discorso ai leader religiosi riuniti e all’Imam Umar.

 

Citando l’enciclica Evangelii Gaudium, ha affermato che il tunnel che collega i due edifici consente di «trovare e condividere una “mistica” del vivere insieme, della mescolanza e dell’incontro».

 

Vi incoraggio a proseguire su questo cammino perché tutti insieme, coltivando ciascuno la propria spiritualità e praticando la propria religione, possiamo camminare alla ricerca di Dio e contribuire a costruire società aperte, fondate sul rispetto reciproco e sull’amore reciproco, capaci di proteggere da rigidità, fondamentalismi ed estremismi, sempre pericolosi e mai giustificabili.

 

Utilizzando il tunnello come piattaforma per evidenziare i legami religiosi che desiderava ribadire, Francesco ha raccomandato a musulmani e cattolici di «guardare profondamente» dentro di sé per «preservare i legami tra voi», commentando che i rispettivi edifici fornivano luoghi di culto, ma che nel tunnel musulmani e cattolici potevano incontrarsi e scambiarsi idee: «ci sono spazi sia nella moschea che nella cattedrale che sono ben definiti e frequentati dai rispettivi fedeli, ma sottoterra, nel tunnel, quelle stesse persone possono incontrarsi e confrontarsi con le rispettive prospettive religiose».

 

Il filo conduttore, ha detto Francesco, è «l’unica radice comune a tutte le sensibilità religiose: la ricerca dell’incontro con il divino, la sete di infinito che l’Onnipotente ha posto nei nostri cuori, la ricerca di una gioia più grande e di una vita più forte di ogni tipo di morte, che anima il cammino della nostra esistenza e ci spinge a uscire da noi stessi per incontrare Dio».

 

Il Bergoglio ha anche sollecitato una continuazione della costruzione di relazioni tra credi. Francesco ha affermato per primo che il dialogo interreligioso non era solo «la ricerca di un terreno comune … a qualsiasi costo», poiché ciò «potrebbe finire per dividerci, perché le dottrine e i dogmi di ogni esperienza religiosa sono diversi».

 

Invece, il romano pontefice ha esortato a «creare una connessione in mezzo alla diversità, coltivando legami di amicizia, cura e reciprocità». Facendo questo, ha commentato il Papa, le persone potrebbero imparare «dalla tradizione religiosa degli altri» e unirsi nel «perseguimento degli stessi obiettivi: difesa della dignità umana, lotta contro la povertà e promozione della pace☼.

 

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«L’unità nasce dai legami personali di amicizia, come pure dal rispetto reciproco e dalla difesa delle idee degli altri e dei loro spazi sacri», ha detto Francesco.

 

Il culmine dell’evento è stata la firma congiunta della Dichiarazione congiunta del documento Istiqlal 2024, «Promuovere l’armonia religiosa per il bene dell’umanità».

 

Sebbene più breve della controversa dichiarazione di Abu Dhabi del 2019 sulla «fratellanza umana,» il testo dell’Istiqlal ne riecheggia gli elementi chiave.

 

Il testo mette in luce «la disumanizzazione e il cambiamento climatico», iniziando affermando che «la religione è spesso strumentalizzata» nel fomentare la violenza e la guerra.

 

Quanto al cambiamento climatico, il testo attesta che «lo sfruttamento umano del creato, la nostra casa comune, ha contribuito al cambiamento climatico, portando a varie conseguenze distruttive come disastri naturali, riscaldamento globale e modelli meteorologici imprevedibili. Questa crisi ambientale in corso è diventata un ostacolo alla coesistenza armoniosa dei popoli».

 

Di conseguenza, la Dichiarazione di Istiqlal invita i leader religiosi a «cooperare per rispondere alle crisi sopra menzionate».

 

«Poiché esiste un’unica famiglia umana globale, il dialogo interreligioso dovrebbe essere riconosciuto come uno strumento efficace per risolvere i conflitti locali, regionali e internazionali, specialmente quelli fomentati dall’abuso della religione», aggiunge il testo.

 

Aderendo alla dichiarazione congiunta, il Papa ha affermato che «ci assumiamo la responsabilità di affrontare le crisi gravi e talvolta drammatiche che minacciano il futuro dell’umanità, come le guerre e i conflitti, purtroppo talvolta provocati dalla manipolazione della religione, e la crisi ambientale, che ostacola la crescita e la convivenza dei popoli».

 

Sia con il suo Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana (2019) che con la lettera enciclica Fratelli Tutti (2020), Papa Francesco ha cementato una caratteristica distintiva del suo regno papale, vale a dire una forma di «fraternità» e «unità» che sembrava separata dalla fede cattolica. Il testo di Abu Dhabi è stato anche descritto come apparentemente «ribaltare la dottrina del Vangelo» con la sua promozione dell’uguaglianza delle religioni in una forma di «fraternità».

 

Allo stesso modo, Fratelli Tutti è stato condannato dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò come promotore di una forma «blasfema» di fratellanza senza Dio e «indifferentismo religioso».

 

Questo tema della fratellanza umana sembra essere rinnovato nel testo dell’Istiqlal, con Francesco e l’Imam Umar che collaborano nello sforzo comune per questo valore tanto caro alla massoneria, come rivelarono, ai tempi di Fratelli Tutti e del documento di Abu Dhabi, le lodi sperticate proveniente da logge grembiuliste di tutto il mondo.

 

Di particolare risalto, ad ogni modo, anche la prossemica del papa in carrozzella, che si fa baciare in testa dall’Imam che sta in piedi, per poi, con grande dolcezza, baciare grato la mano musulmana.

 


Come riportato da Renovatio 21, avevamo già visto il papa, non troppo amante del bacio dell’anello piscatorio da parte di altri, baciare la mano di personaggi di altre religioni, come quando in Israele si produsse in «kissini» ripetuti sulle dita di sopravvissuti ai campi di concentramento tedesco, intendendo, chiaramente, gli ebrei, perché delle migliaia di cattolici finiti nel campo di Dachau nessuno ha più contezza, figuriamoci il Bergoglio.

 

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Mons. Viganò: «non c’è paradiso per i codardi!»

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Renovatio 21 pubblica questo intervento di monsignor Carlo Maria Viganò.    

Non c’è paradiso per i codardi!

La Vittoria della Lega Santa a Lepanto Intervento al Convegno dell’Associazione culturale «Veneto Russia» Settimo di Pescantina (VR), 11 Ottobre 2025

     

Salve, Regina, rosa de spina, rosa d’amor, Madre del Signor. Fa’ che mi no mora e che no mora pecador, che no peca mortalmente e che no mora malamente.

Preghiera del marinaio, recitata da tutta la flotta veneziana prima di muovere battaglia nelle acque di Patrasso.

  Cari Amici,
 
consentitemi di ringraziare gli organizzatori di questo evento e di porgere il mio saluto a tutti i partecipanti. È per me un piacere potermi unire a voi nel celebrare l’anniversario della Vittoria di Lepanto, prendendo parte alla nona edizione del Convegno che quest’anno ha come tema il paradosso di un’Europa laicista, liberale e massonica che muove guerra alla Russia cristiana e antiglobalista.
 
Viviamo ormai negli ultimi tempi, in cui lo scontro tra Cristo e Anticristo impone a tutti noi di schierarci sotto le insegne del nostro Re divino e della Sua augustissima Madre, nostra Regina, memori delle parole del Signore: Chi non è con Me, è contro di Me (Mt 12, 30).
 
Il 7 Ottobre 1571, nel Golfo di Patrasso, la flotta della Lega Santa schiacciava vittoriosa l’orgoglio ottomano, rallentando l’espansione islamica nel Mediterraneo occidentale. Un’espansione che non si è mai fermata con il «dialogo» tra Croce e Mezzaluna, ma con l’uso della forza militare, il sacrificio di tante vite umane e la protezione soprannaturale che la Regina delle Vittorie e Mediatrice di tutte le Grazie ha spiegato come un manto sulla Cristianità minacciata dall’Islam.

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Anche alle porte di Vienna, il 12 Settembre 1683 – ossia solo 112 anni dopo Lepanto – il Turco venne sconfitto dalle armate cattoliche, sotto il patrocinio del Santo Nome di Maria. Temibile e terribile come un esercito schierato in ordine di battaglia: solo al pronunciare queste parole, sentiamo un nodo alla gola, nella commozione di contemplare la nostra Augusta Regina a capo delle schiere angeliche e terrene.
 
Ella era apparsa in simili sembianze anche il 7 Agosto 626, quando Costantinopoli era assediata dagli Avari, dagli Slavi e dai Persiani Sassanidi e il popolo cristiano riunito nella chiesa delle Blacherne invocava il Suo intervento. Sfolgorante di luce e con Gesù Bambino tra le braccia, la Vittoriosa Condottiera – come è chiamata nell’Inno Akatisto – aveva sbaragliato i nemici, meritando alla Capitale dell’Impero il titolo di «città di Maria».
 
Ma se l’aiuto divino e l’intercessione potentissima della Semprevergine Madre di Dio hanno portato a compimento in modo miracoloso e certamente soprannaturale vittorie umanamente difficili se non impossibili, non possiamo non ricordare che questi prodigiosi e provvidenziali interventi, queste irruzioni della potenza del Deus Sabaoth nelle umane contingenze, si rendono possibili solo dove questo tutto inarrivabile e divino è preceduto dal nulla della nostra cooperazione all’opera della Redenzione.
 
In virtù dell’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità, infatti, l’Uomo-Dio prende possesso dell’umanità di cui per divinità, per stirpe e per diritto di conquista Egli è costituito Signore e Re. Ma questo consorzio della natura divina del Figlio di Dio con la natura umana di Gesù Cristo, attuato dall’Unione ipostatica, fa sì che anche ogni membro del Corpo Mistico possa unirsi alla Passione di Cristo Capo, completando nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo, per il bene del Suo corpo che è la Chiesa (Col 1, 24). E nell’economia della salvezza, ogni uomo è chiamato a contribuire all’opera della Redenzione attivamente, senza cercare in un fatalismo ben poco cattolico un alibi alla propria ignavia.
 
Ma nel rievocare Lepanto, non possiamo non ricordare anche la figura eroica di Marcantonio Bragadin, nobile veneziano e governatore di Famagosta, a Cipro, durante l’assedio ottomano del 1570-1571. La città cadde nell’agosto 1571, e Bragadin negoziò una capitolazione onorevole con il comandante ottomano Lala Mustafa Pascià, che promise salva la vita ai difensori. I Turchi però, venendo meno alla parola data, violarono l’accordo: Bragadin fu torturato e sottoposto a una morte brutale; venne scorticato vivo e la sua pelle fu riempita di paglia e inviata come trofeo al sultano Selim II.
 
Questo orribile crimine suscitò sdegno nei membri della Lega Santa e la vittoria di Lepanto fu vista anche come una vendetta per l’assedio di Cipro, le atrocità subite da Bragadin (1) e come una punizione per la slealtà dei Turchi, inconcepibile per un cavaliere Cristiano.
 
L’eroismo di Bragadin trovò emuli anche nel golfo di Patrasso: don Giovanni d’Austria, Comandante supremo della Lega Santa a soli ventiquattr’anni e grande stratega, fu uomo di fede. Durante la battaglia incoraggiava i rematori e i soldati al grido: Non c’è paradiso per i codardi!
 
Sebastiano Venier, Capitano generale veneziano e veterano di settantacinque anni, si distinse per coraggio e ardore, incitando i suoi compagni: Chi non combatte non è Veneziano. Il suo eroismo gli meritò l’elezione a Doge nel 1577.
 
Il comandante veneziano Agostino Barbarigo morì in battaglia dopo essere stato colpito da una freccia a un occhio ed aver continuato a comandare l’ala sinistra della flotta, contribuendo così alla vittoria finale. Marcantonio Colonna, Ammiraglio pontificio, si distinse per il suo impegno nel soccorrere i feriti e nel garantire che i prigionieri ottomani fossero trattati con umanità, coerentemente con i valori cristiani che la Lega Santa professava.

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Fu il loro coraggio, la loro abnegazione, ma soprattutto la loro fede sincera e virile a costituire quel nulla che il Signore attende da noi prima di scendere in campo al nostro fianco e darci una vittoria altrimenti impensabile. Il Suo tutto, il nostro nulla. Il nulla di chi, sulle facciate dei palazzi, non si vergognava di incidere Non nobis Domine non nobis, sed nomini tuo da gloriam. Di chi, costituito in autorità e membro del Serenissimo Senato, non esitò ad attribuire la Vittoria della flotta cristiana non alla potenza navale, né alla forza delle armi, ma all’intercessione della Beata Vergine del Rosario, che San Pio V – il Papa di Lepanto – aveva ordinato di invocare recitando la santa Corona.
 
Perché vi fu un’epoca in cui gli uomini erano uomini, e uomini di valore, uomini di parola, uomini di guerra, uomini di fede. Peccatori certamente, ma coraggiosi, disposti a morire per difendere la Santa Chiesa e ricacciare gli idolatri invasori nelle loro plaghe remote. Ut Turcarum et hæreticorum conatus ad nihilum perducere digneris: Te rogamus, audi nos! Così pregarono a Costantinopoli, così pregavano a Lepanto, così hanno pregato a Vienna: sempre fiduciosi che l’aiuto di Dio sarebbe giunto nel momento in cui esso si mostrava inequivocabilmente divino e soprannaturale, e sempre con la mediazione della Madre di Dio, l’onnipotente per Grazia.
 
Il nostro Dio è un Dio geloso: geloso del Suo popolo e geloso della propria Signoria su di noi, che non permette sia usurpata da alcuno e che vuole condividere con la propria Santissima Madre, nostra Signora e Regina. Egli è Re e come Re vuole regnare: oportet illum regnare, è necessario che Egli regni. E quando regna Cristo, si compie il voto del Salmista: Beatus populus, cujus Dominus Deus ejus (Ps 143, 15), beato il popolo del quale è Signore il suo Dio.
 
Quanto tempo è passato dalla Vittoria di Lepanto! Cinquecentocinquantaquattro anni: oltre mezzo millennio. Ed oggi, in un mondo che guarda con incomprensione e disprezzo all’eroismo dei caduti di Lepanto e alla loro Fede, considerandoli pericolosi fanatici, le orde islamiche non solo non sono respinte ai nostri confini, ma sono accolte e ospitate e nutrite e curate e lasciate libere di delinquere e di trasformare la nostra Patria in una nazione islamica.
 
Trecentonovantun anni dopo Lepanto, il primo «concilio» della «nuova chiesa» – il Vaticano II di cui ricorre oggi l’anniversario dell’apertura – teorizzò quell’ecumenismo sincretico condannato dai Romani Pontefici che nell’arco di pochi anni avrebbe condotto Paolo VI, il 19 gennaio 1967 (2), a restituire lo stendardo che Mehmet Alì Pascià aveva issato sulla sua ammiraglia, la Sultana. In quel gesto sconsiderato Paolo VI umiliava la Chiesa e il suo Predecessore San Pio V, al quale quel vessillo era stato donato da Sebastiano Venier che lo aveva conquistato eroicamente arrembando la Sultana.
 
A dispetto delle smanie ecumeniche dei papi conciliari e sinodali, noi conserviamo ancora il gonfalone che San Pio V benedisse e fece issare al pennone della Reál, l’ammiraglia delle ammiraglie della flotta cristiana: un drappo di seta porpora bordata d’oro, al cui centro campeggia l’immagine del Santissimo Redentore, affiancata dai Santi Apostoli Pietro e Paolo, e il motto In hoc signo vinces. Fu Marcantonio Colonna a riportarlo a Gaeta, come voto fatto a Sant’Erasmo, patrono dei marinai (3). In quell’immagine e in quel motto si riassume il senso della vita cristiana, valido ai tempi gloriosi di Lepanto come nei tempi presenti di apostasia.
 
In nome di un distorto concetto di accoglienza e di inclusività, milioni di islamici sono traghettati e accompagnati nelle nostre città e villaggi, dove le chiese ormai vuote diventano moschee. In molti luoghi il suono sacro e solenne delle campane tace, ma vi risuona la voce del muezzìn che chiama alla preghiera i seguaci di Maometto. Se questo è oggi non solo possibile, ma addirittura incoraggiato e celebrato come conquista di civiltà, lo dobbiamo alla Rivoluzione: alla rivoluzione francese, per l’attacco alla monarchia cattolica nella sfera civile; alla rivoluzione conciliare e sinodale, per l’attacco alla sacra monarchia del Papato nella sfera ecclesiastica. Democrazia e sinodalità sono due facce della stessa falsa moneta. Su un lato campeggia l’emblema del liberalismo massonico, sull’altro quello dell’ecumenismo sincretista irenista.

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L’Europa è tornata da decenni ad essere terra di conquista e sarà presto a maggioranza islamica, specialmente in nazioni ribelli come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Il loro tradimento di Nostro Signore Gesù Cristo e i loro crimini contro la Legge di Dio gridano vendetta al Cielo e non rimarranno impuniti. Ma anche l’Italia non è meno colpevole, dimentica dell’eredità gloriosa di cui è stata custode e che si fonda sulla Civiltà Cattolica, sulla Regalità di Cristo, su un ordine cosmico che pone al centro il Dio che si è fatto uomo, e non l’uomo che si fa dio. Come sempre è avvenuto nel corso della Storia, saranno i nemici di Dio a punire i Suoi figli ribelli.
 
Tornare a Lepanto? Ricostituire una Lega Santa contro i nemici della Cristianità?
 
La Provvidenza saprà indicarci la via al momento opportuno. Ma in qualsiasi frangente noi dovessimo trovarci, qualsiasi avversità, qualsiasi minaccia alla nostra Fede e alla nostra identità possa incombere su di noi, una sola cosa non dobbiamo dimenticare, delle ragioni della Vittoria: non sottrarci al nostro dovere di testimoniare la Fede che professiamo, il Battesimo nel quale siamo stati incorporati a Cristo, la Tradizione alla quale apparteniamo. Non trovare pretesti per rimanere inerti a guardare i nemici di Cristo mentre demoliscono la Santa Chiesa, soprattutto quando questi traditori sono ai vertici della Gerarchia. Non usare l’obbedienza come una coltre sotto cui nascondere l’ignavia e la mediocrità che la società contemporanea ci addita come modelli di tranquillizzante conformità al pensiero unico.
 
Facciamo la nostra parte, col coraggio e la fortezza dei soldati di Cristo: e Nostro Signore farà la Sua, con l’onnipotenza di Dio.
  + Carlo Maria Viganò Arcivescovo   7 Ottobre MMXXV Maria Santissima Regina delle Vittorie, Madonna delle Grazie   NOTE 1) La sua pelle fu successivamente recuperata dai Veneziani e portata a Venezia, dove è conservata nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo come reliquia. Bragadin divenne un simbolo del sacrificio veneziano contro l’espansione ottomana. 2) Paolo VI, Discorso al nuovo Ambasciatore di Turchia accreditato presso la Santa Sede, 19 Gennaio 1967. Cfr. https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1967/january/documents/hf_p-vi_spe_19670119_ambasciatore-turchia.html: «Poiché Noi stessi desideravamo manifestare in qualche modo i Nostri sentimenti, con un gesto che potesse essere gradito alle Autorità della Turchia contemporanea, è stata per Noi una gioia restituire un antico stendardo, preso al tempo della battaglia di Lepanto, che, da allora, si conservava nelle collezioni del Vaticano». 3 ) Conservato dapprima in un bauletto, nel Settecento fu disteso e incorniciato, così da poter essere esposto al pubblico. Nel ’43 una bomba tedesca lo danneggiò, anche se non irreparabilmente. Restaurato nel dopoguerra, oggi lo Stendardo di Lepanto è conservato – e visibile al pubblico – nel Museo Diocesano della cittadina laziale.

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  Immagine di Andrea Vicentino (1542–1618), Battaglia di Lepanto (tra il 1571 e 1600), Museo Correr, Venezia Immagine di Didier Descouens via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International  
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Il cardinale Müller avverte che la Chiesa non deve essere sfruttata per l’ideologi» sotto la bandiera dell’«inclusività»

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Il cardinale Gerhard Müller ha messo in guardia dagli eccessi nell’enfatizzare l’«inclusione» e ha commentato le controversie sulla messa latina tradizionale in un’intervista del 6 ottobre a Il Giornale.

 

Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha affermato che la Chiesa non deve essere strumentalizzata a fini ideologici, rifiutando quella che ha definito la politicizzazione della fede sotto la bandiera dell’inclusività.

 

«Tanti vogliono che la Chiesa parli solo di questioni della vita sociale, della politica. Certo, anche questi sono temi della missione, ma la sua missione primaria è predicare il Vangelo della salvezza e la vita eterna per tutti gli uomini»

 

Alla domanda sulle lettere di protesta indirizzate a Papa Leone XIV contro il cosiddetto «Giubileo LGBTQ», la risposta del cardinale è stata inequivocabile.

 

«Non so se il Papa dirà qualcosa, ma la situazione è molto chiara, non si può strumentalizzare l’Anno Santo e la Porta Santa per un’ideologia di questo tipo» ha dichiarato il porporato. «La Chiesa, in nome di Gesù Cristo, accetta tutti gli uomini e i loro problemi, ma Dio ha creato uomo e donna e solo questo matrimonio è l’unica possibilità di vivere coniugalmente. La Porta Santa non può essere usata per questioni politiche».

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Interrogato sull’adesione di Papa Leone al motto di Francesco «Todos, todos, todos» («tutti, tutti, tutti»), il cardinale Müller ha messo in guardia dall’uso improprio di questa frase come licenza morale.

 

«Tutti gli uomini sono chiamati a trovare Gesù Cristo, unico salvatore del mondo, ma con un cambiamento della propria vita. Il problema è che molti vogliono intendere questo tutti, tutti, tutti, come l’accettazione di uno stile di vita che va contro lo stile della vita cristiana», ha affermato il cardinale.

 

Passando alle controversie liturgiche, Müller ha affermato che la questione della Messa in latino non può essere risolta «risolvere con autoritarismo». Una soluzione, ha insistito, deve essere fondata sulla fede piuttosto che sulla politica. «Serve una riflessione chiara, teologica e non solo politica».

 

Il porporato ha anche messo in guardia dal trattare il papato come una performance o un ufficio politico. «Il Papa come Vescovo di Roma non è isolato come un autocrate, ma ha un collegio di cardinali che è il suo senato. I consigli che danno i cardinali sono molto importanti, non per i propri interessi, ma per aiutare intellettualmente e moralmente il Papa e la sua missione».

 

« Il Papa non è una figura per l’interesse pubblico, non si presenta secondo le regole di una star di Hollywood, ma come un buon pastore, che dà la sua vita per le pecore di Cristo».

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Stato USA non applicherà la legge che obbliga i sacerdoti a violare il segreto confessionale

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Lo stato di Washington ha ufficialmente accettato di abbandonare ogni tentativo di far rispettare una legge che minacciava i sacerdoti cattolici e ortodossi di carcere e multe per non aver violato il sigillo della confessione. Lo riporta LifeSite.   Il disegno di legge 5375 del Senato è stato l’ultimo tentativo del senatore democratico Noel Frame di costringere sacerdoti e altri funzionari religiosi a denunciare alle forze dell’ordine i penitenti che confessavano presunti abusi. La violazione del segreto confessionale è un reato passibile di scomunica nella Chiesa cattolica. Sia Frame che il governatore democratico liberale Bob Ferguson hanno citato la loro fede cattolica professata durante il dibattito sul disegno di legge.   Tuttavia, la legge è stata definitivamente annullata dall’estate scorsa dalla Corte distrettuale occidentale di Washington, a seguito di un ricorso presentato dai vescovi cattolici. Le chiese ortodosse hanno intentato una causa simile contro la legge presso la Corte distrettuale orientale di Washington.   Queste cause legali sono culminate in accordi, annunciati oggi dall’Alliance Defending Freedom (ADF) e dal Becket Fund for Religious Liberty, che pongono fine in modo permanente a qualsiasi azione esecutiva da parte dei procuratori statali e della contea.

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Oltre alle due cause legali, la legge ha dovuto affrontare una forte pressione legale. Allo stesso modo , il Dipartimento di Giustizia federale ha chiesto di intervenire nel caso e ha annunciato un’indagine sullo Stato per aver approvato la legge.   I vescovi cattolici avevano chiarito che non avrebbero rispettato la legge.   Nel corso del dibattito sulla legge, che negli ultimi anni ha conosciuto diverse versioni, i promotori e i sostenitori hanno ignorato i numerosi avvertimenti sui problemi di libertà religiosa lanciati da un vescovo cattolico, da ministri protestanti e da giuristi.   Come riportato da Renovatio 21, il segreto confessionale è minacciato in varie parti del mondo, dallo Stato americano del Delaware a Hong Kong ora sotto il tallone della Cina comunista.   In Australia tre anni fa è entrata in vigore, sempre con la scusa della pedofilia, una legge contro il segreto confessionale.   Si tratta di un fronte ben definito di attacco alla religione cristiana, contro la quale la persecuzione è presente in ogni terra dove vige lo Stato moderno.  

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Immagine dall’interno della Cattedrale di Tolosa. Immagine di Didier Descouens via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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