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Il Senato francese, compresi i lepenisti, approva l’aborto in Costituzione

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Mercoledì scorso il Senato francese ha votato a stragrande maggioranza – deputati della Le Pen inclusi – per incorporare la cosiddetta «libertà di abortire» delle donne nella costituzione francese.

 

Su 339 senatori, 317 hanno votato a favore dell’articolo che modifica la Costituzione negli stessi termini espressi dall’Assemblea nazionale all’inizio di questo mese, aprendo così la strada all’adozione definitiva della legge prevista per lunedì 4 marzo, che richiederà una maggioranza di 3/5 del Senato e dell’Assemblea Nazionale in una votazione solenne nel corso di una sessione congiunta nella Reggia di Versailles.

 

«Purtroppo, sembra molto probabile – date le maggioranze più che confortevoli ottenute in entrambe le Camere per questa “licenza di uccidere” costituzionale – che la Francia diventi la prima nazione a proteggere l’aborto nella sua legge fondamentale» scrive LifeSite.

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Appena 22 si sono astenuti, mentre 50 senatori hanno votato contro l’iscrizione della «libertà garantita» per le donne di «ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza», l’eufemismo legale orwelliano per l’aborto conosciuto anche in Italia.

 

Tra i contrari o gli astenuti non c’erano i tre senatori del cosiddetto Rassemblement national (RN), ex Fronte Nazionale di Marine Le Pen, che non solo hanno votato tutti per l’inserimento dell’aborto nella Costituzione, ma che nel dibattito precedente al voto si è unito al voto diffuso respingendo un emendamento volto a modificare la formulazione del testo per garantire il diritto degli «operatori sanitari» a non essere «vincolati a eseguire» aborti o a «contribuire» all’atto di praticarli: in pratica, i lepenisti hanno votato pure contro la foglia di fico democristiana par excellence, l’obiezione di coscienza.

 

Stéphane Ravier, ex membro della RN e ora membro del partito Reconquête dell’ex candidato presidenziale Eric Zemmour, era tra i 50 senatori che hanno votato contro, ma come tutti questi non ha detto una parola contro l’aborto in quanto tale. Gli oppositori hanno semplicemente osservato che l’aborto «non è in pericolo» e che quindi non è necessario dargli protezione costituzionale.

 

«In Francia, infatti, nessun partito politico rappresentato all’Assemblea nazionale o al Senato è disposto a esprimere aperta ostilità all’uccisione legale dei bambini non ancora nati», nota LSN. «Sincere o meno, le ragioni addotte dai 50 senatori per votare contro il disegno di legge sono il segno dell’assoluta sottomissione dei partiti “ufficiali” a quello che in Francia è diventato un vero e proprio “tabù”: manifestare un’opposizione diretta alle leggi per l’aborto equivale a una condanna a morte per quanto riguarda l’accesso alla vita politica e alle istituzioni del Paese».

 

L’unico risultato ottenuto dai sedicenti «oppositori» è stato un cambiamento nella formulazione del disegno di legge, che inizialmente era stato approvato dall’Assemblea Nazionale nel 2022 con il termine «diritto» all’aborto. L’anno scorso il Senato l’ha sostituita con la parola «libertà» di abortire, e questa è stata successivamente sostituita con le parole «libertà garantita» dal governo, cosa che è stata accettata da entrambe le Camere.

 

Lo storico del diritto francese e commentatore politico Guillaume Bernard ha definito questa «ipocrisia politica», dicendo al mensile cattolico Monde & Vie:

 

«Il Senato ha modificato il testo per menzionare la libertà di ricorso all’aborto, in modo che sia la persona che desidera abortire ad avervi accesso, senza poter rivendicare un diritto che possa essere opposto ai medici o alla società. Ma questo è ipocrita, perché tutta l’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza a livello europeo dimostra che si è sempre passati da un diritto alla libertà a quello che chiamiamo diritto di rivendicazione. Questa è la giurisprudenza della CEDU in materia di eutanasia e suicidio assistito. E questo è ciò che probabilmente accadrà con la costituzionalizzazione dell’aborto, cioè la libertà di abortire diventerà un diritto rivendicabile, applicabile soprattutto contro i medici».

 

«La libertà di coscienza della professione medica è quindi oggettivamente a rischio. Sostituendo la parola “diritto” con “libertà”, l’affermazione sarebbe stata annacquata, ma il risultato è un piccolo passo indietro per fare un più grande balzo in avanti. La costituzionalizzazione legittima ulteriormente l’aborto, elevandolo al livello di principio costituzionale e di valore repubblicano. Contrastarlo rischia quindi di diventare più complicato, perché significherebbe mettere in discussione il sacrosanto “Stato di diritto”».

 

La Francia ha registrato un numero record di aborti nel 2023: ben 234.300, con un aumento di oltre 17.000 rispetto al 2022. Anche l’anno scorso ha registrato un minimo storico di nascite dal 1945: sono nati solo 678.000 bambini, 48.000 in meno rispetto al 2022. A gennaio, queste statistiche catastrofiche hanno portato il presidente Emmanuel Macron a chiedere un «riarmo demografico». Tuttavia è stato proprio il presidente privo di figli a promuovere la costituzionalizzazione dell’aborto poco dopo la revoca del caso Roe v. Wade negli Stati Uniti nel giugno 2022, che considerava una minaccia ai «diritti» dell’aborto.

 

Qualche istante dopo l’adozione della legge da parte del Senato, una dichiarazione rilasciata dalla presidenza francese affermava che Macron avrebbe convocato entrambe le Camere a Versailles per la votazione congiunta finale.

 

Lo stesso Macron ha postato su Twitter il messaggio: «Mi sono impegnato a rendere irreversibile la libertà delle donne di abortire, sancendola nella Costituzione. Dopo l’Assemblea nazionale, il Senato ha compiuto un passo decisivo, di cui mi compiaccio. Per il voto finale convocherò il Parlamento al Congresso il 4 marzo».

 

La data è stata scelta perché è vicina alla «Giornata internazionale della donna». I dibattiti al Senato e all’Assemblea nazionale si sono svolti con un calendario molto serrato e sono stati trattati come un’emergenza politica per renderlo possibile.

 

Nei media si è ipotizzato che il Senato avrebbe modificato il disegno di legge, cosa che avrebbe costretto il dibattito a proseguire presso l’Assemblea nazionale, ma, come già detto, ciò non è avvenuto. A quanto pare i poteri forti non pensavano che questa fosse una possibilità: a Versailles (dove vivo) le restrizioni al parcheggio e alla circolazione intorno al palazzo erano già previste per il 3 e 7 marzo mercoledì mattina, poche ore prima della seduta del Senato sul disegno di legge prevista il Mercoledì sera.

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Poco dopo il voto, l’ex arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, ha postato su X il seguente messaggio: «L’aborto nella Costituzione. L’obiezione di coscienza degli operatori sanitari è stata respinta. La legge si impone sulla coscienza, costringendo a uccidere. La Francia ha toccato il fondo. È diventato uno stato totalitario».

 

La Conferenza episcopale francese ha diffuso un comunicato:

 

«La Conferenza episcopale francese (CEF) ha appreso con tristezza del voto del Senato sull’emendamento costituzionale che garantisce la libertà di accesso all’aborto. Pensando a coloro che pensano all’aborto, e in particolare alle donne in difficoltà, la CEF ribadisce che l’aborto, che resta un attentato alla vita nel suo inizio, non può essere visto esclusivamente dal punto di vista dei diritti delle donne. Si rammarica che il dibattito non abbia affrontato la questione del sostegno a coloro che desiderano tenere il proprio figlio».

 

Cosa cambierà la costituzionalizzazione dell’aborto? Gli aborti continueranno a verificarsi, probabilmente come prima. Ma come ha osservato Guillaume Bernard, gli operatori sanitari si trovano ora ad affrontare una minaccia molto reale alla loro libertà di non contribuire all’uccisione dei bambini non ancora nati.

 

E con l’aborto che diventa un «valore repubblicano», sorgono ora domande riguardanti le organizzazioni pro-vita e il loro diritto all’espressione pubblica, nonché l’insegnamento del rispetto per la vita nell’educazione cattolica. In ogni caso, la mossa è soprattutto un messaggio: d’ora in poi, sembra proclamare, combattere l’aborto è inutile e «non repubblicano».

 

Un assaggio di ciò si è avuto la scorsa settimana quando una stazione televisiva «conservatrice», CNews, è stata attaccata per aver citato l’aborto come «causa di mortalità». È stato nel corso di un programma religioso, En quête d’esprit, presentato insieme al settimanale cattolico France catholique, che il suo presentatore, Aymeric Pourbaix, ha citato le statistiche di Worldometer che definiscono l’aborto «la prima causa di mortalità nel mondo», con «73 milioni di aborti in 2022, ovvero il 52% di tutti i decessi». Dieci milioni di persone muoiono di cancro, in confronto, e 6,2 milioni per malattie legate al tabacco, ha aggiunto.

 

L’organismo francese di vigilanza dell’audiovisivo ARCOM responsabile dell’attribuzione delle frequenze dei canali TV ha ricevuto numerose richieste formali da personaggi pubblici e meno pubblici che chiedevano di vietare CNews.

 

La stazione stessa ha ceduto alle proteste, con i suoi conduttori che hanno fatto diverse dichiarazioni sullo schermo «rimpiangendo» l’«incidente», «chiedendo scusa» e «presentando le sue scuse per questo errore che non avrebbe mai dovuto verificarsi».

 

Una presentatrice, Laurence Ferrari, ha aggiunto di essere personalmente favorevole a rendere l’aborto un «diritto costituzionale». Altre due giornaliste spesso presentate come favorevoli alla destra e interessate alla spiritualità e al cattolicesimo, Sonia Mabrouk e Christine Kelly, hanno presentato scuse simili.

 

Anche il finanziatore dell’emittente, il miliardario Vincent Bolloré (molto conosciuto anche in Italia per le sue turbolente partecipazioni in grandi aziende nazionali come TIM e Mediaset, un cattolico convertito, ha offerto le sue «scuse» su Twitter «a tutti coloro che potrebbero essersi sentiti offesi» dalla sequenza, aggiungendo che «era stata cancellata durante il montaggio finale e quindi non avrebbe mai dovuto essere trasmissione».

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Immagine di Jacques Paquier via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Bioetica

Medici britannici lasciano morire il bambino prematuro perché pensano che la madre abbia mentito sulla sua età

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Un bambino prematuro nato a 22 settimane è morto dopo che i medici in Gran Bretagna si sono rifiutati di somministrargli un trattamento salvavita. Lo riporta LifeSite.   Mojeri Adeleye è nato prematuro alla 22ª settimana, dopo che la madre aveva subito la rottura prematura delle membrane. Durante l’emergenza, la mamma e il bambino sono stati trasferiti in un altro ospedale, dove la data di gestazione è stata scritta in modo errato, etichettando Mojeri come se avesse meno di 22 settimane di gestazione.   Le linee guida raccomandano l’assistenza medica solo per i neonati prematuri nati dopo la 22a settimana di gestazione. Sebbene la madre di Mojeri avesse informato il personale medico dell’errore, questi non le hanno creduto e hanno lasciato che il bambino morisse.

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Secondo il rapporto del medico legale, la madre di Mojeri era stata visitata per gran parte della gravidanza presso l’ospedale locale ma a seguito di complicazioni, la donna è stata trasferita in un altro ospedale.   Tuttavia, è stato commesso un errore nelle note di riferimento e la madre di Mojeri è stata registrata come a meno di 22 settimane di gestazione. Le linee guida nazionali raccomandano che il trattamento salvavita venga fornito solo ai prematuri nati a 22 settimane di gestazione o dopo, e sebbene la madre di Mojeri abbia ripetutamente cercato di comunicare al personale la corretta età gestazionale, non le hanno creduto.   Quando la madre è entrata in travaglio, il personale si è rifiutato di fornire a Mojeri qualsiasi assistenza salvavita. Era, infatti, da poco più di 22 settimane di gestazione, come aveva insistito la madre. Poiché i medici non hanno fatto nulla, Mojeri è morto.   Il medico legale ha scritto nel rapporto: «Nel corso dell’inchiesta, le prove hanno rivelato elementi che destano preoccupazione. A mio parere, sussiste il rischio che si verifichino decessi in futuro, se non si interviene».   «Date le circostanze, è mio dovere legale riferirvi. Le questioni di interesse sono le seguenti: La mancanza di considerazione nei confronti della conoscenza da parte della madre di Mojeri della propria gravidanza e della data prevista del parto per Mojeri; La mancanza di discussione con i genitori di Mojeri sulle possibili misure da adottare in caso di parto prematuro prima della 22ª settimana».

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Le linee guida della British Association of Perinatal Medicine (BAPM) del 2019 raccomandavano che, se i bambini nascevano vivi a 22 settimane, venissero fornite cure «focalizzate sulla sopravvivenza»; in precedenza, le linee guida affermavano che i bambini nati prima delle 23 settimane non dovevano essere rianimati.   Dopo l’attuazione di queste linee guida, il numero di bambini prematuri sopravvissuti alla 22ª settimana è triplicato. Prima di allora, i bambini prematuri considerati «troppo piccoli» venivano semplicemente lasciati morire.   Si stima che il 60-70% dei neonati possa sopravvivere alla nascita prematura a 24 settimane di gestazione. Tuttavia, fino al 71% dei neonati prematuri, anche quelli nati prima delle 24 settimane, può sopravvivere se riceve cure attive anziché solo cure palliative. E sempre più spesso, i bambini sopravvivono anche a 21 settimane, scrive Lifesite, che ricorda: «non tutti i bambini sopravvivranno alla prematurità estrema, ma meritano almeno di avere una possibilità».

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L’amministrazione Trump condanna la «persecuzione della preghiera silenziosa» fuori dagli abortifici britannici

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Il Dipartimento di Stato americano sta mettendo in guardia Londra per aver violato la libertà di parola dei cittadini inglesi pro-life, definendolo un affronto ai «valori condivisi» tra le due nazioni.

 

Il Telegraph ha riferito che il Dipartimento di Stato ha rilasciato una dichiarazione accusando uno dei suoi più stretti alleati geopolitici di «violazione palese del diritto fondamentale alla libertà di parola», citando specificamente «molti casi di buffer zone [zona cuscinetto, ndr] nel Regno Unito, nonché altri atti di censura in tutta Europa».

 

«La persecuzione della preghiera silenziosa da parte del Regno Unito rappresenta non solo una grave violazione del diritto fondamentale alla libertà di parola e alla libertà religiosa, ma anche un preoccupante allontanamento dai valori condivisi che dovrebbero fondare le relazioni tra Stati Uniti e Regno Unito», ha affermato un portavoce. «È di buon senso che restare in silenzio e offrire una conversazione consensuale non costituisca un danno».

 

Il rimprovero si riferisce all’istituzione nel Regno Unito di zone «bolla» o «cuscinetto» attorno alle strutture per l’aborto, apparentemente per proteggere le persone che vi entrano o ne escono da «molestie, abusi e intimidazioni». In pratica, tuttavia, hanno portato a multe salate contro attivisti pro-life pacifici.

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All’inizio di quest’anno, la scienziata in pensione Livia Tossici-Bolt è stata dichiarata colpevole e condannata a pagare 20.000 sterline (23.200 euro) per aver esposto un cartello con la scritta «qui per parlare, se vuoi» a 150 metri dal centro aborti BPAS di Bournemouth, riporta LifeSiteNews. Rose Docherty, una nonna scozzese di 75 anni, è stata arrestata in circostanze simili, ma le accuse sono state ritirate tra le proteste internazionali.

 

Un portavoce del governo britannico ha risposto con una breve dichiarazione: «la libertà di parola è fondamentale per la democrazia, anche qui nel Regno Unito, e siamo orgogliosi di sostenere le libertà garantendo al contempo la sicurezza dei cittadini».

 

A maggio, l’amministrazione Trump ha inviato una delegazione del Dipartimento di Stato in Inghilterra per indagare sulla situazione della libertà di parola, incontrando anche Tossici-Bolt, Docherty e altre vittime simili, e per riferire sulle loro conclusioni per «affermare l’importanza della libertà di espressione nel Regno Unito e in tutta Europa».

 

Resta da vedere come ciascuna delle due nazioni darà seguito allo scambio. Le relazioni tra gli Stati Uniti e le nazioni europee, incluso il Regno Unito, sono attualmente tese su più fronti, tra cui la campagna del presidente Donald Trump per la revisione degli accordi commerciali internazionali e la difficoltà delle nazioni occidentali a concordare una strategia unitaria in risposta all’invasione russa dell’Ucraina.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel suo storico intervento di accusa alla decadenza tirannica europea dato alla Conferenze di Sicurezza di Monaco 6 mesi fa, il vicepresidente statunitense JD Vance aveva definito «follie» gli arresti dei pro-life britannici che pregavano in silenzio.

 

La psicopolizia britannica è arrivata a condannare per aver pregato con il pensiero almeno due persone: il veterano dell’esercito britannico Adam Smith-Connor, 51 anni, che ha ottenuto la scarcerazione condizionale per due anni (vale a dire che è in libertà vigilata per due anni) e gli è stato ordinato di pagare le spese legali pari a 9 mila sterline (circa 10 mila euro) dal giudice distrettuale presso il tribunale di Poole, nel Dorset: lo Smith-Connor era stato arrestato nei pressi dell’attività di aborto di Bournemouth del British Pregnancy Advisory il 14 novembre 2022, dopo aver pregato in silenzio per suo figlio Jacob, abortito 22 anni fa; Isabel Vaughan-Spruce, un’altra cittadina britannica che è stata arrestata per preghiera silenziosa, che ha ricevuto due mesi fa 13 mila sterline (circa 15 mila euro) di danni e delle scuse dalla polizia.

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L’aborto ha spazzato via il 28% della generazione Z. E molto, molto di più

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Statistiche ampiamente condivise in rete questa settimana riportano che circa il 28% della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) negli USA è stata abortita nel grembo materno. Lo scrive LifeSite.   Secondo le stime del Guttmacher Institute (il braccio di ricerca e sviluppo del grande abortificio multinazionale Planned Parenthood) sul numero di aborti eseguiti ogni anno negli Stati Uniti dal 1997 al 2011, gli anni di nascita della Generazione Z, circa 19,5 milioni di esseri umani concepiti in quella generazione, sono stati soppressi attraverso l’aborto. Attualmente si stima che negli Stati Uniti ci siano 69,3 milioni di membri della Generazione Z.   I dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che il tasso di aborti tra i bambini della Generazione Z negli Stati Uniti corrisponde quasi alla percentuale stimata di bambini non ancora nati uccisi dall’aborto in tutto il mondo: il 29%, ovvero tre gravidanze su 10.

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Le statistiche di Inghilterra e Galles mostrano tassi di aborto molto simili. «la percentuale di concepimenti che hanno portato all’aborto è stata del 29,7%; si tratta di un aumento rispetto al 26,5% del 2021 e della percentuale più alta mai registrata», ha rilevato un rapporto dell’Office of National Statistics (ONS) basato sui dati del 2022.   Ricordiamo anche che queste statistiche risultano calcolabili pure per realtà apparentemente distanti come il Giappone, con dati nel periodo post-bellico che indicavano l’aborto di circa un terzo dei concepiti, con casi allucinanti di infanticidi – che oggi la Finestra di Overton vuole che chiamiamo «aborti post-natali» – come quello di Miyuki Ishikawa, detta «Oni-sanba», ostetrica che avrebbe ucciso almeno 86 bambini (qualcuno parla di una cifra doppia) affidatile negli anni dell’immediato dopoguerra.   Non si tratta di numeri sconosciuti anche all’Italia, dove per anni le nascite sono state attorno alla cifra di 500 mila, con le interruzioni di gravidanza sopra i 100.000, con un calo sensibile nell’ultimo decennio, in linea tuttavia con il calo delle nascite, specie dopo la pandemia.   Anche in Italia, dunque, abbiamo avuto una percentuale di generazioni spazzate via sopra il 20%, in pratica una piccola guerra condotta contro il Paese stesso, ma legalizzata e pagata dal contribuente – o una serie di bombe atomiche, i cui effetti si misurano in megadeath («megamorte», un milione di individui sterminati).   Come scritto anni fa da Renovatio 21, negli anni l’Italia dell’aborto ha subito una devastazione umana molto superiore a quella di Hiroshima e Nagasaki, con almeno 6-7 megadeath di danno alla popolazione. E parliamo solo delle cifre ufficiali, che non includono gli embrioni distrutti dalle provette, che sono già in numero maggiore di quelli trucidati dall’interruzione volontaria di gravidanza.   Se non volete pensarlo in percentuale, pensatelo così: 6 milioni di persone uccise, sono perfettamente pensabili come un attacco atomico che cancella tutto il Triveneto, o la Sicilia e la Calabria assieme, o l’Emilia-Romagna con l’Umbria e le Marche, o tutto il Lazio e zone limitrofe, o due terzi della Lombardia.   Come avevamo scritto oramai più di 10 anni fa: «Per quanto possa sembrare allucinante, dobbiamo guardare in faccia la realtà: l’Italia è una rovina post-atomica. E neppure lo sa».   Le cifre divenute virali questa settimana non includono mai – perché è un calcolo che i pro-life, specie italiani, non hanno l’intelligenza di fare – quello che qualcuno chiama il ghost number. Proviamo a pensare le cifre americane: e 6.392.900 femmine abortite tra il 1973 e il 1982 avrebbero oggi 25-40 anni, e quindi con alta probabilità almeno un figlio di media (chi due, chi cinque, chi zero). Otteniamo così la cifra di 54.853.850 persone spazzate via dall’anagrafe, sottratte alla società.   Un danno di quasi 55 megadeath: come se il temuto showdown nucleare con la Russia, fosse avvenuto – e senza che i sovietici sparassero un solo colpo. Basandosi sulle attuali statistiche demografiche americane, è possibile calcolare che tra questi 55 milioni vi potrebbero essere stati 7 giudici della Corte Suprema, 31 premi Nobel, 6000 atleti professionisti, 11.010 suore, 1.102.403 insegnanti, 553.821 camionisti, 224.518 camerieri, 336.939 spazzini, 134.028 contadini, 109.984 poliziotti, 39.447 pompieri, 17.221 barbieri.

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Soprattutto, e questo deve essere meditato profondamente dalle femministe, in questo immane turbine di morte sono state disintegrate 27.426.925 donne. Le quali sono, senza dubbio alcuno, il bene più prezioso che esista sulla Terra: ogni cellula uovo che la donna ovulerà in tutta la sua vita, è già formata dal feto a poche settimane dal concepimento. La prima cellula del nostro corpo – l’ovocita – già esisteva dentro nostra madre quando era un feto, venti, trenta, quaranta anni prima che venissimo alla luce. Un’autentica, insondabile meraviglia: la vita contenuta dentro la vita.   L’aborto interrompe questa catena superiore. Come diceva un detto ebraico: chi uccide un uomo uccide l’umanità; ammazzi qualcuno e rovini per sempre le generazioni che seguiranno. Peggio di un fallout radioattivo, l’aborto reca un danno aberrante, che si accumula distruggendo il futuro – i figli, i figli dei nostri figli – su una scala che non possiamo immaginare.   Chi non crede a queste romanticherie scientifiche e umanistiche, pensi ai soldi: i 55 megadeath causati dall’aborto in USA rappresentano 55 milioni di lavoratori e consumatori americani che non pagano le tasse e non partecipano al mercato nazionale. Dal PIL, è possibile calcolare che l’aborto abbia causato all’economia americana un danno di 37 trilioni e 600 miliardi di dollari.   L’abisso di cui stiamo parlando non vi è stata ancora nessuna rappresentazione adeguata alla sua immensità apocalittica. Né la polemologia (la disciplina che nel Novecento si è dedicata allo studio della guerra), né la psicologia, né la sociologia, né la filosofia paiono comprendere questo Inferno per intero.   No, non è solo un terzo della Generazione Z ad essere stato cancellato dall’aborto. È molto, molto di più.   Roberto Dal Bosco

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