Gender
La castrazione volontaria sta diventando una scelta di genere
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Ci sono limiti etici a ciò che i chirurghi dovrebbero essere autorizzati a fare in un’epoca in cui la chirurgia per l’affermazione di genere è consentita?
Si consideri il culto clandestino del «gender nullification», [«annullamento del genere», ndt].
L’anno scorso, la polizia britannica ha arrestato sette uomini dopo accuse di lesioni personali gravi. Si erano riuniti in un appartamento nel nord di Londra per la rimozione in live streaming del loro pene e testicoli.
L’apparente ispirazione per questo è un artista giapponese, Mao Sugiyama, a cui sono stati rimossi i genitali, cucinati e serviti agli ospiti durante una cena nel 2012 quando aveva 22 anni. Ha addebitato agli ospiti 160 sterline ciascuno.
Secondo un articolo del Daily Mail, molti di questi cosiddetti «nullos» optano per uno «smoothie» («frullato»), una procedura che lascia loro l’inguine liscio. Non sorprende che questo non sia stato oggetto di studio accademico, sebbene possano esserci da 10.000 a 15.000 «nullos» volontari in tutto il mondo. Ci sono forum su Internet per discutere la questione.
Nel 2021 il Daily Beast ha esaminato questa pratica controversa in un articolo lungo e ampiamente studiato. Fino a poco tempo fa, i «tagliatori» dilettanti erano responsabili degli interventi chirurgici sotterranei. Ma mentre la chirurgia di affermazione del genere diventa più accettabile, la loro professione sembra svanire.
Il movimento di «nullification» («annullamento», ndt), secondo la descrizione molto simpatica che ne fa il Daily Beast, merita di essere rispettato. I suoi partecipanti non soffrono di alcuna patologia. Un antropologo ha affermato di aver sentito parlare di un uomo che sapeva dall’età di 6 anni di essere un eunuco, anche se ha aspettato fino ai 30 anni per diventarlo.
«Né meritano il melodramma dei tabloid o importanti repressioni legali. Al contrario, sono in gran parte il risultato dell’incapacità della società di riconoscere pienamente, rispettare veramente e servire adeguatamente le identità di genere profondamente emarginate».
In effetti, essere un eunuco è un’identità di genere legittima, afferma Shawn Francis Benedict, ministro della chiesa pro-LGBTQI+ Ray Of Hope Church, a Nuova York.
«Ho trovato centinaia di libri sull’esistenza di castrazione, eunuchi e altre identità di ogni cultura, ogni epoca, persino ogni religione», ha detto. «L’unica cosa eccezionale e strana in loro è essere così ignoranti da pensare che siano eccezionali o strani».
Negli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, Benedict ha aggiunto: «se una persona chiamava un medico per chiedere, ad esempio, di tenere il proprio pene e metterci dietro una vagina, quella era una richiesta assoluta alla quale riattaccare il telefono».
Oggi è molto più facile, dice il reverendo. «Provare a diventare un eunuco ora non è neanche lontanamente così strano e difficile come lo era 30 anni fa. Ora, abbiamo dottori che non battono nemmeno le palpebre quando dici che vuoi solo rimuovere i tuoi testicoli o semplicemente aggiungere una vagina. Non l’ho mai visto arrivare».
Questo deve mettere più pressione sui medici. Come osserva l’autore dell’articolo di Daily Beast: «dobbiamo comprendere e rispettare appieno il motivo per cui le persone fanno le scelte che fanno e fornire il supporto di cui hanno bisogno».
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Gender
Le femministe britanniche espungono i membri transgender (nel senso, agli affiliati transessuali)
Due tra le più importanti organizzazioni britanniche riservate a donne e ragazze, il Girlguiding (l’equivalente delle Girl Scout) e il Women’s Institute, hanno deciso di chiudere le porte ai membri transgender, nel senso degli affiliati transessuali.
Martedì il Girlguiding ha reso noto che «le ragazze e le giovani donne trans non potranno più iscriversi» come nuove socie. Il giorno successivo, mercoledì, il Women’s Institute, fondato oltre 110 anni fa, ha annunciato che «l’iscrizione sarà riservata esclusivamente alle persone di sesso femminile alla nascita».
Entrambe le associazioni hanno sottolineato che la scelta non era quella auspicata, ma è diventata inevitabile per evitare possibili contenziosi legali dopo la sentenza emessa ad aprile dalla Corte Suprema del Regno Unito. I giudici hanno stabilito che, ai sensi dell’Equality Act 2010, i termini «donna» e «sesso» si riferiscono esclusivamente al sesso biologico e non all’identità di genere.
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La pronuncia era arrivata al termine di un ricorso presentato da For Women Scotland contro una norma del governo scozzese che includeva i transgenderri (munite di certificato di riconoscimento del genere) nel calcolo delle quote femminili nei consigli di amministrazione pubblici.
Un sondaggio realizzato subito dopo la sentenza ha mostrato che il 59% dei britannici concorda sul fatto che una persona transgender non sia legalmente una donna (dati Electoral Calculus). Tra chi ha accolto favorevolmente la decisione c’è anche J.K. Rowling, da tempo sostenitrice di For Women Scotland.
Sempre quest’anno, la Federazione calcistica inglese (FA) e British Rowing (l’ente per il canottaggio) hanno adottato politiche analoghe: dal 1º giugno 2025 i transgender non potranno più competere nelle categorie femminili del calcio in Inghilterra, mentre nel canottaggio britannico l’accesso alla gara femminile è limitato a chi è «assegnato di sesso femminile alla nascita»; per tutti gli altri resta aperta la categoria Open.
Secondo le ultime indiscrezioni, anche il Comitato Olimpico Internazionale starebbe valutando di escludere i transessuali dalle competizioni femminili olimpiche.
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La battaglia tra femministe e transessuali va avanti oramai da un pezzo, al punto che il mondo transessualista ha trovato un acronimo per definire le femministe che non accettano il dogma transgenderro imposto ora all’intera società occidentale: le chiamano TERF, trans-exclusionary radical feminists ossia femministe radicalo trans-escludenti.
Il caso più celebre di persona definita TERF per aver espresso dubbi sul fatto che maschi biologici possano essere definiti «donne» è stata la scrittrice di Harry Potter JK Rowling, che è peraltro la donna più ricca del Regno Unito.
In Europa si era avuto il caso della norvegese Christina Ellingsen, dell’organizzazione femminista globale Women’s Declaration International (WDI), è sotto indagine della polizia per aver fatto la denuncia in un tweet in cui ha criticato il gruppo di attivismo trans FRI. «Perché insegna ai giovani che i maschi possono essere lesbiche? Non è una terapia di conversione?» avrebbe twittato la Ellingsen.
Il caso si replicò in Norvegia con l’attrice e cineasta Tonje Gjevjon, una lesbica nota nella cultura popolare del Paese, che osò scrivere su Facebook che «è semplicemente impossibile per gli uomini diventare lesbiche quanto lo è per gli uomini rimanere incinti. Gli uomini sono uomini indipendentemente dai loro feticci sessuali». L’attrice fu quindi informata di essere sotto indagine e di rischiare tre anni di carcere per l’espressione delle sue opinioni.
Come riportato da Renovatio 21, a fine 2020 la Norvegia ha adottato una nuova legge penale che punisce le persone per aver detto qualcosa di considerabile come incitamento all’odio nei confronti di persone transgender anche nel contesto della propria casa o conversazioni private.
Più recente il caso dell’attivista brasiliana per i diritti delle donne Isabella Cepa, la quale ha ottenuto lo status di rifugiata in un Paese europeo non specificato, dopo essere stata accusata di reati penali in Brasile per aver definito un politico transgender da uomo a donna come un uomo.
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Immagine: The Girl Guides Association in Britain 1914-1918; un gruppo di Guide posa per una fotografia nel Regno Unito durante la Prima Guerra Mondiale.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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La donna più forte del mondo in realtà era un uomo
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Gender
La Corte UE ordina alla Polonia di riconoscere il matrimonio gay
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha stabilito martedì che la Polonia è obbligata a riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati in altri Paesi membri, pur se tali unioni sono vietate dalla legge nazionale.
In una sentenza emessa martedì, la CGUE ha condannato Varsavia per aver violato il diritto comunitario nel rifiutare di trascrivere nel registro civile polacco il matrimonio contratto nel 2018 in Germania da due cittadini polacchi. Al rientro in Polonia, le autorità avevano respinto la loro istanza, motivandola con il divieto nazionale sulle unioni omosessuali.
La Polonia, a forte maggioranza cattolica, equipara i matrimoni civili e religiosi, ma esclude le coppie dello stesso sesso nonostante le reiterate sollecitazioni di Bruxelles. La Costituzione polacca, non diversamente da quella italiana, definisce il matrimonio come «unione tra uomo e donna».
La Corte ha ritenuto che tale rifiuto infranga le norme UE sulla libera circolazione e sul rispetto della vita privata e familiare. Concedere la trascrizione alle coppie eterosessuali ma negarla a quelle omosessuali configura discriminazione, si legge nel comunicato. I giudici hanno però precisato che gli Stati membri conservano la competenza esclusiva su autorizzazioni o divieti di nozze same-sex nel proprio ordinamento interno.
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La decisione vincolante è arrivata all’indomani delle critiche del presidente polacco Karol Nawrocki all’UE, accusata di «follia ideologica» e di spingere verso una centralizzazione eccessiva. Nawrocki ha ricordato che l’adesione all’Unione prometteva opportunità economiche e mobilità, non ingerenze nella politica interna o nelle norme familiari.
Eletto a giugno su una piattaforma di valori cattolici e sovranità nazionale rafforzata, Nawrocki ha annunciato il mese scorso che non apporrà la firma a leggi che minino lo status costituzionale del matrimonio.
Il governo di coalizione europeista del premier Donald Tusk ha depositato nell’ottobre 2024 un disegno di legge per introdurre unioni civili anche per coppie omosessuali, ma i lavori procedono a rilento per le resistenze del partner conservatore, il Partito Popolare Polacco (PSL), che ha espresso dubbi e ostacolato un’intesa definitiva.
Come riportato da Renovatio 21, la strada verso il matrimonio omofilo in Polonia è stata battuta persistentemente negli ultimi anni.
La Polonia è tra i cinque Stati UE che non riconoscono legalmente le relazioni omosessuate, unitamente a Bulgaria, Lituania, Romania e Slovacchia. Nel frattempo, un altro Paese che era dietro la Cortina di ferro sovietica, il Kazakistan, due settimane fa ha votato per vietare la «propaganda LGBT».
Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato la CGUE aveva stabilito che la Romania doveva accettare la nuova identità di genere di una donna che ha fatto la «transizione» e ora si considera un uomo.
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Immagine di Lan Pham via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0
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